domenica 30 dicembre 2007

Tiriamo un po' di somme, e facciamo auguri di buon anno



Non ho un sistema affidabile per sapere quanti seguono questo blog. Provai il desiderio di aprirlo e l'ho fatto senza pensarci molto su, nonostante un mio amico mi ripetesse che i blog sono cose da sfigati (probabilmente ha ragione).
Per avere un'idea della mia popolarità (?) mi sono iscritto ad Adsense e infatti vedete i banner pubblicitari di Google qui in giro. No, sto mentendo, la verità è che credevo di diventare miliardario con internet ospitando la pubblicità.
Mi dicono che i miei passaggi e quelli dei motori di ricerca non vengono conteggiati, quindi i dati dovrebbero essere genuini. Sarà vero? Sia come sia, da maggio ad adesso Adsense mi conteggia 1987 hit ricevuti e ben 9 cliccate sui banner pubblicitari. Due me le sono fatte da solo, lo confesso, usando un altro computer... Di questo passo, potrò reclamare il mio pagamento di 50 dollari (svalutatissimi?) verso il 2015. E chi l'ha detto che la gente è lobotomizzata dalla pubblicità? Gli utenti di questo blog riescono a schivarla molto bene.
Auguro a tutti un buon 2008!

sabato 29 dicembre 2007

Riflessioni da ufficio

M'è capitato di incuriosirmi sulle preferenze letterarie dei miei colleghi. Dove lavoro c'è parecchia gioventù (mi accorgo con tristezza di essere uno dei più vecchi...) e tutti, tranne qualche bruto analfabeta, li ho visti prima o poi con un libro in mano.
Chiedendo le preferenze ho constatato che vanno per la maggiore: la narrativa di tipo classico, qualche giallo, romanzi storici e pseudostorici, romanzi rosa camuffati giusto quel poco che basta per sembrar qualcosa di diverso, un po' di bestsellers che non mancano mai e una spruzzatina di saggistica (ma uno dei miei colleghi ha anche vinto un premio letterario con le sue poesie, ed è andato a ritirarselo al salone del libro a Torino...). E la fantascienza? un coro di no. Il fantasy? per lo più non sanno cos'è. Ma sì, dico, quelle cose tipo il Signore degli Anelli, avete visto il film?
"A me non piacciono," replica secca una ragazza. "Sono cose che non esistono." Accanto a lei un altro collega, molto giovane, rincara la dose: "Non piacciono nemmeno a me. Mia madre quando ne ha visto un pezzo ha commentato: ma cosa sono queste stupidaggini?" E ride. Risultato della mia indagine: fantascienza pochissimo, fantasy zero. E sono per lo più giovani. Meno male che il genere sta vivendo un momento di gloria!
Certo, questo non ha valore di statistica. Ma che tristezza...

sabato 22 dicembre 2007

Ecco il Premio Immaginario 2007 !

Eccoci all'assegnazione del Premio Immaginario 2007. Come già premesso, tale Premio (parola grossa che uso per scherzo) nasce semplicemente da una valutazione personale, ascoltando anche il giudizio di qualche amico, sui libri fantasy degli esordienti italiani che ho letto quest'anno: non vuol esser nulla di più. Essendo Immaginario, il Premio non ha una componente materiale, però resta l'indubbio vantaggio per il vincitore di poter immaginare il premio che preferisce...



Essendo Immaginario, il Premio potrebbe essere anche questo!


I libri nostrani che ho letto o tentato di leggere nel 2007 sono i seguenti:
- Le Metamorfosi di Ghinta di Fabrizio Casa edito nel 2001 (Fanucci): poiché non mi pare che l'autore abbia nel frattempo pubblicato altri libri (almeno nel ramo del fantasy), può rientrare tranquillamente negli esordienti anche se sono passati alcuni annetti.
- L'Occhio del Demonio di Marco Modugno, edito da Lulu.com: libro completamente autoprodotto con l'aiuto della nota stamperia online. Purtroppo, il libro non mi è mai arrivato nonostante sia stato spedito ben due volte (non ho questa gran simpatia per Lulu.com ma è anche giusto dire, per inciso, che ho pagato una volta sola, la seconda spedizione è stata omaggio della ditta).
- Nihal della Terra del Vento, di Licia Troisi (Mondadori). Non ha certo pubblicato poco, ma è sulla breccia da pochi anni: come "esordiente" potrebbe anche starci. Tuttavia il suo genere, fantasy per ragazzi, non è quello che m'interessa qui, dove parlo di fantasy tout court (o per adulti, se vogliamo).
- Chariza. Il soffio del vento, di Francesca Angelinelli (per la Runde Taarn).
- Il Segreto di Krune di Michele Giannone, Dario Flaccovio editore.
- L'Abbraccio delle Ombre di Ester Manzini non mi è arrivato in tempo e parteciperà al Premio Immaginario 2008, se ci sarà.

