sabato 27 settembre 2008

(Off topic) Il Partigiano Johnny


Questo libro ha la particolarità di esser stato pubblicato dopo la morte dell'autore, imponendo ai curatori un compromesso tra due stesure, e di portare al nostro giudizio un modo di scrivere che l'autore presumibilmente non riteneva presentabile ma che ha avuto successo, facendo del Partigiano Johnny l'opera più conosciuta di Beppe Fenoglio.
Lo stile in questione comprende l'utilizzo esteso della lingua inglese, che a quanto pare era la forma in cui Fenoglio pensava quello che scriveva, e la creazione di una quantità di neologismi abbastanza arditi, uso insolito e sperimentale di forme verbali ecc... L'uso dell'inglese quando non necessario a me (contrariamente alla maggior parte delle persone che lo considerano figo sempre e comunque) fa proprio pena, lo vedo roba da terzo mondo, da indigeni con la sveglia al collo; conoscendo il contesto in cui questo autore è cresciuto e si è formato riconosco le sue ragioni ma l'impressione negativa e un po' ridicola mi rimane; a volte invece ho trovato azzeccata la sua ricerca di parole e significati nuovi per quanto riguarda la nostra lingua.
Tra forma e concetti Fenoglio ha creato una storia estremamente espressiva, viva, senza retorica e tormentata. Un libro bello come lettura e anche una grande storia di guerra, un personaggio delineato in maniera efficace, nella sua formazione intellettuale, nella sua decisione irrevocabile di fare la scelta giusta, lo scontro con la realtà (particolarmente duro, poiché Johnny inizia la sua vita partigiana con i non proprio amati comunisti: I am in the wrong sector of the right side), la sopportazione di privazioni e fatiche inaudite, che diventano sempre più mordenti quando, andando avanti, le batoste subite da parte di tedeschi e fascisti fanno trascorrere un inverno di fame, freddo e morte ai partigiani.

Sia i comunisti che gli "azzurri" lo deludono, nonostante tutte le difficoltà Johnny brucia dalla voglia di combinare qualcosa e non sopporta la finzione di presidiare posizioni che in realtà non si possono difendere se il nemico decide di venirsele a riprendere.
Tiene duro, sopporta fino a primavera, decide di lottare fino alla fine, nonostante gli suggeriscano che forse ha già fatto più che abbastanza, perché si è impegnato a dir di no fino in fondo.
Consiglio di leggerlo perché è un bel libro al di là di condividerlo politicamente o meno, offre inoltre una finestra su un periodo storico e permette di dare uno sguardo all'Italia di una volta.

Due parole sul film di Guido Chiesa, con Stefano Dionisi nella parte di Johnny. Di solito il cinema italiano non ci prende proprio, ha troppo pochi soldi da spendere e soffre inoltre di una carenza cronica di attori minimamente capaci. Questa trasposizione del romanzo ci prende a metà. Parte un po' male, nella solita maniera troppo legnosa, ma se la cava nel rendere l'impressione della fatica e del pericolo della vita partigiana. Il protagonista non è malaccio, le scene di guerra sono rese con un realismo che mi è piaciuto, mostrando veri scontri a fuoco, avversari lontani ma già letali, proiettili che uccidono da grande distanza in un attimo, che costringono a buttarsi disperatamente al coperto, limitando la visuale dei combattenti a un masso o a un cespuglio a pochi centimetri dal loro naso. Magari le scene di battaglia sono realizzate così perché la produzione aveva quattro soldi, ma non sono venute male, a mio parere.

I guai vengono nei personaggi, che per essere caratterizzati avrebbero bisogno di maggiore spazio, che non c'è. E nel tentativo del regista di trasporre nella pellicola tutto un libro troppo lungo per questo genere di operazione. La mia opinione l'ho già data in un altro post (titolo: il film tratto dal libro). Passare dal testo alla pellicola impone sempre (o quasi) una reinterpretazione: raramente l'operazione riesce bene e i registi che hanno un rispetto religioso per il testo son quelli che fanno i lavori peggiori. Riportare un libro al gran completo su pellicola non si può, sono mezzi di espressione differenti e normalmente il libro dice molto di più (e se non può usare le immagini, ha il vantaggio di poter descrivere tanti avvenimenti e tanti concetti). Quello che il regista avrebbe dovuto fare sarebbe stato sacrificare la complessità della storia e salvarne il senso. Invece abbiamo un film troppo lungo, con scene di scontro ripetitive, troppi personaggi che non è possibile raccontare come si deve e che quindi diventano inutili. Perdiamo invece il pensiero, i dubbi e le idee del partigiano Johnny, che passano in secondo piano.
Bella però l'ultima scena, tronca, come il finale del libro in cui la morte è "implicita."
Comunque, meglio il libro.

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