giovedì 18 aprile 2024

Civil War

 Ho un grande amore per il regista Alex Garland, che ha diretto o sceneggiato un buon numero dei film che mi sono piaciuti negli ultimi anni: Non Lasciarmi, 28 Giorni Dopo (dove è sceneggiatore), Annihilation, Ex Machina (dove è regista).


Qui Garland ci porta in una drammatica vicenda di guerra civile (come da titolo) ambientata negli USA. Civil War è una storia di reporter di guerra che, sfidando ogni pericolo, seguono gli scontri sperando di fare il colpaccio della vita: l'intervista al presidente che, a quanto pare, sta per essere deposto. Gli USA sono divisi in quattro diverse fazioni e i lealisti, pur avendo a quanto pare ancora un gran numero di soldati, stanno venendo fatti a pezzi dalle varie milizie e dalle forze di una coalizione occidentale piuttosto improbabile: Texas più California. Oggi come oggi non mi sembrano alleati molto plausibili, dal punto di vista politico.

Ma a dire la verità, la situazione è presentata in maniera da non esporre il film a paragoni con l'attuale situazione degli USA. Il presidente è autoritario, ha voluto un terzo mandato (che sarebbe illegale) e il paese gli si è rivoltato contro, non sappiamo di più e dopo un po' è chiaro che non verranno proposti approfondimenti. Non sappiamo nulla delle idee del tizio al potere, e di come la vedono quelli che difendono il suo regime, sappiamo però che i secessionisti sembrano sul punto di arrivare a Washington per chiudere i conti con lui.

In questo frangente, un gruppo di reporter viaggia in cerca del grande scoop, esercitando il diritto e dovere di documentare i fatti, senza proporre giudizi ma catturandoli nelle immagini così come sono.

Questo permette al regista di proporci una grande quantità di situazioni drammatiche, tra gente che combatte, che viene ammazzata, giustiziata, e via dicendo. Ma i giornalisti non sono necessariamente invulnerabili in queste situazioni.

Punto di forza del film, certamente, l'immagine degli USA come paese in cui succedono quelle cose che di solito l'americano medio vede solo in televisione. Una situazione improbabile ma non impossibile, visto che i tempi in cui gli USA si crogiolavano in un sonnacchioso benessere in cui la politica era, salvo qualche screzio, sostanzialmente "bipartisan." Ora la polarizzazione è critica e chi lo sa, anche negli USA potrebbero succedere cose stile Italia anni '70, o peggio.

Punto di debolezza il non sapere o non volere costruire una ambientazione. Di questo presidente non sappiamo nemmeno il nome. È un tipo alla Trump? O è un liberal cui il potere ha dato alla testa? Il film è anonimo, ci sono soldati, milizie, atrocità, ma non c'è un vero aggancio con la realtà, né un messaggio politico. Resta il proporre la storia di un gruppo di giornalisti, un paio di veterani (tra cui Lee, interpretata da Kirsten Dunst), un decano piuttosto vecchiotto che per il suo bene farebbe meglio a non correre troppi rischi, e una pischella cui Lee farà da mentore. Epilogo della faccenda piuttosto prevedibile.

Buone recitazioni e fotografia, tante situazioni pesanti che stuzzicano il voyeurismo sanguinario dello spettatore (me compreso, per carità, ma l'operazione mi infastidisce un pochino), ma Garland ha fatto di meglio.

2 commenti:

Babol ha detto...

Come hai letto da me, il non sapere l'ho trovato un punto di forza. Aumenta il disagio, fa concentrare sui personaggi, ha senso a livello tematico. Gran bel film.

Bruno ha detto...


Questo resterà il grande punto di divisione su questo film. A dire il vero pare che ce ne sia anche un altro: quelli che dicono che "si capisce benissimo" di chi si sta parlando...