lunedì 19 giugno 2023

La Società dello Spettacolo

 Questo è un libro profetico, il cui autore, dopo oltre quindici anni, diceva essersi avverato. La Società dello Spettacolo è un'analisi della società dominata dai media, quindi "lo spettacolo." Il reale e il realmente vissuto si è allontanato, perfino il piano materiale (le "merci" di marxiana memoria) si nasconde, così il rapporto tra il potere e le persone, o tra le persone stesse, è falsificato e mediato da rappresentazioni.

L'autore del libro, Guy Debord, ha pubblicato questo libro nel 1967 e lo ha integrato nel 1988 con I Commentari sulla Società dello Spettacolo, che è un po' un seguito e un po' una precisazione sui principi espressi, alla luce del tempo trascorso. L'autore quindi può vantare di aver previsto la società dell'apparenza che esiste oggi, pur vivendo in un'epoca di schermi in bianco e nero, prima del trionfo della televisione su qualsiasi altra comunicazione.

In questo Debord è stato effettivamente un precursore, ma la sua analisi si basa comunque su concetti marxisti non proprio freschissimi. Provo a spiegare... Così come nel tradizionale concetto marxista il feticismo delle merci altera i rapporti tra le persone, e tra il lavoratore e il suo prodotto, lo "spettacolo" mette al centro le immagini, in modo che una realtà costruita e manipolata si sostituisca al vero, nell'interpretazione del mondo e nei desideri.

Nato nel 1931 a Parigi, Debord, di padre francese e madre italiana, fu filosofo, intellettuale, produttore cinematografico. Nel 1957 fu tra i fondatori del Situazionismo, movimento politico e artistico marxista. Le idee dei situazionisti e le loro spiazzanti prese di posizione ebbero fama negli anni del periodo sessantottino. Tra le loro scelte c'è il rifiuto del copyright: infatti La Società dello Spettacolo (come anche i successivi Commentari) si trova gratuitamente in rete, se vi date pena di cercarla. Si trattava comunque di una corrente minoritaria. I situazionisti erano ostili (ricambiati) alla sinistra istituzionale, e si ponevano sulle posizioni più estremiste.

Tornando all'argomento del post: il libro è diviso in brevi tesi, enunciati di cui Debord dà solo minime spiegazioni. Se in alcuni casi i paragrafi di Debord sono assai pungenti e ben comprensibili, bisogna dire che spesso non è così, ed è richiesta una lettura piuttosto approfondita e la ricerca di certi riferimenti. Come già accennato, è anche opportuno saper navigare un minimo tra le categorie marxiste. Quindi se cercavate un facile manualetto per la comprensione del mondo moderno, questo libro non lo è, anche sa dà degli spunti.

Per Debord il lavoratore è stato trasformato in consumatore per poter assorbire la sovraproduzione delle merci, e pertanto è stato cooptato nel feticismo del desiderio creato dall'immagine, che lega le persone a falsi bisogni decisi da altri.

Una delle tesi più citate di Debord, la 12, afferma:

Lo spettacolo si presenta come enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più che "ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare". L'attitudine che esige per principio è questa accettazione passiva che esso di fatto ha già ottenuto attraverso il suo modo di apparire insindacabile, con il suo monopolio dell'apparenza.

Ora, questo è molto adatto al mondo della comunicazione televisiva e della stampa, dove tutto arriva già confezionato e "insindacabile." Lo spettacolo, ovvero la visione del mondo che viene fatta trangugiare con quei mezzi, non può essere messo in discussione, ne siamo fruitori e basta. Oggi è il caso di porsi, quanto meno, una domanda: con la diffusione della rete, che bene o male dà la parola a tutti o, per dirla con Umberto Eco, ha dato il diritto di parola a una legione di imbecilli, le cose sono (almeno potenzialmente) cambiate o no? Se Debord fosse ancora vivo sarebbe interessante chiederglielo.

Alcune altre affermazioni interessanti di Debord:

  • la classe dominante più è forte e controlla tutto, e più affermerà di non esistere.
  • gli oggetti della produzione di massima hanno un fascino breve, e quando tutti li comprano cessano di averlo.
  • sono soddisfatti falsi bisogni, quelli veri non sono riconosciuti.
  • i prodotti di qualità scompaiono e vengono sostituiti da merce prodotta in quantità per un consumo di massa.
  • il turismo è la libertà di andare a vedere ciò che è diventato banale.

La cultura e l'arte perdono senso; per quanto riguarda l'arte, è la vendita che ne autentica il valore [tema che casualmente avevo già trattato in questo blog...].

Ora, mi viene il sospetto che semplicemente Debord abbia visto l'evoluzione dei "tempi moderni" e se ne sia fatto un moloch impossibile da combattere, anziché una delle tante evoluzioni del modo di vivere portate dalla tecnologia, con cui tocca fare i conti; ma forse per il suo punto di vista rivoluzionario aveva ragione. D'altra parte, se nel mondo pre-spettacolare le rivoluzioni comuniste avevano avuto come solo esito possibile l'avvento di alcune gang di burocrati assassini, Debord aveva da disperarsi già da prima. Di fatto, qualcuno dice che la presa di coscienza del trionfo irrimediabile dello "spettacolo" sia stato il fattore che abbia spinto Debord a spararsi (avvenne nel 1994). Chi lo sa...

Noto infine che esiste un film dal titolo La Società dello Spettacolo, opera di Debord, su YouTube: è in francese coi sottotitoli in italiano. Ne ho visto qualche minuto... in pratica alcune tesi del libro vengono recitate mentre scorrono immagini e musica: sfilate di moda, lavoratori alla catena di montaggio, spogliarelli, poliziotti che picchiano manifestanti, combattimenti ecc. Il film non mi ha aiutato a comprendere meglio le tesi di Debord, che vanno lette con calma, riflettendo e rimasticandole per capirle. Le immagini perciò distraggono, quindi se volete affrontare seriamente Debord, il film non può sostituire la lettura del libro.

Comunque, dal momento che difficilmente posso avervi dato un'idea abbastanza chiara del pensiero di Debord, invito a leggere almeno l'inizio del suo libro, anche perché, comunque la si veda, è un pensatore interessante. Nessun quattrino da sborsare: come ho già detto, è online gratis. L'argomento va approfondito perché la questione che oggi a tutti noi si pone (e che lui per primo pose) è importante, e per quanto chieda attenzione da tempo, potrebbe essere ancora più grave e urgente di quanto si teme. Ovvero: dal momento che il mondo di oggi ci si propone tramite un flusso per noi incontrollabile di immagini e suggestioni, nella TV, nella comunicazione social ecc... la nostra possibilità di interpretarlo, informarci, prendere decisioni in quanto cittadini è ancora concreta o sta diventando un'illusione?



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