domenica 22 luglio 2012

Lo scrittore dev'essere un piacione?

Mi impongo il termine piacione, che non amo, giusto per dare il tono a un argomento sgradevole. Ovvero come siamo messi in tema di rapporti tra chi scrive e il pubblico?

C'erano una volta quelli che dicevano che l'unico dovere dello scrittore è scrivere. Oddio, qui farei un'aggiunta. Tra i doveri c'è spesso quello di lavorare, se lo scrittore non si mantiene con i libri e se non vive di rendita. Comunque lo scrittore sarebbe uno che, essenzialmente, scrive. Limitarsi a scrivere vorrebbe dire non aver tempo nemmeno per intrattenere contatti, se non quelli indispensabili, con la casa editrice e con i lettori. Non aver tempo per le presentazioni in libreria, le promozioni e via dicendo.
Questo punto di vista mi sembra in declino e ben a ragione. Molti scrittori famosi sono continuamente in giro a promuovere sé stessi, e questo vorrà pur dire qualcosa. Certo, per chi è sconosciuto spesso è un calvario: penso alle presentazioni in libreria di fronte a dieci persone di cui nove sono amici che ha cooptato lo scrittore stesso e la decima passa di lì per caso, sbadiglia dopo cinque minuti e se ne va. E comunque un rapporto con il pubblico va cercato, al limite con i social network o i blog, forum e via dicendo. Dire che non si ha tempo di farlo, a mio parere, non è una scusa.
E' tutta una festa!

A questo punto sorge il quesito. Cosa vuol dire relazionarsi? Fino a che punto è opportuno e necessario? Ovvero, l'importanza di apparire rispetto all'importanza di quello che si scrive. Punti di riflessione: l'articolo su Fantasy Magazine scritto da Marina Lenti sul caso Lipperini - Manni. Solo un'ipotesi ma ancora non smentita dalle dirette interessate (ammesso che si debba usare il plurale, leggete l'articolo e capirete). Lascio a voi le conclusioni su quello che è successo, pregando di non andare sopra le righe in eventuali commenti a questo post. La mia opinione me la sono fatta, ma non ho voglia di entrare nella controversia, quindi facciamone un caso IPOTETICO generale.
Immaginiamo questo: lo scrittore X usa uno pseudonimo. Fin qui tutto bene, lo hanno fatto in centomila. Ma ad un certo punto X crea un'identità totalmente diversa e la fa interagire con altre persone sulla rete, imbastendo una "persona" che possa essere gradita a un certo tipo di ambiente e di pubblico. A parte il giusto e lo sbagliato, il legale e l'illegale (pare che si possa arrivare al punto in cui la cosa, oltre che poco simpatica, sia pure illegale), non dovrebbe venire prima la qualità di quello che si scrive?

Oppure. Leggiamo questo interessante post sul blog di Alessandro Girola, un post che in effetti parla di un argomento anche più ampio, ovvero sugli errori che può commettere chi cerca di diventare un "personaggio della rete." Citazione: I lettori vogliono interazione, vogliono partecipare alla fase creativa delle storie, desiderano dare del “tu” agli autori che seguono, ma anche dare consigli e fare richieste?
E’ giusto? E’ sbagliato? Chi lo sa. Però è così.
Lo scrittore deve anche sapersi vendere come "personaggio."

Insomma diventa una specie di attore, di divo, deve piacere: chi ha carisma ce la fa, gli altri non riescono a farsi notare.

Diamo un'occhiata al video di una presentazione in libreria di Isabella Santacroce.


E la domanda che mi pongo alla fine: ma in tutto questo, il valore di quello che uno scrive interessa ancora a qualcuno? Io sarò l'ipocondriaco misantropo rinchiuso in una grotta (con l'aria condizionata per fortuna), ma sono perplesso di fronte a questo predominio dell'apparire, allo sgomitare per la visibilità.
D'altra parte, non esiste, e me ne lamento ancora una volta, nessuna fonte autorevole che faccia da "termometro" per indicare la qualità di uno scrittore.















8 commenti:

Angelo ha detto...

La questione è vastissima ma per rispondere alla domanda finale l'unica cosa che mi viene in mente è la "resistenza" dei libri nel tempo. Le vendite nell'immediato possono essere "drogate" o sostenute da un sistema di marketing, i long seller sono spesso (quasi sempre) opere di uno spessore intellettuale rilevante.
Quanto all'essere personaggi o al cercare una presenza mediatica, ci sono talmente tanti modi diversi di farlo da rendere la generalizzazione difficile.

Bruno ha detto...

Vero, però con questo andazzo si rischia che solo chi riesce a essere "vistoso" possa pubblicare.

Alberto ha detto...

