Da un "pilota" per una serie TV che non è decollata è stato tratto un film che, sfruttando il classico filone degli zombie, gira l'horror in chiave comica riuscendo a trasformarsi in una commedia divertente. E anche scema, scema quanto volete, ma di una scemenza comica ricercata con intelligenza, mentre sempre di più sullo schermo (il cinema italiano docet) la risata si cerca di strapparla con la semplice volgarità. Che, beninteso, fa qualche bella comparsa anche qui.
Del regista, Ruben Fleischer, non c'è molto da dire, nel senso che qui ha fatto un discreto lavoro ma non ha alle spalle produzioni particolarmente interessanti.
La voce narrante è di Jesse Eisenberg (che potete vedere anche in The Social Network) nei panni di "Columbus", un ragazzo sociopatico che viveva chiuso nella sua stanza al college giocando a Warcraft col computer, e che grazie alla sua diffidenza e codardia di fondo è riuscito a salvarsi dall'epidemia zombie; il nostro si fa dare un passaggio sul veicolo condotto da "Tallahassee", personaggio fin troppo energico e pronto all'azione (interpretato da Woody Harrelson, che fu protagonista in Natural Born Killers). I due vivranno diverse avventure insieme in cerca dei Twinkie (una schifezza infarcita alla crema di cui Tallahassee va matto), incontrandosi e scontrandosi poi con due furbastre, la dura e astuta "Wichita" (Emma Stone, che ebbe una parte in Suxbad, non proprio un capolavoro di film) e la giovanissima ma implacabile "Little Rock" (Abigail Breslin, che è comparsa in Signs e in un sacco di altri film che... non ho visto). Tutti i personaggi si chiamano per soprannomi.
Nel cast fa la comparsa anche Bill Murray (Ghostbusters) interpretando sé stesso, e rapidamente esce di scena facendo una fine cretina. C'è anche Amber Heard, un'attrice emergente, nel ruolo di "406" (il protagonista la conosce solo per il numero di camera, visto che vivono entrambi nel dormitorio del college). 406 si rifugia nella stanza di Columbus per sfuggire a uno zombie ma... ci sarà un piccolo problema.
I punti forti del film sono (oltre alle scene di macelleria e violenza che ci si può ovviamente aspettare) una comicità spesso macabra (tra cui le regole d'oro per rimanere vivi di Columbus, che appaiono spesso sullo schermo come sovraimpressioni), un cast ben assortito, il non prendersi sul serio e anzi fare satira sul genere degli "zombie-movie" e, direi, anche gli stessi zombie così come sono raffigurati: non sono quelli imbranati e lenti alla Romero, ma più simili agli "infetti" di 28 Giorni dopo (e in realtà effettivamente sono vittime di una malattia e non morti viventi, anche se non c'è quella gran differenza).
Se non siete tra quelli che evitano per principio questo genere di film, non perdetevi Zombieland.
lunedì 29 novembre 2010
venerdì 26 novembre 2010
Benvenuta Amazon?
Uno dei blog di Repubblica parla dell'imminente arrivo di Amazon in Italia. Comincia con una frase un po' fuorviante: "Con soli 15 anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti avremo anche noi la possibilità di comprare da Amazon." Lo stesso post, e il video sottostante, chiariscono che molti Italiani in verità conoscono già Amazon, e io sono uno di quelli. Staglianò (autore del post) parla poi di una politica dove il cliente ha sempre ragione, di una "religione della customer care," e questo mi preoccupa un poco di più. Non metto in dubbio l'esperienza personale, ma io ho la mia ed è stata molto diversa, e mi ha spinto a smettere di essere un consumatore presso Amazon.co.uk (e di conseguenza anche presso gli altri siti presso cui avevo preso qualcosa, ovvero quello americano e quello francese, perché ho cancellato il mio profilo).
Il problema lo ebbi quando comprai un libro usato (nel "mercatino dell'usato" che funziona tramite Amazon). Questo era il libro, tra parentesi. Mentre controllavo l'esito del mio ordine apparve una comunicazione che lo dava per annullato. Un messaggio nella pagina web, non un messaggio di posta elettronica: circostanza che rese difficile contestare quello che avvenne in seguito.
Acquistai il libro, sempre usato perché fuori commercio, da un secondo venditore e chissà perché la transazione che doveva essere annullata invece passò, e così mi ritrovai con due copie identiche. La circostanza di questi messaggi che talvolta creavano confusione mi fu confermata dalla stessa venditrice (quella il cui ordine sembrava annullato) e io provai a contestare con Amazon, ma la splendida religione della customer care li portò a non volermi dare retta (la sto facendo breve), nemmeno trattandosi di una questione di poche sterline. Notare che avevo comprato libri a pacchi da loro.
Con questo finii per passare ad Abebooks, che tra parentesi non ha aspettato 15 anni per farsi vedere in Italia. E non scordiamoci che esiste anche IBS.
Detto tutto questo, poiché non sono uno che tiene un rancore in eterno, ora che Amazon ha il sito italiano certamente vorrò provarlo, diciamo che sulla "religione della customer care" continuerò ad avere dei ben giustificati dubbi.
Va detto che Amazon ha un vantaggio fondamentale su tutti gli altri siti che vendono in rete dei libri: permette, con un sistema ben rodato e ben partecipato dal pubblico, lo scambio di opinioni e recensioni, in modo che l'acquirente ha elementi per valutare cosa sta comprando. C'è anche altrove (per esempio su IBS) ma non sviluppato allo stesso modo. Amazon permette anche di "dare una sbirciata" al contenuto. Molto meglio comprare su siti che offrono servizi di questo tipo che vagare in libreria guardando le copertine.
Da Amazon comunque mi aspetto un'altra cosa. Poiché (per la scarsa reattività dei concorrenti) sembra almeno al momento aver vinto a mani basse la gara per diffondere il proprio lettore di contenuti digitali (il Kindle), spero veramente che prendano due decisioni fondamentali:
- adottare una politica di prezzi più equa, ovvero spartire veramente con il lettore l'enorme risparmio di cui gli editori (e i distributori online) godono quando non devono distribuire libri di carta e pagare i librai per venderli.
- piantarla con il DRM. Non voglio che un domani spostare i miei libri da uno strumento a un altro diventi un rompicapo insolubile, e non voglio rischiare di non poter leggere libri che ho comprato per qualche problema coi server di autenticazione, con i formati e gli standard tecnologici, e così via. Il software che avevo 10 anni fa non mi interessa più, i floppy disk che avevo 15 anni fa li ho buttati via, per i libri potrebbe essere una cosa diversa.
Il problema lo ebbi quando comprai un libro usato (nel "mercatino dell'usato" che funziona tramite Amazon). Questo era il libro, tra parentesi. Mentre controllavo l'esito del mio ordine apparve una comunicazione che lo dava per annullato. Un messaggio nella pagina web, non un messaggio di posta elettronica: circostanza che rese difficile contestare quello che avvenne in seguito.
