Ammettiamolo, lo sapevo che Sucker Punch non mi sarebbe piaciuto. Dopo aver visto 300, altro film di Zack Snyder imparentato con questo, un gran videoclip basato tutto su estetica della violenza, scene da videogioco ed effetti speciali, non avevo alcuna illusione, sapendo già comunque che il film ha una trama praticamente inesistente. Premesso che ad ogni modo qualche scena fa la sua bella figura, è stato in definitiva peggio di quello che mi aspettassi.
Un film senza nessun significato, una trama fine a se stessa per far vedere scene che sembravano veramente i livelli dei videogiochi, per titillarci con le cinque action chicks praticamente in mutande per tutto il film, e sbattere su della musica ad alto volume. Alcune delle scene, come quella delle trincee stile prima guerra mondiale con i tedeschi zombie e i dirigibili, avranno mandato in brodo di giuggiole qualcuno "perché è steampunk!!" a me in generale veniva imbarazzo per chi aveva effettivamente dovuto recitare scene così cretine. Se ci aggiungiamo che tra biglietto e bibita ho sganciato 10 euro e rotti nelle casse di un cinema proprietà del Premier, ho proprio fatto la giornata.
Posso dire con una certa maligna soddisfazione che il film (soprattutto per essere di Snyder) ha toppato al box office in maniera clamorosa nei primi giorni di programmazione, non è detto che non recuperi ma i segnali sono molto negativi.
Secondo me se voleva pigiare sugli ormoni il buon Snyder doveva scivolare sull'exploitation movie e far vedere un po' più di carne al vento, ma poi chi lo sa, rischiava la censura e quindi avrebbe perso il pubblico abituale di questa robaccia (i ragazzini) e gli sarebbero rimasti solo i fessi come me.
Ok, taglio corto, direi che ne abbiamo parlato anche troppo.
martedì 29 marzo 2011
domenica 27 marzo 2011
Fantasy in duemila caratteri?
La rivista della Delos Writer's Magazine Italia ha dato il via a delle iniziative sui racconti brevi: 365 racconti erotici, 365 racconti horror, 50 racconti di fantascienza. La prima delle tre è già uscita, io ho partecipato alle altre due riuscendo a farmi accettare un racconto horror (per la fantascienza ho provato ma non è andata bene).
Adesso sta balenando l'idea di 365 racconti fantasy in "sinergia" con un rilancio dell'idea di pubblicare romanzi da edicola (la Delos questo tentativo dei romanzi brevi scritti da italiani lo aveva già fatto, con la serie Storie di Maghi, Draghi e Guerrieri, mi sa che poi si era impantanata...).
Ci sarà a quanto pare un "mondo comune" dove ambientare questi racconti fantasy (non mi sarebbe dispiaciuto partecipare a crearlo...). Tutto bello, se parte, però limitarsi a 2.000 o 2.500 caratteri per un racconto che deve stare su una pagina, come ho già sperimentato, è molto molto dura.
Adesso sta balenando l'idea di 365 racconti fantasy in "sinergia" con un rilancio dell'idea di pubblicare romanzi da edicola (la Delos questo tentativo dei romanzi brevi scritti da italiani lo aveva già fatto, con la serie Storie di Maghi, Draghi e Guerrieri, mi sa che poi si era impantanata...).
Ci sarà a quanto pare un "mondo comune" dove ambientare questi racconti fantasy (non mi sarebbe dispiaciuto partecipare a crearlo...). Tutto bello, se parte, però limitarsi a 2.000 o 2.500 caratteri per un racconto che deve stare su una pagina, come ho già sperimentato, è molto molto dura.
venerdì 25 marzo 2011
Constantine
Un film tratto da un fumetto, ancora una volta, ma in questo caso il fumetto non l'ho letto quindi mi risparmio il fastidio delle inevitabili storpiature dell'originale. Constantine è diretto da Francis Lawrence (regista di... videoclip) con la partecipazione di Keanu Reeves nel ruolo del protagonista che dà il titolo al film, Shia LaBeouf nei panni di Chas, un ragazzo che gli fa da spalla, Rachel Weisz nel doppio ruolo di una poliziotta e della sua gemella paziente psichiatrica, Tilda Swinton a interpretare un andorgino e inquietante angelo Gabriele. Poiché stanno ritornando di moda angeli, demoni e compagnia bella, vedere o rivedere questo film può essere appropriato, soprattutto perché è a un livello superiore rispetto alle solite pellicole di questo genere. E soprattutto se vi piace Keanu Reeves, che qui interpreta un ruolo che si adatta bene al suo stile: freddo, poco espressivo ma stranamente pendente fra il disilluso e lo ieratico.
La battaglia che si sta accendendo in quel di Los Angeles fa capire a Constantine che l'equilibrio tra cieli e inferi si sta incrinando: i demoni vogliono fare irruzione nel mondo e lui si trova in prima linea per impedirlo. Il fatto che abbia un tumore incurabile ai polmoni non aiuta, ovviamente (troppe sigarette, ahimé). Poiché Constantine da ragazzo ha cercato di suicidarsi, è inoltre destinato all'inferno lui stesso (che fa l'esorcista per mestiere). L'angelo Gabriele lo informa che nessuna benemerenza cambierà questa realtà e Constantine sa che dopo morto dovrà vedersela con quelli che ha sempre combattuto. Ancora meno lo aiuterà scoprire, nelle sue indagini, che qualcuno da "sopra" vuole aiutare le forze dell'inferno a scatenarsi sulla terra, e non si sa ne chi è, né il motivo per cui lo farebbe.