Scartati, o rimandati per i motivi che ho espresso sopra, alcuni libri, rimangono soltanto tre contendenti. Le Metamorfosi di Ghinta, che pure mi ha per certi aspetti incuriosito parecchio, è il primo che escludo per alcuni aspetti di pesantezza e poca chiarezza che lo rendono quasi illeggibile nella parte iniziale. Il segreto di Krune nella mia recensione l'ho molto ammirato per la scorrevolezza, dando un giudizio entusiasta sullo stile al di là, temo, della mia capacità di esprimere valutazioni in materia. Ha purtroppo qualche bel problemone di logica (è un mio parere, ho avuto modo di confrontarmi e so che questo non è condiviso da tutti, ma non sono disposto a cambiare idea), e scade nella seconda parte con una bella guerra che non serve a far procedere la trama, che si scioglie alla fine in poche pagine. Chariza di manchevolezze ne ha parecchie, da una protagonista che vien voglia di prendere a schiaffi a un'edizione raffazzonata con diversi errori grammaticali, debolezze di trama e chi più ne ha più ne metta: insomma, è un libro che ha ricevuto una revisione in meno di quanto avrebbe dovuto. Però è una storia che scorre bene, in un'ambientazione ben caratterizzata, con qualche personaggio ben riuscito. Perciò, a parte la fretta con cui è stato pubblicato, mi sento di dire che ha le potenzialità per essere un discreto libro: purtroppo le "ragioni editoriali" fannno sì che in realtà sia la metà del libro, bisogna aspettare la seconda parte per sapere come andrà a finire la storia.



Quindi la vincitrice del Premio Immaginario 2007 è Francesca Angelinelli. Congratulazioni e un augurio per future, più consistenti, vittorie!

Il catalogo romanzi della Runde Taarn.

sabato 15 dicembre 2007

Cosa giochiamo a Natale?



Di giochi da tavolo ne conosco tanti e devo dire che ultimamente hanno avuto un'evoluzione molto positiva. Si cerca di creare giochi con una buona grafica e dei bei componenti, regole abbastanza semplici ma non banali (che permettano di sviluppare delle strategie senza complicazioni superflue) e una durata del gioco abbastanza breve da riuscire a finire la partita entro la serata. Può sembrare strano ma queste semplici caratteristiche una volta non erano prevalenti.
Uno dei miei preferiti è Cuba della Rio Grande Games: ambientato nella società dell'isola pre-rivoluzione, vede i giocatori competere per la ricchezza gestendo ciascuno una grande tenuta che fornisce risorse tipiche del luogo.
Ci si arricchisce con la produzione di beni di immediato consumo (frutta) oppure suscettibili di ulteriore lavorazione: dallo zucchero di ottiene il rum, dal tabacco i sigari. Ovviamente per arrivare a questi prodotti finiti occorre investire, e costruire le strutture che li lavorano. Altre imprese, come la Banca, premiano il giocatore dandogli semplicemente denaro, ma tutte richiedono spazio, occupando terra che altrimenti sarebbe produttiva. I beni possono essere comprati e venduti al mercato (e questo fa oscillare i prezzi) o esportati, il che a volte è assai conveniente, caricandoli su una nave nel porto.
La politica ha il suo ruolo perché si devono votare delle leggi che possono privilegiare l'uno o l'altro giocatore. In definitiva, un gioco colorato e divertente ma non banale, dove si vince amministrandosi con sagacia e intervenendo sul mercato e in politica con astuzia.



Age of Empires III (della Tropical Games) ha un nome che sa un po' di gioco per computer, ma è un bel gioco da tavolo che potrebbe diventare un grosso successo (se non lo è già!). Il gioco narra della colonizzazione delle Americhe (e quando lo spazio sarà finito nelle Americhe, si passa a fare gli imperialisti altrove). La colonizzazione è un affare rischioso (meglio portare degli specialisti, i soldati), ma quando un territorio è aperto, può essere popolato dai vostri coloni. Il più influente ne guadagnerà beni di consumo e potere politico (i famosi, agognati, punti vittoria). Ma si può anche specializzare i propri emigranti trasformandoli in mercanti, capitani (coraggiosi), missionari.
Fulcro del gioco, sgomitare con gli altri giocatori per la terra e i beni che si possono guadagnare, ma anche aprire nuove colonie sconfiggendo gli indigeni e vincendo un ricco bottino di guerra. Costruendo varie strutture si avranno vari privilegi (un maggior numero di coloni e di soldati, maggiore manovrabilità sulla mappa, ecc...).
Anche qui, le regole non sono complesse, una volta capita la struttura del turno. C'è tuttavia molto da fare con le poche forze a disposizione, e ogni opportunità che non sfrutti tu, andrà ad arricchire un altro giocatore, rendendo perciò la scelta strategica delle priorità complessa e controversa. Contrariamente a Cuba dove praticamente la casualità è quasi nulla, mi pare che la sorte, buona o cattiva, abbia un maggior peso in questo gioco.
Entrambi i giochi sono disponibili in Italia (magari cercando un attimino...) però io li ho giocati in inglese e non so a che punto siamo con le traduzioni.
Buon divertimento.

lunedì 10 dicembre 2007

Studiare l'Arte...

