mercoledì 18 ottobre 2017

Blade Runner 2049, riflessioni e significati

Dopo aver riflettuto sulle emozioni e gli stimoli che mi ha lasciato Blade Runner 2049, volevo scriverne un attimo, ma questa volta non sarà una recensione e non sarà priva di anticipazioni, tutt'altro. Innanzitutto: il film mi è piaciuto. Mi sento di dire che questo film è riuscito a mettersi nel solco del predecessore rispettandolo, e senza maltrattarne le tematiche e le atmosfere nella storia che racconta. Da appassionato del vecchio Blade Runner, senza voler fare impossibili paragoni, dico che ho potuto godermelo. Ma non so se, nel caso si voglia veramente procedere a sviluppare gli spunti di Blade Runner 2049 in una serie di diversi futuri film, la storia riuscirà a volare e mantenersi a galla in aria oppure crollerà al suolo.


Nel primo Blade Runner la storia finiva, aveva una conclusione secca, qualcunque versione si voglia prendere per buona: un potente punto esclamativo in negativo sull'umanità e sul suo destino (ambientale, sociale, politico, culturale, e nell'ottica della convivenza con le macchine intelligenti). Blade Runner mancava della metafora della cavalcata nello spazio immaginario della rete per essere già tutto il cyberpunk prima ancora che i protagonisti letterari del genere (un po' dei palloni gonfiati, se volete la mia) scrivessero i loro libri. Poiché la rete poi è arrivata ed è tutt'altra cosa con tutt'altri problemi, questa mancanza in realtà ha fatto bene al film ed ha contribuito alla sua incredibile longevità.

Blade Runner quindi aveva il suo senso, anche come film profetico e politico (sebbene a Ridley Scott non interessasse il messaggio ma solo di fare il proprio mestiere) la cui previsione sui nostri destini si sta avverando, e non ha ancora trovato qualche anima pia (parlo di persone potenti e/o al governo) che voglia cercare di deviarli in una direzione un po' meno catastrofica.



In Blade Runner 2049 il discorso del primo film si dà per scontato, con l'aggiunta, nelle premesse, di un catastrofico attacco alla civiltà (il grande Blackout, causato da un attacco terroristico con la bomba atomica). La storia diventa più futuribile, meno pressante e meno presente, quindi inevitabilmente più debole, per quanto le tematiche sull'identità restino in primo piano con il crollo della differenza fra replicanti ed esseri umani, rivelato dalla possibilità che i replicanti abbiano dei figli. Quanto sia forte questa premessa, che sposta tutto il discorso nell'immaginario futuribile non saprei, per me non moltissimo, per quanto dia la possibilità di raccontare storie personali forti.

Parlo ovviamente di Joe ovvero K, il protagonista, che crederà di essere nato veramente e di avere ricordi reali, ma poi scoprirà che... non è vero. Muore nella scena finale di Blade Runner 2049? Penso che Ridley Scott, qui produttore, abbia lasciato la porta aperta per seguire la storia del personaggio. Comunque è quasi poetica quella scena finale che ricompone la sua storia, di lui che ha creduto di trovare una ragione di esistere (essere una persona vera), poi se l'è vista scomparire, e allora ha trovato un suo scopo nell'aiutare Deckard... e infine si sdraia a morire tra i fiocchi di neve che cadono lentamente.

Meno forte, forse meno interessante la tematica della nuova corporazione che produce i replicanti. La performance di Jared Leto nei panni di Wallace, imprenditore cieco, visionario e con tanto di barba da hipster sprizza antipatia, forse è proprio come deve essere, per carità, ma sprizza anche una sensazione di già visto. E poi qual è il suo piano? Fare tanti schiavi perché non bastano le persone che già ci sono per colonizzare l'universo? Be', ma nell'attuale verminoso eccesso di persone viventi su questo nostro pianeta difficilmente si potrà simpatizzare con l'idea di una necessità di produrre replicanti che sappiano generare esseri umani... e sarebbero davvero obbedienti, o sarebbero uomini liberi?

Piuttosto potrebbe essere interessante un'altra tematica, che però non c'è. La grande corporazione che invade il mondo di macchine e di uomini-macchina (o comunque artificiali), mentre la vera umanità si schiaccia nelle baraccopoli.



Sono se mai i replicanti stessi, con una specie di movimento di resistenza clandestino, che vogliono sfruttare il "miracolo" della nascita in mezzo a loro per eliminare la distanza e la discriminazione rispetto agli esseri umani. Qui la tematica si fa però troppo astratta e futuribile.

