domenica 30 agosto 2009

La Foresta dei Pugnali Volanti


Questo film m'ha presentato, praticamente, un repertorio di quello che non mi piace (e purtroppo frequentemente trovo) nello stile orientale di fare cinema. E in particolare di affrontare il wuxia, il genere fantastico tradizionale. Per me è stata un po' la prova del nove, dopo che avevo guardato con meravigliato orrore La Tigre e il Dragone di Ang Lee, che si è perfino beccato quattro premi Oscar riuscendo peraltro a non piacermi per niente.

La storia, molto semplice, si svolge attorno a un misterioso gruppo di ribelli (elemento molto comune nella letteratura popolare cinese) e nel tentativo di Jin, un capitano della polizia, di indagare per annientarli. In una serie di inganni e controinganni che esporrò qui rovinando la sorpresa a chi volesse vedere il film (ma può sempre rinunciare a leggere questa pagina!) Jin va nel locale bordello ad assaggiare la nuova ragazza di cui ha sentito parlare, una ballerina cieca di nome Mei (l'attrice è Zhang Ziyi, che è stata anche tra le star di Hero).
In effetti Mei è sospettata di essere un'agente dei Pugnali Volanti e Jin si è accordato con Leo, altro capitano della polizia e suo amico, per ingannarla. Dopo averla vista danzare ed esserle zompato addosso con furia assatanata Jin viene arrestato (per finta) dalla polizia di Leo che porta via anche la ballerina, proprio perché venga liberata in un (finto) combattimento da Jin, che ne guadagnerà così la fiducia.

Scenografie e ballo sono curatissimi quanto noiosi. L'atteggiamento sorridente e lezioso di Jin (Takeshi Kaneshiro) mentre si atteggia da cliente del bordello è quanto mai fastidioso. E le scene di combattimento cominciano a mostrare un aspetto che durante il film peggiorerà: il ricorso esagerato, irrealistico alle arti marziali, con cui ovviamente tutti i contendenti riescono a ottenere risultati incredibili, tranne i poliziotti di basso rango che vengono subissati di botte.

Jin sta quindi portando la ragazza alla sede segreta dei Pugnali Volanti, proprio il luogo che vuole scoprire. Ma in realtà la ragazza non è cieca e Leo, che è stato il suo amante, ha organizzato tutto contro di lui.
Pertanto il nostro coraggioso poliziotto è del tutto all'oscuro di come stiano le cose. L'intervento di altre forze imperiali (non controllate da Leo) rende però impossibile continuare la manfrina con i combattimenti fasulli e Jin si vede costretto a uccidere dei poliziotti che non sono al corrente della messa in scena. Più avanti, saranno i membri dei Pugnali Volanti a salvarlo dalla morte ma solo per svelargli l'inganno in cui è caduto, e catturarlo.

In tutto questo abbiamo grandi scenari naturali e combattimenti organizzati secondo una complicata coreografia. Non dico che siano elementi da disprezzare: purtroppo me ne stanco molto rapidamente.
D'altra parte nelle scene d'amore (dove la passione fra i due abbozza ma non sboccia) gli attori dimostrano che la capacità di recitare bene, volendo, ce l'hanno.

L'elemento fantastico delle scene di combattimento è una delle cose che mi annoia di più. Sebbene ci sia di peggio (le scene alla "ti spezzo in due" di certi film di arti marziali) non sopporto le esagerazioni tipo camminare sugli alberi saltando di ramoscello in ramoscello, i salti che permettono al combattente di restare in aria una buona decina di secondi mentre combatte, la precisione millimetrica delle frecce, e così via.

Per tornare alla storia, il nostro Jin sembra tradito e buggerato da tutti. Mei si è rivelata spietata e fredda come una guerrigliera vietcong, e il suo amico Leo lo ha ingannato. Ma non è così. La ragazza non ha potuto fare a meno di innamorarsi veramente di lui. E lo libera. Questo non va bene a Leo, che è dovuto rimanere lontano dal suo amore per anni, e ora è preda di una furia omicida. Le premesse per un melodrammone finale ci sono tutte, ma non rivelo come andrà a finire (però preparatevi a grande sfoggio di arti marziali, e a gente che sebbene trafitta e affettata non ne vuole davvero sapere di morire).