Si sente dire di tutto, in giro per la rete. Riguardo alle regole della "scrittura creativa," c'è chi le usa come una clava per demolire e criticare, come se fossero delle leggi ferree a cui obbedire alla lettera, e addirittura chi le snobba dicendo che non servono. Oggi essere "creativo" è un mestiere (anche quando lo è sul serio) che mi sembra fra i più irreggimentati che esistano, e questo mi dà da pensare. Tuttavia, le "regole" della scrittura ho deciso di conoscerle anch'io.
Intendiamoci: il sottoscritto non è certamente un'autorità in materia.
Ho letto qualche libro, ho seguito un corso di scrittura creativa (uno dei corsi "per il tempo libero" del Comune di Milano, in un'epoca in cui evidentemente di tempo libero ne avevo ancora a sufficienza). Personalmente le ho trovate esperienze utili, se non altro per avere delle basi: e chi di basi non ne ha dovrebbe preoccuparsene.
Tuttavia viene anche fatto notare, giustamente, che la maggior parte dei grandi romanzi non rispetta le regole che vengono imposte al neofita. Chiaro: i dettami della "scrittura creativa" si rifanno, spesso e volentieri, allo stile di quei best seller che si vendono a tonnellate, non alla letteratura vera e propria (moderna o antica che sia).
Un corso di scrittura creativa non garantisce comunque di vendere tonnellate di libri: aiuta a crearsi uno stile simile a ciò che va per la maggiore. Può essere una cosa buona o no, che ciascuno giudichi. Tuttavia così si impara senz'altro ad evitare un sacco di errori.

La mia opinione personale: meglio istruirsi, studiare le tecniche e far finta di crederci. Poi la pratica, la revisione, le critiche aiuteranno a capire un po' meglio fino a che punto si vuol scrivere seguendo le regole, e dove si vuole rispettare la propria personalità.
Per quanto riguarda il fantasy, guardando i racconti dei dilettanti come me, vedo frequentemente una ipertrofia di descrizioni che giustificherebbe una maggiore attenzione a quello che le bistrattate regolette prevedono. E un attaccamento ai cliché del genere sinceramente stancante, ma immagino che la quantità di giovani che si avvicina a questo genere non abbia letto abbastanza per essersene stufata.

D'altra parte, oltre il 99% dei tentativi di scrivere è destinato a rimanere senza esito.

sabato 1 dicembre 2007

Alla ricerca delle eroine fantastiche

Questo articolo è il mio primo scritto comparso su Fantasy Magazine. L'esigenza di scriverlo mi è venuta, in buona parte, dall'insoddisfazione che provo (e non sono l'unico) verso i personaggi delle "donne forti" nel fantastico contemporaneo (qui parliamo di fantasy ma il discorso si applica anche alla fantascienza).
Non che io sia uno dei più gran paladini del femminismo, non condivido però l'idea per cui la donna dovrebbe stare semplicemente dietro ai fornelli, quindi desideravo anche capire quanto il mio scetticismo venga da un sottofondo di maschilismo e quanto dal puro e semplice irrealismo di certe raffigurazioni. Una sorpresa che ho avuto dalle mie ricerche storiche è stata di trovare tantissime figure di donne combattenti e di realtà in cui le donne hanno combattuto anche su larga scala: quindi, che la donna guerriera sia irrealistica di per sé è semplicemente falso. Allora mi sono concentrato sulle differenze tra certe figure storiche e l'immaginario moderno proposto da libri e film. Se avrete la pazienza di seguirmi in un lungo articolo, vedrete un po' di eroine vere, e di donne che hanno avuto il potere, e potrete fare dei confronti con i personaggi di carta e celluloide.




La donna guerriera ed eroica è sempre esistita nella letteratura fantastica a cominciare dalle Amazzoni (che sarebbero ispirate ad autentiche donne guerriere della Scizia) e dalla loro regina Pentesilea, che sfidò Achille e ne fu sconfitta. Per non essere da meno dei Greci, i Latini cantarono nell’Eneide virgiliana le gesta di Camilla, un’altra eroina che ebbe la sfortuna di trovarsi dalla parte sbagliata. Ma le eroine non sono mancate praticamente in nessuna cultura. Le skjaldmö delle saghe nordiche erano vergini che diventavano guerriere per scelta: tra di loro Brunilde, che è l’eroina dei popoli germanici.
Attraverso le epoche i gusti possono essersi modificati ma le donne eroiche sono rimaste: basti pensare a due ispirazioni italiche: la guerriera cristiana Bradamante nell’Orlando Furioso e la musulmana Clorinda nella Gerusalemme Liberata, o in terre più lontane alla guerriera cinese Mulan.
Le eroine antiche lasciano il passo a quelle moderne con il fantasy, dalla tolkieniana Eowyn e da Red Sonya in poi. Fino ai tempi recenti queste donne straordinarie hanno avuto un particolare in comune: gli scrittori che le hanno narrate sono tutti uomini. Come è stato affermato giustamente riguardo alle Amazzoni, la donna “eccezionale” a volte esiste solo per confermare la supremazia maschile: appena compare viene sconfitta e cancellata. Se non è questo il caso, l’eroina è sempre vittima di una concezione maschile del mondo. La donna in armi del fantastico fino al novecento è quindi un simulacro poco credibile, ricettacolo di più o meno esplicite fantasie sessuali maschili, che si tratti di pruriginose voglie di sottomissione, della derisione della donna invidiosa o dell’ossessione di riconfermare la vittoria sull’elemento femminile, ottenuta con la scomparsa dell’eroina o con la sua sacrosanta riconversione a donna di casa. Beninteso, c’è una bella differenza tra certe eroine in bikini corazzato e la tolkieniana Eowyn, ma queste esili bellezze, giovanissime e graziose come modelle non sono particolarmente credibili come donne in armi. Le donne di potere non dedite all’uso delle armi fanno frequentemente una figura anche peggiore nella letteratura fantastica, condannate (come Morgana nel ciclo arturiano) al ruolo di pericolose streghe.

