Sapevo che questo libro avrei dovuto leggerlo ma, quando uscì in inglese, rimandai l'acquisto e persi l'occasione. Poi Jack Vance, l'autore di questa autobiografia, morì, e il libro balzò a prezzi impossibili, disponibile solo nel mercato dell'usato.
Ora, tuttavia, è uscito in italiano con il titolo Ciao, sono Jack Vance! (e questa storia sono io), ad opera della Delos Books. Quindi, per farla breve, ho letto la versione digitale dell'autobiografia di quello che è, forse, il mio autore preferito.
A dire il vero della sterminata produzione di Vance ho letto una minima parte, qualcosa mi è piaciuto e qualcosa mi ha lasciato indifferente... tuttavia ci sono due opere almeno, La Terra Morente (ciclo di racconti) e Lyonesse (trilogia) che a mio parere sono tra le migliori del fantasy.
Vance, come gli appassionati sanno già, si dedicò a diversi mestieri, e fu incostante negli studi, pur avendo una passione per la scienza. Passò alcuni anni navigando lungo le rotte commerciali, e questo girovagare fu una caratteristica della sua vita anche quando, in compagnia della moglie, abbandonava tutto e tutti e andava a visitare qualche lontano paese.
Non solo viaggiava lontano, e visitava luoghi non proprio facili da raggiungere (questo lo devono tenere presente coloro che, oggi, sono bravissimi a prenotare voli, alberghi e biglietti di musei tramite le app del loro smartphone). Vance ebbe anche la fortuna, visto il suo mestiere di scrittore che non lo vincolava a un ufficio, di fermarsi a lavorare in luoghi molto lontani da casa, vivendo all'estero per diversi mesi.
Ovvia la somiglianza tra la sua vita e i suoi libri, in cui molta attenzione è data ai luoghi visitati dal protagonista, alle usanze che trova, ai nuovi amici o nemici che incontra. Non che Vance fosse diventato ricchissimo scrivendo, si trovò economicamente in una posizione agiata solo a una certa età.
Tra mestieri strani e a volte umili, viaggi per il mondo, conoscenze interessanti (letterati e anche musicisti, visto che Vance amava il jazz e suonava con la sua cornetta preferita), manca in maniera lampante una sola cosa: il mestiere dello scrivere. Ora, non è diritto del lettore, in una autobiografia, pretendere che quella sia la prima cosa da trattare, però qui c'è solo un capitoletto finale, addirittura scritto su insistenza degli amici, e questo mi ha meravigliato un po'.
O forse non c'è da stupirsi... Vance è stato un uomo con una grande curiosità per la scienza e le cose pratiche (quanti scrittori si sono costruiti una casa galleggiante?), per le culture e gli esseri umani. Umile e per nulla pretenzioso, simile per valori e atteggiamenti al classico americano medio tutto d'un pezzo (chissà se questo gli costerà una damnatio memoriae nell'era del politicamente corretto?), Vance doveva essere molto più profondo di quanto mostrasse, capace senza grandi difficoltà a inventare trame e sorprese per il lettore. Per cui, può darsi, la naturalezza con cui affrontava il mestiere gli faceva pensare che in fondo non ci fosse molto da dire.
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