La notizia è arrivata di sorpresa e gli Italiani come spesso accade ci hanno fatto la figura dei fessi perché, pur avendo truppe sul posto, non lo sapevano. È la decisione degli USA di ritirarsi dall'Afghanistan. Una trovata di Donald Trump, nella sua strategia di sottrarsi il più possibile agli onerosi impegni internazionali? Probabilmente sì. Ma non è una novità, da parte degli USA, cimentarsi in questi clamorosi disimpegni. L'esempio più lampante che s'impone alla memoria di chi conosce un minimo la storia è quello della guerra del Vietnam, quando Richard Nixon, che ereditava gli errori commessi da altri presidenti e ci aggiungeva i suoi, riusciva a stipulare una "pace con onore" ritirando (a inizio 1973, quando io andavo alle elementari...) le forze degli Stati Uniti dal paese, e dando una "garanzia personale" all'alleato sudvietnamita che, in caso di attacco da parte dei comunisti del nord, lo avrebbe appoggiato.
Il presidente Thieu accettò, perché non poteva fare altro che accettare. Probabilmente farà la stessa cosa il presidente dell'Afghanistan, Ghani. Nel 1975 il Vietnam del Sud cadde sotto un'offensiva nordvietnamita, giusto dopo un paio di anni dalla "pace con onore;" mi domando quanto tempo rimanga all'attuale presidente dell'Afghanistan prima che i Talebani lo uccidano o costringano all'esilio. E quanto si può contare sul rispetto, da parte dei Talebani, dell'impegno a non ospitare organizzazioni terroristiche?
Insomma dopo una spesa a dir poco fantastica e un sacco di morti (anche italiani), arriveremo probabilmente alla stessa situazione in cui ci trovavamo nel 2001, quando da quella terra partirono gli attacchi terroristici dell'11 settembre. Nel frattempo è stato promesso che ci sarebbe stata una società libera, che le bambine sarebbero andate regolarmente a scuola, e tante belle cose: qualsiasi cosa si pensi del governo afghano installato per volontà occidentale, migliaia e migliaia di soldati del posto sono morti per quegli obiettivi, per non parlare delle vittime civili. Presumo che tutto questo sarà spazzato via, come avvenne per il Vietnam del Sud cui, mentre veniva travolto, vennero negati anche gli aiuti militari da un congresso USA che voleva solo dimenticarsi di tutta quanta la storia.
Altri paralleli si possono trovare nella missione in Somalia voluta da Clinton e seguita da una repentina ritirata dopo gli scontri di Mogadiscio (raccontati nel film Black Hawk Down), e nella guerra senza scopo dell'Iraq (2003 in poi). Mi ricordo di aver sentito delle castronerie incredibili, in quell'occasione. I grandi strateghi degli Stati Uniti che parlavano di "nation building" e affermavano che sarebbe stato tutto facile, facendo dei paragoni con l'Italia, la Germania e il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale. Paragoni ridicoli: Italia e Germania avevano le loro precedenti democrazie a cui fare riferimento. Per il Giappone il cambiamento di regime fu oggetto di un processo forse più lungo, ma si trattava pur sempre di un paese con affinità verso il mondo occidentale.
Nulla di tutto questo per l'Iraq, terra dove è radicata una cultura incompatibile; e per l'Afghanistan ovviamente vale lo stesso discorso. Ricordo di esser rimasto stupefatto, di aver pensato ma se questi sono gli esperti che hanno, potrei dare consigli migliori io a un centesimo del prezzo. Possibile che i geniacci che consigliavano il presidente Bush nel 2003 non capissero questo?