La storia parte quando il nostro eroe riceve una richiesta di aiuto da parte di una poliziotta: deve cercare di capire il perché della morte di lei, apparentemente un suicidio. Constantine si troverà a dibattersi fra minacce mortali (per esempio demoni che vogliono fargli la pelle) possibili collaboratori che non collaborano e dilemmi teologici.
La trama risente di diverse banalità, e (ho letto) Constantine è troppo "buono" per il personaggio fumettistico che dovrebbe rappresentare, tuttavia il film non si basa soltanto su effetti speciali e scene d'azione, gli attori sono validi, lo humour nero del protagonista congiunto con il carisma di Reeves che lo interpreta si fanno sentire, e l'insieme è ragionevolmente ben riuscito. Certamente una spanna sopra la versione yankee di Dylan Dog, che ho visto una settimana fa.
La battaglia che si sta accendendo in quel di Los Angeles fa capire a Constantine che l'equilibrio tra cieli e inferi si sta incrinando: i demoni vogliono fare irruzione nel mondo e lui si trova in prima linea per impedirlo. Il fatto che abbia un tumore incurabile ai polmoni non aiuta, ovviamente (troppe sigarette, ahimé). Poiché Constantine da ragazzo ha cercato di suicidarsi, è inoltre destinato all'inferno lui stesso (che fa l'esorcista per mestiere). L'angelo Gabriele lo informa che nessuna benemerenza cambierà questa realtà e Constantine sa che dopo morto dovrà vedersela con quelli che ha sempre combattuto. Ancora meno lo aiuterà scoprire, nelle sue indagini, che qualcuno da "sopra" vuole aiutare le forze dell'inferno a scatenarsi sulla terra, e non si sa ne chi è, né il motivo per cui lo farebbe.
La storia parte quando il nostro eroe riceve una richiesta di aiuto da parte di una poliziotta: deve cercare di capire il perché della morte di lei, apparentemente un suicidio. Constantine si troverà a dibattersi fra minacce mortali (per esempio demoni che vogliono fargli la pelle) possibili collaboratori che non collaborano e dilemmi teologici.
La trama risente di diverse banalità, e (ho letto) Constantine è troppo "buono" per il personaggio fumettistico che dovrebbe rappresentare, tuttavia il film non si basa soltanto su effetti speciali e scene d'azione, gli attori sono validi, lo humour nero del protagonista congiunto con il carisma di Reeves che lo interpreta si fanno sentire, e l'insieme è ragionevolmente ben riuscito. Certamente una spanna sopra la versione yankee di Dylan Dog, che ho visto una settimana fa.
venerdì 18 marzo 2011
Dylan Dog
L'adattamento americano di Dylan Dog (fumetto che abbiamo esportato in terra anglosassone, faccenda piuttosto rara) è arrivato e non potevo esimermi dall'andare a vederlo. Non sono mai stato un seguace di Dylan in senso stretto (i fumetti li ho letti saltuariamente) ma mi è sempre piaciuto, perciò ho voluto vedere come lo rovinavano (sul fatto che lo rovinassero non avevo dubbi).
L'attore Brandon Routh non assomiglia affatto a Dylan Dog; non c'è Groucho (problemi di diritti e copyright, pare) ma un altro persoanggio a far da spalla, un certo Marcus interpretato da Sam Huntington. Marcus è un personaggio venuto meglio del protagonista stesso, e intorno al fatto che ad un certo punto diventa uno zombi girano alcune delle gag meglio riuscite della storia. La committente che chiama il nostro eroe in azione è una certa Elizabeth (interpretata da un'attrice islandese), classica biondina che improvvisamente si mette a tirare mazzate. Gli attori comunque sono l'elemento migliore del film e si impegnano decentemente nel proprio ruolo.
Il regista Kevin Munroe si sforza, gettando qua e là riferimenti al fumetto italiano, di dare un contentino al pubblico che conosce l'eroe di carta nostrano (per quanto londinese), e c'è pure un vampiro di nome Sclavi, che per chi non lo sapesse è il creatore di Dylan Dog; esiste un certo humour e gusto per il paradossale nelle battute, ma se il titolo fosse stato diverso penso che molti potrebbero guardare questo film senza pensare neanche a Dylan Dog.
La sceneggiatura è decisamente pessima, per quanto ci sia un certo ritmo e una sorpresa verso il finale. Azione a tutti i costi. Da un indizio o una rivelazione si va in questo o quel luogo dove, immancabilmente, c'è una scena movimentata con botte a volontà. Roba da videogame. L'ambientazione, in una New Orleans di lupi mannari e non morti vari nascosti nel sottobosco della città, è estremamente abusata e ritrita: questo è particolarmente doloroso perché il fumetto originale, sia pur criticabile per una certa abitudine di saccheggiare i classici e i grandi successi altrui, e chiamare questi saccheggi "citazioni," ha costruito un mondo enormemente variegato, con antagonisti ricorrenti e situazioni tipiche proprie. C'era proprio bisogno di farne l'ennesimo film di vampiri?
