sabato 26 settembre 2009

Presentazione mancata



Ieri non ce l'ho fatta ad andare alla presentazione di Caverne, esordio di Stefano Bianchi, edito da Montag. Semplicemente, ho avuto una giornata troppo devastante in ufficio (questa è la mia classica excusatio non petita però è andata proprio così).

Bella l'idea del luogo (fisico? metafisico?) in cui i morti di tutte le epoche si ritrovano, anche se non so nulla del resto. Spero di essere in grado di leggerlo a breve, comunque complimenti a Stefano, un altro del mio corso di scrittura creativa che poi "ce l'ha fatta." E' anche un naturale candidato per il Premio Immaginario 2009, se riuscirò a leggerlo in tempo.

Sono invidioso? Sì, un po'.

venerdì 25 settembre 2009

The Island


Mi sono tolto lo sfizio di vedere questo The Island noto per essere stato un clamoroso flop quattro anni fa. Beh, non del tutto: negli USA è andato malissimo, nel resto del mondo ha recuperato perciò le spese iniziali di questo costosissimo film di fantascienza sono state pareggiate e alla fine ha pure guadagnato qualcosa.
Un regista già sperimentato nel fare questi gran videoclip pieni di effetti speciali e poco altro (Michael Bay) e due attori belli e affermati (Ewan McGregor e Scarlett Johansson) non sono bastati a portare al successo un pasticcio di pellicola.

Il film sa troppo di già visto nella tematica (creazione di cloni da usare come riserva di organi per trapianti) e nell'estetica (alcune scene di inseguimento mi hanno ricordato parecchio Matrix, altre tematiche sanno di Blade Runner, e così via). Addirittura la casa cinematografica (DreamWorks) ha subito denunce e più di una segnalazione per plagio di sceneggiature o opere già esistenti: ha pure dovuto ricorrere ad accordi extragiudiziali (ovvero tirar fuori dei soldi) per placare una di queste controversie. Similitudini conclamate (quelle che ci sono nella Wikipedia, ma se volete ne potete trovare altre senza fatica): un romanzo di Marshall Smith intitolato Spares, ovvero "pezzi di ricambio," il racconto di Philip Dick La Penultima Verità, il film La Fuga di Logan, il film Parts: the Clonus Horror. Intendiamoci, l'originalità perfetta non esiste mai, e sulla predazione degli organi ci sarebbe bisogno di parlare eccome (ormai oggi vendersi un organo è legalizzato: dove? A Singapore). Ma il tema della vittima designata che scappa ricalca pesantemente cose già lette o già viste.

Poi c'è una quantità di debolezze nella trama, vere e proprie sciocchezze.
Alcune sono robetta, altre più serie (se non avete ancora visto il film, saltate all'ultimo paragrafo). Un camion su cui i nostri stanno fuggendo perde il carico (assali di ruote di treno, nientemeno) creando un gran caos in autostrada e rallentando gli inseguitori. Quando essi cominciano a bersagliare i fuggitivi da un elicottero, essi sono ancora sul camion, che procede come se l'autista possa non essersi accorto del gran disastro che (non per propria colpa) ha combinato!