Acquistai il libro, sempre usato perché fuori commercio, da un secondo venditore e chissà perché la transazione che doveva essere annullata invece passò, e così mi ritrovai con due copie identiche. La circostanza di questi messaggi che talvolta creavano confusione mi fu confermata dalla stessa venditrice (quella il cui ordine sembrava annullato) e io provai a contestare con Amazon, ma la splendida religione della customer care li portò a non volermi dare retta (la sto facendo breve), nemmeno trattandosi di una questione di poche sterline. Notare che avevo comprato libri a pacchi da loro.
Con questo finii per passare ad Abebooks, che tra parentesi non ha aspettato 15 anni per farsi vedere in Italia. E non scordiamoci che esiste anche IBS.
Detto tutto questo, poiché non sono uno che tiene un rancore in eterno, ora che Amazon ha il sito italiano certamente vorrò provarlo, diciamo che sulla "religione della customer care" continuerò ad avere dei ben giustificati dubbi.
Va detto che Amazon ha un vantaggio fondamentale su tutti gli altri siti che vendono in rete dei libri: permette, con un sistema ben rodato e ben partecipato dal pubblico, lo scambio di opinioni e recensioni, in modo che l'acquirente ha elementi per valutare cosa sta comprando. C'è anche altrove (per esempio su IBS) ma non sviluppato allo stesso modo. Amazon permette anche di "dare una sbirciata" al contenuto. Molto meglio comprare su siti che offrono servizi di questo tipo che vagare in libreria guardando le copertine.
Da Amazon comunque mi aspetto un'altra cosa. Poiché (per la scarsa reattività dei concorrenti) sembra almeno al momento aver vinto a mani basse la gara per diffondere il proprio lettore di contenuti digitali (il Kindle), spero veramente che prendano due decisioni fondamentali:
- adottare una politica di prezzi più equa, ovvero spartire veramente con il lettore l'enorme risparmio di cui gli editori (e i distributori online) godono quando non devono distribuire libri di carta e pagare i librai per venderli.
- piantarla con il DRM. Non voglio che un domani spostare i miei libri da uno strumento a un altro diventi un rompicapo insolubile, e non voglio rischiare di non poter leggere libri che ho comprato per qualche problema coi server di autenticazione, con i formati e gli standard tecnologici, e così via. Il software che avevo 10 anni fa non mi interessa più, i floppy disk che avevo 15 anni fa li ho buttati via, per i libri potrebbe essere una cosa diversa.
giovedì 25 novembre 2010
Da parte di uno che ne sa poco o niente
Non ho letto nemmeno uno dei libri della Rowling su Harry Potter. Solo qualche brano qua e là. E non ho seguito tutti i film, non ricordo nemmeno se ne ho visti due o tre (all'inizio della saga). L'aspetto favolistico e il contenuto da fiaba per ragazzi non l'ho affatto disprezzato, Harry Potter era anche divertente (anche se non mi piace l'attore), solo mi sono stancato rapidamente e non ho più avuto desiderio di continuare a vedere i film (né il tempo e la voglia di leggere i libri che pure avrei potuto facilmente ottenere in prestito).
Inizialmente, c'era un elemento non banale nella storia. Harry Potter viveva delle autentiche sofferenze, a parte essere un poveraccio orfano adottato da una famiglia (grottescamente) cattiva e ridotto a vivere in un sottoscala, il che potrebbe essere alla fine una sciocchezza da commedia.
Il suo mondo non era quello edulcorato stile Disney, ma quello della fiaba classica dove c'è molto spazio per la cattiveria. Questo è un aspetto interessante. Le vite dei bambini non sono sempre felici e certe storie sdolcinate non mi sono mai piaciute quando avevo l'età in cui me le rifilavano.
Adesso però, a parte l'indecorosa spremitura commerciale, il doppio finale sta decisamente sbandando in una direzione che, se potrebbe andare anche bene per i ragazzini che sono cresciuti negli anni con questa serie, mi sembra eccessiva per quelli che, magari più piccoli, non avevano seguito la saga fin dall'inizio e vi si avvicinano adesso: e dopo aver visto a tappe forzate i film precedenti, si ritroveranno desiderosi di vedere un film che, per quello che leggo del suo cupo finale, non mi pare molto adatto ai giovanissimi.
Ma forse sto ponendomi un falso problema?
Inizialmente, c'era un elemento non banale nella storia. Harry Potter viveva delle autentiche sofferenze, a parte essere un poveraccio orfano adottato da una famiglia (grottescamente) cattiva e ridotto a vivere in un sottoscala, il che potrebbe essere alla fine una sciocchezza da commedia.
Il suo mondo non era quello edulcorato stile Disney, ma quello della fiaba classica dove c'è molto spazio per la cattiveria. Questo è un aspetto interessante. Le vite dei bambini non sono sempre felici e certe storie sdolcinate non mi sono mai piaciute quando avevo l'età in cui me le rifilavano.
Adesso però, a parte l'indecorosa spremitura commerciale, il doppio finale sta decisamente sbandando in una direzione che, se potrebbe andare anche bene per i ragazzini che sono cresciuti negli anni con questa serie, mi sembra eccessiva per quelli che, magari più piccoli, non avevano seguito la saga fin dall'inizio e vi si avvicinano adesso: e dopo aver visto a tappe forzate i film precedenti, si ritroveranno desiderosi di vedere un film che, per quello che leggo del suo cupo finale, non mi pare molto adatto ai giovanissimi.
Ma forse sto ponendomi un falso problema?
sabato 20 novembre 2010
Codice 46
Un film di fantascienza povero, fatto con mezzi ridotti alll'osso (salvo per le locazioni distanti fra loro in cui è situata l'azione): tutto sommato riesce ad essere abbastanza credibile perché parla di vite quotidiane e non ha nessun bisogno di far vedere allo spettatore una tecnologia strabiliante in azione.
Il film è di qualche anno fa, produzione inglese per la regia di Michael Winterbottom. In Codice 46 quella che viene esplorata è una relazione sentimentale tra William (interpretato da Tim Robbins) che è una specie di ispettore per una società privata, e Maria (Samantha Morton) che lavora in un laboratorio dove si producono certificati assicurativi (chiamati "copertura" o "papello" nella versione italiana del film) che fanno anche da visto e legittimano viaggi e trasferimenti delle persone in un mondo strettamente separato tra chi è "dentro" le aree urbanizzate e chi è condannato a stare all'esterno, escluso dall'economia e dalla società, sotto il sole che è diventato in qualche modo pericoloso (forse è scomparso lo strato di ozono dall'atmosfera?).