Interessante invece il discorso sull'intelligenza artificiale. Non relativo a un futuro immanente, sì, ma capace di portare su un altro livello il rapporto alienato che c'è fra uomo e prodotto dell'uomo nell'universo di Blade Runner. Joi, l'ologramma senziente che tiene compagnia a K, è un essere dall'esistenza ancor più drammaticamente triste e alienata di quella dei replicanti stessi, non so se qualcuno se ne è accorto. Joi che è solo immagine e voce, senza corpo. Joi, la cui publicità dice che è "tutto quello che vuoi." Joi che deve "sintonizzarsi" con una prostituta (interpretata da Mackenzie Davis) in carne ed ossa se vuole sentire il contatto fisico con il compagno. Che per stare con lui si trasferisce in una specie di memory stick, rischiando consapevolmente di essere distrutta per sempre se il supporto viene distrutto (il che puntualmente avviene) ma che accetta la possibilità di morire "come una ragazza vera" pur di seguire l'avventura del suo compagno.
Joi è veramente senziente? Il suo destino di amare gli acquirenti del programma è segnato? Ha libero arbitrio? Certamente per la prostituta che condivide K con lei Joi esiste, ma avendo "guardato dentro di lei," conclude che "non è gran che."
Forse questo è il personaggio più drammatico di Blade Runner 2049. Possibilità che questa tematica venga sfruttata in seguito? Certamente e anzi spero di sì. Ma queste idee sono già state sviluppate da altri film, qui certamente Blade Runner 2049 non è un'opera di rottura come il suo predecessore.

E infine torniamo un attimo a K, l'anti-Deckard. L'androide dal viso sofferto, dalle emozioni sotto controllo. Ammesso che il personaggio di Harrison Ford sia un replicante, è un replicante capace di fare delle scelte e di vivere indipendente, mentre K è il "bravo ragazzo," nato nella generazione dei replicanti obbedienti: lavora onestamente e aiuta la polizia senza raccontare bugie. Scarica le sue ossessioni nel rapporto (illusione di rapporto) con Joi. Difende la causa dei replicanti contro la corporazione di Wallace, e quindi contro Luv, altro personaggio tragico di replicante che non può contestare il suo ruolo, tirapiedi del grande industriale destinata a lottare per lui credendoci o meno, e che va a morire ammazzata in una delle ultime scene.

Non posso comunque fare a meno di pensare che Blade Runner 2049 abbia spostato il discorso più lontano, nei mondi della fantascienza e del fantastico, e ovviamente nell'immaginario di una grande fotografia, musica e bellissime scene, mancando invece i problemi di oggi (che comunque gli hollywoodiani non vogliono vedere o di cui si occupano in maniera elementare e limitata), e che quindi non possa assolutamente essere un film significativo come Blade Runner fu a suo tempo.

Blade Runner 2049 a mio parere va visto, ma mentre posso essere grato perché non ha tradito, o mandato comunque in malora con un azzardato cambio di direzione, il suo originale a cui resto molto attaccato, non riesce a sviluppare una forte tematica propria né a portare il tema del precedente in una direzione che, successi o insuccessi di pubblico a parte, renda veramente necessario un ulteriore film, o anche questo stesso.

P.S. Una serie di riflessioni poco generose verso questo film ma che trovo almeno in parte fondate la potete leggere (in italiano) qui.

2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Hai fatto un'ottima riflessione.
Si sta mostrando più profondo delle aspettative.

Bruno ha detto...


[Recitiamo per la millesima volta il mantra: il paragone con il primo film è impossibile, perché qualsiasi seguito ne verrebbe schiacciato, qualsiasi cosa avessero cercato di fare].
Una volta recitato il mantra, questo BR2049 ha i suoi spunti, la sua personalità, le sue idee da portare avanti, e se ne può parlare. Ovvio che se Ridley Scott e soci ne facessero una serie di film verrebbe fuori qualcosa di ancor differente e che comunque non potrebbe mai essere come il primo film, perché sono passati 35 anni e non puoi più essere sorprendente allo stesso modo dicendo quelle cose, ma ne può comunque uscire qualcosa di buono, ci sono discorsi che si possono proseguire.

Al contrario, Prometheus tanti anni dopo Alien è stato per me una grossa delusione. Mi infliggerò prima o poi Alient Covenant per confermare o smentire...