venerdì 14 febbraio 2020

Parasite, un commento senza "spoiler"

Appartengo, senza peraltro farmene vanto, alla categoria di quelli che sono molto sospettosi quando un film vince un Oscar, come accaduto a Parasite, del regista coreano Bong Joon-ho (Snowpiercer). Questo perché l'assegnazione delle ambite statuette non ha necessariamente a che vedere con i gusti del pubblico. Ovviamente il fatto di grande interesse, in questo caso, è la vittoria di questa pellicola come miglior film pur non essendo di marca USA (non in lingua inglese). È la prima volta in assoluto.

La padrona di casa Park

Non sta a me stabilire se Bong Joon-ho si meritasse o no questo privilegio, per cui ho guardato il film per curiosità e senza particolari pregiudizi, conoscendo già, in parte, la trama.



La pellicola ci racconta le storie parallele di due famiglie, Park e Kim, la prima di ricchi privilegiati che vivono in una bella casa, l'altra di poveracci che se la cavano come possono in un seminterrato, tutti quanti senza un lavoro stabile e senza una istruzione che possa dare speranze concrete di uscire da quella situazione. Ma con una serie di astuzie i quattro poveracci riusciranno a mettersi al servizio dei quattro ricchi. Parassiti? In verità lavorano, e sembrano cavarsela benino pur non avendo grandi qualifiche, dal momento che la supervisione è lasciata a una padrona di casa molto ingenua e distratta, Choi (attrice: la bella Cho Yeo-jeong). La felice situazione della famiglia Kim (i poveracci) rimarrà comunque precaria, una fortuna non destinata a durare.

Come in Snowpiercer, la critica sociale di Bong Joon-ho si tinge di paradossale e di grottesco, a volte di umorismo nero, spesso e volentieri di violenza e sangue. E anche in questo film c'è un mondo diviso in due.

Poveri come scarafaggi che fuggono appena c'è la luce. Poveri che si riconoscono all'olfatto perché puzzano, come uno straccio bollito o come "la gente che va in metropolitana" (ma la signora Choi non ci è salita da una vita...), servitori sostituibili e intercambiabili, trattati con cortesie formali che sono una sottile patina sotto cui vigono sempre i rapporti di forza.
Poveri che sono miserabili, quasi compiaciuti delle loro cialtronaggini e dei loro sotterfugi. Volgari, meschini, eppure con i propri sentimenti.

Fumarsi una sigaretta mentre la fogna irrompe dal cesso...

Dall'altra parte i ricchi della famiglia Park. Che vivono in una splendida casa costruita dal famoso architetto Namgoong (nome fittizio che deve piacere al regista, lo usa anche in Snowpiercer). Ricchi che hanno la possibilità di fare soldi e ovviamente ne fanno, compiacendosi poi di spenderli, distrattamente, tanto da non accorgersi (non voglio anticipare troppo) dei parassiti che vivono nel loro stesso spazio. Ricchi che non si rendono nemmeno conto del confine invisibile che esclude gli altri dalla possibilità di essere come loro.

Ovviamente finisce in tragedia, e anche la tragedia avrà i suoi tratti di grottesco e di ridicolo. Quanto a una valutazione sul film, come Snowpiercer (che forse era meglio...) anche questo Parasite si fa guardare, ma a parte la grinta certamente encomiabile a noi italiani potrà sembrare già visto mille volte. Tra neorealismo e commedia all'italiana, film di critica sociale e commedie degli equivoci, questo film coreano sembra tanto roba di casa nostra, magari senza lo stantio e la noia che certe produzioni del nostro cinema non riescono ad evitare.


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