Maria produce dei falsi e fa sparire certificati veri per profitto, e in questa attività ha almeno un complice, a quanto si vede nel film. William si sente attratto da lei ed evita di denunciarla (fa finire un altro nei guai al suo posto). Però non può nascondere a dovere questa scelta poco ortodossa che viene smascherata facilmente, e peggiorerà la situazione avendo una relazione con la donna.
Oltre alla separazione delle persone in chi vive "al coperto" e chi è escluso, gli elementi fantascientifici non sono moltissimi ma ci sono. Il Codice 46 del titolo è una legge che proibisce i rapporti tra chi è anche lontanamente imparentato per somiglianza di codice genetico. La relazione tra i due protagonisti rompe questa legge ed è un altro strumento con cui il film mostra una società intrusiva nelle vite delle persone, ma non c'è spiegazione per il motivo che rende così severa l'applicazione del codice. Chi trasgredisce ha la memoria cancellata e non viene incarcerato. Anche il governo (che sembra uno per tutto il mondo e viene chiamato "la Sfinge") non ha molto approfondimento, così come il "virus dell'empatia" che William usa per avere le informazioni facendo parlare le persone anche di argomenti non collegati a ciò che gli interessa.
La gente è un po' di tutte le razze anche se l'azione è in posti ben precisi (Maria lavora a Shangai, William vive a Seattle dove ha moglie e figlio). Il linguaggio usa termini presi a prestito da diverse lingue. Quanto alle scenografie, la regia sfrutta abilmente inquadrature di luoghi esistenti, grattacieli come località esotiche, per creare un aspetto futuristico e strano, e dappertutto ci sono tornelli, posti di blocco con agenti ecc... Le automobili hanno un aspetto assai ordinario e contemporaneo (tranne una specie di Trabant che i protagonisti usano in uno sviluppo della storia) nonostante il mondo di cui si parla non può essere vicinissimo a noi come epoca.
L'effetto che questo film lascia è quello di un mondo malinconico e infelice, di una burocrazia superficialmente corretta, restia a mostrare un volto ferocemente autoritario, ma che in effetti entra di prepotenza anche nella vita privata, oltre a dividere la gente in cittadini e in paria (nel modo in cui William e Maria si muovono si vede però che esiste spazio per saltare le barriere, anche con corruzione e frode). Con il pretesto di una storia d'amore (extraconiugale, per William, ma c'è un elemento in più che non rivelo qui) viene mostrato il volto anonimo di un potere contro cui non sembra possibile fare niente.
A me ricorda molto il triste autunno delle società democratiche di oggi.
Il film è di qualche anno fa, produzione inglese per la regia di Michael Winterbottom. In Codice 46 quella che viene esplorata è una relazione sentimentale tra William (interpretato da Tim Robbins) che è una specie di ispettore per una società privata, e Maria (Samantha Morton) che lavora in un laboratorio dove si producono certificati assicurativi (chiamati "copertura" o "papello" nella versione italiana del film) che fanno anche da visto e legittimano viaggi e trasferimenti delle persone in un mondo strettamente separato tra chi è "dentro" le aree urbanizzate e chi è condannato a stare all'esterno, escluso dall'economia e dalla società, sotto il sole che è diventato in qualche modo pericoloso (forse è scomparso lo strato di ozono dall'atmosfera?).
Maria produce dei falsi e fa sparire certificati veri per profitto, e in questa attività ha almeno un complice, a quanto si vede nel film. William si sente attratto da lei ed evita di denunciarla (fa finire un altro nei guai al suo posto). Però non può nascondere a dovere questa scelta poco ortodossa che viene smascherata facilmente, e peggiorerà la situazione avendo una relazione con la donna.
Oltre alla separazione delle persone in chi vive "al coperto" e chi è escluso, gli elementi fantascientifici non sono moltissimi ma ci sono. Il Codice 46 del titolo è una legge che proibisce i rapporti tra chi è anche lontanamente imparentato per somiglianza di codice genetico. La relazione tra i due protagonisti rompe questa legge ed è un altro strumento con cui il film mostra una società intrusiva nelle vite delle persone, ma non c'è spiegazione per il motivo che rende così severa l'applicazione del codice. Chi trasgredisce ha la memoria cancellata e non viene incarcerato. Anche il governo (che sembra uno per tutto il mondo e viene chiamato "la Sfinge") non ha molto approfondimento, così come il "virus dell'empatia" che William usa per avere le informazioni facendo parlare le persone anche di argomenti non collegati a ciò che gli interessa.
La gente è un po' di tutte le razze anche se l'azione è in posti ben precisi (Maria lavora a Shangai, William vive a Seattle dove ha moglie e figlio). Il linguaggio usa termini presi a prestito da diverse lingue. Quanto alle scenografie, la regia sfrutta abilmente inquadrature di luoghi esistenti, grattacieli come località esotiche, per creare un aspetto futuristico e strano, e dappertutto ci sono tornelli, posti di blocco con agenti ecc... Le automobili hanno un aspetto assai ordinario e contemporaneo (tranne una specie di Trabant che i protagonisti usano in uno sviluppo della storia) nonostante il mondo di cui si parla non può essere vicinissimo a noi come epoca.
L'effetto che questo film lascia è quello di un mondo malinconico e infelice, di una burocrazia superficialmente corretta, restia a mostrare un volto ferocemente autoritario, ma che in effetti entra di prepotenza anche nella vita privata, oltre a dividere la gente in cittadini e in paria (nel modo in cui William e Maria si muovono si vede però che esiste spazio per saltare le barriere, anche con corruzione e frode). Con il pretesto di una storia d'amore (extraconiugale, per William, ma c'è un elemento in più che non rivelo qui) viene mostrato il volto anonimo di un potere contro cui non sembra possibile fare niente.
A me ricorda molto il triste autunno delle società democratiche di oggi.
venerdì 19 novembre 2010
Piccole soddisfazioni
La rivista Writer's Magazine, dopo la raccolta dei 365 racconti erotici di qualche tempo fa (l'accostamento alla durata dell'anno non è casuale), si ripropone come motore di un secondo esperimento della Delos Books, impostato intorno a un argomento diverso (horror) ma con una struttura simile. Racconti da una pagina (2.000 caratteri) scritti dai collaboratori, dai lettori della rivista, da chi vuole, con una tematica horror a piacere; se non si viene scelti si possono fare altri tentativi. Questo il regolamento per partecipare e i vincoli.
I selezionati avranno ciascuno a disposizione un giorno dell'anno per comparire con il loro racconto.
Sono lieto di dire che il mio è stato selezionato! Qui leggete una anteprima, se vi va.
I selezionati avranno ciascuno a disposizione un giorno dell'anno per comparire con il loro racconto.