Entra in scena il femminismo
A smuovere la scena ci ha pensato il femminismo, dal dopoguerra in avanti (anche se la Valeria di Howard può essere a buon diritto considerata una eroina proto-femminista). L’eroina fantasy ha conosciuto (per la prima volta nella storia?) una stagione diversa con scrittrici del calibro di Marion Zimmer Bradley, che rimane di gran lunga la più rappresentativa del filone. La Bradley, femminista molto accesa nonché autrice di narrativa di stampo esplicitamente gay sotto pseudonimi, ha introdotto le sue Libere Amazzoni, donne che rinunciano a qualsiasi aiuto da parte dell’uomo in nome della libertà, ed ha narrato nelle sue storie un universo di donne sagge, coraggiose e spesso vittime, e uomini generalmente malvagi o incapaci, salvo qualche eccezione. Una prospettiva magari limitata, ma comunque diversa. La scrittrice ha comunque avuto una sua evoluzione, che non ricalca semplicemente la storia del femminismo bensì quella della società americana in generale durante il lungo periodo in cui ha scritto. Ha adottato visioni meno radicali negli anni della maturità, guadagnandosi un posto d’onore nella letteratura fantastica al di là di mode o ideologie del momento. Tra le sue eroine compaiono anche, e soprattutto, donne che cercano di difendere l’antica saggezza di cui sono depositarie, donne di studi e padrone della magia.
Dando un’occhiata alle eroine di casa nostra, quelle ideate da Zuddas (Ombra di Lancia e Goccia di Fiamma) non hanno bisogno di essere femministe, perché sono amazzoni, nascono in un ambiente già “liberato,” e se vogliamo anche perché a descriverle è uno scrittore maschio… Ma il loro saper essere autonome e “maschiacce” quando serve, femminili e tenere con il maschio un momento dopo, carine al punto giusto ma forti come un uomo, mi pare disegnato apposta per farne dei personaggi perfetti, a cui non manca niente: come non invidiarle?

Una volta rotti gli argini, il femminismo ha più o meno esplicitamente permeato tutta una serie di eroine nel fantastico in generale, dalla Ripley che combatte gli alieni fino a Wonder Woman e altre supereroine.

Il femminismo ha portato aria nuova ma non ha però creato eroine fantasy più credibili: l’intento didascalico o bruscamente rivendicativo di certi personaggi li limita strettamente a mondi in cui esista una tematica simile al femminismo e sia ben presente nell’ambientazione; peraltro nonostante l’influenza del femminismo si è mancato un risultato forse auspicabile, ovvero che morisse lo stereotipo della modella con lo spadone di ispirazione maschilista.
Se la donna in armi rimane la più problematica, perché invade il campo maschile per eccellenza della forza fisica e della guerra, la donna di potere in generale resta un punto di domanda per il fantastico, dal momento che resta il dubbio sul suo realismo e sul fondamento del suo potere (anche in MZB abbiamo eroine decisamente combattive e altre che vivono una sottomissione dolorosa, non sapendo trovare una propria strada). Il problema della personalità della donna “libera” è di difficile definizione poiché la donna è sempre in relazione con l’uomo, che è limite per la sua libertà (forse vale anche il contrario ma qui non ci interessa); cosa sarebbe la donna senza questa presenza condizionante è pertanto campo aperto alle ipotesi. Per fare un esempio, il femminismo ha difeso certi valori di pace in un’epoca in cui tutta la contestazione aveva la pace come proprio obiettivo, ma trascorse le mode politiche, è tornato il dubbio se la donna sia pacifica di suo, o se è stata “pacificata” dal potere maschile (ed abbia quindi una diversa natura da recuperare). Illuminante l’opera della psicologa femminista Judith Lorber, “L’Invenzione dei Sessi,” dove si sostiene addirittura che la femminilità biologicamente determinata non esiste: il genere è creato culturalmente (esagerando una differenza biologica minima) cosicché l’uomo, per proprio potere, piacere e soddisfazione emozionale avrebbe plasmato il sesso più debole rendendolo insicuro e dipendente. Mi pare che le ultime scoperte sul cervello umano e sul suo funzionamento facciano sempre più giustizia di queste teorie più politiche che scientifiche, dimostrando che i due sessi funzionano in modo diverso anche a livello cognitivo ed intellettuale. Ma il femminismo moderno non ci sta, e forse fa bene, a farsi ingabbiare da un discorso scientifico di qualsiasi tipo; e più che influenzare il mondo in nome di come “dovrebbe essere” dal proprio punto di vista sostiene un lobbismo a favore della donna, contrastando semplicemente i limiti e le discriminazioni.
Perciò se una donna diventa ricca e famosa facendo l’attrice porno, troverà la femminista più all’antica (semplificando) che dirà che fa male a prostituirsi per il piacere maschile, ma anche quella che sosterrà che fa bene, perché prendersi con ogni mezzo la ricchezza è “empowering,” e addio sogni di un mondo migliore.
Per la nostra ricerca sulle donne di potere questo può anche andare bene, perché gli esempi storici che andiamo a esaminare sono solo in parte legati a qualche tipo di rivendicazione femminista o riconducibile al femminismo.