La domanda che si impone è: perché gli USA commettono certe incredibili idiozie? Infilarsi in situazioni da cui possono uscirne solo sconfitti o con magri compromessi? Risponderò con l'aiuto di una recente lettura. Parlo di un libro che tratta della guerra del Vietnam, ma con un approccio di ampio respiro. Il titolo è Warriors and Fools: how America's leaders lost the Vietnam war and why it still matters, che in italiano suona come Guerrieri e Sciocchi: come l'America perse la guerra del Vietnam e perché è rilevante ancora oggi. L'autore è Harry Rothman, uno che la guerra del Vietnam prima l'ha fatta e poi l'ha estesamente studiata. Di quel conflitto non parlerò qui, ma le conclusioni dell'autore (ovvero la domanda: perché gli errori di allora sono importanti ancora oggi?) sono illuminanti. Rothman si ispira nel titolo a una citazione di Tucidide: La società che separa i suoi studiosi dai suoi guerrieri avrà il suo pensiero elaborato da vigliacchi e il suo combattere da stupidi. E afferma che negli USA non c'è dialogo tra autorità politiche e militari.
Il pensiero dello storico greco calza con la situazione attuale fino a un certo punto, ma riflettiamo un secondo: cosa salta all'occhio, storicamente, pensando all'organizzazione del potere civile e militare degli USA? La completa obbedienza delle forze armate al potere politico. Non ci sono colpi di stato o generali ribelli. Quel problema che mandò a ramengo la repubblica di Roma antica e causò infiniti danni all'impero che ne seguì, ovvero l'insubordinazione dei leader militari, gli Stati Uniti non ce l'hanno. La loro storia del resto, fino al 1941, permetteva di prendersela comoda, dal momento che non c'era un avversario geograficamente vicino. L'esercito era debole, ridotto. In caso di necessità gli USA mobilitavano la loro enorme potenza, e dopo aver concluso il conflitto la smobilitavano.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), ci furono due problemi da fronteggiare: per prima cosa, gli USA dovevano occupare dei territori, e mantenerli nella propria sfera di influenza. Secondo problema, la comparsa delle armi nucleari cambiava la natura della guerra per sempre. Quindi si doveva stare in fastidiosa prossimità dei potenziali nemici, e i conflitti fra le grandi potenze non potevano più risolversi con grandi scontri militari. Bisognava decidere con accuratezza quali azioni militari si potevano fare, quali andavano eventualmente portate a termine sotto copertura o usando degli alleati, e cosa non si poteva fare per niente.
Questo divenne evidente con la Guerra di Corea (1950-1953) quando un veterano della Seconda Guerra Mondiale, il generale MacArthur, dovette essere silurato in quanto non intendeva obbedire agli ordini che limitavano la sua libertà d'azione. MacArthur, una specie di proconsole che aveva praticamente governato il Giappone occupato per anni, era un personaggio insolito per l'esercito USA, con grande credito politico personale. Dopo di lui, non ve ne furono altri con una simile statura politica. Dopo di lui i militari si occuparono soltanto del proprio mestiere. E poiché la dottrina del presidente Eisenhower era impostata alla ritorsione massiva, ovvero la minaccia di rispondere subito con la bomba atomica contro qualsiasi attacco, l'esercito si subordinò al potere civile ma cominciò anche a considerare la bomba atomica un'arma come un'altra.
Ecco perché, quando il presidente John Kennedy si dovette preoccupare dell'escalation della guerriglia comunista in Vietnam nei primi anni '60, si trovò a non avere validi consulenti militari. I generali erano obbedienti però sapevano fare solo la guerra, senza rendersi conto di quali fossero i limiti politici e di opportunità. D'altra parte salvo rare eccezioni i presidenti USA non avevano esperienza militare. Frustrato dai colloqui coi militari che facevano proposte che lo mandavano fuori dai gangheri, Kennedy si rivolse a un brillante analista d'affari, Robert McNamara (disprezzatissimo da Rothman nel suo libro). McNamara era un personaggio intelligente ma con delle idee particolari: innanzitutto disprezzava i militari (tratto che condivideva con Kennedy e più avanti con Lyndon Johnson, il successore dopo l'omicidio di Dallas). In secondo luogo credeva nella sua analisi di sistema fatta con i computer come sistema per risolvere qualsiasi problema, e riteneva che le strategie militari fossero superate. Con un calcolo di costo-beneficio e con la teoria dei giochi, aveva deciso che mostrando una facciata di risolutezza e uccidendo abbastanza guerriglieri il Vietnam del Nord si sarebbe deciso a trattare. Ovviamente Ho Chi Minh e compagni, gente pratica che non conosceva tali raffinate teorie, volevano semplicemente andare avanti fino a che non si fosse raggiunta la vittoria, quindi non trattarono. I militari USA nel Vietnam non riuscirono a far cessare una guerra che veniva costantemente alimentata dall'infiltrazione proveniente da nord (la famosa "pista di Ho Chi Minh"), e alla fine l'opinione pubblica costrinse Nixon a ritirare le truppe, come abbiamo visto.
