giovedì 11 gennaio 2018

Nazionalizzare le Dot Com? Perché?

Sono riuscito per un po' di tempo a limitare i post su argomenti sociali e politici, ma non ce la potevo fare in eterno, quindi propongo qui le mie riflessioni su un articolo di qualche mese fa pubblicato dal Guardian (che è un giornale britannico e di sinistra, ma le riflessioni che farò non saranno "etichettate").

Innanzitutto, questo è il link per leggervi l'articolo (se sapete l'inglese). L'autore lamenta la natura sempre più monopolistica di certi colossi che basano sulla rete le loro fortune: Facebook, Amazon, Google (con l'aggiunta di Uber). Sono praticamente imbattibili in effetti, se esiste una minaccia di concorrenza addirittura se la possono comprare. La loro innovazione nel realizzare gli affari ne ha decretato il successo, generalmente a spese di attività che facevano la stessa cosa in maniera più tradizionale. Amazon, ad esempio, taglia fuori il negoziante che esiste fisicamente sul territorio (anche se poi gestisce alcuni punti vendita "fisici." Uber mette in contatto diretto chi ha un'auto e vuole dare un passaggio (leggi: tassista abusivo?) con chi ha bisogno di essere trasportato.

L'immagine che compare nella pagina del Guardian

Il loro successo è tale che un concorrente (come voleva essere Ello nei confronti di facebook) non riesce più a fare massa critica per sopravvivere. Anche se Ello offre (o offriva, se è ancora è in grado di competere) una tutela della privacy che con facebook te la scordi, la gente è rimasta dov'era, perché ormai tutti erano già lì.


Quindi, primo problema: le aziende "social" sono diventate qualcosa di simile a un potere costituito, che si basa sul "petrolio del ventunesimo secolo," ovvero i dati, le informazioni su di noi. Non importa il motivo per cui la piattaforma informatica raccoglie dati, importa dove può poi sfruttarli, così Google che in teoria è un motore di ricerca si occupa di pubblicità, di auto che si guidano da sole, di realtà aumentata, di mille cose che in un modo o nell'altro può rivenderci o rivendere a un altro attore economico.

L'articolista fa notare che nel passato grandi compagnie che, come queste, offrivano massicce economie di scala erano state il primo bersaglio per l'acquisizione da parte della mano pubblica allo scopo di essere messe al servizio del bene comune. Ovviamente chi è liberale non sarà d'accordo con questo punto di vista.

Cosa ne penso io di tutto questo? Facciamo qualche esempio pratico. Io lavoro in una banca e so che una banca può recedere dal contratto con il cliente. Ovvero, non sei tu che chiudi il conto e te ne vai, è la banca che lo chiude a te: ovviamente con un congruo preavviso e dando un plausibile motivo.

La banca facendo questo ti condanna a una lenta morte per mancanza di servizi finanziari? Direi di no. Difficilmente l'esclusione di un cliente potrebbe essere una grande violazione dei diritti di quella persona perché ormai anche i paesi con dieci case di banche ne hanno due o tre, e poi ci sono le Poste, ecc...

Se parliamo di servizi di natura quasi monopolistica, il discorso cambia. Il mio caso personale si riferisce ad Adsense, servizio che permette di guadagnare ospitando le pubblicità di Google su pagine (ad esempio) come questa. È un esempio all'acqua di rose, perché non vedo in giro gente che è diventata milionaria con Adsense, però è un fatto che il contratto può essere revocato arbitrariamente, senza motivo e senza possibilità di discutere. A me successe che un lettore del blog credendo di farmi un favore cliccò una cinquantina di volte sui miei link, e questo comportamento "scorretto" mi fece escludere da Adsense; in verità non lo so nemmeno per certo, perché spiegazioni e dialogo non vennero concessi, ma è l'unica spiegazione possibile. Però... A parte il fatto che il comportamento sbagliato non lo avevo nemmeno messo in atto io, a parte il fatto che alla fine non me ne fregava nulla, se la situazione fosse stata diversa (Adsense, ad esempio, fosse stata la mia principale fonte di reddito) io mi sarei trovato improvvisamente tagliato fuori senza alcun diritto di far valere le mie ragioni.