In definitiva, il film "in assoluto" non è completamente da buttare via, se avete visto la serie di Underworld, per esempio, vi potete vedere anche questo che ha il vantaggio di un minimo di spirito in più: ma è estremamente leggero e non lascia il segno in alcun modo. Però... dov'è Dylan Dog con la sua malinconica ironia e il suo gusto per il surreale? Non c'è. Il film italiano Dellamorte Dellamore (ben povero di trama e di mezzi, eppure carino) azzeccava molto di più lo spirito del nostro eroe, sebbene non si trattasse nemmeno di lui: cento volte meglio di questo film d'azione statunitense. Se consideriamo lo scempio che è stato fatto del fumetto originale c'è davvero da gridare vendetta.
L'attore Brandon Routh non assomiglia affatto a Dylan Dog; non c'è Groucho (problemi di diritti e copyright, pare) ma un altro persoanggio a far da spalla, un certo Marcus interpretato da Sam Huntington. Marcus è un personaggio venuto meglio del protagonista stesso, e intorno al fatto che ad un certo punto diventa uno zombi girano alcune delle gag meglio riuscite della storia. La committente che chiama il nostro eroe in azione è una certa Elizabeth (interpretata da un'attrice islandese), classica biondina che improvvisamente si mette a tirare mazzate. Gli attori comunque sono l'elemento migliore del film e si impegnano decentemente nel proprio ruolo.
Il regista Kevin Munroe si sforza, gettando qua e là riferimenti al fumetto italiano, di dare un contentino al pubblico che conosce l'eroe di carta nostrano (per quanto londinese), e c'è pure un vampiro di nome Sclavi, che per chi non lo sapesse è il creatore di Dylan Dog; esiste un certo humour e gusto per il paradossale nelle battute, ma se il titolo fosse stato
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La sceneggiatura è decisamente pessima, per quanto ci sia un certo ritmo e una sorpresa verso il finale. Azione a tutti i costi. Da un indizio o una rivelazione si va in questo o quel luogo dove, immancabilmente, c'è una scena movimentata con botte a volontà. Roba da videogame. L'ambientazione, in una New Orleans di lupi mannari e non morti vari nascosti nel sottobosco della città, è estremamente abusata e ritrita: questo è particolarmente doloroso perché il fumetto originale, sia pur criticabile per una certa abitudine di saccheggiare i classici e i grandi successi altrui, e chiamare questi saccheggi "citazioni," ha costruito un mondo enormemente variegato, con antagonisti ricorrenti e situazioni tipiche proprie. C'era proprio bisogno di farne l'ennesimo film di vampiri?
In definitiva, il film "in assoluto" non è completamente da buttare via, se avete visto la serie di Underworld, per esempio, vi potete vedere anche questo che ha il vantaggio di un minimo di spirito in più: ma è estremamente leggero e non lascia il segno in alcun modo. Però... dov'è Dylan Dog con la sua malinconica ironia e il suo gusto per il surreale? Non c'è. Il film italiano Dellamorte Dellamore (ben povero di trama e di mezzi, eppure carino) azzeccava molto di più lo spirito del nostro eroe, sebbene non si trattasse nemmeno di lui: cento volte meglio di questo film d'azione statunitense. Se consideriamo lo scempio che è stato fatto del fumetto originale c'è davvero da gridare vendetta.
giovedì 17 marzo 2011
Let Me In: inutile?
Il remake dello svedese Let the Right One In, girato da Matt Reeves con la promessa di rispettare l'originale, è stato acclamato negli USA e apprezzato anche da Lindqvist, l'autore del libro cui la storia è ispirata; il film ha ben poche differenze (a cominciare dal titolo, Let Me In) rispetto all'originale: posso ben capire perché Tomas Alfredson, il regista svedese, sia piuttosto arrabbiato. Perfino le scene, frequentemente, sono le stesse e girate nello stesso modo; Alfredson, che aveva rifiutato di girare questo remake dicendo che avrebbe avuto senso solo se ci fosse stato qualcosa che non andava con la sua versione, che invece lui difendeva, ha tutte le ragioni per sentirsi preso in giro. Anche perché il film di Reeves pur non essendo un successo ha incassato parecchio di più, e chi lo vedesse negli Stati Uniti potrebbe non sapere nemmeno che è un remake.
Ho letto fra le varie critiche che Reeves avrebbe aggiunto delle sequenze e atmosfere di suo. In verità di diverso c'è una scena d'azione in auto, e poco altro.
(Attenzione: spoiler fino alla fine). Ovviamente la storia è stata spostata negli Stati Uniti e le atmosfere originali sono andate perdute, e questo non mi sembra un vantaggio, ma il pubblico americano probabilmente apprezza di più così: in fin dei conti (e questo riassume la mia opinione su tutto il film) il remake ha avuto senso solo per rispettare il suo imperialismo culturale, che è allo stesso tempo anche provincialismo. Il fatto che l'originale fosse ambientato negli anni '80 aveva certe ragioni "sociali" in quanto si faceva riferimento all'inurbamento malsano nei quartieri dormitorio, e si seguiva la storia di alcune persone al di fuori dei diretti protagonisti del film. Queste sottotrame sono state ridotte al minimo (anche se esiste qualche vicino di casa del ragazzino protagonista, ovviamente) pertanto mi sembra strano che anche Reeves, trapiantando tutto quanto in una realtà diversa, abbia voluto rispettare il periodo temporale. Ci si guadagna solo qualche generalmente brutta (secondo me) canzone anni '80 inserita nella colonna sonora, peraltro piuttosto gradevole. La canzone del trailer, molto bella, non c'è nel film, a meno che non fossi addormentato durante la scena in cui l'hanno usata.