Per farla breve con il conflitto in Vietnam è iniziata l'intrusione degli specialisti di analisi di sistema, dei "think tank," dei teorici della politica, tutta gente che orbita attorno a Washington ed è al servizio di interessi economici o politici, senza però sapere niente di cose militari. Ecco perché gli USA si lanciano nei conflitti a volte con pretesti, a volte con aspettative discutibili, e generalmente senza una strategia, o quanto meno una che preveda cosa fare dopo avere vinto sul campo. E quindi combinano dei guai irreparabili.
Secondo Rothman quel problema è sempre attuale, ma ha avuto un'eccezione con il generale Colin Powell, che avendo imparato dalle lezioni del Vietnam riuscì a imporre una chiara disamina delle strategie fra militari e civili, e a ottenere che nella prima guerra del Golfo (1990-1991), quella di Bush padre, si seguissero obiettivi realistici e raggiungibili, e ragionevolmente limitati. Rothman a mio parere dimentica però che nel 2003, quando Bush figlio intraprese la seconda scellerata guerra del Golfo, Powell si allineò alla sua decisione.
Riusciranno un giorno gli USA a perseguire politiche ragionevoli, senza lasciare stupefatti gli alleati e tradire quelli che hanno fiducia in loro? Chi lo sa. Di certo le conseguenze le paghiamo anche tutti noi.
8 commenti:
Gli americani dicono che nell'Italia della Seconda Guerra Mondiale fu tutto facile: per forza, i partigiani avevano fatto una buona fetta del lavoro. Senza contare che, uno, l'Italia non aveva un gran potenziale bellico (e nemmeno era preparata, vedere in che condizione i soldati italiani hanno fatto la campagna d Russia); due sono arrivati che era un paese allo sfascio.
Bell'articolo.
Certe situazioni (Anzio, Salerno) non furono semplici nemmeno per gli USA e alleati vari. Ma in effetti l'Italia era poco rappresentata nella campagna, dal momento che c'era stato l'armistizio; senza gli occupanti tedeschi non ci sarebbe stato nessun problema, si sarebbe andati alle elezioni dopo l'8 settembre. Anche i partigiani, la RSI, nulla probabilmente sarebbe successo. Il partito fascista non aveva conteso il potere a Badoglio. Era così chiaro che ci eravamo infilati in una guerra sbagliata che anche Mussolini se ne sarebbe tirato fuori se avesse potuto.
Mussolini fu attratto da una vittoria che gli faceva pensare a un bottino ricco e facile da ottenere. E pensare che inizialmente fu restio a entrare in guerra, ma poi (purtroppo) cambiò idea. La storia ha dimostrato che spesso l'Italia si è messa dalla parte sbagliata, salvo cambiare alleati durante la guerra, attirandosi le antipatie di tanti.
Articolo interessante, ma vorrei dire che anche il Giappone aveva una tradizione democratica prima della seconda guerra mondiale, quindi neanche loro partivano da zero.
