giovedì 13 maggio 2010

Miéville, Tolkien e il fantasy conservatore

La polemica (sterile?) sulla natura conservatrice del fantasy l'avevo affrontata in un post passato, giungendo fondamentalmente alla conclusione (abbastanza condivisa) che per quanto di fantasy conservatore ne esista parecchio, non tutto è così, e comunque il fantasy non è "vincolato" ad essere conservatore.

Lo nota anche, in una intervista che ho letto sul web in inglese, China Miéville, che parla proprio del legame tra fantastico e ideali rivoluzionari. Miéville, che parla di sé come di un attivista politico oltre che di uno scrittore, non pretende di essere un autore impegnato. O meglio... I significati si possono trovare, se si vuole, nelle sue opere. Ma non sono mai schiaffati in prima fila ad occupare tutto il palcoscenico. Atteggiamento lodevole e che qualche italiano dovrebbe imitare, forse.
Tra gli autori progressisti o rivoluzionari cita Gene Wolfe, Ursula LeGuin, Michael Moorcock; si chiede addirittura se il fantastico non si presti, anziché a far da portavoce a idee conservatrici, a creare un'estetica sovversiva o radicale.

Saltando le opinioni sul rapporto tra marxismo e fantastico (sono interessanti, anche se non avete una grande opinione del marxismo, ma non posso tradurre tutto quanto qui...) andiamo a leggere cosa pensa Miéville di Tolkien.

Il Signore degli Anelli di Tolkien è senza dubbio il libro fantasy più influente mai scritto... [Tolkien] più di quanto avessero fatto i precedenti scrittori ha inventato una storia complessa, una geografia, una lingua per il suo mondo immaginario, e ha adattato ad esso il suo stile narrativo... e fin qui sono tutti complimenti per l'autore del SdA almeno a mio modo di vedere, poi cominciano le critiche: la visione del mondo di Tolkien era decisamente campagnola, piccolo borghese, anti-modernista e conservatrice, settariamente cristiana e anti-intellettuale. Per citare Moorcock (...): "se la Contea è un giardino in un quartiere suburbano, Sauron (il malvagio signore oscuro) e i suoi seguaci sono quell'antico spauracchio dei borghesi, la folla: tifosi ignoranti che buttano le loro bottiglie di birra al di là della staccionata" insomma Tolkien spingerebbe in qualche modo il lettore verso la mentalità della classe più o meno privilegiata dei suoi tempi, che temeva il cambiamento e vedeva sempre il passato come un'età dell'oro.

Non sto a tradurre l'intera intervista dal momento che non sono un amante del plagio (il link è in fondo). E non so se Miéville, con il suo progressismo marxista sempre più simile a un ferrovecchio, in un mondo contemporaneo dove i cambiamenti non sono certo diretti verso il "sol dell'avvenire," sia davvero meno conservatore di Tolkien. Non posso dire di condividerlo, certi aspetti del suo punto di vista li ritengo proprio vecchiume. Salta all'occhio l'uso del termine "piccolo borghese," che nella società stravolta di oggi non vuol dire assolutamente nulla, ma ancora viene usato da una parte della sinistra come se fosse il peggiore degli insulti, la categoria umana più escrementizia che si possa trovare.
Però da parte mia devo ammettere una cosa: ritengo abbastanza inconcludente (per quanto ne so) la critica di Tolkien verso la modernità. Certi atteggiamenti anti-industriali e certe critiche contro il potere potrei anche condividerle. Ma mi danno l'idea di un rammarico senza alcuna indicazione di percorso alternativo (a questo punto la sinistra tradizionale in effetti ci fa una figura migliore, per quanto sia ormai improponibile).
Cosa dire della similitudine ideata da Michael Moorcock, nella citazione? Cattivella, senza dubbio. Bisognerebbe aver letto parecchio di Tolkien per poter dire se ha ragione, io mi astengo dal giudicare perché non lo conosco abbastanza.

Miéville ha da dire anche sul ruolo che il lieto fine avrebbe nello scrivere di Tolkien. Leggiamo:
Per lui la consolazione del lieto fine è fondamentale per il fantasy. Fa finta che avvenga per miracolo, che non ci si debba contare. Ma tale pretesa di casualità è un'idiozia, perché subito prima dice che "tutte le fiabe per essere complete devono avere il lieto fine, è la loro funzione primaria"(...) in Tolkien il lettore riceve l'idea consolatoria che i problemi di sistema sono dovuti ad agitatori esterni, e che la 'gente per bene,' contenta di come andavano le cose, alla fine avrà la meglio. Questo fantasy è come cibo di conforto letterario...
Trovo discutibile l'attribuzione di Miéville a Tolkien di una "necessità" del lieto fine. Miéville però cita proprio il saggio sulla fiaba di Tolkien, dove l'autore avrebbe sostenuto l'importanza della consolazione del lieto fine: personalmente non ho letto tutto il Tolkien narrativo e nemmeno il saggio citato (On Fairy Stories), ma non mi pare che Tolkien abbia razzolato esattamente come propone, per quanto non metta in dubbio che Miéville citi parole sue. Direi anzi che nemmeno il finale del SdA è veramente in tutto e per tutto un lieto fine. Intanto non dimentichiamo la tristezza per il sacrificio di Frodo; ma se c'è comunque la vittoria contro gli hooligans che buttano le bottiglie vuote nel giardino, vittoria importantissima perché altrimenti ogni ordine del mondo finirebbe (nella visione che Miéville attribuisce a T.), il mondo della Terra di Mezzo non ritorna certo quello di prima, con la contentezza della gente 'per bene'.
Mi piacerebbe sapere come la pensate. Vi ritrovate su questi punti della critica di Miéville?
Se poi volete leggere tutta l'intervista, eccola qui.

