lunedì 9 marzo 2015

Donne e self publishing

Ha colto il mio occhio inquieto un articolo del Guardian dove si parla dello strano effetto dell'autopubblicazione sulle... scrittrici. A quanto pare il self publishing (che vuol dire ancora autopubblicazione, ma scritto nella lingua di posti dove la cosa funziona un po' meglio che da noi) ha creato un certo numero di autrici di successo, mentre nell'editoria tradizionale i maschi la fanno ancora da padrone.
Nei paesi anglosassoni la AP (abbreviazione che vuol dire ANCORA autopubblicazione e che userò per questo post) è una cosa seria: nel Regno Unito 18 milioni di acquisti nel 2013 con un forte aumento sull'anno precedente (contando solo il digitale a quanto pare da quelle parti si vendono 80 milioni di libri all'anno quindi l'AP è una frazione minoritaria ma non modesta).


A quanto pare le donne sono la maggior parte degli autori che se la cava bene in quel mercato: il 67% degli autori nella fascia dei più venduti. Al contrario, le vendite (totali) di Amazon presentano uno scenario capovolto: nella classifica dei primi cento ci sono 61 uomini. L'AP è un "campo di gioco senza favoritismi" e le donne raccolgono sempre più successo.

Farò qualche riflessione in merito senza la pretesa di arrivare ad alcuna conclusione.

Le donne scrivono più libri, ne comprano di più (nel Regno Unito, ma immagino che sia così anche da noi) e ne leggono di più. Questo deve significare per forza che essendo la maggioranza ed essendo donne, debbano per forza preferire i libri scritti da donne? Oddio può anche darsi, visto che gli uomini potrebbero parlare di cose che a loro interessano di meno, ma l'articolo lo dà per scontato senza soffermarsi a rifletterci un istante. Io personalmente se mi interesso a un libro non sto a guardare al sesso di chi lo ha scrittto.

Vorrei però anche capire di che libri parliamo. Se (e dico se) vengono scritti e letti milioni di romanzi rosa, cloni di 50 sfumature di grigio o di Twilight questa preponderanza perderebbe un po' di valore. Almeno secondo me. Nulla contro i libri popolari e pensati per un largo consumo, purché abbiano qualche contenuto di valore.

Secondo l'articolo comunque le case editrici giocano sul sicuro preferendo le trame prevedibili mentre l'originalità va cercata nel campo dell'AP, dove ci sarebbe una legione di donne innovative, che creano nuovi argomenti di discussione con le loro pubblicazioni e allargano l'orizzonte dei generi. Qualcosa di vero può esserci, nel senso che nelle case editrici si muove un certo numero di personaggi (in Italia per lo più maschi, per inciso) che decidono di testa loro cosa è originale, cosa è interessante, cosa va e cosa non va. Per quanto si sforzino di guardarsi in giro, certamente il rischio di essere autoreferenziali esiste.

Se la maggior parte delle lettrici è fuori dal mondo intellettuale e culturale di questi personaggi, uomini o donne che siano, è chiaro che potrebbero finire per rivolgersi a chi fornirà loro ciò che a loro piace.

E, per non farcelo mancare, l'articolo sostiene che l'AP sfonda finalmente il soffitto di vetro contro le donne meritevoli. Ovvero, non c'è la selezione fatta dal solito "club per soli uomini" e questo è un motivo per cui nel libero mercato dell'AP le donne hanno il sopravvento. Io immaginavo che magari in paesi più evoluti del nostro questi problemi se li fossero tolti dai piedi, ma non sono informato in merito.

L'AP svela il vero valore delle scrittrici? Può essere tutto vero, ma vista l'esplosione di schifezze incredibili e di pornografia (ma non che gli uomini non ne scrivano, anzi...) sulle pagine web di Amazon, tanto per fare un esempio, penso che per arrivare a risultati conclusivi i dati andrebero vagliati con molta cautela.


12 commenti:

M.T. ha detto...

Concordo con te: la qualità e il valore di un'opera non possono essere definiti dal numero di vendite.
La legge della maggioranza non vale, specie in una società dove ci si accontenta della mediocrità. Se poi si osserva che vanno tanto i bassi istinti pruriginosi, il resto viene da sé.

Bruno ha detto...

Noto con sgomento però che questo è uno dei post meno letti del blog da parecchio a questa parte. Sarà che le donne non vengono qui, e i lettori maschi non leggono un post che riguarda le donne? O si è troppo parlato di AP? Chi lo sa.

Bruno ha detto...

Comunque ho l'impressione che con l'autopubblicazione siano sbucati un sacco di argomenti "classicamente" femminili che prima apparivano meno, ovvero storie di sentimenti, shopping compulsivo, coraggio di fronte alla malattia e al dolore, bebé da tirare su, litigate e riappacificazioni, torte di mele, sufflé di formaggi e altro. Fiction e non fiction stanno cambiando. Lo sento nell'acqua. Lo avverto nell'aria... (cit.)