Meglio gli attori: Kodi Smit-McPhee, che mi ricorda molto Kåre Hedebrant anche nelle espressioni, è il giovanissimo protagonista. La vampira è interpretata da Chloe Moretz e purtroppo quando "si trasforma" vengono usati degli effetti speciali sul suo viso. L'attrice è brava, secondo qualcuno più brava di Lina Leandersson che ricopriva il ruolo nell'originale svedese. La Leandersson non aveva avuto ruoli importanti prima di comparire in Let the Right One In, e credo fosse all'epoca anche più giovane, mentre l'americana è già una veterana del cinema, perciò il confronto mi sembra sbilanciato; comunque nella specifica parte e nell'atmosfera della pellicola svedese la Leandersson per me esce ancora con la performance più impressionante.
Il fatto che Eli (la vampira, che diventa Abby in Let Me In) sia in effetti un ragazzino castrato nel film svedese e una ragazza nel film americano è secondo me la vera differenza notevole dopo il fatto, ovviamente, che l'ambientazione è diversa.
Io immagino che questo sia dovuto semplicemente al fatto che il pubblico USA avrebbe reagito male. Ma crea una differenza, voluta o no. Mentre in Let the Right One In si forma una bizzarra amicizia tra due esseri solitari, il remake dà più l'idea di un amore diabolico e disperato, e allo stesso tempo stranamente innocente. Amore tra due persone che, per motivi diversi, sentono il mondo esterno come qualcosa di ostile da cui occorre difendersi e che, nel caso di lei, deve essere predato ferocemente per sopravvivere.
Anche la vecchia foto che Owen (il ragazzino) trova fa capire che l'accompagnatore adulto arrivato nel quartiere assieme ad Abby/Eli poteva sembrare una volta un suo coetaneo (la fine orrenda di questo personaggio è all'inizio nel remake, e la storia riprende da lì in flasback). Insomma Owen prende il posto di un protettore e amante di lei, che è rimasta giovane mentre il compagno invecchiava: nel film svedese quel personaggio sembrava qualcosa di più simile a un pedofilo (e nel libro questo è esplicito). Il risultato è più intimo e viscerale che nel film originale, ma non un'enorme differenza.
Detto tutto questo, quando leggo che questo film sta sulle proprie gambe o addirittura regge il confronto con l'originale, la mia opinione è: non mi pare. E la promessa del regista, di fare un altro film partendo dal libro e non dal film svedese, fondamentalmente non mi sembra rispettata: le differenze più visibili sono dovute al cambiamento di ambientazione. Senza volergliene al regista, questo è un remake ed essenzialmente è inutile. Arriverà in Italia? Sembra di sì, ho letto in rete che il titolo potrebbe essere: Amami, sono un vampiro. Gesù! Speriamo di no.
Ho letto fra le varie critiche che Reeves avrebbe aggiunto delle sequenze e atmosfere di suo. In verità di diverso c'è una scena d'azione in auto, e poco altro.
(Attenzione: spoiler fino alla fine). Ovviamente la storia è stata spostata negli Stati Uniti e le atmosfere originali sono andate perdute, e questo non mi sembra un vantaggio, ma il pubblico americano probabilmente apprezza di più così: in fin dei conti (e questo riassume la mia opinione su tutto il film) il remake ha avuto senso solo per rispettare il suo imperialismo culturale, che è allo stesso tempo anche provincialismo. Il fatto che l'originale fosse ambientato negli anni '80 aveva certe ragioni "sociali" in quanto si faceva riferimento all'inurbamento malsano nei quartieri dormitorio, e si seguiva la storia di alcune persone al di fuori dei diretti protagonisti del film. Queste sottotrame sono state ridotte al minimo (anche se esiste qualche vicino di casa del ragazzino protagonista, ovviamente) pertanto mi sembra strano che anche Reeves, trapiantando tutto quanto in una realtà diversa, abbia voluto rispettare il periodo temporale. Ci si guadagna solo qualche generalmente brutta (secondo me) canzone anni '80 inserita nella colonna sonora, peraltro piuttosto gradevole. La canzone del trailer, molto bella, non c'è nel film, a meno che non fossi addormentato durante la scena in cui l'hanno usata.
Meglio gli attori: Kodi Smit-McPhee, che mi ricorda molto Kåre Hedebrant anche nelle espressioni, è il giovanissimo protagonista. La vampira è interpretata da Chloe Moretz e purtroppo quando "si trasforma" vengono usati degli effetti speciali sul suo viso. L'attrice è brava, secondo qualcuno più brava di Lina Leandersson che ricopriva il ruolo nell'originale svedese. La Leandersson non aveva avuto ruoli importanti prima di comparire in Let the Right One In, e credo fosse all'epoca anche più giovane, mentre l'americana è già una veterana del cinema, perciò il confronto mi sembra sbilanciato; comunque nella specifica parte e nell'atmosfera della pellicola svedese la Leandersson per me esce ancora con la performance più impressionante.
