Adam Tooze, storico britannico, si è sobbarcato l'impresa di analizzare il funzionamento della macchina economica tedesca per il periodo che parte dalla fine della Prima Guerra Mondiale (ormai oltre cento anni fa) fino al termine del successivo conflitto. Come capita quasi sempre quando viene fatta un'analisi seria, quello che viene a galla è ben diverso dalle "verità" che sono state per anni distribuite nei libri scolastici e sullo schermo (la "realtà a cartoni animati" che ci viene somministrata quotidianamente).
Nel libro che ho letto, The Wages of Destruction, che si può tradurre, credo, con Il Prezzo della Devastazione, Tooze analizza la politica economica del Terzo Reich, con un breve preambolo sulla Germania di Weimar. Si tratta di un libro denso, circa 700 pagine scritte fitte, difficilmente leggibili per chi non sia appassionato di storia e dotato di qualche cognizione di economia. Servono entrambe le cose.
Il libro permette di sfatare alcuni miti sulla Seconda Guerra Mondiale, creando un quadro che mette in luce le grandi difficoltà della Germania nel primo dopoguerra e nella ricerca della rivincita, l'inevitabilità della nuova sconfitta, l'impossibilità di mitigare le terribili sofferenze della fame se non con la decisione di far morire tutta una serie di categorie di persone prima che il cittadino tedesco soffrisse (come disse Hitler), la dura realtà di certe materie prime indispensabili che mancavano, e sarebbero continuate a mancare pur con tutti i tentativi di produrle artificialmente.
L'economia della Germania è andata avanti senza grossi scossoni fino, praticamente, al 1943, e non era nemmeno una economia di guerra: questo secondo il mito. A quel punto una specie di supereroe dell'industria (Albert Speer) avrebbe preso in mano un mondo sonnacchioso di operai sfaticati e industriali compiacenti e li avrebbe messi alla frusta portando la produzione di armamenti a livelli prodigiosi, proprio negli anni della catastrofe definitiva della Germania. Miracolo economico tardivo e inutile.
Non è proprio così. Il Nazionalsocialismo ha ereditato (nel 1933) un'economia che si trovava già in via di ripresa dopo la crisi del 1929 e, a parte il primissimo anno dedicato a creare un po' di "welfare" come promesso ai cittadini Tedeschi, l'industria è stata impostata fin dall'inizio alla preparazione dei mezzi necessari alla rivincita di Adolf Hitler e del suo popolo per l'umiliazione subita nel conflitto precedente, mentre a un'agricoltura inefficiente era consentito di sopravvivere come base di consenso popolare.
Il Nazionalsocialismo non impostò un'economia di guerra evidente, né cancellò il libero mercato, ma lo influenzò, costrinse gli industriali a piegarsi alle necessità militari. Questo poteva essere semplicemente ottenuto con una serie di controlli burocratici che impedivano un normale "scambio di mercato" con l'estero. Dapprima la Banca centrale si è interposta tra esportatori e importatori, sequestrando la valuta estera e dando il controvalore all'esportatore in valuta interna. La valuta (pregiata) estera è poi stata riservata a coloro che importavano materiali ritenuti utili ai programmi di espansione militare. Allo stesso modo le allocazioni di materie prime e di manodopera (che ora scarseggiava, per via dei grandi programmi militari) non andavano mai a chi voleva produrre ed esportare beni di consumo.
Con abili manipolazioni sui rifornimenti e sui prezzi si evitò, per il periodo precedente il conflitto, il razionamento. Non c'è bisogno di razionare se nei negozi non si trova nient'altro che il minimo indispensabile.
Nello stesso tempo in cui saccheggiava il possibile dai paesi conquistati, la macchina produttiva tedesca cercava di sopperire alle proprie carenze espandendo, con un programma di medio-lungo periodo i cui frutti non sempre si sono visti realizzati prima della fine del conflitto, la produzione di risorse che non c'erano (carburante, gomma) o che erano insufficienti (ferro, carbone ecc...).
Albert Speer approfittò quindi di programmi di espansione industriale iniziati prima che lui prendesse il controllo dell'economia. E gonfiò i numeri della produzione sfornando mezzi militari senza pezzi di ricambio, in modo che per far volare un aereo dopo un po' ne dovevi smontare un altro. Inoltre Speer, l'unico pezzo grosso che se la sia cavata con una detenzione in carcere, era perfettamente al corrente di quello che si faceva ai prigionieri per costringerli al lavoro finché cadevano morti di fame. Speer, che sarebbe l'architetto sognatore sedotto da Hitler secondo l'immagine che ci è stata data di lui, era in effetti un personaggio ben diverso. Per l'autore di questo libro, meritava senz'altro la fucilazione.
