Si sono scomodati anche Hillary Clinton e l'ambasciatore americano a Roma: del resto saremo magari un piccolo paese periferico, ma la presa di posizione contro la libertà della rete è piuttosto forte, quasi a livello...cinese.
Riepilogando quello che è successo, si tratta del famoso video pubblicato in rete da alcuni ragazzi che si sono ripresi mentre sottoponevano un compagno down a delle vessazioni. La sentenza dei giudici non colpisce il contenuto del video, ma condanna tre esponenti di Google Italy per non aver tutelato la privacy della vittima.
Google si difende dicendo che le persone incriminate non hanno né girato né diffuso il video. Che però è rimasto visibile per parecchi giorni (un paio di mesi secondo il sito di Repubblica) prima che venisse tolto. Anche lì, la difesa di Google è che appena c'è stata una richiesta ufficiale il video è stato rimosso.
Se la sono presa anche quelli di Wired...
Con buona pace di chi pensa che i giudici siano tutti comunisti sfegatati, questa sentenza è un ottimo precedente per favorire i tentativi (finora goffi e subito abortiti) di mettere sotto controllo la rete in Italia. Forse è esagerato dire che la rete sia l'ultimo baluardo dell'informazione libera (l'opposizione ha bene o male ancora i suoi spazi televisivi), forse anche presso l'opposizione o parte di essa della libertà in rete se ne farebbe ben volentieri a meno, anche se non c'è il coraggio di dirlo, insomma è abbastanza certo che la rete può dare fastidio: perché non addomesticarla?
Mettere un semplice blogger (come il sottoscritto) nella posizione di un responsabile di testata di stampa può essere un buon modo per intimidirlo (e magari convincerlo a cercare un altro passatempo): fino a che il blogger è semplicemente una persona che dice quello che gli pare e lo rende disponibile a un certo indirizzo web, non è così facile venire a bloccarlo anche se, giustamente, resta responsabile di quello che dice (e quello che è illegale offline, giustamente, lo è anche online). Ben altra è la situazione se una pagina come, diciamo, Mondi Immaginari ha le stesse responsabilità del Corriere della Sera.
Poi ci sono i contenuti pubblicati su siti come Facebook o Youtube. Dove tanti si sbizzarriscono con le cose peggiori. Questo materiale creato (o scopiazzato) dagli utenti è business, perché crea l'aggregazione e la visibilità in rete. La posizione dei provider è se vogliamo un po' comoda e quindi lo è anche la difesa. Per citarne una di tante: se uno pubblica una atrocità per mezzo di Google Video, Youtube o un social network l'azienda non ne è responsabile più di quanto le poste siano responsabili se qualcuno spedisce materiale vietato, di qualsiasi tipo, dentro un pacco.
Presa di posizione con qualche crepa quando consideriamo che proprio il regime cinese ha avuto delle grandi vittorie nell'addomesticare questi colossi commerciali e costringerli a proibire i contenuti sgraditi. Perciò questa difesa della libertà totale è, a mio modesto avviso, un po' pelosa, visto che la si fa in maniera diversa a seconda del territorio.
Diciamo che se il postino non è tenuto a sapere cosa contiene il pacco, i contenuti illegali che dilagano senza controllo in rete (e spesso vengono segnalati, diventano fatto sociale, ecc...) sono visibili, sono soggetti ai fitti richiami incrociati dei link e della diffusione virale degli utenti (l'interesse sempre mutevole per la cacchiata del momento, ecc...) e potrebbero essere monitorati per impedire gli abusi più clamorosi. Mi sembra un po' troppo comodo dire di essere per la libertà assoluta solo perché monitorare vuol dire spendere dei soldi.
Con questo non dico di essere a favore della sentenza al cento per cento, e la difesa della libertà in rete preoccupa anche me. Non ho in mano una regola di facile applicazione per affermare il concetto (in maniera fattibile e non repressiva) che questi colossi un occhio ai contenuti ce lo dovrebbero dare, allo stesso tempo senza subissarli di responsabilità troppo difficili da seguire. Però la risposta di Google mi sembra troppo comoda. Così come un blog non è il Corriere della Sera, un fornitore di servizi (che mette a disposizione mezzi studiati apposta per condividere i contenuti con un largo pubblico) non è l'equivalente di un postino che va in giro con un pacco sigillato.