Donne combattenti
Si può pensare che di donne in armi ce ne siano state storicamente poche, ma non è vero. Di questo va tenuto conto perché se gli stereotipi della modella con lo spadone sono deludenti il motivo non è che sia una pazzia vedere una donna in armi: il motivo dev’essere un altro, se c’è.
Cerchiamo quindi le prime guerriere… ma ci infiliamo subito in un altro ginepraio ideologico, quello del matriarcato, il modello sociale dei popoli più antichi che vennero sottomessi e schiacciati dai malvagi rappresentanti della concezione patriarcale (dalle nostre parti furono gli indoeuropei ad assumersi questo compito). Il matriarcato si basava sui culti della dea madre e generatrice, e sul rispetto che la fecondità e la maternità ispiravano quando non era ancora chiara la relazione tra sessualità e procreazione. La presenza di donne combattenti in queste società è supportata da evidenze archeologiche e storiche non del tutto convincenti, ma è possibile. Tuttavia non era caso infrequente che, se il potere politico era nelle mani delle donne, il comando militare restava in quelle di un “capo di guerra” maschio; va da sé che è difficile generalizzare un discorso così ampio.
Meno incerta la presenza di donne guerriere nei popoli nomadi delle pianure orientali e delle steppe, e da qui l’ispirazione per le famose Amazzoni. Donne a cavallo, spesso munite di arco, hanno fatto la loro comparsa anche in epoche successive, provenendo da queste regioni.
Mentre i Latini e i Greci non hanno esempi da offrire, occasionalmente le donne guerriere si sono viste tra i Celti, e più spesso tra i Germani.


Budicca (Boadicea) in versione scosciata

La celtica Budicca, sovrana di una tribù nella Britannia conquistata dai Romani, è un esempio di donna che ha combattuto e portato un esercito in battaglia. Il marito, morendo, aveva lasciato il regno in eredità alle due figlie, ma ciò contrastava con la legge romana per la quale le donne non potevano ereditare; il re alleato era comunque tenuto a cedere il dominio a Roma dopo la propria morte. Budicca e le figlie vennero oltraggiate, lei con la fustigazione e le figlie con lo stupro, e le terre passarono sotto il dominio dei Romani. Evidentemente l’insulto non poteva essere accettato da questa donna, che viene riferita come alta e terrificante, forte di voce e di sguardo feroce, dalle chiome rosse e sempre armata di lancia.
Budicca radunò diverse tribù e lanciò la sua ribellione, approfittando del malcontento dei Britanni sottomessi al giogo di Roma. Poiché il governatore Svetonio Paolino era impegnato in una campagna per soffocare la voce dei Druidi nell’isola di Anglesey, la reazione romana fu all’inizio incerta, e i ribelli riuscirono a bruciare la città di Colchester, sconfiggendo la IX legione che era intervenuta. Paolino guadagnò tempo per radunare i suoi reparti, lasciando in preda ai rivoltosi la città di Londra, che venne distrutta anch’essa. I Britanni di Budicca avevano così ucciso decine di migliaia di nemici, in buona parte anch’essi Britanni, ma romanizzati; allo scontro decisivo però la sapiente astuzia tattica di Svetonio Paolino li condannò a una sconfitta inequivocabile e pesantissima, tanto che Budicca sembra si sia avvelenata per non essere presa viva. La sua rivolta, pur partendo da una questione personale, aveva coinvolto l’intero popolo.



Un altro esempio notevole è quello di Sikelgaita, che riunisce nella stessa persona sia la donna di potere che la combattente. Era una principessa longobarda di Salerno, uno di quei ducati che questi germani avevano mantenuto nel meridione d’Italia, mentre le loro terre settentrionali erano state conquistate dai Franchi confluendo nell’impero carolingio. Sikelgaita visse in un’epoca di transizione: si erano affermati nella sua terra i Normanni, che da avventurieri e predoni erano diventati sovrani nei propri feudi, e volevano molto di più. Roberto il Guiscardo aveva iniziato quella ascesa che avrebbe portato il suo popolo a spazzare via dal meridione Bizantini, Arabi e Longobardi per iniziare un regno che infine, a causa di politiche dinastiche, sarebbe stato ereditato da Federico II degli Hohenstaufen, un sovrano che avrebbe posto qui la base per il suo sogno di riconquista imperiale dell’Italia. L’ambizioso Roberto sposò Sikelgaita dopo un precedente divorzio, e probabilmente per impadronirsi dell’eredità di Guaimar IV di Salerno; la moglie cercò di evitare scontri tra il fratello Gisulfo II e il marito, ma Gisulfo alla fine venne punito per la politica aggressiva che aveva seguito contro i Normanni, venendo privato di tutte le proprie terre; in seguito Sikelgaita cercò di trattenere Roberto dall’attaccare i Bizantini, ma lo seguì quando non riuscì ad influenzarlo, e condivise con lui il comando dell’esercito. Si giunse alla battaglia di Durazzo (1081) dove i Bizantini contrattaccarono l’armata normanna che assediava la città, dopo aver distrutto la flotta nemica con l’aiuto dei Veneziani loro alleati. Un’ala dell’esercito normanno era in rotta quando Sikelgaita (che partecipava alla battaglia in armatura) riuscì a recuperarla con un richiamo paradossalmente funzionante: “Fermatevi! Siate uomini!” E la battaglia fu vinta per i Normanni, che però non riuscirono a sfruttarla in modo duraturo. Anna Comnena, storiografa dell’impero bizantino e altra donna notevole in campo culturale, in questa occasione paragonò Sikelgaita ad Atena, dea della guerra; forse avrebbe dovuto anche apprezzarne, se li avesse conosciuti, i tentativi di frenare gli eccessi aggressivi del marito. Va detto che a Durazzo Sikelgaita aveva già 45 anni e generato parecchi figli (quattro anni dopo però era di nuovo in guerra a Cefalonia, con Roberto, e sempre contro i Bizantini: fu qui che Roberto morì).