Un'altra chicca, o meglio una serie di chicche: Tom Lincoln e il suo clone (personaggi interpretati entrambi da McGregor) hanno un incontro, il clone fuggitivo chiede di essere aiutato, il "vero" Lincoln invece avverte la compagnia di quello che sta succedendo in modo che una spietata pattuglia di paramilitari li blocchi mentre stanno andando agli studi televisivi per denunciare l'immenso crimine: ovviamente la storia della denuncia in TV è quello che crede il clone, il "vero" Tom Lincoln vuole solo che venga catturato.
In una scena ridicola ("Non sono io il clone, è lui!" - "No! E' lui!") il fuggitivo riesce ad essere più credibile (applica al polso del "vero" Lincoln il bracciale di riconoscimento che i paramilitari riconoscono) e così viene ucciso il committente della clonazione, e il clone se ne va tranquillo come se niente fosse. Questi spietati professionisti insomma agiscono d'impulso ammazzando un cliente da milioni di dollari per non prendersi la briga di controllare. Certo, non era facile (uno dei due era armato) ma se la prendono comoda anche a verificare in seguito: avrebbero potuto trattenere il clone, accertare in una decina di secondi di aver sbagliato, e quindi eliminarlo. Invece è il clone a tornare all'attacco sperando di liberare gli altri prigionieri della compagnia (ce ne sono a centinaia, si direbbe dalle scene: cloni che non sanno di esserlo): credendolo il vero Tom Lincoln gli offrono, in cambio del suo silenzio, di clonarlo una seconda volta, lui va e mentre si trova alla compagnia finalmente qualcuno esamina il cadavere del suo doppio e si scopre la verità: il clone è di nuovo braccato e il capo della compagnia in un dialogo gli dice: "Avresti potuto prendere il suo posto e hai deciso di tornare!"
Questa è una cosa che, nei film come più raramente nei libri, mi fa diventar matto. La somiglianza superficiale del clone (che non sa nulla della persona che sostituisce) non avrebbe ingannato nessuna delle persone che l'originale conosce nelle proprie relazioni sociali. Ma siccome la vita quotidiana nei film d'azione non la fanno vedere ci passano tranquillamente sopra. In un sacco di trame (film, serie TV, ecc...) fanno passare per possibile una cosa che non lo sarebbe affatto, pensateci e vi verrà facilmente in mente qualche altro esempio.
A parte questo, la scena è assurda perché lo stesso capo della compagnia è stato appena informato della sostituzione del vero Lincoln. Perciò il clone NON avrebbe potuto prenderne il posto e vivere tranquillo.

Facciamola breve e diciamone solo un'altra: la conversione del capo dei paramilitari, interpretato da Djimon Hounsou che diventa improvvisamente buono e aiuta i nostri eroi. Stiamo parlando di un tizio che ha condotto un'operazione in cui i suoi uomini hanno impersonato le forze di polizia, sparato sui poliziotti veri, sparato su innocenti eccetera: diventa un buono e generoso agnellino nel giro di un paio di scene.

La tematica fantascientifica di The Island a mio parere è ancora degna di essere esplorata anche perché... è sempre meno fantascientifica. La maniera in cui questo film lo fa è assolutamente censurabile perché ricalca, decisamente troppo, varie cose già viste. Per contrasto, ha saputo farne qualcosa che sa abbastanza di nuovo Kazuo Ishiguro con Never Let Me Go, romanzo intimista che vedremo (spero) trasformato in film fra un annetto.
Quanto a The Island, nonostante le scene d'azione spettacolari, penso che il mondo sarebbe un posto migliore se non avesse recuperato nemmeno i soldi dell'investimento iniziale.

lunedì 21 settembre 2009

Meno male che ci sono i Francesi



Come mai questa affermazione favorevole ai mangiarane? Perché ormai sono rimasti da soli a mantenere in vita il fumetto occidentale di qualità (e disegnato senza i tratti tipici dei manga). Certo, ci sono anche gli USA, ma più che supereroi da lì non arrivano. Il fumetto di qualità in Italia è moribondo (ricordo i bei tempi in cui potevi trovare facilmente in edicola ottime riviste, c'è da mettersi a piangere), certo io non disprezzo il fumetto popolare bonelliano tipo Dylan Dog, Tex e compagnia, ma è un'altra storia.
Esaurito questo piagnisteo, la mia ultima lettura a fumetti è Lanfeust di Troy, disegnato da Didier Tarquin e scritto da Cristophe Arleston, un fantasy accattivante e dal bel tratto che esordisce con questa premessa:
Troy è un mondo fantastico e sorprendente: grazie ai savi di Eckmul che fanno giungere la forza della magia sin nei villaggi più remoti, ciscun individuo possiede un solo potere, che può essere utile quanto inutile, ridicolo quanto temibile.

La memoria m'è corsa a Graceling di Kristin Cashore:
Tutti i Graceling hanno gli occhi di due colori diversi. Tutti i Graceling hanno un Dono. Difficile è però sapere quale Dono possiedono:a volte anche per loro stessi è duro capirlo e controllarlo.
Ci sono Doni quasi inutili, come ripetere le parole al contrario o di ricordare certi dettagli. Katje ha diciotto anni e il suo Dono è un'arma terribile...