Il grosso problemi della Germania erano la mancanza di materiali strategici come ferro, petrolio, gomma. Per il ferro, che non può essere prodotto sinteticamente, la fornitura svedese fu messa in sicurezza con una costosa operazione militare, ovvero la conquista e il forte presidio della Norvegia. Per gli altri materiali che erano soggetti a embargo, i Tedeschi come abbiamo visto costruirono un impero di industrie sintetiche che ne creava una quantità degna di nota, per quanto non sufficiente. Queste industrie non sarebbero mai nate in una normale economia di mercato, né del resto si poteva crearle a conflitto già iniziato. I fondi statali hanno "unto le ruote" degli industriali incaricati di creare questa base di produzione, e permesso loro di vendere il prodotto sintetico allo stato, sebbene il prezzo fosse totalmente fuori mercato in tempo di pace.
Un'altra risorsa importante che mancava era il cibo. La Germania era sovrappopolata e doveva importarlo, in tempo di pace. Questa necessità era ben nota a Hitler, che per sfizio metteva sempre il naso nei dettagli tecnici degli armamenti, ma in realtà considerava il lato macro-economico della guerra come quello principale. Per risolvere il problema, Hitler decise di creare una specie di Eldorado germanico a Est.
Così come altri paesi avevano creato la propria fortuna con le colonie, i Tedeschi avrebbero dovuto (col benestare britannico) schiacciare i comunisti e conquistare la propria abbondanza di cibo (Ucraina) e petrolio (Caucaso) nonché altre risorse di vario tipo a scapito dell'URSS. Grandi quantità di Russi (e di Polacchi) dovevano essere semplicemente eliminate in quanto la loro terra sarebbe stata presa dai "coloni" tedeschi, così come i coloni USA avevano portato via il territorio ai nativi alcuni decenni prima. Destino simile per le popolazioni di alcune grandi città russe che a Hitler non interessavano. L'attuazione di queste politiche venne avviata ma, poiché la vittoria totale non era stata raggiunta con la campagna di Russia del 1941, la strage alla fine fu evitata (ovvero non portata ai livelli previsti) perché i governatori locali dei territori occupati, che avevano bisogno di manodopera, si lamentavano per le uccisioni indiscriminate di Russi, civili o prigionieri che fossero. Moltissimi morirono comunque di fame, stenti e maltrattamenti.
In effetti, coi cittadini maschi tedeschi sotto le armi, servivano tanti lavoratori, volontari e non. Piccolo grande problema: non si poteva nutrirli adeguatamente. Così si ebbero milioni di prigionieri ridotti in schiavitù, e lavoratori civili stranieri, costantemente affamati. Nella scala dei nemici mortali costretti a lavorare fino alla morte e con cibo insufficiente, le posizioni peggiori erano quelle di Ebrei, prigionieri di guerra Russi, altri prigionieri politici e razze indesiderate. Questi mangiavano meno di tutti, e sono morti a milioni. A un livello superiore i prigionieri di altre nazionalità più "occidentali" che avevano accettato di lavorare, ad esempio gli Italiani, i Francesi catturati nei primi tempi della guerra, ecc... Al di sopra ancora, i lavoratori di varia provenienza che si erano lasciati volontariamente "arruolare" per andare nelle fabbriche in Germania. Questi ultimi potevano sperare in qualche razione premio se dimostravano di lavorare molto. Ma anch'essi non hanno certo trovato occasioni per ingrassare, durante quegli anni.
Ad ogni modo nell'ultimo anno di guerra il Terzo Reich, con tutti questi lavoratori schiavi e semi-schiavi, era certamente multietnico quanto la Germania di oggi. E lo erano anche le forze armate, infarcite di Polacchi, Russi, Baltici, Belgi, Francesi, Scandinavi, Indiani, Arabi, Jugoslavi, ecc... (per non parlare degli Italiani).
E le donne tedesche? Altro mito: non è vero che se ne siano state ai fornelli fino a che la Germania non è stata raggiunta e piallata dagli Alleati e dai Russi. Già all'inizio del conflitto la percentuale delle donne occupate in attività lavorative in Germania era superiore, sensibilmente, a quella britannica. La differenza rimase durante il conflitto, perché la percentuale aumentò in entrambi i paesi. Insomma le donne vennero mobilitate nella produzione e in diversi incarichi lavorativi, e nelle loro mani rimase una gran parte dello sfiancante lavoro agricolo.