Sikelgaita

Questa donna eccezionale divenne anche un’esperta di botanica, e ciò le valse l’accusa di aver cercato di avvelenare Boemondo, il figlio di primo letto di Roberto; comunque sia, la vittima non morì e Sikelgaita riuscì a mediare un accordo per cui parte dell’eredità andò al proprio figlio Ruggiero Borsa, che però non ereditò lo spirito dei bellicosi e capaci genitori. Sikelgaita, che visse solo 54 anni, quindi fu allo stesso tempo abile politica e donna guerriera, e riuscì anche a passare nel campo delle streghe (ovvero delle donne crudeli e intriganti) per il supposto tentativo di eliminare lo scomodo Boemondo e la difesa a oltranza del proprio figlio.
Menzioniamo rapidamente il personaggio di Eleonora di Aquitania, che partecipò ad una crociata alla testa di parte dei cavalieri, ma non fece una gran figura; va detto che il marito inetto e imbelle non se la cavò meglio.
Tra le donne combattenti non si può fare a meno di parlare di Giovanna d’Arco, anche se la sua breve vita ha avuto un significato politico anche superiore ai fatti militari cui ha partecipato. Per via delle consuete politiche matrimoniali del medioevo, si era creata una situazione in cui in Re d’Inghilterra era vassallo del Re di Francia, ma possedeva molte più terre di lui, oltre ovviamente al proprio regno. La guerra fu inevitabile e lunghissima (la Guerra dei Cento Anni) e la Francia fu ridotta a mal partito: se aggiungiamo che la salute mentale di Carlo VI (re ai tempi dell’infanzia di Giovanna) era instabile, il quadro non appariva dei più rosei per una riscossa francese, ma fu proprio quello che accadde quando questa contadinella ignorante cominciò a udire le voci dei santi che le chiedevano di cacciare gli Inglesi. L’erede non ancora incoronato, Carlo VII, alla fine le diede udienza e ascoltò la sua richiesta di essere equipaggiata come un cavaliere e messa alla testa di un esercito; la decisione è stata razionalizzata (da uomini) come l’ultimo tentativo disperato in una lotta che si riteneva persa. Di fatto Giovanna d’Arco aveva già ottenuto il suo più importante risultato, trasformare una guerra dinastica (che la gente di Francia subiva passivamente) in una guerra di popolo.
Le sue vittorie sugli Inglesi sono state forse dovute al fatto che non si aspettavano la riscossa nemica; tuttavia le battaglie vennero combattute accanitamente; Giovanna d’Arco nella sua breve vita militare venne colpita da frecce, colpi di balestra e mitraglia di cannone; si espose al pericolo con armi e in armatura e combatté con coraggio, e la sua cattura fu dovuta proprio al troppo rischiare. Il processo per stregoneria cui venne sottoposta dagli Inglesi ci rivela anche un altro aspetto di questa eroina: la sua intelligenza, l’arguzia nelle risposte, convinsero i suoi carcerieri, che avevano voluto screditarla con udienze pubbliche, a trasferire il procedimento dietro quattro mura. Non faticarono a trovare membri del clero compiacenti e a condannarla al rogo, anche se la falsa accusa venne più tardi ribaltata: Giovanna d’Arco, che secondo le testimonianze era morta vergine, nonostante le molestie che sembra avesse subito sia nella vita militare che in prigionia, fu più tardi santificata. La sua morte non diede la vittoria agli Inglesi: ispirati dall’esempio di Giovanna i Francesi avevano deciso di cacciarli dalla loro patria, e riuscirono a farlo.

Non sappiamo cosa sapesse fare nella mischia l’eroina francese (non disdegnava però di scalare le mura negli assedi), e non ne abbiamo nemmeno un ritratto decente, tuttavia pochi sono morti a 19 anni dopo aver condotto un esercito (per quanto nel medioevo l’arte militare non fosse a un livello altissimo), ed avendo ricoperto il ruolo di guida spirituale per una nazione. Retrospettivamente, il fatto che Carlo VII non l’abbia riscattata dai Borgognoni che l’avevano prigioniera, prima che questi la cedessero agli Inglesi, sembra un’assurdità.
Un’ultima notazione: Giovanna d’Arco non era molto socievole con le donne e certamente non una femminista ante-litteram: non volle altre donne nell’esercito e scacciò il seguito dell’armata, quel codazzo di mercanti, vivandiere, lavandaie, sarte e prostitute che abitualmente seguiva le armate medievali nei loro spostamenti.

Un breve accenno lo merita Lakshmibai, sovrana del principato di Jhansi, nel nord dell’India. Una storia molto simile a quella di Budicca: avendo solo un figlio adottato, quando rimase vedova gli Inglesi si impadronirono del suo dominio. Tentò anche la via legale senza successo e infine appoggiò la rivolta del 1857, che venne repressa con fatica dagli Inglesi. Non mancarono alcune battaglie dove Lakshmibai, il cui coraggio fu ammirato anche dagli avversari, guidò anche delle unità militari composte di donne.
Questa eroina indiana morì in battaglia. Alcune testimonianze vogliono che avesse offerto di stipulare con il nemico una pace separata se in cambio i diritti di suo figlio fossero stati riconosciuti. Nonostante ciò, è una figura simbolo del nazionalismo indiano.