Senza andare a pensare che per forza uno debba aver copiato dall'altro, temevo che la storia fosse identica. Per fortuna non è così, i punti di contatto sono davvero minimi. C'è anche qui l'eroe che dispone di un enorme potere, ed è Lanfeust, il protagonista. Ma è un eroe piuttosto ingenuo che necessita della guida di un saggio (il vecchio savio Nikoledo) e in tante situazioni non potrebbe cavarsela senza la forza bruta di un assistente, il troll Hebus. E' la magia di Nikoledo che ha trasformato Hebus da selvaggio massacratore pronto a divorare chiunque a forzuto ma simpatico alleato della combriccola: a volte però l'effetto di questa magia si esaurisce (per effetto di eventi traumatici, ad esempio) e gli esiti sono tragicomici e truculenti (di sangue versato in questa storia ce n'è parecchio, ma con allegria).
Si aggiungono alla comitiva le due figlie di Nikoledo: una è la guaritrice C'ian fidanzata di Lanfeust, l'altra la capricciosa e seduttrice Cixi, che più di una volta cerca di carpire le attenzioni di Lanfeust, provocando l'ira di C'ian. Cixi ha il dono di far evaporare oppure trasformare in ghiaccio l'acqua. Questi due personaggi femminili mi sono sembrati, almeno in parte, riempitivi che fanno da spalla per creare situazioni comiche e piccanti, e permettono al disegnatore di sfoggiare qualche nudo qua e là.
La storia è abbastanza semplice ma non brevissima. I due volumi di Lanfeust usciti in Italia accorpano ciascuno diverse storie, tutte entro la struttura di una trama più ampia. Basterà dire che i poteri di Lanfeust gli procurano più grattacapi che benefici, e ovviamente attirano degli avversari contro cui dovrà vedersela.
Bel tratto nei disegni , sufficientemente virtuosi e realistici per i miei gusti, ma ancora graziosamente fumettistici. Lanfeust mi ricorda per caratteristiche grafiche e storia (entrambe un po' in peggio) la saga di Velissa di Le Tendre e Loisel, per chi sa di cosa sto parlando (c'è un post che la riguarda in questo blog, comunque).
Direi che ho detto abbastanza. Per l'appassionato di fantasy questa lettura dovrebbe essere piacevolissima, quasi a colpo sicuro.

giovedì 17 settembre 2009

Manuali di scrittura



Ho terminato di leggere l'ennesimo manuale: Scrivere un Romanzo di Donna Levin (Dino Audino Editore).
Sono uno di quei poveretti che li trovano interessanti: anzi molto stimolanti, per giunta. Ne ho letti parecchi, oltre ad aver partecipato a due corsi di scrittura creativa. I titoli non li ricordo nemmeno tutti... di sicuro una lettura importante è stata quella dei manuali di Orson Scott Card editi a suo tempo per la Nord: illuminante e piacevole, devo dire che forse mettendo insieme i manuali verrebbe un numero di pagine eccessivo ma anche che, almeno a spizzichi e bocconi, me li sono anche riletti volentieri.
Il Manuale di Scrittura Creativa di Franco Forte ha il pregio di essere invece estremamente sintetico, di avere una quantità di indicazioni interessanti anche dal punto di vista formale e grammaticale; possiede un ulteriore vantaggio verso qualsiasi manuale scritto da autori stranieri che vivono una situazione diversa: ha degli utili cenni su come porsi, e proporsi, di fronte al potenziale editore.
Anche quest'ultimo manuale che ho appena terminato ha i suoi vantaggi: innanzitutto è generalmente molto sintetico e dritto al punto, pur non mancando di riflessioni generali che in questo tipo di testi sono indispensabili e non comprimibili più di tanto. Contiene molti suggerimenti sulla forma del paragrafo e della frase, che non ho trovato altrove, e delle esercitazioni anche abbastanza interessanti, per quanto abbia fatto ben poco e quasi solo a mente. Un manuale dinamico e compatto, se siete in certa di una lettura di questo genere ve lo consiglio.