Non è molto difficile immaginare una piattaforma che arrivi a decidere, magari in modo subdolo e non esplicito, che una certa merce non va bene, che una certa idea politica non va bene, e nel mondo dei grandi monopoli questo porterebbe a infliggere uno svantaggio gravissimo a chi andasse al di là della volontà di queste aziende-piattaforma online.

Potrà sembrare fantascienza ma forse succede già oggi (*). E ad ogni modo, poiché la globalizzazione come ci viene imposta sta diventando il problema più scottante dei nostri tempi, mi sembra più che ragionevole a un certo punto porre un vincolo, un controllo statale (ovvero controllo di qualcuno che, se non altro, è stato votato per avere un'autorità). Che sia nazionalizzazione o una misura di altro genere. Dal momento che il gettito fiscale riveniente da queste attività viene sempre ridotto a un rigagnolo con un escamotage o l'altro, di motivi per stringere le redini alle "dot com" ce ne sono parecchi...


(*) Nota: potete leggere sul Guardian, sempre che sappiate l'inglese, questo altro articolo dove si parla di accuse contro Google, dove l'ambiente di lavoro sarebbe così liberale, trasgressivo e progressista da... discriminare chi è conservatore. Lascio a voi il giudizio su questo caso specifico, ma è evidente che "progressista" oggi faccia molto rima con "aggressivo" verso chi non la pensa nello stesso modo, e non mi stupirebbe che un'azienda molto progressista possa diventare magari involontariamente una culla per certi comportamenti, nonostante il mondo hi-tech venga anche accusato di misoginia (il che non è molto... progressista). Ironico, comunque, che mi trovi a parlare di queste cose su una piattaforma di blogging di proprietà... di Google.



3 commenti:

Angelo ha detto...

Nazionalizzare una multinazionale non la vedo semplicissima. La scatole di controllo finanziario dei giganti del web sono allocate nei soliti modi e l’unico player in grado di fare veramente qualcosa a loro danno è il governo federale degli USA, entità notoriamente poco predisposta a mosse del genere.
Il problema è che la natura delle informazioni digitali le rende ubique. Le server farm di Alphabet o di Amazon sono più segrete delle informazioni strategiche, non è certo un caso. Così come non è un caso che ne abbiamo costruite molte in paesi poco inclini ad aderire alle rogatorie transnazionali.
I colossi che citi sono effettivamente un rischio, e a mio parere sono già intervenute molte volte nel dibattito pubblico dei paesi occidentali per spostare i consensi dove gli faceva più comodo. È il loro modello di business che li rende difficili da combattere. Per FB o per la maggioranza dei servizi Google non si paga, per altre cose si pagano percentuali molto contenute (Amazon). Sono gli stessi clienti a difenderli.
L’utente medio non sa (o non vuole sapere) cosa succede ai suoi dati né si rende conto di far parte di una massiccia operazione di profilazione dei consumatori.

Bruno ha detto...


In effetti bisognerebbe partire da una maggiore consapevolezza della gente. Se quella ci fosse, l'idea di mettere questi mostri sacri più sotto controllo, e di fargli pagare tutte le tasse (in effetti nazionalizzare è una idea che non si applica nello stesso modo in cui si applicherebbe a una fabbrica fisica sul territorio) non sembrerebbe così balzana.

Alla fine loro fanno comodo alla gente coi servizi che offrono, ma non sono indispensabili. Il pubblico invece è indispensabile a loro. Non ci vorrebbe nulla ad averli in pugno e a costringerli a trattare.

M.T. ha detto...

"In effetti bisognerebbe partire da una maggiore consapevolezza della gente."
Hai centrato il punto.