Il fatto che Eli (la vampira, che diventa Abby in Let Me In) sia in effetti un ragazzino castrato nel film svedese e una ragazza nel film americano è secondo me la vera differenza notevole dopo il fatto, ovviamente, che l'ambientazione è diversa.
Io immagino che questo sia dovuto semplicemente al fatto che il pubblico USA avrebbe reagito male. Ma crea una differenza, voluta o no. Mentre in Let the Right One In si forma una bizzarra amicizia tra due esseri solitari, il remake dà più l'idea di un amore diabolico e disperato, e allo stesso tempo stranamente innocente. Amore tra due persone che, per motivi diversi, sentono il mondo esterno come qualcosa di ostile da cui occorre difendersi e che, nel caso di lei, deve essere predato ferocemente per sopravvivere.
Anche la vecchia foto che Owen (il ragazzino) trova fa capire che l'accompagnatore adulto arrivato nel quartiere assieme ad Abby/Eli poteva sembrare una volta un suo coetaneo (la fine orrenda di questo personaggio è all'inizio nel remake, e la storia riprende da lì in flasback). Insomma Owen prende il posto di un protettore e amante di lei, che è rimasta giovane mentre il compagno invecchiava: nel film svedese quel personaggio sembrava qualcosa di più simile a un pedofilo (e nel libro questo è esplicito). Il risultato è più intimo e viscerale che nel film originale, ma non un'enorme differenza.
Detto tutto questo, quando leggo che questo film sta sulle proprie gambe o addirittura regge il confronto con l'originale, la mia opinione è: non mi pare. E la promessa del regista, di fare un altro film partendo dal libro e non dal film svedese, fondamentalmente non mi sembra rispettata: le differenze più visibili sono dovute al cambiamento di ambientazione. Senza volergliene al regista, questo è un remake ed essenzialmente è inutile. Arriverà in Italia? Sembra di sì, ho letto in rete che il titolo potrebbe essere: Amami, sono un vampiro. Gesù! Speriamo di no.
mercoledì 16 marzo 2011
sabato 12 marzo 2011
Antracite
Antracite di Valerio Evangelisti (uscito nella collana Urania Mondadori qualche annetto fa) dovrebbe rientrare nel filone fantastico perché il protagonista (che non è alla prima comparsa nelle opere di Evangelisti) sarebbe una specie di stregone-pistolero messicano, dotato quindi di poteri sovrannaturali.
Si tratta di un mulatto dall'espressione dura, un po' come certi personaggi da western spaghetti: si presenta con il classico stile amorale da figlio di un cane (in effetti fa il killer) ma poi invece si rivelerà pronto a battersi generosamente per una giusta causa, come vedrà chi andrà a leggersi questo libro.
Protagonista che si tira ditero una specie di feticcio-amuleto (Nganga) dentro una borsa, peccato che pur mandando ogni tanto sensazioni e vibrazioni al nostro pistolero finto-spregiudicato a ben vedere con la storia non c'entra un accidente e fa solo folklore o poco più.
Il libro ha come ambientazione una regione mineraria dove infuria la lotta fra sfruttatori e sfruttati (e anche fra gli sfruttati stessi); si inserisce nella storia delle lotte sindacali (con tanto di scioperi, mezze ribellioni, repressioni spietate) che hanno percorso l'industrializzazione degli Stati Uniti. Quel periodo in cui l'industria e la ferrovia hanno sottomesso l'anima rurale e contadina, già del resto sconfitta con le armi della guerra civile nel 1861-65.
Pantera, il nostro pistolero stile Clint Eastwood, viene assoldato da una associazione segreta (mica tanto) irlandese, i Molly Maguires, per eliminare degli infiltrati che fanno il gioco delle forze dell'ordine, ovvero l'Agenzia Pinkerton con vari alleati. Questi irlandesi ribelli e caciaroni in realtà non gli sono simpaticissimi, perché sebbene sfruttati nelle miniere, fanno solo i propri interessi in maniera neanche tanto simpatica, visto che ammazzano un sacco di gente anche per vendette personali. Del resto il quadro si fa estremamente confuso perché Pantera viene coinvolto dalle forze al servizio degli industriali in un doppio gioco assai contorto (e un po' grottesco, non proprio credibilissimo).
Evangelisti ne approfitta per tenere qualche dissertazione storica e politica, con intromissioni nei dialoghi piuttosto pesanti, a volte senza riguardo per la credibilità di tali discorsi rispetto al livello culturale e alla personalità di chi starebbe parlando; quando finalmente il quadro è abbastanza chiaro questo aspetto diventa un po' meno pesante, ma l'azione è decisamente lenta e talvolta monotona, nonostante il sangue scorra generoso. Tormentoni frequenti: la borsa contenente l'idolo-feticcio, che Pantera si tira dietro più o meno di continuo, e gli incontri intimi con varie donne e prostitute, a volte descritti senza risparmio nei particolari squallidi o degradanti.