Con tutta questa carenza di risorse fondamentali, e di cibo per poterle produrre (i lavoratori devono mangiare, se non mangiano non producono...) un'occasione fu persa: la Germania, che in teoria avrebbe potuto integrare altri paesi industrializzati nella propria macchina bellica, dopo averli conquistati (Francia, Olanda, l'est, la stessa Italia post armistizio...) in pratica ne ottenne molto poco, perché anche quei paesi avevano più o meno le stesse carenze (metallo, carbone, petrolio). Per cui alla fine vennero privati di tutto quello che si poteva saccheggiare (aerei, veicoli, macchinari, mezzi militari, manodopera, cibo ecc...) ma le loro industrie vennero sfruttate piuttosto poco.
Dunque, alla fine, Hitler era matto o no? No, non era matto. Hitler era un giocatore d'azzardo, questo il ritratto che ne viene fuori. E molto attento al dato economico. Prima del conflitto, anche prima di prendere il potere, aveva in mente una strada a lungo termine per la rivincita tedesca e voleva perseguirla a tutti i costi. Credendo che fosse possibile conquistare la Russia ed esportarvi la popolazione tedesca in eccesso, si illuse che la Gran Bretagna glielo avrebbe lasciato fare. Ma per quanto ostili al comunismo, i Britannici non erano favorevoli alla creazione di un nuovo grande impero germanico.
Per cui il piano di Hitler diventò più complesso, soprattutto alla luce del fatto che, una volta iniziato il conflitto, la Germania aveva un anno o poco più di autonomia per il consumo di carburante, e lo sapeva. Dal momento che il 1939 era l'anno in cui la differenza di potenziale tra la Germania e i paesi occidentali in via di riarmo (Francia e Inghilterra fondamentalmente) avrebbe toccato il massimo per poi diminuire col riarmo di questi ultimi, non c'era alcun vantaggio ad aspettare ancora. Che la guerra iniziasse, anche contro quelli che il dittatore tedesco aveva cercato di tener buoni. Hitler aveva "disinnescato" per il momento la minaccia di un conflitto su due fronti, stipulando un accordo con il nemico Stalin.
A guerra iniziata, dopo aver eliminato la Polonia (1939), l'idea era di dare "una mazzata" agli occidentali e poi riprendere il programma di conquistare la Russia. Hitler scelse una strategia innovativa (da qualche parte nel blog ne parlo...) e sconfisse con relativa facilità la Francia nel 1940. Tra parentesi: in verità non se lo aspettava, né lui né i suoi generali...
Tuttavia la Gran Bretagna restava nemica, e per via della posizione geografica non si poteva conquistare. La prospettiva che gli USA entrassero nel conflitto era molto plausibile, Hitler non ne era certo all'oscuro. Proseguì il proprio progetto lanciando quella che doveva essere una rapida campagna contro l'URSS, tradendo ovviamente il trattato siglato nel 1939. Una volta prese le agognate risorse russe la Germania avrebbe potuto trincerarsi e resistere in eterno, o anche passare al contrattacco contro gli occidentali. Questo il piano.
La Russia fu abbastanza forte da resistere all'invasione del 1941, però, e poiché i Giapponesi, che avevano la propria guerra da fare contro gli occidentali, s'erano impegnati a non attaccare le retrovie russe, i sovietici poterono spostare le riserve davanti a Mosca e bloccare l'assalto tedesco. Di fronte a questo, per "tenere impegnati" gli USA per un altro po' e riprovare nel 1942 a prendersi la Russia, Hitler compì un'altra mossa gravida di conseguenze: promise al Giappone di dichiarare guerra agli USA se anche i Giapponesi lo avessero fatto.
I Giapponesi avevano piani più a lungo termine ma poiché gli USA di Roosevelt stavano strangolando economicamente il Giappone stesso, accettarono.
Con questo, fu completata la coalizione di stati che avrebbe in pochi anni schiantato le ambizioni di Germania e Giappone (e Italia).
Due cose notevoli (dal mio punto di vista) di tutta la vicenda descritta nel libro. Innanzitutto, la constatazione che nonostante tutti gli accrocchi economici, le dispersioni di sforzi e i piani poco realistici che finivano in soffitta uno dopo l'altro, gli uomini al comando dell'economia tedesca riuscirono a spremere moltissimo dalle risorse economiche del paese. Certamente con maggiore successo dell'Italia, che non riuscì a mobilitare come si deve nemmeno il poco che aveva. In secondo luogo, lo sforzo di volontà e la fedeltà della maggior parte della gente e dei soldati, che permisero a un paese sull'orlo della bancarotta di barcamenarsi ancora per anni dopo che le speranze di un successo militare erano andate a farsi benedire.
Non che ci abbiano guadagnato qualcosa, ovviamente. Anzi.
Consiglio senz'altro questo libro se sapete leggere bene l'inglese e se siete interessati (a livello, diciamo, intenso) all'ultimo conflitto mondiale.
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