Morale: preferisco il cinema orientale moderno (Coreano e Giapponese, soprattutto). L'elemento fantastico dei wuxia non va bene per me.

martedì 18 agosto 2009

Gli Inganni di Locke Lamora


Una delle rivelazioni di cui ho sentito parlare tra 2007 e 2008 è Scott Lynch con il suo libro di esordio, autoconclusivo ma primo di una serie che si preannuncia piuttosto lunga, anche se per adesso è ferma a due libri. Imminente (?) l'uscita in inglese del terzo.
Il titolo in italiano del primo, pubblicato dall'Editrice Nord, è Gli Inganni di Locke Lamora; la traduzione letterale dall'inglese suona più come "le bugie" di Locke Lamora: differenza minima, ma la scelta della casa editrice effettivamente è fedele al contenuto.
Il fatto che io sia riuscito a finire questo libro soltanto adesso testimonia il mio incredibile ritardo rispetto alle letture che vorrei completare.

Punti salienti di questo libro sono l'ambientazione molto viva e interessante in cui si muovono i personaggi (dei simpatici delinquenti), l'ambientazione che ricorda la città di Venezia; il duro realismo di tante situazioni alternato a parti leggere e umoristiche; ma anche un distacco del narratore verso la materia narrata, per cui le emozioni (molto forti!) dei personaggi arrivano attutite alla mente che pur vorrebbe come sempre essere sorpresa e travolta. Gli Inganni di Locke Lamora procede alternando scorci del passato del protagonista (che vediamo in tenera età come scugnizzo solo e abbandonato, e poi diventare un professionista del crimine da adulto) ai capitoli che narrano la vicenda attuale. Tecnica che non è molto frequente e interrompe il flusso narrativo, ma che qui ha dato anche dei frutti, forse anzi l'autore l'ha saputa usare in maniera brillante.

La storia comincia in maniera in verità noiosetta, narrando delle sfortunate vicende di Locke, bambino abbandonato ridotto a ogni espediente per sopravvivere, e di come riesce a entrare nelle grazie di un maestro d'eccezione (maestro del crimine, ovviamente). Storia che potrà spiazzare (forse) chi ha letto solo fantasy, o sembrare insolita, ma che ricalca direi diverse trame del romanzo popolare anglosassone, da Dickens in poi. Quando Locke è adulto e comincia a mettere in atto i suoi ingegnosissimi crimini la trama prende vita e coinvolge: senza dubbio gli Inganni di Locke Lamora è un libro sostenuto dalla suspense e dalla capacità di Lynch nel creare una narrazione avvincente, sia pure con qualche parte meno credibile e peggio riuscita di altre.

Tornando all'altro punto forte del libro, l'ambientazione, dobbiamo notare innanzitutto che tutta la storia si svolge nella città di Camorr, nome dalla bruttissima assonanza per me, una città dalla geografia a isolotti memore della nostra Venezia ma che nelle grandi dimensioni, nell'assolutismo del potere, nella miseria e sporcizia di tanti e nell'ostentazione di opulenza da parte di chi può, mi ricorda forse qualche località mediorientale filtrata dall'immaginazione occidentale. La tecnologia sa di epoca rinascimentale anche se ad un certo punto viene citata una cella frigorifera che vorrei tanto sapere come è finita laggiù.
Camorr vive di molte influenze. Ci sono nomi decisamente italiani, ma nel miscuglio puoi trovarvi tutto il mondo mediterraneo. Scott Lynch riesce a creare il feeling di questa grande città, spendendo molti dei suoi interludi narrativi a questo scopo. A mio parere riesce a far davvero respirare la sua Camorr, diversamente dalla New Crobuzon di Miéville che invece non decolla mai a vita propria.
Camorr ha una sua religione, dodici culti più il dio dei ladri, segreto tredicesimo. Vi si fa riferimento spesso, è uno dei tratti che ancorano al fantasy questo libro che inizia in maniera tutto sommato fin troppo concreta e terrena; molto divertenti alcuni controsensi legati al culto di Aza Guilla, la temibile divinità della morte. Esiste inoltre una potente scienza alchemica, e una misteriosa materia di cui è fatta parte della città, rovine costruite da misteriosi Avi e ora riutilizzate dagli umani, e infine una magia potentissima, che entra in azione nella seconda parte della storia portando l'elemento fantastico più in primo piano.