Il protagonista non mi ha convinto, non tanto per la sua moralità discutibile, che non mi ha infastidito, ma perché è un po' troppo tosto, duro, cool, disprezza tutto e tutti, gli fa schifo dare la mano alla gente, quando si arrabbia fa pisciare sotto tutti dalla paura. Si concede degli scoppi di aggressività e smargiassate tali che, essendo mulatto nel mondo dell'uomo bianco, dovrebbero concludersi con una rapida impiccagione al primo albero, o con la morte di tutti i bianchi dei dintorni nel tentativo (visto che lui è Pantera!). Una Mary Sue di discreto livello, insomma.
La bella descrizione del quadro storico e le capacità narrative dell'autore salvano un libro che sarebbe ampiamente sotto la sufficienza, ma devo dire che l'inquisitore Eymerich, pur essendo un tipo poco simpatico anche lui, mi era piaciuto molto di più.
Una intervista in cui Evangelisti parla del libro la trovate qui.
Un film con un cast di tutto rispetto sulla storia dei Molly Maguires.
Si tratta di un mulatto dall'espressione dura, un po' come certi personaggi da western spaghetti: si presenta con il classico stile amorale da figlio di un cane (in effetti fa il killer) ma poi invece si rivelerà pronto a battersi generosamente per una giusta causa, come vedrà chi andrà a leggersi questo libro.
Protagonista che si tira ditero una specie di feticcio-amuleto (Nganga) dentro una borsa, peccato che pur mandando ogni tanto sensazioni e vibrazioni al nostro pistolero finto-spregiudicato a ben vedere con la storia non c'entra un accidente e fa solo folklore o poco più.
Il libro ha come ambientazione una regione mineraria dove infuria la lotta fra sfruttatori e sfruttati (e anche fra gli sfruttati stessi); si inserisce nella storia delle lotte sindacali (con tanto di scioperi, mezze ribellioni, repressioni spietate) che hanno percorso l'industrializzazione degli Stati Uniti. Quel periodo in cui l'industria e la ferrovia hanno sottomesso l'anima rurale e contadina, già del resto sconfitta con le armi della guerra civile nel 1861-65.
Pantera, il nostro pistolero stile Clint Eastwood, viene assoldato da una associazione segreta (mica tanto) irlandese, i Molly Maguires, per eliminare degli infiltrati che fanno il gioco delle forze dell'ordine, ovvero l'Agenzia Pinkerton con vari alleati. Questi irlandesi ribelli e caciaroni in realtà non gli sono simpaticissimi, perché sebbene sfruttati nelle miniere, fanno solo i propri interessi in maniera neanche tanto simpatica, visto che ammazzano un sacco di gente anche per vendette personali. Del resto il quadro si fa estremamente confuso perché Pantera viene coinvolto dalle forze al servizio degli industriali in un doppio gioco assai contorto (e un po' grottesco, non proprio credibilissimo).
Evangelisti ne approfitta per tenere qualche dissertazione storica e politica, con intromissioni nei dialoghi piuttosto pesanti, a volte senza riguardo per la credibilità di tali discorsi rispetto al livello culturale e alla personalità di chi starebbe parlando; quando finalmente il quadro è abbastanza chiaro questo aspetto diventa un po' meno pesante, ma l'azione è decisamente lenta e talvolta monotona, nonostante il sangue scorra generoso. Tormentoni frequenti: la borsa contenente l'idolo-feticcio, che Pantera si tira dietro più o meno di continuo, e gli incontri intimi con varie donne e prostitute, a volte descritti senza risparmio nei particolari squallidi o degradanti.
Il protagonista non mi ha convinto, non tanto per la sua moralità discutibile, che non mi ha infastidito, ma perché è un po' troppo tosto, duro, cool, disprezza tutto e tutti, gli fa schifo dare la mano alla gente, quando si arrabbia fa pisciare sotto tutti dalla paura. Si concede degli scoppi di aggressività e smargiassate tali che, essendo mulatto nel mondo dell'uomo bianco, dovrebbero concludersi con una rapida impiccagione al primo albero, o con la morte di tutti i bianchi dei dintorni nel tentativo (visto che lui è Pantera!). Una Mary Sue di discreto livello, insomma.
La bella descrizione del quadro storico e le capacità narrative dell'autore salvano un libro che sarebbe ampiamente sotto la sufficienza, ma devo dire che l'inquisitore Eymerich, pur essendo un tipo poco simpatico anche lui, mi era piaciuto molto di più.
Una intervista in cui Evangelisti parla del libro la trovate qui.
Un film con un cast di tutto rispetto sulla storia dei Molly Maguires.
venerdì 11 marzo 2011
La rivoluzione digitale segna il passo
In Italia gli ebook stanno un po' zoppicando, mi par di capire che questo è uno dei messaggi che si ricavano dall'incontro di Rimini (EbookLab Italia).
A parte il prezzo dei lettori (che secondo me è un ostacolo relativo, prima o poi la gente si decide...) sono segnati giustamente come problematici i tratti che l'editoria ha voluto dare a questo mercato: DRM e prezzo.
Alle case editrici italiane, salvo alcune eccezioni, piace prendersi più o meno tutto il ricco dividendo che si origina dall'esclusione della tradizionale catena di distribuzione: al lettore si concede poco o niente, la differenza di prezzo col libro di carta spesso è minima. Insomma, non capisco se gli editori nostrani siano disposti al cambiamento purché ci sia triplo guardagno per loro, o se stiano facendo addirittura resistenza passiva.