Sono lieto di dire che il mio è stato selezionato! Qui leggete una anteprima, se vi va.
martedì 16 novembre 2010
Perché non mi piace Matrix
In risposta a gentile sollecitazione, parlo di questo film, a metà tra la fantascienza e il fantastico. Poniamo come presupposto che lo abbiate già visto e cominciamo dalla fine, per togliercela di torno: Matrix in realtà non è solo un film, è una trilogia. I due seguiti (che in effetti sono un film solo, tagliato brutalmente in due per via della lunghezza) portano solo un paio di novità in quella che si afferma principalmente come una storia d'azione basata fin troppo sugli effetti speciali: ovvero l'accentuarsi del lato "mistico," per così dire, del personaggio di Neo, e il rilievo dato a personaggi che sono in effetti Intelligenze Artificiali che si interfacciano nella matrice. La prima cosa non mi ha convinto e mi è parsa ridicola, la seconda invece piacevole, non si vede tantissimo al cinema. Ma persa la sorpresa e la freschezza del primo film, la continuazione e la fine della storia sono stantie, anticlimatiche. I fratelli Wachowski forse avrebbero fatto meglio a evitare un seguito (salvo che per motivi di cassetta, ovviamente).
Matrix ha colpito per la cinematografia, le scene d'azione rallentate, l'originalità di certe scelte stilistiche, e per affidarsi a una premessa (tutta la realtà è una finzione) intrigante e piena di promesse per il prosieguo della storia (promesse a mio parere mantenute in parte). Ci porta un Keanu Reeves in forma, adatto per le parti dove bisogna avere un attore che sappia essere dinamico e radicato nel mondo reale e allo stesso tempo avere un "non so che" di saggio, filosofico o misterioso. Bella anche l'interpretazione di Laurence Fishburne (Morpheus) e brava perfino Carrie Anne-Moss in un ruolo che per definizione non mi piace, quello della action chick di turno, Trinity. Personalmente m'è piaciuto anche Joe Pantoliano nei panni di Cypher, il traditore.
Quello che mi ha dato fastidio è che la pretesa di profondità di questo film, tra discorsi pseudo filosofici e pseudo politici e qualche canzone arrabbiata dei Rage Against the Machine, sia stata presa così spesso sul serio. Qualcuno ha detto che Matrix è il Blade Runner degli anni 90, e la cosa mi fa orrore per la superficialità che certe opinioni rivelano.
Blade Runner è un film con un significato sociale e politico, più di quanto il suo stesso regista si curi di ammettere, ed è un classico che regge il confronto con i film moderni ancora oggi, mentre Matrix (che ha avuto una influenza estetica forte, ma ovviamente queste cose sbiadiscono velocemente al giorno d'oggi) gigioneggia con le apparenze, fa discorsi strampalati, parte da un discorso che si potrebbe supporre politico (una critica dell'alienazione e dei condizionamenti) e sfocia invece nella baggianata pseudoreligiosa, con un protagonista che diventa una sorta di incrocio tra Superman e Gesù Cristo (parole di chi ne è l'artefice, non mie).
E' un trionfo dell'effetto speciale e dell'apparire, è il classico prodotto dei nostri tempi dove grattando il marchio scintillante vedi che sotto non c'è un gran che.
Una cosa che mi fece rabbrividire quando vidi Matrix al cinema: il racconto semi-mitico della lotta fra uomini e macchine, quando gli uomini oscurarono il cielo per togliere l'energia solare che serviva alle macchine, e in risposta le macchine ridussero in schiavitù gli uomini usandoli come fonte di energia. E con questo Morpheus mostra un pila, facendo capire che un corpo umano vivo sarebbe una fonte di energia bioelettrica appetibile per le macchine. Ora, qualora il film fosse un capolavoro (e non lo è), sarebbe comunque gravemente minato alla radice visto che l'ambientazione si basa su una stupidaggine di questo tipo. Se gli umani anche da vinti hanno dato tali problemi a doverli mantenere in una realtà virtuale fatta apposta per loro, l'unica decisione ragionevole per le macchine sarebbe stata di eliminarli, una volta che li hanno avuti in pugno, per ricorrere a una fonte di calore ed energia meno difficile da gestire. Non che manchino i possibili esempi: mucche, pecore, cavalli... Se la contro-obiezione fosse che gli animali non si possono usare perché sono scomparsi (in effetti non se ne vede un gran che, nel devastato mondo reale), allora ancor più assurdo appare il finale della trilogia dove gli umani verranno liberati: senza bestiame come potranno nutrirsi? Dovrebbero continuare a mangiarsi la schifezza riciclata che veniva loro fatta assorbire nei bozzoli in cui erano prigionieri? Senza contare che, se Neo era già al limite dell'età in cui un uomo può esser staccato dalla matrice, allora questa liberazione dell'umanità al termine della trilogia sembra porre altri problemi insolubili.
Insomma, premesse contaminate di assurdità, pesanti (anche se non siamo al livello del remake di Ultimatum alla Terra di cui ho parlato quest'estate...), ma ancor più fastidiose perché nessuno sembra farci caso. Aggiungiamoci pure il fatto che l'ultima città sotto controllo degli umani, Zion, esiste come posto mitico di cui nulla viene spiegato: nei seguiti di Matrix la vedremo, a dir la verità, ma restano dei dubbi su come possa sussistere questa specie di ultimo bunker. Di cosa si nutrono i suoi abitanti? Da dove trae le risorse?
Detto tutto questo, Matrix sarebbe un film leggero ma anche piacevole qua e là, se non si prendesse così sul serio. E se non fosse stato preso così sul serio da qualcuno. Un fumettone gonfiato fino a essere analizzato dal punto di vista filosofico e religioso (c'è anche una setta nata da questo film, se diamo fede alla wikipedia).
Ma considerando che stavano per dare la parte di Neo a Nicolas Cage (che l'onnipotente ci protegga), poteva andare ancora peggio, direi.
Matrix ha colpito per la cinematografia, le scene d'azione rallentate, l'originalità di certe scelte stilistiche, e per affidarsi a una premessa (tutta la realtà è una finzione) intrigante e piena di promesse per il prosieguo della storia (promesse a mio parere mantenute in parte). Ci porta un Keanu Reeves in forma, adatto per le parti dove bisogna avere un attore che sappia essere dinamico e radicato nel mondo reale e allo stesso tempo avere un "non so che" di saggio, filosofico o misterioso. Bella anche l'interpretazione di Laurence Fishburne (Morpheus) e brava perfino Carrie Anne-Moss in un ruolo che per definizione non mi piace, quello della action chick di turno, Trinity. Personalmente m'è piaciuto anche Joe Pantoliano nei panni di Cypher, il traditore.