Quindi ci troviamo di fronte a una bella ambientazione, a un paio di personaggi simpatici, a una storia avvincente. Cosa c'è invece che non va?
A mio parere Lynch scrive bene ma, per vari motivi (credo per poter comprimere tanta informazione sull'ambientazione e sulle storie dei personaggi) fa una scelta stilistica da narratore onnisciente che distacca il lettore dalle emozioni dei protagonisti. A volte non sembra che sia così, pare di essere nella testa di questo o quel personaggio, salvo poi incontrare di nuovo questa intromissione dell'autore.
Abbiamo alcuni personaggi che dovrebbero essere vivaci comprimari di Locke Lamora e invece restano poco caratterizzati (Calo e Galdo), e anche certi momenti di grande sofferenza (preferisco non anticiparveli) che non arrivano al lettore con la dovuta intensità.

Apriamo quindi un breve discorso stilistico su questo libro, con la doverosa premessa che chi scrive non si trova su nessun pulpito e nessuna cattedra, perciò potreste trovare qui alcune opinioni espresse male e, perché no, qualche castroneria.
Innanzitutto, parliamo degli infodump, ovvero delle improvvise intrusioni dell'autore che vuol dare per forza una certa informazione al lettore . Errore clamoroso da evitare a ogni costo, per chi conosce le cosiddette "regole" dello scrivere, ma se leggete questo libro e pensate al successo che ha avuto, rimarrete perplessi. Di infodump ce ne sono troppi, secondo me, a volte sono inseriti con una strana grazia che li rende più digeribili, a volte no.
Un esempio:
... in quella piccola stalla puzzolente abitava una capra Ammansita. "Non ha nome" disse Catena, mettendo a sedere Locke in groppa all'animale. "Non sono riuscito a decidermi a dargliene uno, visto che non mi risponderebbe comunque."
Locke non aveva sviluppato l'istintiva repulsione che molti ragazzi provavano per gli animali ammansiti; aveva già visto troppe brutture nella sua vita, per far caso allo sguardo vacuo di una creatura docile dagli occhi lattiginosi.
C'è una sostanza chiamata Spettropietra...

Mi interrompo qui per evitare di rivelare troppo; vi dirò che segue una pagina abbondante di spiegazione su questo elemento fantastico che avrà un ruolo importante nel libro. Ma vedete come, da una scena in cui stiamo seguendo l'agire di Catena e di Locke siamo passati a un intervento dell'autore che ci sottopone delle informazioni. Stessa cosa più avanti quando spiega chi sono i salassacani, tanto per fare un altro esempio che per me stride parecchio.

Gli interludi con cui Lynch salta al passato di Locke vanno a volte via lisci come dei flashback ben riusciti, ma a volte hanno questo stesso effetto di interrompere l'immedesimazione del lettore. Per questo dico, molta ambientazione, molta storia, ma a scapito dell'intensità.
Altro esempio (e questo consiglio di saltarlo a chi vuol leggere il libro: si vada semmai all'ultimo paragrafo): quando Capa Barsavi in una orrenda vendetta rinchiude Locke dentro un barile pieno di piscio di cavallo (azione che ha un motivo ben preciso, come sa chi ha già terminato il libro) leggiamo:
E poi sollevò Locke per il mantello, grugnendo. I suoi uomini si unirono a lui, e insieme lo issarono oltre il bordo, e lo tuffarono a testa in giù in quella porcheria densa e tiepida che cancellò il rumore del mondo intorno a lui, giù nel buio che gli bruciò gli occhi...

Abbiamo le azioni di Barsavi e dei suoi uomini, poi improvvisamente (ma nella parte precedente del brano era già successo) si passa al punto di vista di Locke che viene immerso. Poco oltre, dopo la parte che ho riportato, Barsavi chiude il barile e l'azione torna su di lui mentre Locke è rinchiuso nella micidiale e disgustosa trappola mortale. Trattandosi di una traduzione e non dell'originale in inglese devo andare con cautela, ma direi che l'autore qui sceglie di descrivere quello che vuole con un punto di vista onnisciente, e però decide di approfondire qua e là anche le sensazioni dei personaggi (l'esperienza soggettiva di Locke che viene immerso nel disgustoso liquido e non sente più i suoni della stanza in cui si trova). In questa maniera riesce a dire molto, ma l'effetto per il lettore può essere disorientante: di sicuro non sa se sentirsi partecipe delle sofferenze di Locke o della soddisfazione di Barsavi che compie la sua vendetta.