Anche quel poco vantaggio nei prezzi si rischia di perderlo con i pericoli cui si è soggetti se si acquista un libro digitale soggetto a DRM (il libro lo paghi, ma lo puoi leggere solo fino a che ti è graziosamente concesso dal venditore, e puoi giurarci che sarà una semplice questione di tempo: prima o poi avrai un file illeggibile da buttare via).
Il mio lettore di ebook nel frattempo comincia a prendere un po' di polvere, perché a queste condizioni ho deciso di non starci, almeno per adesso.
Segnalo questo articolo del Sole24Ore in merito.
A parte il prezzo dei lettori (che secondo me è un ostacolo relativo, prima o poi la gente si decide...) sono segnati giustamente come problematici i tratti che l'editoria ha voluto dare a questo mercato: DRM e prezzo.
Alle case editrici italiane, salvo alcune eccezioni, piace prendersi più o meno tutto il ricco dividendo che si origina dall'esclusione della tradizionale catena di distribuzione: al lettore si concede poco o niente, la differenza di prezzo col libro di carta spesso è minima. Insomma, non capisco se gli editori nostrani siano disposti al cambiamento purché ci sia triplo guardagno per loro, o se stiano facendo addirittura resistenza passiva.
Anche quel poco vantaggio nei prezzi si rischia di perderlo con i pericoli cui si è soggetti se si acquista un libro digitale soggetto a DRM (il libro lo paghi, ma lo puoi leggere solo fino a che ti è graziosamente concesso dal venditore, e puoi giurarci che sarà una semplice questione di tempo: prima o poi avrai un file illeggibile da buttare via).
Il mio lettore di ebook nel frattempo comincia a prendere un po' di polvere, perché a queste condizioni ho deciso di non starci, almeno per adesso.
Segnalo questo articolo del Sole24Ore in merito.
martedì 8 marzo 2011
Tante belle sostanze
Segnalo un'interessante pagina (purtroppo un link per anglofoni) dove sono segnalate le meravigliose (non sempre) possibilità che si apriranno nel prossimo futuro grazie a nuove sostanze farmaceutiche e droghe capaci di manipolare il pensiero e l'umore.
Ce n'è per tutti i gusti: la Rapamicina, medicina che rallenta l'invecchiamento e blocca i sintomi dell'Alzheimer, una droga che ispira una "enorme fiducia" alla persona a cui è somministrata, senza effetti collaterali (credo che sarebbe la date rape drug ideale, e preferisco non tradurre l'espressione), un'altra sostanza che migliora la memoria e "cancella lo stress della solitudine", la medicina che cancellerebbe la paura...
Non dico che la fantascienza non abbia esplorato le enormi possibilità di manipolare l'essere umano e il suo pensiero, anzi, è proprio il contrario, ma forse non ha puntato abbastanza in questa direzione, distratta da cose come l'esplorazione del cosmo o le meraviglie della rete. Quello che temo è che, nei tempi bui a venire, ci si possa servire su larga scala di qualche sostanza per tenere buono e incapace di reagire uno sterminato, poverissimo, popolo bue. A livelli che la manipolazione dei media non si sognerebbe neanche.
Buona lettura.
Ce n'è per tutti i gusti: la Rapamicina, medicina che rallenta l'invecchiamento e blocca i sintomi dell'Alzheimer, una droga che ispira una "enorme fiducia" alla persona a cui è somministrata, senza effetti collaterali (credo che sarebbe la date rape drug ideale, e preferisco non tradurre l'espressione), un'altra sostanza che migliora la memoria e "cancella lo stress della solitudine", la medicina che cancellerebbe la paura...
Non dico che la fantascienza non abbia esplorato le enormi possibilità di manipolare l'essere umano e il suo pensiero, anzi, è proprio il contrario, ma forse non ha puntato abbastanza in questa direzione, distratta da cose come l'esplorazione del cosmo o le meraviglie della rete. Quello che temo è che, nei tempi bui a venire, ci si possa servire su larga scala di qualche sostanza per tenere buono e incapace di reagire uno sterminato, poverissimo, popolo bue. A livelli che la manipolazione dei media non si sognerebbe neanche.
Buona lettura.
sabato 5 marzo 2011
Storia dei Maghi
Alan Baker, autore che si è occupato in passato di fantasmi, UFO e altre piacevolezze, ripercorre la storia della magia con un viaggio attraverso un gruppo (ben lontano dall'essere completo) di figure importanti del passato, tra maghi, alchimisti e ciarlatani.
Questa Storia dei Maghi è un libro abbastanza agile (poco più di 200 pagine) edito da Mondadori alcuni anni fa. Assieme alla recente lettura riguardante le streghe di cui ho parlato in un precedente post, questa lettura fa parte dell'approfondimento che ho voluto fare sul magico così come è stato concepito (e vien concepito tuttora) in quelle culture che vi ripongono fiducia. Culture antiche e culture selvagge al giorno d'oggi marginali, ma se vogliamo anche "sottoculture" del mondo moderno e industrializzato, visto che in realtà la magia non è mai andata di moda come nel mondo di oggi.