Quello che mi ha dato fastidio è che la pretesa di profondità di questo film, tra discorsi pseudo filosofici e pseudo politici e qualche canzone arrabbiata dei Rage Against the Machine, sia stata presa così spesso sul serio. Qualcuno ha detto che Matrix è il Blade Runner degli anni 90, e la cosa mi fa orrore per la superficialità che certe opinioni rivelano.
Blade Runner è un film con un significato sociale e politico, più di quanto il suo stesso regista si curi di ammettere, ed è un classico che regge il confronto con i film moderni ancora oggi, mentre Matrix (che ha avuto una influenza estetica forte, ma ovviamente queste cose sbiadiscono velocemente al giorno d'oggi) gigioneggia con le apparenze, fa discorsi strampalati, parte da un discorso che si potrebbe supporre politico (una critica dell'alienazione e dei condizionamenti) e sfocia invece nella baggianata pseudoreligiosa, con un protagonista che diventa una sorta di incrocio tra Superman e Gesù Cristo (parole di chi ne è l'artefice, non mie).
E' un trionfo dell'effetto speciale e dell'apparire, è il classico prodotto dei nostri tempi dove grattando il marchio scintillante vedi che sotto non c'è un gran che.
Una cosa che mi fece rabbrividire quando vidi Matrix al cinema: il racconto semi-mitico della lotta fra uomini e macchine, quando gli uomini oscurarono il cielo per togliere l'energia solare che serviva alle macchine, e in risposta le macchine ridussero in schiavitù gli uomini usandoli come fonte di energia. E con questo Morpheus mostra un pila, facendo capire che un corpo umano vivo sarebbe una fonte di energia bioelettrica appetibile per le macchine. Ora, qualora il film fosse un capolavoro (e non lo è), sarebbe comunque gravemente minato alla radice visto che l'ambientazione si basa su una stupidaggine di questo tipo. Se gli umani anche da vinti hanno dato tali problemi a doverli mantenere in una realtà virtuale fatta apposta per loro, l'unica decisione ragionevole per le macchine sarebbe stata di eliminarli, una volta che li hanno avuti in pugno, per ricorrere a una fonte di calore ed energia meno difficile da gestire. Non che manchino i possibili esempi: mucche, pecore, cavalli... Se la contro-obiezione fosse che gli animali non si possono usare perché sono scomparsi (in effetti non se ne vede un gran che, nel devastato mondo reale), allora ancor più assurdo appare il finale della trilogia dove gli umani verranno liberati: senza bestiame come potranno nutrirsi? Dovrebbero continuare a mangiarsi la schifezza riciclata che veniva loro fatta assorbire nei bozzoli in cui erano prigionieri? Senza contare che, se Neo era già al limite dell'età in cui un uomo può esser staccato dalla matrice, allora questa liberazione dell'umanità al termine della trilogia sembra porre altri problemi insolubili.
Insomma, premesse contaminate di assurdità, pesanti (anche se non siamo al livello del remake di Ultimatum alla Terra di cui ho parlato quest'estate...), ma ancor più fastidiose perché nessuno sembra farci caso. Aggiungiamoci pure il fatto che l'ultima città sotto controllo degli umani, Zion, esiste come posto mitico di cui nulla viene spiegato: nei seguiti di Matrix la vedremo, a dir la verità, ma restano dei dubbi su come possa sussistere questa specie di ultimo bunker. Di cosa si nutrono i suoi abitanti? Da dove trae le risorse?
Detto tutto questo, Matrix sarebbe un film leggero ma anche piacevole qua e là, se non si prendesse così sul serio. E se non fosse stato preso così sul serio da qualcuno. Un fumettone gonfiato fino a essere analizzato dal punto di vista filosofico e religioso (c'è anche una setta nata da questo film, se diamo fede alla wikipedia).
Ma considerando che stavano per dare la parte di Neo a Nicolas Cage (che l'onnipotente ci protegga), poteva andare ancora peggio, direi.
sabato 13 novembre 2010
Off Topic: un film da non vedere
Aspetto (e probabilmente non vedrò mai) un film bello, forte, epico, senza frottole patriottiche ma senza dover necessariamente buttare tutto in vacca, sul risorgimento italiano.
Del film che esce in questi giorni, Noi Credevamo di Martone (mattone di circa tre ore) si può vedere una anteprima sul Corriere online: mi ha fatto cascare le braccia nel giro di una manciata di secondi. Classico film italiano che non può essere esportato oltre Lugano, dove in nome del realismo o di discorsi interni di noialtri si fanno le soltie scelte assassine, come recitare in dialetto (in certi momenti avrei avuto bisogno dei sottotitoli) o lanciare riferimenti alla politica di oggi. Quanto alla scelta coraggiosa, quella di raccontare il risorgimento "non come ce lo hanno fatto studiare a scuola," ma con tutta la schifezza e la cattiveria, è da vent'anni che vediamo solo spalare letame sul risorgimento. Che brillantezza intellettuale, che grande novità.
Mettiamoci una pietra sopra. Ma se per sbaglio qualcuno lo va a vedere, mi faccia sapere cosa ne pensa, per favore.
Del film che esce in questi giorni, Noi Credevamo di Martone (mattone di circa tre ore) si può vedere una anteprima sul Corriere online: mi ha fatto cascare le braccia nel giro di una manciata di secondi. Classico film italiano che non può essere esportato oltre Lugano, dove in nome del realismo o di discorsi interni di noialtri si fanno le soltie scelte assassine, come recitare in dialetto (in certi momenti avrei avuto bisogno dei sottotitoli) o lanciare riferimenti alla politica di oggi. Quanto alla scelta coraggiosa, quella di raccontare il risorgimento "non come ce lo hanno fatto studiare a scuola," ma con tutta la schifezza e la cattiveria, è da vent'anni che vediamo solo spalare letame sul risorgimento. Che brillantezza intellettuale, che grande novità.
Mettiamoci una pietra sopra. Ma se per sbaglio qualcuno lo va a vedere, mi faccia sapere cosa ne pensa, per favore.
giovedì 11 novembre 2010
Brevissimo omaggio a Dino De Laurentiis
Veramente non ci avevo mai riflettuto, ma questo mostro sacro del cinema, che ci ha lasciati a 91 anni, è stato un campione del cinema fantastico (tra le altre cose, ovviamente).
Oltre ad aver dato vita a Conan, è anche il produttore di Dune e, meno importanti per me ma sempre noti agli amanti del fantastico, Flash Gordon e L'Armata delle Tenebre. Mettiamoci pure Barbarella, il remake di King Kong e Diabolik. Ma ce ne sono molti altri, parlando solo di quelli attinenti al fantastico, senza contare che questo produttore ha al suo attivo alcuni dei capolavori del cinema sia italiano che internazionale.
Se ne è andato un gigante, un protagonista di quell'epoca in cui l'Italia, senza neanche saperlo, ebbe una grandezza come non rivedremo mai più.