Donne di potere
Prima di proseguire riconosciamo alcune caratteristiche comuni in alcune di queste donne che hanno combattuto: innanzitutto la personalità forte o fanatica, in secondo luogo un attaccamento feroce a una causa o a una o più persone. I diritti dei figli innanzitutto, o il successo dei mariti, come farebbe una donna qualsiasi. Ma anche la patria e il popolo. Un altro particolare salta all’occhio: le donne che hanno combattuto erano spesso nobili (salvo il caso veramente eccezionale di Giovanna d’Arco, un’eroina veramente poco spiegabile senza ricorrere alla religione), pertanto libere di muoversi e superiori alla massa del popolo, maschi inclusi. Così come nei casi di grossi gruppi di donne combattenti, la loro esistenza è resa possibile probabilmente dalla barbarie o dallo scarso inquadramento sociale: in società fortemente organizzate le donne sono state allontanate, quasi immancabilmente, dai campi di battaglia. E infatti la modernità ha fatto scomparire per un certo periodo la donna guerriera: l’era moderna infatti ha prodotto una divisione dei ruoli più drastica, burocrati di alto e basso livello che hanno allontanato le donne dai centri del potere, un potere che un tempo potevano agguantare se sapevano muoversi nel delicato ambiente di una corte. La Regina Vittoria ad esempio, al centro di un impero immenso, sicuramente otteneva che qualcosa venisse fatto semplicemente per il suo volere, ma in una monarchia parlamentare, come era ormai quella inglese, non aveva la possibilità di imporre un volere assoluto. In realtà, nemmeno la possibilità di complottare per migliorare la propria posizione, come aveva fatto secoli prima, senza fortuna, Maria Tudor. Il potere era diviso tra diversi politici e affaristi, tutti maschi.
La modernità pertanto dapprima ha allontanato le donne dal potere e dai campi di battaglia. Tuttavia in un secondo momento l’avvento della macchina portò, durante le grandi guerre, la massa femminile nelle fabbriche: a conoscere la tecnologia e a condividere il destino dell’uomo, un lavoro salariato. Da lì non fu possibile cacciarle e così ebbe luogo una delle trasformazioni sociali che spianarono la strada alla parità delle donne, fino al riaffermarsi del diritto a scendere sul campo di battaglia.

Nella Russia sovietica le donne combattenti sono state numerose, durante la seconda guerra mondiale: si trovavano nelle unità logistiche, di antiaerea e simili, e spesso sono finite per forza anche a combattere in trincea; non sono però state assenti dall’arma più “elegante,” l’aviazione, dove l’unità delle Streghe della Notte (caccia notturni) si guadagnò una certa fama tra gli avversari della Luftwaffe.


Eroiche donne pilota

Il diritto a combattere conosce oggi ancora alcune limitazioni negli eserciti occidentali, a volte scritte, a volte sottintese: ma ha comunque portato (in conflitti recenti o ancora in corso) alla partecipazione, e alla morte, di molte donne in combattimento.


Le prime donne soldato italiane: le ausiliare della RSI
Non avevano ruoli di prima linea


Completiamo adesso la nostra carrellata con gli esempi di alcune donne che non hanno visto la battaglia coi propri occhi, ma hanno rivestito tuttavia un grande potere politico.
Cleopatra, regina egiziana di cultura greca, avrebbe potuto essere menzionata nel precedente capitolo, tra le donne combattenti… se solo avesse fatto qualcosa di meglio che fuggire dalla battaglia di Azio quando la vittoria era ancora possibile. La sua ascesa al potere è una storia di tristissimi omicidi fra consanguinei. L’astuzia con cui ha cercato di mantenersi al trono manipolando i maschi conquistatori romani probabilmente non la rende simpatica né alle donne né agli uomini, e non ne fa certo una eroina.
Caterina I di Russia, una donna di umilissime origini il cui vero nome era Marta, entrò in servizio nella casa reale e riuscì a sposare Pietro il Grande, partecipando anche alla vita di governo in un periodo importante della storia russa. La storia di una giovane povera ma bella che diventa sposa di un potente non è eccezionale, ma Caterina I si distinse per aver mantenuto il potere una volta rimasta vedova, agendo di comune accordo coi nobili, e di averlo gestito con saggezza, prima di morire nel 1727. In quel periodo numerose donne si susseguirono al trono di Russia; la successiva fu Anna, il cui governo non fu però molto brillante: riuscì a farsi detestare, morendo per giunta senza eredi diretti.
L’imperatrice Elisabetta, figlia di Pietro il Grande fu una donna brillante ma irrequieta. guadagnò appoggi politici durante il regno della cugina, Anna, e alla sua morte rovesciò il successore, lo zar bambino Ivan VI, che finì per morire in prigionia. Elisabetta non ebbe una vita personale integerrima ma seppe barcamenarsi bene in politica interna e nel gioco delle alleanze europee; in buoni rapporti con gli Asburgo, lavorò per isolare la Prussia e si impegnò a fondo, nella guerra dei Sette Anni, per la rovina del suo nemico, Federico il Grande. La coalizione vacillava ma Elisabetta profondeva ogni sforzo per conseguire la disfatta del sovrano tedesco, che infine si vide perduto egli stesso. Ma nel 1762, con i soldati russi a Berlino, la guerra finì per la morte di Elisabetta. Forse è eccessivo collegare con un filo rosso la figura di Federico il Grande, attraverso l’imperialismo guglielmino, al revanscismo tedesco condotto da Hitler. Però è senz’altro suggestivo pensare quanto fu vicina una donna a spezzare l’imperialismo prussiano prima ancora che nascesse.
Alla morte di Elisabetta lo zar Pietro III fu rapidamente spodestato dalla moglie, figlia di un ufficiale prussiano. La zarina, con il nome di Caterina II, fu imperatrice per 34 anni e ingrandì enormemente il territorio russo, operando varie conquiste molte delle quali a spese dei Turchi. Considerandosi una “despota illuminata” cercò di stimolare la cultura e l’istruzione, ma questo in un paese come la Russia del tempo ha necessariamente un significato molto limitato. Sebbene ricordata anche per i molti amanti e per le infinite dicerie sulle sue intemperanze sessuali, Caterina II fu una grande statista e una conquistatrice.