Queste le mie opinioni sullo stile di Lynch in questo esordio e sulle conseguenze che ha sul libro. Sperando di non avervi tediato troppo.
Si tratta comunque di una lettura decisamente al di sopra di quello che offre il fantasy, in media, in questo periodo. Dal mio punto di vista, chiaramente.
Chiudo indirizzandovi a una bella mappa a colori di Camorr (coi nomi delle località in inglese, purtroppo).

venerdì 14 agosto 2009

Strategie di recupero

Non so se ce la farò, prima o poi, a scrivere il mio punto di vista sulle regole che un "buon" gioco da tavolo dovrebbe seguire per funzionare bene e avere successo. Ma ce n'è una di cui vorrei parlare adesso: la possibilità di recuperare lo svantaggio da parte dei giocatori che si trovano in difficoltà. Trovo spesso indicato come un grosso difetto quando questa possibilità non esiste mentre al contrario sarebbe un vantaggio in più del gioco se chi si trova in difficoltà può ribaltare la situazione.
Un motivo ovvio per cui dovrebbe esser possibile recuperare nel corso della partita è che, se un giocatore sa di essere condannato alla sconfitta, potrebbe rovinare il divertimento agli altri smettendo di giocare o giocando male. Oppure può sportivamente continuare la partita, passando però parecchio tempo in noia e frustrazione dal momento che non può vincere.

La mia opinione, innanzitutto, sulla possibilità che il giocatore sia eliminato: i giochi in cui un giocatore può essere completamente spazzato via e scomparire li ritengo eccessivi. In alcuni classici come Monopoli è così (anche nel Risiko può capitare) e questo causa... la presenza di torme di giocatori sconfitti e insoddisfatti che disturbano il buon andamento della partita. E in verità nei giochi di oggi il giocatore "eliminato" può quasi sempre rientrare in qualche modo. Ma spesso con scarse prospettive di influire nel gioco.

Detto questo però non c'è una maniera facile per garantire buone speranze di vittoria a tutti ed evitare la frustrazione di chi non ce la sta facendo. Oggi come oggi molti giochi hanno un "victory track," un tracciato dei punti vittoria ben visibile, spesso integrato con altri meccanismi di gioco, e tutti possono vedere la propria situazione relativamente agli altri. Non è sempre un bene. Giochi in cui si possa rendere la vittoria una faccenda più nascosta e nebulosa, forse con sorprese finali, potrebbero alterare la percezione dello svantaggio: fino a un certo punto però. Chi non è riuscito a combinare niente di buono generalmente se ne rende conto!
Qualcosa però si può fare: ad esempio evitare che chi si trova in vantaggio accumuli punti di vittoria, risorse ecc... semplicemente come rendita di posizione. Certi giochi (di solito di ambientazione "economica") hanno la possibilità che una volta presa la piantagione, costruita la fabbrica, acquisito il monopolio ecc... il giocatore abbia la garanzia di un guadagno stabile che si traduce inevitabilmente in truppe (se c'è da fare la guerra) o in quattrini (se il gioco richiede che si guadagni) e in definitiva in prospettiva di vittoria. Può essere opportuno limitare questo aspetto e ci sono maniere per farlo: ad esempio che il cambiare delle tecnologie, o dell'andamento del mercato ecc... renda alla lunga meno utile la fabbrica, la strada, la fattoria che per adesso crea un vantaggio per un giocatore.

Spesso la presenza di eventi (catastrofi, bruschi cambiamenti) altera le situazioni e i vantaggi in maniera che può cambiare le carte in tavola: il probabile vincitore ad un certo punto non è più così probabile, altri vedono le proprie possibilità migliorare. Oppure, soprattutto nei giochi di guerra o comunque con grande interazione fra i giocatori, si verifica la classica situazione in cui i probabili sconfitti creano la coalizione per impedire a chi è avvantaggiato di aggiudicarsi la vittoria. Questo di fatto può essere molto utile per creare un equilibrio nei giochi, ma può essere anche frustrante e portare a situazioni bloccate.