Oltre ad aver dato vita a Conan, è anche il produttore di Dune e, meno importanti per me ma sempre noti agli amanti del fantastico, Flash Gordon e L'Armata delle Tenebre. Mettiamoci pure Barbarella, il remake di King Kong e Diabolik. Ma ce ne sono molti altri, parlando solo di quelli attinenti al fantastico, senza contare che questo produttore ha al suo attivo alcuni dei capolavori del cinema sia italiano che internazionale.
Se ne è andato un gigante, un protagonista di quell'epoca in cui l'Italia, senza neanche saperlo, ebbe una grandezza come non rivedremo mai più.
E-book: siamo già al colore?
Aspettavo con ansia gli speciali schermi (con tecnologia simile agli LCD ma molto meno assetati di energia) della PixelQi: pare che li vedremo sul prossimo Kindle, ragione già buona per raffreddare i miei entusiasmi (non amo Amazon, non amo i DRM).
Ma poi arriva questo, uno schermo E-Ink a colori grazie al perfezionamento degli attuali schermi non retroilluminati.
Quindi siamo già arrivati all'ebook a colori. Sarà poi vero?
Ma poi arriva questo, uno schermo E-Ink a colori grazie al perfezionamento degli attuali schermi non retroilluminati.
Quindi siamo già arrivati all'ebook a colori. Sarà poi vero?
mercoledì 10 novembre 2010
Il Labirinto del Fauno
Un film spagnolo, e un fantasy che non è un fantasy, a quanto pare. Guillermo del Toro ha detto più volte di non essere molto entusiasta riguardo al genere. Esplicitamente: dichiarazioni come "non mi piacciono gli omini coi piedi pelosi e i draghi..." (strano, per uno che avrebbe dovuto dirigere Lo Hobbit).
Tuttavia in questo film il regista ha fatto ricorso al mondo delle favole per spiegare il percorso di ribellione di una ragazzina, e il risultato è un mondo fantastico che, sebbene sia evidente che esiste solo nella mente della giovanissima Ofelia (Ivana Baquero), riesce a sorprendere, impaurire e accattivare al tempo stesso.
Il Labirinto del Fauno (traduzione semplice e ineccepibile una volta tanto, ma in inglese è diventato il Labirinto di Pan) si svolge nella Spagna del 1944 governata da Franco, nel periodo in cui la guerriglia manteneva ancora un piede in qualche zona rurale e veniva soffocata poco a poco dalla milizia nazionalista. Se vogliamo aprire una brevissima nota storica: Franco emerse come capo in un gruppo di leader militari che nel 1936 si ribellarono a un governo democratico portandosi dietro la massa dell'esercito regolare; dopo un periodo di incertezza prese decisamente il sopravvento e nel 1939 soffocò il governo repubblicano. La Spagna tornò alla democrazia solo dopo la morte di Franco.
Questo è il vero tema di cui vuole parlarci il regista. La storia si svolge attorno a un piccolo avamposto tenuto dalla milizia franchista, un manipolo relativamente modesto ma comandato da un uomo crudele e dalla volontà di ferro: il capitano Vidal (Sergi Lopez). E' un cattivo da favola, rigido e odioso come più non si potrebbe; però come personaggio, visto il contesto, non è irrealistico.
I suoi avversari sono i guerriglieri, che vengono dipinti come i buoni della storia.
Questa è ovviamente una visione politica del regista. Se volete prendere due piccioni con una fava, acquistando Omaggio alla Catalogna di George Orwell combinerete un'ottima lettura con una visione un po' più sobria su come andassero le cose nella fazione repubblicana.
Attorno alla lotta fra Vidal e i guerriglieri vi sono diversi personaggi: Carmen, moglie di Vidal e madre di Ofelia, incinta, malata e stanca. Si capisce subito che Vidal tollera la poco disciplinata Ofelia, che non è figlia sua, solo perché Carmen sta per dargli un erede (che egli vuole maschio); anche nei confronti dei notabili della zona, che ovviamente rispettano Vidal, Carmen e Ofelia sono mostrate in difficoltà e in inferiorità. Mercedes, la domestica, è sorella di uno dei guerriglieri, e li aiuta come può. Anche il Dottor Ferreiro collabora segretamente con i ribelli, prestando loro le cure mediche.
In questo ambiente terribile Ofelia, una bambina che si trova ad affrontare un universo di odio, fantastica sull'incontro con un Satiro che le parla un mondo incantato, di cui lei è la principessa e in cui potrebbe ritornare. Le prove che Ofelia deve superare sono impressionanti come le creature che incontra: queste sono state create con grande perizia, facendo risaltare tutto l'orrido e lo spaventoso che ci può essere nell'universo della fiaba (l'Uomo Pallido decisamente è il mio preferito). Lo stesso Satiro è una figura tutt'altro che compassionevole e a suo modo sinistra. A parte i riferimenti mitologici e i richiami alle figure della tradizione pagana (Pan, il mondo sotterraneo degli dèi inferi, ecc...) il tema portante è l'anima ribelle di Ofelia che crea la propria realtà alternativa a un mondo insopportabile, e alla decisione, che sviluppa in questa realtà, di disobbedire sia a Vidal, sia a sua madre che la voleva acquiescente di fronte a un mondo dove la realtà è crudele ed è inutile illudersi con le favole.
Il film non è facilmente interpretabile con una banale categoria, comunque. E non ha il semplice e lineare lieto fine che ci si potrebbe aspettare da una storia del genere. (Attenzione, saltate al paragrafo successivo se non volete leggere particolari della trama). Ofelia non è premiata per il coraggio di continuare le sue prove, il Satiro non è un personaggio benevolo, il successo arriverà solo in un'illusione mentre la ragazza è in agonia, e sebbene i ribelli colgono la vittoria su Vidal, lo spettatore sa (se conosce un po' la storia, beninteso) che sono condannati ad essere sconfitti.
Punti forti di questo film sono le grandi interpretazioni degli attori (soprattutto la Baquero, ma non solo) e l'ottima resa del mondo fantastico, ottenuta con un budget non astronomico. Storia e finale lasciano dei dubbi e sono aperti all'interpretazione, e non è detto che sia una cattiva cosa. Soprattutto, nella crudezza della storia che narra, anche se c'è una ragazzina come protagonista è un fantasy decisamente adulto (se lo vogliamo vedere come fantasy, sperando... di non offendere il regista). Di questi tempi non è qualità da poco.
Tuttavia in questo film il regista ha fatto ricorso al mondo delle favole per spiegare il percorso di ribellione di una ragazzina, e il risultato è un mondo fantastico che, sebbene sia evidente che esiste solo nella mente della giovanissima Ofelia (Ivana Baquero), riesce a sorprendere, impaurire e accattivare al tempo stesso.