Io questo tipo di manualistica la apprezzo e devo dire che mi ha aiutato molto a dipanare le matasse inconcludenti di quando avevo 18, 19 anni, volevo dire tutto e non riuscivo a scrivere niente di sensato. Resta però il problema di quelle persone che leggono questi manuali e non sanno più liberarsene. Di quelli che seguono pedissequamente, di quelli che, anche nelle case editrici, usano lo show don't tell come una regola sacra in nome della quale infliggere un giudizio negativo alla prima infrazione, senza possibilità di appello.

C'era una volta il blog di Simone Navarra (c'è ancora, ma è un altro, quello vecchio non è più aggiornato) dove l'autore faceva delle operazioni molto divertenti, spiegando perché i capolavori della letteratura oggi sarebbero bocciati senza speranza, e quelle sacre regole c'erano sempre di mezzo.
Ecco, io credo che bisognerebbe chiedersi se un libro è bello e funziona, e non se segue a dovere le sacrosante regole. Detto questo, per chi sa capire che uso farne, sono sempre pronto a elogiare i manuali di scrittura creativa.

Perché intendiamoci, le regole del mercato sono ancora più spietate, e più dannose per la creatività. Del resto, se vuoi scrivere per avere un pubblico...

sabato 12 settembre 2009

Pan



Libri italiani di argomento fantastico che abbiano avuto successo ce n'è decisamente pochi, e di solito sono libri per bambini o creati per assecondare i gusti di un pubblico di massa (beato chi sa farlo, per carità, ma a me non piacciono). L'unica eccezione alla regola in tempi recenti penso sia stato Pan, romanzo urban fantasy di Francesco Dimitri. Autore che con i miti, il paganesimo e il sovrannaturale bazzica parecchio, a giudicare dalla sua precedente produzione. Autore già affermato e uno dei pochissimi, o forse il solo, che gioca in "Serie A" nell'asfittico panorama del fantasy italiano per adulti.

Perciò non potevo esimermi dal leggerlo, anche se mi sono preso il mio tempo. Il libro è ambientato fondamentalmente in Italia (a Roma e dintorni), e riprende con originalità la storia del dio Pan contaminando elementi diversi quali la religiosità pagana (con le due facce di Apollo e Dioniso, razionalità e giocosità istintiva), lo sciamanesimo, il giocoso Peter Pan di James Barrie (da cui trae l'antagonista della storia, Capitan Uncino). Il tutto fa irruzione nella Roma contemporanea: Pan è tornato! E complimenti per aver creato questa atmosfera in una città che col suo cinismo solidificato nella pietra millenaria, reputo (nonostante tutti i suoi miti e misteri) l'ultimo dei luoghi dove riuscirei a immaginarmi l'arrivo del fantastico.
L'autore ha tenuto in buon equilibrio questi elementi diversi, e anche se (come è il mio pallino) si potrebbero trovare delle debolezze nelle giunture tra il fantastico e il quotidiano, non ci si fa assolutamente caso durante la lettura. Azzeccato (forse anche perché non c'è la pretesa di spiegarlo troppo) lo stratagemma di introdurre diversi aspetti della realtà (Carne, Incanto, Sogno), che introducono la possibilità di parecchi elementi indispensabili per lo sviluppo della storia (ad esempio, l'Isolachenonc'è). Ben congegnata la trama che introduce una famiglia all'inizio apparentemente normale ma che sarà in futuro al centro della disputa tra Pan e il suo rivale di sempre, Capitan Uncino. Rivale che prende le sembianze, all'inizio, di un noioso e fastidioso benestante romano, presentato subito come un personaggio influente.

Le nefandezze vengono compiute sia dai buoni che dai cattivi e se Pan in un dato momento si presenta con una lista di nemici da combattere (non molto dionisiaco, questo) generalmente rimane in carattere come un essere potente ma imprevedibile e caotico; è l'unica speranza di salvezza dalla minaccia di un mondo rigidamente regolato e controllato ma fa paura anche a quelli che si battono con lui. L'autore, va detto, si intromette continuamente nella storia con le sue opinioni e la sua morale. Scelta che dal mio punto di vista non funziona benissimo, per due motivi: innanzitutto perché si sovrappone a delle belle scene e a bei dialoghi sottraendo un po' di visibilità ai suoi personaggi, in secondo luogo perché trascina nella storia un punto di vista eccessivamente giudicante e intriso di ideologia, peraltro anche già abbastanza sentita e risentita.
Se posso muovere una critica alla trama, trovo (spoiler!) davvero poco credibile la scarsa attenzione e reazione dei ragazzi alla morte di Silvia: so benissimo che questo fatto è motivato nel libro, ma non mi convince lo stesso.