È possibile che anche il regime afghano cada, visto che ha lo stesso problema di quello del Vietnam del Sud: un gran livello di corruzione. Però ci sono differenze: il governo afghano è più democratico di quello vietnamita, ha più spazio politico di manovra e sopratutto vuole combattere. Al contrario quello del Vietnam del Sud era un po' restio a combattere e faceva poco anche per l'aperta minaccia di un coinvolgimento diretto dell'Unione Sovietica.
Poi c'è da considerare che il numero di talebani non è diminuito per via dei bombardamenti americani indiscriminati in Pakistan, che ne ne creano tanti quanti ne uccidono. Se gli americani smettono di creare talebani, lo scontro potrebbe diventare uno stallo e potrebbero trovare un compromesso.
Per carità, il governo afghano può certamente perdere, però non è così scontato.
@M.T. L'Italia ha cambiato alleati una sola volta, durante la seconda guerra mondiale. La fama italiana di voltagabbana è più dovuta alla propaganda inglese che ad una verità storica.
Lasciando da parte un attimo gli argomenti off-topic, e senza voler fare il profeta di quello che sta per succedere: l'accordo sembra preveda un "governo congiunto" o qualcosa del genere, un compromesso tra governo e guerriglia. Gli USA ritirerebbero le truppe ma potrebbero forse lasciare contractors (ovvero mercenari, per chiamarli col loro nome). Può darsi che esista un barlume di garanzia per il governo, ma visto l'incredibile stillicidio di morti (leggendo in giro, pare una media di 30 caduti al giorno, insomma un battaglione annientato al mese, non è una cosa leggera) mi domando quanto possa esercitare il potere al di fuori della capitale e qualche altro posto qua e là. Il tutto con un'innaffiata di attentati suicidi ogni settimana, magari...
Del resto i Talebani di fatto controllano già ampie porzioni del territorio.
Per questo, sebbene la fine non l'abbiamo ancora vista, mi sembra che certi parallelismi con il Vietnam ci siano. Un impegno intrapreso senza sapere bene come uscirne fuori, militari guidati da dei folli (i neo-con ai tempi di Bush, i consulenti aziendali di McNamara ai tempi di Kennedy e Johnson), spese fuori misura, molti morti (mai come in Vietnam però), nessuna soluzione in vista e quindi la ritirata - e alla fine al proprio alleato sul posto si fanno tanti saluti, avevamo scherzato.
Non sembra davvero una "pace con onore" e tra l'altro non mi aspettavo una ritirata così da uno come Trump.
@gabriele. Non proprio è successo pure nella Prima. Per non parlare delle guerre avvenute nel 1800, dove cambiava spesso alleato.
@Bruno. Da Trump c'è da aspettarsi di tutto: dice tutto e il contrario di tutto. Mi domando come ancora non sia stato sollevato dal suo incarico.
@ M.T. costringere un presidente USA alle dimissioni è una faccenda complessa. Sebbene ci fossero prove schiaccianti Nixon la tirò in lungo per un bel pezzo (sono abbastanza vecchio da ricordare qualche telegiornale d'epoca), non so cosa ci sia di concreto per mettere in impeachment Trump.
Quanto agli excursus storici che si sono toccati nei commenti sopra, non voglio deragliare i commenti da quello che è l'argomento del post, ma è necessario puntualizzare che: - i partigiani italiani non hanno sconfitto i Tedeschi, sono gli Alleati che li hanno sconfitti - L'Italia non ha "voltato gabbana". La prima guerra mondiale l'ha cominciata l'Austria attaccando la Serbia quindi l'Italia poteva fare ciò che voleva, e dichiarò pubblicamente che sarebbe stata alleata di chi avesse fatto le offerte migliori. Se gli Austriaci avessero dato Trento e Trieste, non ci sarebbe stata forse nemmeno l'entrata in guerra. Quanto all'8 settembre 1943 l'Italia ha semplicemente preso atto della propria sconfitta, come hanno fatto anche Romania, Finlandia, Bulgaria ecc... soltanto noi siamo infami per questo? ne ho parlato qui: http://mondifantastici.blogspot.com/2013/09/blog-post.html
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