Il Labirinto del Fauno (traduzione semplice e ineccepibile una volta tanto, ma in inglese è diventato il Labirinto di Pan) si svolge nella Spagna del 1944 governata da Franco, nel periodo in cui la guerriglia manteneva ancora un piede in qualche zona rurale e veniva soffocata poco a poco dalla milizia nazionalista. Se vogliamo aprire una brevissima nota storica: Franco emerse come capo in un gruppo di leader militari che nel 1936 si ribellarono a un governo democratico portandosi dietro la massa dell'esercito regolare; dopo un periodo di incertezza prese decisamente il sopravvento e nel 1939 soffocò il governo repubblicano. La Spagna tornò alla democrazia solo dopo la morte di Franco.
Questo è il vero tema di cui vuole parlarci il regista. La storia si svolge attorno a un piccolo avamposto tenuto dalla milizia franchista, un manipolo relativamente modesto ma comandato da un uomo crudele e dalla volontà di ferro: il capitano Vidal (Sergi Lopez). E' un cattivo da favola, rigido e odioso come più non si potrebbe; però come personaggio, visto il contesto, non è irrealistico.
I suoi avversari sono i guerriglieri, che vengono dipinti come i buoni della storia.
Questa è ovviamente una visione politica del regista. Se volete prendere due piccioni con una fava, acquistando Omaggio alla Catalogna di George Orwell combinerete un'ottima lettura con una visione un po' più sobria su come andassero le cose nella fazione repubblicana.
Attorno alla lotta fra Vidal e i guerriglieri vi sono diversi personaggi: Carmen, moglie di Vidal e madre di Ofelia, incinta, malata e stanca. Si capisce subito che Vidal tollera la poco disciplinata Ofelia, che non è figlia sua, solo perché Carmen sta per dargli un erede (che egli vuole maschio); anche nei confronti dei notabili della zona, che ovviamente rispettano Vidal, Carmen e Ofelia sono mostrate in difficoltà e in inferiorità. Mercedes, la domestica, è sorella di uno dei guerriglieri, e li aiuta come può. Anche il Dottor Ferreiro collabora segretamente con i ribelli, prestando loro le cure mediche.
In questo ambiente terribile Ofelia, una bambina che si trova ad affrontare un universo di odio, fantastica sull'incontro con un Satiro che le parla un mondo incantato, di cui lei è la principessa e in cui potrebbe ritornare. Le prove che Ofelia deve superare sono impressionanti come le creature che incontra: queste sono state create con grande perizia, facendo risaltare tutto l'orrido e lo spaventoso che ci può essere nell'universo della fiaba (l'Uomo Pallido decisamente è il mio preferito). Lo stesso Satiro è una figura tutt'altro che compassionevole e a suo modo sinistra. A parte i riferimenti mitologici e i richiami alle figure della tradizione pagana (Pan, il mondo sotterraneo degli dèi inferi, ecc...) il tema portante è l'anima ribelle di Ofelia che crea la propria realtà alternativa a un mondo insopportabile, e alla decisione, che sviluppa in questa realtà, di disobbedire sia a Vidal, sia a sua madre che la voleva acquiescente di fronte a un mondo dove la realtà è crudele ed è inutile illudersi con le favole.
Il film non è facilmente interpretabile con una banale categoria, comunque. E non ha il semplice e lineare lieto fine che ci si potrebbe aspettare da una storia del genere. (Attenzione, saltate al paragrafo successivo se non volete leggere particolari della trama). Ofelia non è premiata per il coraggio di continuare le sue prove, il Satiro non è un personaggio benevolo, il successo arriverà solo in un'illusione mentre la ragazza è in agonia, e sebbene i ribelli colgono la vittoria su Vidal, lo spettatore sa (se conosce un po' la storia, beninteso) che sono condannati ad essere sconfitti.
Punti forti di questo film sono le grandi interpretazioni degli attori (soprattutto la Baquero, ma non solo) e l'ottima resa del mondo fantastico, ottenuta con un budget non astronomico. Storia e finale lasciano dei dubbi e sono aperti all'interpretazione, e non è detto che sia una cattiva cosa. Soprattutto, nella crudezza della storia che narra, anche se c'è una ragazzina come protagonista è un fantasy decisamente adulto (se lo vogliamo vedere come fantasy, sperando... di non offendere il regista). Di questi tempi non è qualità da poco.
domenica 7 novembre 2010
La triste fine di Alatriste?
Ok, non ha molto a che vedere con il fantastico perché si tratta di un personaggio inserito in romanzi storici. Io non ne ho letto nemmeno uno, diciamo la verità, però ho visto il film, e nonostante ci siano delle pecche di regia molto evidenti, con il tentativo di seguire troppe vicende comprimendole in una maniera da risultare comprensibili solo a chi conosce i libri, Alatriste è nella mia short list dei film migliori. E dei libri che devo decidermi a leggere.
Non posso che essere sorpreso, negativamente, alla notizia che Pérez-Reverte lancia un nuovo personaggio, una eroina dal nome di Lolita, in una nuova storia (o una nuova saga?) ambientata antorno ai primi dell'ottocento. Spero bene che non avremo il solito personaggio di plastica, la solita donna finta trapiantata dalle pagine delle riviste tipo Cosmopolitan in un'epoca non sua. Con quel nome poi...
L'autore dichiara sul Corriere che non sarà un'eroina femminista perché sarebbe assurdo per i tempi (meno male...) ma una donna istruita e che ha viaggiato, come ce n'erano nell'epoca che prende in considerazione. Quindi le intenzioni non sarebbero malvagie. Vedremo il risultato...
Non posso che essere sorpreso, negativamente, alla notizia che Pérez-Reverte lancia un nuovo personaggio, una eroina dal nome di Lolita, in una nuova storia (o una nuova saga?) ambientata antorno ai primi dell'ottocento. Spero bene che non avremo il solito personaggio di plastica, la solita donna finta trapiantata dalle pagine delle riviste tipo Cosmopolitan in un'epoca non sua. Con quel nome poi...
L'autore dichiara sul Corriere che non sarà un'eroina femminista perché sarebbe assurdo per i tempi (meno male...) ma una donna istruita e che ha viaggiato, come ce n'erano nell'epoca che prende in considerazione. Quindi le intenzioni non sarebbero malvagie. Vedremo il risultato...
lunedì 1 novembre 2010
Ad Astra
Il mio semi-omonimo Bruno Faidutti è un mostro sacro dei giochi da tavolo. Vive in Francia (mi chiedo se sarà davvero francese al 100%, visto il cognome che porta) e ha pubblicato parecchi successi ludici.
Questo Ad Astra (progettato assieme a Serge Laget) potrebbe essere uno dei migliori. Si tratta di un gioco che come ambientazione ha la conquista dello spazio, con un sistema di scarsa interazione tra i giocatori (in realtà interagiscono eccome, ma in maniera piuttosto raffinata, quindi non avremo guerra in questo gioco).
