mercoledì 14 luglio 2021

Gilgamesh

 Il mito di Gilgamesh è il primo poema epico che sia stato conservato. Di significato certamente religioso, è anche una narrazione avvincente. Io l'ho letto nella versione di Theodor Gaster (1906 - 1992, esperto di religioni e miti, linguista) pubblicata in una collezione curata dall'Editrice Nord (titolo: Il Grande Libro della Fantasy Classica). Ovviamente il testo è stato tradotto rivedendolo in maniera che risultasse accessibile ai lettori moderni; quanto alla storia non è poi così complicata, almeno a una lettura superficiale. Dobbiamo tener conto però che ne esistono varie versioni, qui accenneremo solo a quella più comune e conosciuta. Gilgamesh è un eroe mesopotamico che compie una quantità di imprese sfidando addirittura le divinità (è di origine semidivina egli stesso).

E le divinità non esitano a cercare di eliminarlo. L'occasione arriva dietro preghiera dei cittadini di Erech, tiranneggiati da Gilgamesh, che prende da loro tutto quello che vuole, beni e donne.

Così, una dea plasma dall'argilla un altro guerriero eccezionale per contrapporsi all'eroe semidivino.

Questo opponente è una specie di uomo-bestia coperto di folta peluria, di nome Enkidu: vive tra gli animali e sfugge la compagnia degli uomini, per il momento. Ma Gilgamesh dispone che questo bestione venga ricondotto nei ranghi dell'umanità, così viene inviata Shamhat, una prostituta sacra, da Enkidu il quale, dopo essersi accoppiato, comincia a ragionare, a parlare, a comportarsi come un essere umano (i miti la fanno facile...) ed è ormai estraneo alle bestie selvatiche con cui aveva vissuto. Enkidu poi sfida effettivamente Gilgamesh alla lotta e vince, ma lo risparmia perché è in grado di comprenderne la lealtà e il valore.

Per celebrare la nuova amicizia i due andranno a compiere un'altra impresa ardimentosa, tagliare uno dei cedri della foresta che appartiene agli dei. Dopo questa e altre birbonate i coraggiosi eroi finiscono seriamente nel mirino degli dei, che però considerano Enkidu il principale ispiratore delle varie malefatte, e decidono di farlo morire. Dopo sogni e funeree premonizioni effettivamente l'eroe muore con sofferenza, e con enorme dispiacere di Gilgamesh, che lo copre di un velo "come gli uomini coprono di un velo la sposa il giorno delle nozze." Fin dal mito più antico, queste idealizzate amicizie maschili hanno aspetti che possono essere interpretati anche in chiave omoerotica. Che può anche essere, in certi casi (molto probabilmente in quello di Achille e Patroclo). Ma spesso si tratta di un rapporto di tale purezza che "trascende" il sesso.

Dall'aver sperimentato la scomparsa dell'amico, Gilgamesh trae ispirazione per la sua più famosa, e quasi impossibile, cerca. Ovvero il tentativo di diventare immortale. Gilgamesh viaggia fino alla remotissima isola dove vive Utnanpishtim, l'uomo che dovrebbe conoscere il segreto dell'immortalità. Gilgamesh si addentra in un territorio spettrale, quasi deserto, irto di pericoli e sconosciuto.

Quando riesce finalmente a incontrare Utnanpishtim, Gilgamesh scopre la sua storia (che si ricollega al racconto del diluvio universale). L'immortale ha ricevuto un dono dagli dei, pertanto non è a conoscenza di alcun segreto e non può dare aiuto a Gilgamesh. Esiste però una pianta che potrebbe ringiovanire l'eroe, il quale spera perciò di poter, almeno, portarla alla propria città, per il vantaggio proprio e altrui. La pianta viene trovata, ma poi perduta, e anche questa speranza fallirà. Beffato dal destino, Gilgamesh non ottiene niente di quello che cercava e deve tornare alla città di Erech sconfitto e rassegnato a vivere la vita di un mortale.

Mito che richiama molti elementi che troveremo nella mitologia classica, la storia di Gilgamesh, forse più di altre, ci ricorda che l'eroe viene sempre sconfitto. Gli dei sono troppo forti, vincere una sfida contro di loro porterà a brutti guai in futuro. Gli amici vanno persi, nel dolore e nella morte. E nel caso di Gilgamesh, anche la più grande impresa può fallire, nonostante tutto il coraggio dell'eroe.

Ma secondo alcune interpretazioni degli studiosi, la cerca verso un obiettivo impossibile (la vita eterna) è occasione per acquisire saggezza e conoscenza, e fornisce a Gilgamesh una nuova consapevolezza. Così dev'essere, dal momento che il poema ha senz'altro una valenza religiosa.

La coppia Gilgamesh-Enkidu si sdoppia nella narrazione. Da una parte abbiamo Enkidu, creato da una dea ma di origine semi-animale, eroe che non viene perdonato per gli affronti contro le divinità, e fa una fine disgraziata preannunciata da incubi terribili. Dall'altra abbiamo Gilgamesh, che inizialmente è poco più di un avventuriero e un tiranno per i cittadini di Erech. L'eroe in qualche modo supera la propria hubris (concetto di eccessiva superbia che ci viene dalla mitologia ellenica), oppure gli è concesso di superarla. In questo contesto il lutto per la morte di Enkidu e l'eroica ma fallimentare cerca per la vita eterna diventano un percorso iniziatico di saggezza.



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