Stabilite alcune situazioni che un gioco non dovrebbe creare, io però trovo impossibile costruire un meccanismo che consenta fino all'ultimo di ribaltare la situazione, magari proprio quando la partita sta per finire, senza coinvolgere elementi di pura e semplice fortuna in quantità tale da destabilizzare anche gli aspetti positivi del gioco (e penalizzare chi ha con intelligenza e pianificazione costruito il proprio vantaggio).
In altre parole, va bene impedire che un giocatore si sistemi ben comodo su un binario che lo porterà inevitabilmente alla vittoria, ma non è affatto detto che debbano esserci le circostanze per i recuperi dell'ultimo secondo.
Il giocatore che non sta vincendo deve essere in una situazione abbastanza fluida per sperare di recuperare, ma se si arriva verso fine partita e ancora si trova ben lontano dai primi, gli sarà necessaria un po' di sportività per sopportare la situazione: quanto al vincere sarà per un'altra volta.

venerdì 7 agosto 2009

History of the World



Questo gioco da tavolo è stato prodotto dalla celebre Avalon Hill ed è in giro da parecchio tempo. Ha delle dinamiche molto semplici: per esempio i conflitti si risolvono in maniera non molto diversa dal Risiko. Però la pretesa non è mica da ridere: History of the World vuole ricostruire la storia del mondo dalle origini fino, più o meno, al ventesimo secolo.

L'impresa si ottiene estrapolando diverse epoche dallo scorrere dei secoli e individuando le potenze di maggiore importanza in ciascun periodo. Per mezzo di un sistema di carte, in ogni epoca le potenze vengono assegnate ai giocatori. Nella carta c'è scritto se è possibile o no produrre navi, se esiste una capitale (dà punti vittoria), quante truppe si hanno a disposizione. Così ogni impero ha un breve momento di gloria, ma rimane sulla mappa nelle epoche seguenti, immobile a subire le invasioni altrui. Il sistema di combattimento favorisce l'attacco perciò in teoria questo ricambio è facilitato (può capitare di dover calpestare, per così dire, un proprio impero passato con una nuova potenza nata nella stessa area: in tal caso la vittoria è automatica, ma ovviamente conviene di più attaccare i territori degli altri giocatori).
Questo metodo ovviamente non evita le stranezze storiche: durante l'ultima partita che ho giocato i miei Minoici su Creta per esempio erano ancora liberi e indipendenti in piena rivoluzione industriale, perché nessuno si era preso la briga di farli fuori.

Altro elemento del gioco sono certe carte evento, in numero piuttosto limitato, che permettono di far avvenire catastrofi (ai danni di altri giocatori), di avere eserciti di elite (più forti), comandanti famosi e anche piccoli regni collaterali che sono da giocare in aggiunta alla civiltà che ci tocca in ogni epoca.
Le carte evento aggiungono un po' di colore al gioco e, se giocate sagacemente, possono dare un aiuto sostanziale.

Se guardate nella piccola foto che ho rubato al sito Boardgamegeek.com potete vedere le carte (più grandi) che rappresentano gli imperi e le carte evento, più piccole. Le pedine rotonde sono le navi (ad esempio ce n'è una, bianca su sfondo nero, nel mediterraneo orientale) quelle quadrate le truppe. Le zone sono colorate a seconda di suddivisioni che le rendono più o meno appetitose ai fini dei punti di vittoria (per vincere la partita è essenziale avere la preponderanza territoriale in queste macroregioni, e comunque essere presenti almeno con un territorio presidiato nel più gran numero possibile di esse). Ad esempio, potete vedere l'Italia, che fa parte dell'Europa Meridionale, colorata di giallo, mentre l'Africa del Nord è marrone. A sud delle regioni nordafricane c'è una striscia indefinita, il Sahara, che non è giocabile e di fatto rende l'Africa sub-sahariana (color verde) irraggiungibile fino alle epoche in cui si possono porre le navi negli oceani.
Altre pedine, triangolari questa volta, sono le meraviglie del mondo, grandi realizzazioni (ad esempio: le Piramidi) che permettono di conseguire punti vittoria in più. Ma per poterle costruire ci si deve impadronire delle regioni ricche di risorse (se riuscite a vedere l'area che corrisponde all'incirca alla Siria, noterete una pala incrociata con un piccone: è il simbolo di queste risorse).