Dopo questa carrellata su un secolo di governo femminile in Russia, sorvoliamo su tanti altri personaggi come ad esempio Elisabetta I d’Inghilterra (non perché il suo regno non sia stato importante, ma perché sarebbe una ripetizione dei temi trattati con le zarine russe), e concludiamo con una donna di potere dei nostri tempi, degna di menzione perché ha voluto fermamente una guerra che i maschi nel suo entourage non si sentivano di affrontare, e che le sue forze armate, non prontissime, avevano tutti i motivi di temere: stiamo parlando di Margaret Thatcher, Maggie “la dura,” che punì gli Argentini per aver cercato di riconquistare le isole Falklands (o Malvine). Sarà ricordata anche per le severe politiche conservatrici, e non si può certo dire che non sia stata una energica donna di potere.
Ovviamente ci sarebbero altri personaggi da considerare ma chiudiamo e cerchiamo di trarre delle conclusioni.
Qui abbiamo parlato di alcune donne che hanno avuto in mano un grande potere politico, senza doverselo conquistare o difendere in battaglia. E discorsi femministi non se ne possono fare anche perché (Thatcher a parte, ma non è il caso) sarebbero anacronistici. Generalmente parlando, le donne di potere che abbiamo visto si sono comportate come uomini: non tutte con la stessa abilità, ma sempre incentrate sui problemi di governo; forse sono state aiutate dal fascino, dall’abilità relazionale, ma hanno dovuto esercitare capacità e prerogative che si sarebbero ritenute maschili, e sono riuscite a farlo. Non c’è nulla da aggiungere se non che il potere, nei gradini più alti, in fin dei conti non ha sesso.

Per tornare alle eroine Fantasy…
Cosa ci ha insegnato la storia di queste donne vere, da poter applicare alle eroine Fantasy? Innanzitutto, le donne che hanno combattuto personalmente in battaglia, sole o in massa, sono esistite e non ce ne sono state nemmeno pochissime. Si potevano aggiungere altri esempi provenienti dai paesi dell’estremo oriente e da popoli che sono stati colonizzati dagli Europei, ma sarebbe stato a questo punto superfluo. Si possono inoltre aggiungere tutti i casi in cui un popolo è stato schiacciato o una civiltà annientata: là dove ci sono memorie scritte si possono spesso leggere i casi di estrema difesa tentati da donne in armi. Le donne combattenti andrebbero rimosse dall’immaginario fantastico? Non credo che avrebbe senso, dal momento che sono state ripetutamente presenti nel mondo reale. Andrebbero probabilmente interpretate meglio. Ciò che rende spesso fastidioso il personaggio dell’eroina femminile è che spesso si limita ad essere la modella con lo spadone, ovvero un fantoccio di fantasie maschili, oppure (magari con il medesimo aspetto!) una mera bandiera di rivendicazioni femminili. Quindi, privo di una vitalità propria come personaggio. Quando ce l’ha è frequentemente in ridicolo contrasto con il ruolo di donna guerriera: a volte pensa come una ragazzina di quindici anni, a volte come una vezzosa e schizzinosa cortigiana, insomma in genere non pensa come una “persona che combatte.” E per me è questo il motivo per cui così spesso la donna guerriera genera una smorfia di incredulità. Per fare qualche citazione, sono del tutto realistiche le amazzoni di Zuddas, belle e fortissime? E’ del tutto credibile il personaggio di Nihal della Terra del Vento, esile ragazzina nella copertina del libro, guerriera massacratrice nella trama, e tormentata da dilemmi adolescenziali? Le eroine in bikini come Red Sonya sono credibili?

L’altro personaggio del fantasy, la donna sapiente, declinato sia nella versione rassicurante della sacerdotessa o della maga saggia e generosa, sia nel versante più oscuro della stregoneria, offre probabilmente migliori possibilità di sviluppo narrativo. Regine e imperatrici (sebbene le loro storie reali, per quanto affascinanti, siano spesso simili a quelle maschili in maniera desolante), se declinate nel fantastico possono offrire una sorprendente ricchezza di possibilità espressive. Chiudiamo questa passeggiata nella storia con l’augurio che le donne del fantasy riescano ad essere sempre più fantastiche… ma diventare anche più vere.