4 commenti:

alladr ha detto...

be', che dire, il bon vecchio china non ha capito un cazzo di tolkien.
andiamo con ordine:
1) tolkien era cristiano, isda è un'opera cristiana, di più, è la riscrittura di una parabola. la parola chiave di isda è: rinuncia, si rinuncia all'anello perché, per quanto potente, esso è stato generato dal male e per il male ed è simbolo di potere e mezzo di corruzione. regala tutto quello che hai e abbi fede in qualcosa di più alto del potere terreno, questo ci dice isda. per questo mi arrabbio quanto sento dire che tolkien è imitato: perché non è semplicemente vero: di tolkien sono stati imitati gli aspetti più superficiali e ininfluenti, i colori e non la sostanza che li ospita, con l'effetto di uno stravolgimento drammatico e irrecuperabile.
che poi il messaggio cristiano sia campagnolo, piccolo borghese e anti-intellettuale è tutto da vedere e da discutere. io non sono un romanziere di successo (ma non sono neanche di religione marxista), e sarei più cauto.

3) tolkien, nel saggio "sulla fiaba" (che ti consiglio di leggere, bruno), fa un lavoro da filologo: "vuoi chiamare questo testo fiaba? allora verifica che abbia un lieto fine. se non ha il lieto fine, è qualcos'altro (magari un romanzo fantasy)". così come quando dice di volersi occupare del fulmine e non della lampadina, di scrivere per evasione, ma di pensare all'evasione da un'ingiusta condanna e non alla fuga del disertore (be', cito a memoria, abbi pazienza icde), il punto è che, in realtà, non credo che avesse la consapevolezza di contribuire a fondare un genere. stava osservando, descrivendo quel che altri avevano fatto e quello che stava facendo lui in un ambito che lui definiva "fiaba" (sub-creazione, nella sua idea di invenzione come opera cristiana) e che non avrebbe associato ad altre opere che oggi definiamo fantasy.
tutto qui: mielville ha gli occhi (e la coscienza) foderati col capitale e si comporta proprio come quei fondamentalisti religiosi che, nella stolida convinzione di non farne parte, altrove ha criticato.

EffeErre ha detto...

Il bello di un'opera d'arte è che perde sempre il controllo del suo autore. Le interpretazioni sono molteplici e dipendono dall'osservatore. Quindi, secondo me, questa eterna diatriba su Tolkien cristiano e conservatore non ha senso.

Bruno ha detto...

@ EffeErre: per il caso di Tolkien non si può che essere d'accordo. Non voglio entrare nei dettagli, ma in Iitalia un po' tutti hanno cercato di appropriarsi di Tolkien.

@ alladr: hai indicato i punti delle tue motivazioni con 1 e 3, pertanto resto in attesa spasmodica del n. 2.
Nel frattempo :) però devo dire che sono abbastanza d'accordo con te, e temo che il buon Miéville sia caduto nel tranello che indichi nel tuo finale.
Armato di un'ideologia parrocchiana, ottocentesca, fondamentalista e con il paraocchi, ha applicato a martellate le categorie peggiori che potesse trovare agli aspetti di Tolkien che non gli piacevano.

Resta il fatto (per me) che Tolkien fa una critica non finalizzata, da anarchico (ma come diceva lui stesso, non di quelli che mettono le bombe) che vede il male, però non sa indicare una soluzione che sia 1) migliore, e 2) applicabile (ammetto che la 2 forse è semplicemente una sotto-categoria della 1).
Peraltro, chi dice che fosse tenuto a farlo?

Bruno ha detto...

Grazie per la segnalazione anche se della Lipperini non so bene cosa pensare... e ancora meno adesso se tratta l'appartenenza di Tolkien "scippata" da una parte politca come se fosse un problema attuale. Adesso che con i film, e tutto il resto dell'esplosione del fantasy in Italia, è diventato quanto più mainstream si possa immaginare. Tengono dei convegni per parlare di questo? Hanno proprio tempo da perdere.

Quanto agli autori del fantasy italiano che seguono ancora senza fantasia le tracce di Tolkien... questo sì, è ancora un problema, comunque ce n'eravamo accorti da mo'
Visto che secondo il post citato "i più maturi si rivolgono all'urban fantasy," allora quando ho letto delle schifezze o robaccia mediocre UF mi sarò sbagliato?... va di moda, dài, dev'essere meglio per forza!