venerdì 19 maggio 2023

Cioran e il pessimismo

 Mi ero tenuto lontano dal pensiero di Cioran temendo che sarei stato travolto dal suo pessimismo micidiale, ma alla fine ho ceduto alla tentazione. Questo pensatore rumeno (Emil Cioran, accento sulla a per quanto ne so io, 1911 - 1995) è stato un grande cantore dell'assurdità e della sofferenza della condizione umana, un demolitore di qualsiasi speranza e punto fermo.


Una buona parte del lavoro gliel'hanno già fatta altri filosofi come Nietzsche, che constatava la "morte di Dio," ucciso dalla modernità, dall'indifferenza dell'uomo, dalla scienza. L'ordine sociale garantito dalla fede, e soprattutto la tranquillità individuale che ne derivava, vacilla sotto l'attacco del nichilismo. Ma se Nietzsche affermava che l'uomo dovesse superare i suoi limiti e crearsi dei nuovi valori, in Cioran non c'è nessuna speranza.

L'esistenza, semplicemente, è un'assurdità. Non se ne accorge magari il giovane, pieno di belle speranze, ma il destino dell'uomo è comunque la sconfitta. Vale per il poveraccio come per il costruttore di imperi. Sconfitta da parte delle malattie, delle delusioni, della morte, che per il misantropo e insonne Cioran non è di per sé un terribile male, ma che comunque temiamo e vogliamo evitare il più a lungo possibile. Cioran è quindi un filosofo e un pensatore, ma non un costruttore di sistemi filosofici, perché nega la possibilità della ragione di esplorare l'esistente.

Qualsiasi ricerca di successo o piacere è vuota di significato, qualsiasi impegno sociale o politico non può migliorare niente. Cioran è quindi lontano dalle idee degli esistenzialisti e da qualsiasi speranza di miglioramento dell'umanità. Per l'uomo la tragedia è "cadere" nell'esistenza, come espresso nel suo libro L'Inconveniente di Essere Nati, quello che ho letto io e che forse è il migliore riassunto del suo pensiero. Cosa pensa della nascita il filosofo rumeno? Il peggio possibile. Non avendo chiesto di nascere, una persona deve destreggiarsi nell'inutilità dell'essere, e per quanto il ritorno nella non esistenza sia desiderabile, istintivamente teme il trapasso.

"Abbiamo perduto nascendo quanto perderemo morendo. Tutto."

Se la nascita è un male, l'idea del suicidio in Cioran è paradossalmente una valvola di sicurezza che permette all'uomo di sopportare il soffrire dell'esistenza. Si può sopportare la follia del mondo aiutandosi con la consapevolezza che, se necessario, ci si può comunque uccidere, e che, esistendo la scelta del suicidio, la vita diventa una scelta, un qualcosa di nostro. In questo Cioran sostiene l'insensatezza dell'esistere ma allo stesso tempo è, potremmo dire, pro-vita.

Un paio di considerazioni mie sul pensiero di Cioran. Da prendere con le molle perché non sono né filosofo né grande conoscitore di Cioran. Innanzitutto questa valenza positiva del suicidio non la considero una efficace "valvola di sfogo" dell'infelicità. Senza volere sorpassare Cioran nel suo campo, cioè nel pessimismo, noto che sono statisticamente ben poche le persone che riescono a uccidersi. L'istinto a rimanere in vita, l'orrore della morte, è troppo forte, fa tollerare anche l'intollerabile. Quando la persona è spinta in un vicolo cieco da depressione o malattia, si trova sull'orlo dell'abisso e qui incontra una nuova tortura, l'incapacità di fare il salto e buttarsi di sotto. Questo non funzionamento del suicidio come uscita di sicurezza forse ce lo conferma con la sua morte lo stesso Cioran. Colpito dalla malattia di Alzheimer e quindi messo di fronte alla intollerabile distruzione della sua mente brillante, il filosofo non ha fatto il grande passo, ma è banalmente morto in clinica. O forse ha trovato un significato da dare al suo non-suicidio, pur vivendo una situazione insopportabile? Se l'ha trovato, non s'è dato cura di comunicarcelo.

In secondo luogo, del non-senso della vita se ne rendono conto un po' tutti, una volta che l'impeto e l'ignoranza beata della gioventù se ne siano andati. Magari non siamo capaci di descriverlo brillantemente come Cioran, ma ben lo conosciamo. E allora dove va cercato il senso della vita, se è possibile trovarne uno? Hermann Hesse in Siddharta diceva che il significato si coglie nel viverla, si crea dentro di noi, nella nostra ricerca, nelle esperienze di vita e nella saggezza che raggiungiamo con gli anni. Sarà così? Io non sono in grado di confermare o smentire. Mi sembra però un punto di vista più costruttivo dell'andare avanti per decenni a dire e scrivere che non vi è senso alcuno, per quanto io trovi interessante il pensiero di Cioran.

Come ultima considerazione: per una infinità di anni prima della nostra nascita non siamo esistiti. Dopo il breve intervallo su questa terra cesseremo di esistere, e non esisteremo per un altro periodo praticamente infinito (salvo credere in reincarnazioni o nel Paradiso, bravi voi che ci credete). Abbiamo un breve periodo per goderci e/o per soffrire l'esistenza, che sia sensata o meno. La possiamo sperimentare, durante questo intervallo in cui ci siamo. Questo è sempre più interessante del puro e semplice non-essere cui siamo destinati per tutto il resto del tempo. Dovremmo cercare di indagare e di capire, di essere curiosi del mondo fino a che possiamo, di trovare o non trovare significati, più che soffermarci sulla nostra pessima condizione esistenziale.


2 commenti:

M.T. ha detto...

Il pensiero di Cioran è quello che pensano tante persone nei momenti più duri della loro vita; poi i periodi cupi passano e si trovano delle ragioni che permettono di vivere e andare avanti. Perché se non fosse così, allora ci sarebbe davvero da spararsi.

Bruno ha detto...


Eppure Cioran, che non voleva spararsi, pensava per tutto il tempo che la vita fosse inutile e insensata sofferenza. Peggio ancora, non riusciva a dormire la notte. Consiglio la lettura delle sue opere solo in momenti di forza d'animo...