Le figure trattate: Alce Nero lo sciamano, l'antico mago Paracelso, il Conte Cagliostro (che poi non era un nobile), l'occultista elisabettiano John Dee, Aleister Crowley e svariati altri. Non manca una disamina delle credenze misteriche diffuse nelle gerarchie del Terzo Reich, né una curiosa (e sconcertante) esplorazione della mitologia inventata da Lovecraft, autore che costruì i suoi misteri con tale potenza da trovare diversi personaggi che non hanno voluto credere al fatto che fosse semplice finzione letteraria, come affermato da lui stesso.
Le mie considerazioni riguardo alla magia spiegata in questi libri: gli accenni ai grimori e agli incantesimi sono sufficienti a far passare la curiosità. I rituali sono incredibilmente complessi, o richiedono componenti introvabili e materiali immondi, o sono pensati per spingere il praticante in uno stato di coscienza alterata. Insomma, nulla di verificabile facilmente, e la cosa non mi stupisce affatto. E' più appassionante leggere i sistemi magici di un gioco di ruolo, in fondo. In questo campo la fantasia dei media (libri, TV, film e anche videogiochi) ha negli ultimi anni prodotto risultati forse più interessanti che in tutte le epoche passate. Senza illudersi che funzionino, ovviamente.
Il libro è scritto in maniera astuta: con il giusto scetticismo che si aspetta il lettore curioso ma modernamente scettico, salvo lasciare qualche accenno vago e misterioso qua e là, su cose che potrebbero veramente esserci, veramente funzionare.
Personalmente consiglio questa Storia dei Maghi solo a chi voglia una non impegnativa disamina del fenomeno senza spenderci troppo impegno e troppi soldi.
Questa Storia dei Maghi è un libro abbastanza agile (poco più di 200 pagine) edito da Mondadori alcuni anni fa. Assieme alla recente lettura riguardante le streghe di cui ho parlato in un precedente post, questa lettura fa parte dell'approfondimento che ho voluto fare sul magico così come è stato concepito (e vien concepito tuttora) in quelle culture che vi ripongono fiducia. Culture antiche e culture selvagge al giorno d'oggi marginali, ma se vogliamo anche "sottoculture" del mondo moderno e industrializzato, visto che in realtà la magia non è mai andata di moda come nel mondo di oggi.
Le figure trattate: Alce Nero lo sciamano, l'antico mago Paracelso, il Conte Cagliostro (che poi non era un nobile), l'occultista elisabettiano John Dee, Aleister Crowley e svariati altri. Non manca una disamina delle credenze misteriche diffuse nelle gerarchie del Terzo Reich, né una curiosa (e sconcertante) esplorazione della mitologia inventata da Lovecraft, autore che costruì i suoi misteri con tale potenza da trovare diversi personaggi che non hanno voluto credere al fatto che fosse semplice finzione letteraria, come affermato da lui stesso.
Le mie considerazioni riguardo alla magia spiegata in questi libri: gli accenni ai grimori e agli incantesimi sono sufficienti a far passare la curiosità. I rituali sono incredibilmente complessi, o richiedono componenti introvabili e materiali immondi, o sono pensati per spingere il praticante in uno stato di coscienza alterata. Insomma, nulla di verificabile facilmente, e la cosa non mi stupisce affatto. E' più appassionante leggere i sistemi magici di un gioco di ruolo, in fondo. In questo campo la fantasia dei media (libri, TV, film e anche videogiochi) ha negli ultimi anni prodotto risultati forse più interessanti che in tutte le epoche passate. Senza illudersi che funzionino, ovviamente.
Il libro è scritto in maniera astuta: con il giusto scetticismo che si aspetta il lettore curioso ma modernamente scettico, salvo lasciare qualche accenno vago e misterioso qua e là, su cose che potrebbero veramente esserci, veramente funzionare.
Personalmente consiglio questa Storia dei Maghi solo a chi voglia una non impegnativa disamina del fenomeno senza spenderci troppo impegno e troppi soldi.
venerdì 4 marzo 2011
La terribile sorte di Blade Runner
Proprio così, anche il capolavoro di Ridley Scott finirà nel tritacarne della macchina dei sequel.
O meglio: sequel, prequel e, pare, anche una serie televisiva. I nuovi produttori, che sono collegati alla Warner, non hanno però il diritto di fare il remake dell'originale. Probabilmente non lo volevano neanche. Perché, sebbene a parole convinti di poter rendere giustizia a Blade Runner con la trasformazione in una franchise, dubito che se la sentano veramente di fare i conti e i confronti con un film del genere. Meglio raccontare delle storie collaterali.
Sono sempre pronto a ricredermi se a sorpresa dovessero saltare fuori dei capolavori, ma non mi aspetto niente di buono.
O meglio: sequel, prequel e, pare, anche una serie televisiva. I nuovi produttori, che sono collegati alla Warner, non hanno però il diritto di fare il remake dell'originale. Probabilmente non lo volevano neanche. Perché, sebbene a parole convinti di poter rendere giustizia a Blade Runner con la trasformazione in una franchise, dubito che se la sentano veramente di fare i conti e i confronti con un film del genere. Meglio raccontare delle storie collaterali.
Sono sempre pronto a ricredermi se a sorpresa dovessero saltare fuori dei capolavori, ma non mi aspetto niente di buono.
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