mercoledì 27 marzo 2019

Building Imaginary Worlds

Cosa pensare di un libro che s'intitola Building Imaginary Worlds e si propone di insegnare "teoria e storia della subcreazione?" Certamente prima o poi dovevo leggerlo perché l'argomento è centrale per me (basti vedere il nome di questo blog...). L'autore è Mark J.P. Wolf, docente di comunicazione alla Columbia University del Wisconsin. Il libro parla di mondi immaginari partendo dal concetto (tolkieniano) di subcreazione, ovvero di quella creazione di mondi che è possibile a noi che apparteniamo al "mondo reale" e che non abbiamo quindi poteri miracolosi per produrne altri. E quindi ci affideremo alle parole o al disegno, alla fantasia, ma prendendo sempre spunto dal mondo "primario" (reale) per creare qualcosa di nuovo o di strano. E cercando la complicità del nostro pubblico per rendere la fantasia credibile.

L'autore ha compilato una notevole lista di mondi immaginari, partendo dall'alba dei tempi, dalle leggende e dall'epica, per arrivare ai giorni nostri mostrandoci, innanzitutto, quanto sia maggiore oggi la complessità di queste creazioni e la ricerca della coerenza interna. Certe ambientazioni del passato, quando la geografia del nostro mondo era sconosciuta, erano luoghi sconosciuti ma pur sempre reali, per quanto molto lontani o difficilmente raggiungibili. Poi ci sono stati i luoghi completamente fantastici, i mondi alternativi, le razze inventate, i linguaggi del tutto estranei, e una maggiore consapevolezza nel trattare di questi temi.


Per Wolf c'è un'altra evoluzione, che è oggetto del suo studio: dalla narrazione che ha come oggetto un personaggio (ad esempio l'epopea di Gilgamesh) a quella che ha come oggetto un mondo (ad esempio Star Wars), dove ormai non c'è un solo filo narrativo da seguire o una singola trama chiave, ma è il mondo in sé ad attirare il pubblico. Un pubblico variopinto, perché oggi si può entrare in un mondo attraverso i giocattoli dedicati, i fumetti, i videogiochi, i film e le serie tv, i libri, e anche la musica prodotta come colonna sonora e che, nei casi meglio riusciti, compenetra totalmente l'atmosfera di un film o una serie televisiva. Quando si parla di mondi che, per merito della macchina dei divertimenti creata dall'odierna industria dello spettacolo, invadono diversi media costruendo una esperienza sempre più completa e una totale immersione per in pubblico, parlare di un singolo autore diventa problematico. L'autore diventa quello che ha avuto la prima idea, che è titolare dell'opinione su come le cose dovrebbero essere e sembrare. Ma dovrà necessariamente, non essendo in grado di fare tutto, delegare ad altri buona parte della creazione del suo stesso mondo.

Il libro è denso e ricco di informazione. Molto di quello che c'è, in un modo o nell'altro, lo ha già visto o ci ha già pensato chi scrive o si occupa a qualsiasi titolo di mondi immaginari. Un master di giochi di ruolo questi concetti li ha probabilmente già intuiti o masticati, o anche un appassionato di cinema. Ma l'approccio di Building Imaginary Worlds è accademico e sistematico, a costo di mostrare qualche pedanteria qua e là, e ti dà l'impressione, dopo la lettura, di aver finalmente messo a fuoco tanti argomenti su cui prima avevi soltanto una infarinatura.

Ovviamente non starò ad elencare tutta la carne che il buon Mark Wolf mette al fuoco, posso solo garantire che in 280 pagine di libro (più appendici) c'è molta, moltissima roba. Di altri argomenti più concreti e terra terra, concernenti l'argomento "costruire mondi immaginari," invece non vi è traccia.

Quello di cui l'autore non parla è il lato pratico delle cose, ovvero quello cui si trova di fronte un autore quando vuole costruire un mondo fantastico ma credibile. Tutti siamo più o meno capaci di disegnare una mappa o immaginare una galassia. Bisogna però fare queste cose con un minimo di realismo (e avere un'idea dei problemi che comporta disegnare una mappa dopo una certa scala...).

Ad esempio: voglio scrivere di un pianeta molto più grande della nostra Terra, ma abitabile. Il grande Jack Vance lo ha fatto, in un periodo in cui c'erano meno conoscenze scientifiche con cui fare i conti. Il suo Big Planet (titolo italiano del libro: l'Odissea di Glystra) era enorme ma povero di metalli e poco denso, quindi su per giù la gravità era normale. Oggi ci si potrebbe chiedere: ma si può evolvere la vita in quelle condizioni? E che tipo di esseri viventi ci sarebbero? La superficie potrebbe avere terre emerse? Non dovrebbe essere un gigante gassoso? E così via. Anche in un mondo fantasy, se non è più o meno la fotocopia della Terra, la coerenza vorrà la sua parte. Bisognerà chiedersi in quali zone del mondo sarà plausibile avere deserti e terre aride, dove ci sarà più pioggia, che animali o piante saranno presenti in certe aree, ecc...
Se poi volessi chiedermi come si starebbe in un pianeta il cui asse di rotazione fosse inclinato molto più fortemente? O se possa esserci vita vicino a mari di lava? E certi pianeti immaginati in passato, completamente cavi e con un altro mondo nel loro interno, potrebbero essere possibili? (ma a quest'ultima rispondo da solo: no).

Un libro sul fantastico non deve essere un trattato per gli specialisti, non deve avere la risposta perfetta pronta per tutti gli gne-gne dei dubbiosi (del resto è impossibile!). Ma almeno si devono evitare le più palesi assurdità. Building Imaginary Worlds però è un libro sulla "storia e teoria" e quindi, è giusto saperlo, le risposte pratiche a questo tipo di domande non si troveranno qui.



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