Il finale non lo dico, diciamo che si capisce solo in parte il mondo che ci sarà dopo, perché tra due aspetti estremi uno ha vinto, ma sono gli umani che infine hanno deciso e posto le loro condizioni.
Dopo tutta la carne che è stata messa al fuoco, è difficile mettere la parola fine in modo davvero soddisfacente, ma non importa. Questo libro sa trascinare e avvincere, e allo stesso tempo dimostra preparazione culturale, e una capacità nel gestire la complessità della trama davvero non comune. Vorrei vederlo sbarcare anche all'estero, lo meriterebbe.

domenica 6 settembre 2009

Off Topic: le straordinarie imprese del pilota Aichner



Ho interrotto le mie letture fantastiche a favore di un libro di guerra: Il Gruppo Buscaglia di Martino Aichner.
L'autore (un pilota) tratta delle imprese dell'aviazione italiana nella Seconda Guerra Mondiale e in particolare di una specialità che, si può dire, è nata e morta allora: quella degli aerosiluranti. In un'epoca in cui i missili intelligenti non esistevano (salvo qualche esperimento tedesco, come la bomba teleguidata che affondò la corazzata Roma), l'aviazione aveva due metodi per arrecare danno alle navi nemiche: il bombardamento in picchiata e appunto il siluramento (infatti le navi erano bersagli troppo piccoli per il bombardamento da alta quota). Entrambi i sistemi erano decisamente nocivi alla salute di chi li praticava, tanto che dei piloti italiani che si sono dedicati a questo tipo di specialità parecchi sono caduti dopo poche missioni.

Il libro è stato scritto da uno che ha avuto la fortuna di farcela: il sottotenente Martino Aichner, che fece parte dell'unità comandata da Buscaglia, comandante che coi suoi ripetuti successi divenne un eroe per la propaganda fascista. L'autore fu abbattuto due volte e si salvò in entrambe le occasioni; alla seconda rimase ferito e questo probabilmente lo ha molto aiutato ad arrivare vivo alla fine della guerra.

A vantaggio di quest'opera: scene di combattimento da mozzare il fiato, la sensazione della morte sempre più vicina, qualche scorcio di vita dell'epoca: un passato strano, con un'Italietta arretrata che cercava di fare la superpotenza.

A svantaggio: una certa retorica (che pure l'autore cerca di evitare) filtra necessariamente dalle citazioni e dai documenti che vengono riportati. Il fatto che si tratta della tipica memorialistica italiana di guerra, sovente imprecisa, carente di fonti oltre ai ricordi di chi scrive (e quindi incapace di darti un quadro completo della situazione), e incagliata nelle beghe personali dell'autore.
Aichner ha dovuto litigare con la Marina Militare per il riconoscimento di un affondamento effettuato col siluro (se lo era attribuito una squadra navale), e sebbene sia ben comprensibile questa voglia di verità, dal momento che fu un'azione in cui quasi ci lasciò la pelle, queste beghe fanno uno strano contrasto con le azioni mozzafiato in cui la vita e la morte sono questioni di un attimo.

Quello che mi mette malinconia è come la memoria della guerra sia sospesa tra l'oblio verso tutto ciò che fu fatto quando eravamo dalla "parte sbagliata" e l'insistenza rivendicativa, talvolta condita di retorica più che di conoscenza dei fatti, di chi rivendica la memoria per i combattenti sacrificati.
Vale anche per gli eroi degli aerosiluranti, i cui successi spesso non sono stati riconosciuti da parte nemica, e il cui eroismo quindi in molti casi va inteso come sacrificio senza risultato.
Ma indipendentemente da questo sarebbe ora che riuscissimo a ricucire lo strappo che il ventennio e la guerra civile hanno recato alla memoria della nazione, e a riconoscere come nostri quei poveri cristi, eroi e non, guerrieri arruffati e spesso straccioni che si sono trovati alle prese con una tragedia terribile.