Pianeta d'Acqua (The Blue World, 1966) è un romanzo di fantascienza di Jack Vance, autore che amo moltissimo, ma qui apprezzo un po' meno. È la storia di una comunità che si trova a dover sopravvivere in un pianeta che non ha alcuna terra emersa. Ci sono delle specie di foglie spugnose giganti su cui si possono costruire delle capanne, con il legno che si ricava dalle piante acquatiche si ottengono delle imbarcazioni, ma c'è poco di più, e nessuna metallurgia, al punto che le ossa umane vengono "riciclate" per avere attrezzi.
La comunità esiste da una dozzina di generazioni, dopo essere fuggita da un regime di oppressione per mezzo di una astronave che è andata a finire in questo luogo poco ospitale. Ma se vediamo i nomi delle caste di questi uomini, scopriamo una verità diversa. Premesso che le caste stanno scomparendo, gli appellativi sono assai suggestivi: Pataccari, Contrabbandieri, Prevaricatori, Mascalzoni, Imbroglioni e via dicendo. Insomma, gli abitanti del pianeta sono i reduci del naufragio di una astronave-prigione. Ci sono antiche testimonianze che, se lette con cura, potrebbero far luce sulle origini del mondo, ma questi tomi vengono studiati poco e capiti ancora meno.