Il gioco è molto semplice: si parte da un sistema madre con un pianeta e un'astronave a testa. Il pianeta produce una delle risosrse che formano uno dei componenti fondamentali del gioco: si tratta di energia, acqua, cibo e tre diversi minerali. Con questi si fa tutto: si muovono le astronavi e si costruiscono tutte le strutture contemplate dal gioco (le astronavi stesse più colonie, fabbriche e terraformatori); inoltre le risorse possono essere commerciate. Le astronavi esplorano lo spazio permettendo di sfruttare le risorse dei vari pianeti e di iniziarne la colonizzazione. Esistono anche mondi già abitati dagli alieni: risorse non ne danno, ma permettono al giocatore di pescare una carta da un mazzo particolare: carta che attribuisce un potere speciale.
Questo meccanismo in effetti semplice viene complicato dalla maniera in cui si compone il turno di gioco: ovvero con delle carte che tutti i giocatori hanno e che dispongono su un tracciato dove verranno pescate seguendo un certo ordine: le carte indicano delle fasi valide per tutti i giocatori. Le fasi determinano tutte le attività: permettono il movimento, ma solo verso certi tipi di sistemi stellari. Consentono di raggranellare punti vittoria, ma solo per certi obiettivi raggiunti e non per altri. Permettono di raccogliere le risorse ma in un'alternativa fra due tipi: ne va scelto uno solo.
Insomma, ogni giocatore cerca di introdurre nel turno le attività che fanno più comodo a lui e meno agli altri, e nello sviluppare la propria strategia dovrà scegliere quando "andare a rimorchio" di scelte che altri hanno fatto (in modo che le carte di quel giocatore forniranno possibilità anche a lui, visto che sta facendo qualche cosa di simile) e quando cercare di sviluppare un tipo di attività o di struttura che gli altri (almeno per il momento) non hanno.
Questo gioco come tanti "eurogames" simili ha il classico tracciato dei punti di vittoria. Il sistema con cui si ottengono i punti, come ho accennato sopra, è abbastanza insolito. Nelle carte di "scoring" (di punteggio) c'è da scegliere cosa premiare, e bisogna usare tutte le proprie carte di scoring prima di rigiocare la stessa carta per una seconda volta.
Quindi si rischia spesso e volentieri di far riscuotere punteggio ai nostri opponenti: queste carte bisogna giocarle con molta strategia.
Come avrete compreso dalla mia scarna descrizione, Ad Astra impone di ponderare bene le proprie scelte perché esse aprono delle possibilità non solo a noi ma anche ai nostri competitori. Esiste qualche fattore che dà troppo peso alla fortuna (certe carte che si pescano esplorando i mondi alieni) ma fin da subito viene offerta ai giocatori la possibilità di eliminarle.
Tutto sommato un gioco molto elegante, facile da imparare e complesso da giocare, abbastanza rapido nell'esecuzione, avvincente e impegnativo. Nonostante la relativa semplicità non lo consiglierei a dei bambini piccoli.
Ad Astra ha vinto un premio a Lucca Games (non l'edizione che si chiude adesso, ma quella dell'anno scorso ovvero il 2009) ed è tradotto in italiano dalla Nexus.
Questo Ad Astra (progettato assieme a Serge Laget) potrebbe essere uno dei migliori. Si tratta di un gioco che come ambientazione ha la conquista dello spazio, con un sistema di scarsa interazione tra i giocatori (in realtà interagiscono eccome, ma in maniera piuttosto raffinata, quindi non avremo guerra in questo gioco).
Il gioco è molto semplice: si parte da un sistema madre con un pianeta e un'astronave a testa. Il pianeta produce una delle risosrse che formano uno dei componenti fondamentali del gioco: si tratta di energia, acqua, cibo e tre diversi minerali. Con questi si fa tutto: si muovono le astronavi e si costruiscono tutte le strutture contemplate dal gioco (le astronavi stesse più colonie, fabbriche e terraformatori); inoltre le risorse possono essere commerciate. Le astronavi esplorano lo spazio permettendo di sfruttare le risorse dei vari pianeti e di iniziarne la colonizzazione. Esistono anche mondi già abitati dagli alieni: risorse non ne danno, ma permettono al giocatore di pescare una carta da un mazzo particolare: carta che attribuisce un potere speciale.
Questo meccanismo in effetti semplice viene complicato dalla maniera in cui si compone il turno di gioco: ovvero con delle carte che tutti i giocatori hanno e che dispongono su un tracciato dove verranno pescate seguendo un certo ordine: le carte indicano delle fasi valide per tutti i giocatori. Le fasi determinano tutte le attività: permettono il movimento, ma solo verso certi tipi di sistemi stellari. Consentono di raggranellare punti vittoria, ma solo per certi obiettivi raggiunti e non per altri. Permettono di raccogliere le risorse ma in un'alternativa fra due tipi: ne va scelto uno solo.
Insomma, ogni giocatore cerca di introdurre nel turno le attività che fanno più comodo a lui e meno agli altri, e nello sviluppare la propria strategia dovrà scegliere quando "andare a rimorchio" di scelte che altri hanno fatto (in modo che le carte di quel giocatore forniranno possibilità anche a lui, visto che sta facendo qualche cosa di simile) e quando cercare di sviluppare un tipo di attività o di struttura che gli altri (almeno per il momento) non hanno.
Questo gioco come tanti "eurogames" simili ha il classico tracciato dei punti di vittoria. Il sistema con cui si ottengono i punti, come ho accennato sopra, è abbastanza insolito. Nelle carte di "scoring" (di punteggio) c'è da scegliere cosa premiare, e bisogna usare tutte le proprie carte di scoring prima di rigiocare la stessa carta per una seconda volta.
Quindi si rischia spesso e volentieri di far riscuotere punteggio ai nostri opponenti: queste carte bisogna giocarle con molta strategia.
Come avrete compreso dalla mia scarna descrizione, Ad Astra impone di ponderare bene le proprie scelte perché esse aprono delle possibilità non solo a noi ma anche ai nostri competitori. Esiste qualche fattore che dà troppo peso alla fortuna (certe carte che si pescano esplorando i mondi alieni) ma fin da subito viene offerta ai giocatori la possibilità di eliminarle.
Tutto sommato un gioco molto elegante, facile da imparare e complesso da giocare, abbastanza rapido nell'esecuzione, avvincente e impegnativo. Nonostante la relativa semplicità non lo consiglierei a dei bambini piccoli.
Ad Astra ha vinto un premio a Lucca Games (non l'edizione che si chiude adesso, ma quella dell'anno scorso ovvero il 2009) ed è tradotto in italiano dalla Nexus.
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