[Questo è il seguito dell'articolo su magia e narrativa iniziato lo scorso 18 aprile.]
Se i limiti ai poteri sono indispensabili per creare un'ambientazione equilibrata dove il magico non sia troppo importante, o quanto meno non più importante di quanto volete voi, questi limiti non devono necessariamente riferirsi soltanto alla difficoltà per un personaggio in quell'ambientazione di ottenere le conoscenze o "l'investitura" necessaria, ma anche alla sua capacità di usarli. Gli esempi abbondano: l'utilizzo della magia fa stancare, fa perdere ricordi, potrebbe addirittura uccidere, mette in contatto con esseri malvagi che desiderano qualcosa in cambio... Esistono moltissimi esempi.
Il Gioco di Ruolo ha adottato fin dall'inizio dei limiti, per esempio prendendo il modello di poteri magici creato da Jack Vance e usandolo nel celebre Dungens & Dragons: l'incantesimo una volta usato si dimentica, va riletto e imparato da capo. Nella memoria dell'utilizzatore più di tanti non ce ne stanno... questo significa che, quali che siano le conoscenze di un mago, il "menu" di poteri utilizzabili è necessariamente limitato, da decidere circostanza per circostanza. In altri GDR il potenziale magico, che si chiami mana o in qualche altro modo, è quantificato in punti, è da spendere come carburante e si rigenera con il riposo o il passare del tempo: questo per impedire che la magia venga usata di continuo a pieno potenziale. Nei romanzi di Michael Moorcock, il celebre Elric di Melniboné era un uomo malaticcio cui serviva la spada demoniaca (Stormbringer, per i pochi che non la conoscessero) per avere energia, ma doveva ammazzare qualcuno con la spada stessa per rubarne la forza vitale. E in qualche occasione non c'erano nemici a portata di mano, quindi toccava arrangiarsi.
Ma soprattutto bisogna essere coerenti nell'uso di questi espedienti. È parecchio seccante per un lettore rendersi conto che un personaggio aveva a disposizione un potere con cui si sarebbe facilmente risolta una situazione drammatica a proprio favore, ma non lo ha usato, e poi invece in una differente circostanza lo usa. Più sono evidenti, questi errori, più sono disastrosi per una narrazione. Se ci sono dei conflitti chi scrive deve avere ben chiaro cosa possono fare i personaggi principali, soprattutto quelli con un potere particolare. Ovvio che questo vale anche per altri campi e non solo per la magia: se il personaggio X gode dell'amicizia di un potente che potrebbe tirarlo fuori dai guai in una certa situazione, è chiaro che deciderà se chiedergli un favore o no, ma se X decide di non farlo e pagarne le conseguenze deve esserci un perché. Se invece X è un mago e potrebbe, per esempio, fermare un cataclisma che distrugge la sua amata città, evento che chi scrive vuol far succedere, deve esserci qualcosa che impedisca a X di intervenire, o un ottimo motivo per cui, sebbene a malincuore, decida di non farlo. Se chi scrive si limita a inventarsi le cose mentre procede, e tira fuori dopo cento pagine il potere che sarebbe stato così utile prima, ma che non era stato minimamente preso in considerazione, è chiaro che farà con il lettore una magra figura.
Si potrebbe ribattere che in questo modo lo scrittore viene limitato nella sua libertà creativa. Vero. L'autore magari non desidera dover delineare nei minimi dettagli queste cose perché non può sapere in anticipo tutto ciò che gli servirà per la trama cui sta lavorando, o per le successive. Perciò, è evidente, può essere desiderabile riservarsi di decidere di dare al nostro personaggio un potere magico solo nel momento in cui serve alla storia. Ma in tal caso lo scrittore deve dare un'occhiata alla "retro-compatibilità" di quello che ha scritto. Ovvero: se adesso mi serve che X possa spegnere enormi incendi con la propria magia, non è che in passato ho creato una situazione in cui questo potere sarebbe stato utile, ma non gliel'ho fatto usare? Se è così, o si deve tornare indietro e rivedere quello che si è scritto, o introdurre qualche motivo valido per cui stavolta si può fare e prima non si è potuto, ecc... Questi ritocchi comunque possono anche essere spunti validi per la trama. L'importante è farli.
Da qui un'altro interessante argomento. Va bene la libertà creativa, ma devono esistere delle vere e proprie regole? Quanto bene chi scrive le dovrebbe delineare? E quanto di tutto questo dev'essere accessibile per il lettore? Premesso che ci sono scrittori che spiegano tutto il proprio sistema magico e altri che non lo fanno, e che io propendo per mantenere un certo mistero ma non pretendo che tutti debbano vederla allo stesso modo, è interessante notare come la vede uno scrittore che, nelle sue storie, di magia ne ha usata parecchia. Brandon Sanderson ha addirittura scritto delle regole, le Tre Leggi di Sanderson.
La prima legge dice: La capacità di uno scrittore di risolvere un conflitto con la magia è direttamente proporzionale a quanto bene il lettore comprende tale magia. Cosa significa? Significa che per Sanderson la sorpresa e il Sense of Wonder contano fino a un certo punto, soprattutto nelle parti essenziali di una storia, perché se un punto saliente viene risolto con un espediente che è sempre stato misterioso per il lettore (bacchetta magica e puff... tutto a posto, usando qualche incantesimo di cui il lettore non sapeva nulla) quel frangente sarà criticato, sarà visto da molti come una debolezza della trama. Ma Sanderson fa notare una cosa (prendendo come esempio Tolkien): in una storia dove la magia è misteriosa e celata al lettore la soluzione dei problemi può essere concepita in maniera che non dipenda dalla magia. Per esempio, Frodo che getta l'anello nella lava (o almeno, ci prova). Pertanto non è indispensabile uccidere il mistero e la meraviglia e spiegare ogni cosa al lettore con aridità, è sufficiente evitare di risolvere tutto a colpi di incantesimi incomprensibili per il lettore.
Per Sanderson la "hard magic," dove chi scrive spiega al lettore il funzionamento della magia e rispetta regole che anche il lettore conosce, aggiunge piacevolezza e divertimento. Non sono completamente d'accordo ma, come lo stesso autore riconosce, in molti casi troviamo nei libri un "sistema misto," e ad ogni modo il lettore si fa spesso un'idea di quello che la magia fa o non fa a mano a mano che si addentra in una storia fantasy. Ad esempio, leggendo una storia il lettore può non sapere bene come il magico funziona perché non c'è un'esposizione che lo chiarisca, ma dopo un po' comprende quali sono i danni che i maghi possono infliggere ai propri avversari, quali sono le loro difficoltà per farlo, insomma quello che la magia può fare o non fare in una certa ambientazione. È una cosa onesta, e se lo scrittore non tira fuori grosse novità di punto in bianco può anche bastare. La conclusione più importante di tutto questo discorso è, secondo me, che se non è abbastanza chiaro (per il lettore) ciò che il protagonista e i suoi alleati hanno a disposizione, non è il caso di usare la magia come mossa fondamentale che risolve una situazione importante, o addirittura chiude una trama.
Per gli anglofoni: la prima legge di Sanderson la trovate qui.
E per quanto riguarda le altre? Be', la seconda è quella sui limiti ai poteri magici, di cui abbiamo parlato prima, ed è in effetti una cosa piuttosto ovvia ma Sanderson dice una cosa importante: qualsiasi potere magico è stato già pensato da qualcuno in passato, se volete essere interessanti è sui limiti, i costi, i problemi che l'utilizzo della magia comporta che dovreste lavorare.
Questo articolo continua....
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