La Rocca Scarlatta è il successivo racconto (1933) di Conan il Barbaro, dopo La spada della Fenice. Qui Conan, sempre nei panni di un sovrano, sembra in procinto di perdere una battaglia. Vediamo un po' la trama.
Conan ha visto il fiore della sua cavalleria fatto a pezzi, schiacciato e spazzato via, dopo che aveva attraversato il confine sud orientale di Aquilonia per andare nelle pianure di Ophir, un regno il cui re Amalrus, che era un amico, si è improvvisamente rivelato un traditore. Amalrus ha attaccato le forze di Conan con l'aiuto del re di Koth, Strabone. Quindi vediamo qui Conan nelle vesti di leader militare, ma in questo caso non sembra che gli stia andando molto bene, anche se rifiuta di arrendersi.
il fumetto nell'immagine riguarda Conan, ma non questo specifico racconto
Ai due nemici si aggiunge anche il mago Tsotha-lanti di Koth, il classico mago malvagio, che usa grimori rilegati in pelle umana. È Tsotha che cattura Conan ormai sconfitto, mentre Strabone avrebbe preferito farlo uccidere dagli arcieri da lontano, perché ha già perso troppi uomini e il barbaro si difende ancora ferocemente. Lo stregone cattura Conan grazie a un anello dotato di uno spillo avvelenato, un ago che inietta una sostanza tale da sedare la resistenza dell'eroe.
Nella città di Khorshemish, Tsotha ha un castello ben difeso, che incombe sul resto dell'abitato, e in questo castello Conan viene portato prigioniero. Dapprima Amalrus e Strabone cercano di prenderlo con le buone: spiegano a Conan che hanno voglia di ingrandire i loro dominio, e gli offrono una ricompensa per abbandonare il trono di Aquilonia, anche se in quel momento Conan è nelle loro mani. Il beneficiario di questo accordo sarebbe un certo Arpello, un pretendente al trono di Aquilonia.
Conan rifiuta. Ha preso il trono di Aquilonia usurpandolo e soltanto per il proprio tornaconto, tuttavia non ha governato male, sente una responsabilità verso i sudditi e non vuole abbandonarli ai loro nuovi padroni.
Portato in un sotterraneo dallo stregone Conan teme di essere giunto alla fine. Tuttavia, nel sotterraneo un personaggio sconosciuto, un nero, viene a trovarlo dicendo che ha le chiavi che lo potrebbero liberare: cosa offre Conan in cambio? I due però non arrivano a un accordo: si viene a sapere che il nero era capo di una città che è stata saccheggiata da Conan, il quale gli ha ucciso il fratello. Quindi qualsiasi somma offerta, alla fine, è insufficiente a ripagare il torto. L'impasse viene risolta da un enorme serpente che ammazza il nero: infatti nei sotterranei sono presenti vari mostri. Conan prende le chiavi, che sono cadute ai suoi piedi, e si libera. Nel nel sotterraneo Conan incontra varie mostruosità e nelle disavventure gli capita di salvare un altro prigioniero, Pelias il negromante, torturato e imprigionato da Tsotha.
Cosa accade intanto nel mondo esterno? A Tamar, la capitale di Conan, arriva Arpello, il fantoccio pretendente al trono. Conan ha lasciato un difensore, il conte Trocero, che purtroppo un po' non ha abbastanza forte, un po' non vuole rischiare, e rinuncia a fare resistenza. Arpello si gode le donne dell'harem di Conan, ma potrà divertirsi per poco, perché il barbaro ritorna in groppa a un destriero alato fornito da Pelias, e con facilità lo elimina. Rapidamente il barbaro raduna delle forze per raggiungere i due sovrani nemici presso la città di Shamar. Anch'essi cadono, mentre lo stregone Tsotha-lanti subisce la vendetta di Pelias, che lo decapita. Lo stregone decapitato corre via, anziché morire, tenuto in vita da un qualche sortilegio orrendo. Conan quindi ha vinto, ma l'alleanza con Pelias, per quanto provvidenziale, gli ha fatto venire i brividi. Lui in effetti preferisce nemici "normali," che si possano ammazzare in maniera normale. Pelias, essendo un negromante, è in grado ad esempio di resuscitare (temporaneamente) un morto per farsi aprire una porta: prodezze come queste lo collocano decisamente in quella nefanda "civiltà" che Conan odia e disprezza.
Questa storia si fa leggere piacevolmente ed è ben scritta, anche se mi spiace che si limiti un po' a regalarci tante botte da orbi senza troppe pretese. Noto la coerenza nella costruzione del personaggio di Conan, che in questo caso è il protagonista voluto dall'autore fin dall'inizio (il primo racconto, La Spada della Fenice, era scritto inizialmente con un differente protagonista, Kull). Conan si batte come un leone, anche quando evidentemente sconfitto; preferisce i nemici che può combattere apertamente, ed è diffidente delle macchinazioni della magia. Rifiuta i compromessi, anche quando prigioniero (non vuole abdicare anche nel momento in cui non può difendersi). È leale a Pelias, cui ha salvato la vita, e per un certo periodo è suo alleato, anche se come amico certamente non gli piace. E sebbene sia un predatore e non obbedisca ad alcuna morale, come sovrano ha governato bene e si è fatto benvolere, perché nella sua naturale onestà di fondo non può che essere un buon capo (fosse davvero così facile!). Ha perso una battaglia, ma ovviamente solo perché lo hanno tradito. Insomma vi sono un po' tutte le fenomenali qualità del barbaro, mentre i suoi avversari, nobili o maghi che siano, non si rivelano alla sua altezza. Un po' di caratterizzazione in più per questi personaggi però non avrebbe guastato.
La cosa che maggiormente mi annoia in questo racconto è come, in un modo o nell'altro, ci sia sempre il modo di fuggire anche dalle prigioni più terribili. Non amo le fughe rocambolesche, che purtroppo nei racconti del nostro barbaro torneranno ancora.
4 commenti:
C'è da considerare il periodo in cui è stato scritto: non ha la complessità di certe trame di adesso, alle volte un po' troppo intricate.
Quello che manca è soprattutto una profondità dei personaggi, che spesso non viene nemmeno accennata. Chiaramente non c'è la lunghezza necessaria per farlo, ma l'eccesso di stereotipi lo trovo eccessivo, perché racconto dopo racconto ci trovi sempre il mago malvagio, il nobile pervertito e crudele, il selvaggio degenerato, eccetera...
Le storie del fantastico un po' erano così in quegli anni, ma non solo lì: erano storie d'intrattenimento, non si richiedeva molto. Di positivo è che hanno messo le basi per ciò che è venuto dopo. Se le si guarda con gli occhi d'oggi, si vede però che manca qualcosa. Forse per quei tempi l'avventura, il nemico da affrontare, l'impresa da compiere, erano sufficienti, ma ora si vuole sapere anche il come si affronta tutto ciò e per questo occorre approfondire la conoscenza dei personaggi.
È anche la formula delle riviste su cui questi autori (anche C.A. Smith, anche Lovecraft) scrivevano narrativa breve.
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