Per favore, dimmi che il filmato non lo hai visto tutto!
Dopo i primi 15 secondi io non ho resistito e ho fatto 4 salti (circa uno ogni minuto), giusto per vedere se cambiava qualcosa. Tra l'altro, di cosa trattava il libro? La presentazione non lo spiegava 8o forse era nelle parti che ho saltato?)
Seriamente, io non pago per una bella copertina, ma per quello che trovo scritto dentro al libro, come penso faccia tu

Bruno ha detto...

Il filmato l'ho visto a salti, comunque in quel momento non ho visto spiegazioni riguardanti il libro, può darsi che un minuto prima (o dopo) se ne sia parlato, comunque.

Quanto al libro presentato, ti rimando alla wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/V.M.18_%28romanzo%29

perché non ho dimestichezza con l'autrice e le sue opere.

Earwen ha detto...

Salve!

È un argomento interessante quello trattato in questo articolo.
Non ho la minima idea di come rispondere alla tua domanda, posso solo dirti che il concetto moderno di autore/vip che si "svende" per "vendere" non fa parte del mio pensiero.

Posso però citarti Jane Austem: lei era una donna di metà ottocento, che scrisse diversi romanzi da sola e che non ebbe mai la possibilità di vederne pubblicato uno.
Dopo la sua morte fu suo padre se non erro a farli pubblicare dall'editore.
A distanza di centocinquant'anni non solo si parla ancora di lei, della sua famiglia e di come amasse scrivere da sola per timore che qualcuno provasse a condizionarne le idee, ma ci hanno fatto films, serie televisive e documentari.
E tutt'ora la casa dov'è vissuta è ancora in piedi e ci hanno ambientato uno dei film di Orgoglio e Pregiudizio.

Quando si parla di autore, a me viene in mente lei.

Spero di essere riuscita ad esprimermi chiaramente.

Saluti!

Bruno ha detto...

@ Moriko S. personalmente trovo che la rete sia una gran cosa, quando non si esaspera la lotta per la visibilità in risse a tutti i costi: permette all'autore un rapporto con i propri lettori che sarebe stato impossibile in passato. Diffido però di chi punta sul far colpo con il carisma, con la prestanza fisica, insomma con la "piacioneria" anziché parlare di argomenti inerenti a quello che si scrive.

Manzovegano ha detto...

Non conosco i convenevoli dei blog, mi limito a un Ciao a tutti!
Il video l'ho visto tutto, se vi siete persi la parte dove grida "Io non voglio essere fotografata" consiglio di guardarla, fa abbastanza pena, per il resto non si spiccica una parola, e non si spiega assolutamente niente. Detto questo credo che il fenomeno vada visto come una meno preoccupante e problematico di quanto mi pare sia visto qui e su altri articoli(in realtà ho letto solo l'articolo di Tommaso de Beni su Conaltrimezzi). Mi spiego, ogni persona può trovare la sua arte solo non confrontandola con la dimensione comune e astratta del fenomeno di massa. Credo nessuno possa arrivare a scrivere bene se si fa influenzare da qualcosa che non gli piace ma che va tanto. E l'influenza io la vedo anche nel chiedersi perché un autore che personalmente non si stima sia così amato, conosciuto, apprezzato da tantissimi. Un esempio assurdo ma neanche tanto: non credo che nella i Pink Floyd avrebbero espresso la loro idea di musica se avessero perso del tempo a capire perché (sono un ignorante nella musica e non so trovare un esempio del tempo) Justin Bieber fa tante vendite; invece hanno seguito la loro visione della musica, e insomma hanno fatto quel che hanno fatto. Io vedo il successo di massa come molto vuoto. Credo(spero) che di un Fabio Volo a dieci anni dalla sua futura morte (che gli auguro il più tardi possibile, personalmente mi sta simpatico) non si sentirà più parlare. Il processo mi sembra simile a quello del video virale (ad esempio del leone che abbraccia chi lo ha allevato) e che poi dopo due giorni, settimane, anno non se lo caga più nessuno; anche perché poi quando una cosa la consumi senza farla tua, e credo che tutti questi libri che personalmente pur senza averli letti (sono un deduzionista, alla faccia di popper, e mi fido della mia esperienza precedente), senza averli letti reputo di poco spessore umano siano abbastanza superficiali e vuoti e tendenti all'emozione facile che nulla lasciano nella persona che li legge, se non poter dire che li han letti. Per cui, che ci frega a noi(o forse a me, alla fine non vi conosco), che quando leggiamo in noi qualche seme cade e non stiam lì a far passare il tempo?

Bruno ha detto...

Ciao Manzovegano! Qui il discorso è però un po' diverso da quello che fai tu, ovvero lo scrittore che "vende la sua arte" o piega a obblighi commerciali la sua penna... qui si parla di scrittori che diventano venditori della propria immagine, personaggio, ecc... che secondo me non è una cosa molto migliore.