Se mi avete seguito fin qui avrete capito approssimativamente come funziona il gioco. A ogni turno si cerca di fare il meglio che si può con la civiltà che ci è assegnata. Non si può negare che sia semplice e divertente, e per giunta è possibile terminare una partita in un tempo ragionevole.
Ho comunque qualche perplessità su questo gioco. Il sistema di carte con cui si assegnano le civiltà funziona in una maniera che dovrebbe bilanciare l'elemento fortuna: vediamo come.
Sul tracciato numerato che è stampato sulla mappa si tiene conto non solo dei punti vittoria ma anche delle forze che ogni giocatore ha ricevuto finora (sommando le carte-civiltà che ha giocato). La regola vuole che il meno fortunato peschi per primo la carta per il prossimo turno, poi tocca al successivo giocatore e così via fino a quello che ha ricevuto più forze nei turni precedenti, che sarà l'ultimo. Quando un giocatore pesca la carta se non ne è soddisfatto può darla a un avversario, il quale non può guardarla fino a che non è arrivato il suo turno di pescare (la carta che pesca quindi non la potrà tenere, dovrà per forza darla a un avversario). Con questo sistema chi ha ricevuto le carte fortunate in passato è alla mercé degli altri giocatori, molto probabilmente la civiltà che gli toccherà giocare non sarà decisa dalla pescata casuale ma da uno dei suoi opponenti.
Pertanto se avete giocato il potentissimo Impero Romano o i Macedoni il turno precedente, questa gran dose di truppe che avete scatenato sulla mappa vi costa il fatto di non essere probabilmente fra i primi a pescare le carte. I giocatori meno fortunati avranno la prima scelta e, guarda un po', se si troveranno in mano una pessima carta potrebbero decidere di non tenersela, e di darla magari proprio a voi: così vi capiterà di giocare una civiltà debole che nasce in qualche steppa scalognata, e le cose si bilanceranno un poco.

Questo sistema a mio parere è imperfetto. Il gioco premia molto, oltre ai grandi exploit che creano vasti imperi, il fatto di nascere, turno dopo turno, in posti diversi fra loro. Come abbiamo visto la mappa è divisa in macroregioni (il cui rendimento in punti vittoria cambia con le epoche: ad esempio l'Africa del Nord perde importanza con il passare dei secoli). Avere un piede un po' dappertutto (grazie ai propri passati imperi, se riescono a non farsi spazzar via completamente) è un grosso vantaggio. E questo è parecchio casuale, anche con il sistema del più "povero" che sceglie la carta-civiltà per primo come ho descritto prima.

Inoltre certi colpi di fortuna al momento giusto hanno conseguenze durature che non vengono perfettamente bilanciate da questo sistema. E nelle epoche finali, il colpaccio fortunato (ad esempio pigliarsi la Gran Bretagna regina dei mari, o la Francia di Napoleone) non verrà controbilanciato da successive mosse. In più se alcuni giocatori sono in lizza per la vittoria e altri sono esclusi, questi ultimi possono esercitare un ruolo di creatori del destino, decidendo chi sfavorire e chi favorire nel momento in cui scelgono se tenere la carta che pescano o darla ad un altro giocatore. Insomma, forse molti non concorderanno con me, ma il sistema di bilanciamento m'è parso molto dubbio. Senza pretendere di insegnare il mestiere agli ideatori di questo gioco, un handicap sui punti vittoria da dare a chi pesca le civiltà principali mi sembrerebbe più efficace.
Altro problema, il numero di giocatori. In teoria è per 3-6 giocatori (se sono meno di sei alcune civiltà non compaiono in gioco, ovviamente), in pratica sconsiglio di giocarlo in meno di cinque persone.
Detto questo, History of the World è comunque un gioco facile e divertente e non posso che consigliarlo.

Questo link vi porta a una versione in italiano del regolamento (offerta dal sito Gilda.it): a quanto sembra si riferisce a una versione del gioco che ha miniature o figurine di plastica al posto delle pedine di cartone con cui ho giocato io.

domenica 2 agosto 2009

Alien, ancora Alien



Ridley Scott, proprio quello che diceva che la fantascienza è morta, dirigerà il prequel (o, per dirla nella lingua di Dante, l'antefatto) di Alien. Roba che stuzzica la fantasia, ma mi fa venire un dubbio.
La storia cominciava con l'equipaggio della Nostromo che rispondeva a un segnale inviato da una misteriosa fonte, situata su un pianeta: si scopre che c'è una misteriosa astronave, costruita da una razza non umana, e lì ci sono le fatali uova di alieno e... il resto lo sappiamo.

La domanda è: cosa può essere successo prima?
Ridley Scott intende saltare a una trama completamente diversa o farà un film con protagonisti degli alieni a cui dà la caccia un altro alieno più cattivo di loro? Non che io sia un profeta del cinema, ma mi sa che funzionerebbe maluccio. Chi ne sa di più?