M.T. ha detto...

Non vorrei che l'ap sia per molti un modo per parlare di sé, una sorta di sfogo che non passerebbe per l'editoria tradizionale. Una sorta di narcisismo, proprio come avviene con i selfie.

Bruno ha detto...

Io non posso dire né sì né no. Ci sono tante persone che per tanti motivi diversi ricorrono all'AP.

M.T. ha detto...

Sì, è vero ma il narcisismo non è riferito al fatto che si ricorra all'ap, quanto al parlare di sé, come lo è tanta di quelle pubblicazioni di cui parli (bebé, litigate, shopping).

Bruno ha detto...

Anche qui, tanti scrittori hanno parlato "di sé" o di argomenti molto limitati. Non è una cosa che mi senta di condannare a priori. Poi chiaramente io non leggo mai la "chick lit", beninteso...

Earwen ha detto...

Ho letto solo ora questo articolo e mi scuso per il ritardo nel rispondere.
Devo dire che, nonostante io sia donna e abbia fatto ricorso all'AP - per tenermi sulla forma da lei adottata - mi ritrovo molto affine al suo pensiero, soprattutto circa la qualità di romanzi pubblicati da autrici del mio genere.
Recentemente, come ben saprete, è uscito un film tratto dal romanzo inglese 50 sfumature di grigio, che non sono andata a vedere in quanto non è esattamente il mio genere di lettura d'evasione rosa.

Per quanto apprezzi il genere romantico, il mio libro più caro in tal senso è Magnifica Preda della Hamilton, in cui oltre alla storia d'amore fra i due protagonisti c'è un contorno di intrighi e avventura che non mi dispiace.
E le scene legate al legame carnale fra i due protagonisti sono descritte in modo pulito, senza esagerare.
Questo l'ho specificato per coerenza nei confronti di me stessa, in quanto inguaribile romantica apprezzo di tanto in tanto una buona storia d'amore, se ben fatta e con un contesto attorno e dei personaggi che mi ispirano.

Perché di questo si tratta quando cerco un libro da leggere (e ultimamente sono sempre più rari, ahimé) non tanto lo stile o la forma, quanto il contenuto mi deve rapire il cuore, devo poter sentire il desiderio di andare avanti, capire come procede la storia.

Mi viene da fare l'esempio di un bardo che narra una ballata e io li ad ascoltarlo, desiderosa di scoprire come andrà a finire.

Purtroppo di questi tempi è assai raro trovare un buon racconto in questo senso.
Avevo trovato Il Tempio Verde di Shelly Steelman, che però essendo deceduta anni fa non ha potuto portare avanti la sua opera.
Mi ero buttata sulla Saga di Sevenwaters, di Juliet Marillier, ma la pubblicazione in Italia si è interrotta al terzo libro, sebbene l'autrice ne abbia tirati fuori altri tre.

Insomma, da una parte abbiamo il desiderio represso di molte donne frustrate che si traduce in carta e viene condiviso da altre donne frustrate che apprezzano e sostengono quel genere, tradotto in tutte le lingue del mondo dalle case editrici (vedasi 50 sfumature), dall'altra abbiamo autrici che cercano di portare avanti il loro lavoro, con l'aiuto o meno delle case editrici, ma vengono ostracizzate da chi decide che cosa può essere localizzato in una data lingua e cosa no.

C'è di tutto e di più, se ne potrebbe stare a discutere per tutta una vita e ancora saremmo li a divagare, cavillare su come definirla, ma a conti fatti il punto è che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.
O ciò di cui si sente il bisogno.

E in questo mare in tempesta, siamo tutti li a cercare di stare sulla nostra barca e cercare di non affondare, trovando il tempo di leggere qualcosa di piacevole, se si riesce a trovarlo, nei momenti di bonaccia.

Saluti

Bruno ha detto...

Del romance mi occupo ovviamente molto poco, ma in effetti mi pare evidente che si tratta con poche variazioni dei vecchi romanzi rosa, solo che adesso sono assai più scollacciati che ai bei tempi che furono. Dev'essere proprio difficile trovare un diamante in mezzo a tanta fanghiglia.

Earwen ha detto...

Mi viene da pensare che Jane Austen, ovunque sia, si stia infilando le mani nei capelli nel vedere come il nostro genere si stia facendo conoscere nel mondo della letteratura mondiale.
Lei che scrisse fino a quando si ammalò e non poté vivere abbastanza da vedere il suo Orgoglio e Pregiudizio pubblicato... Se avesse saputo cosa è stato fatto al povero Mr.Darcy, trasformato addirittura in un vampiro nientemeno... Si, in effetti riuscire a trovare un buon romanzo che parli d'amore è come trovare un diamante nel fango.

Bruno ha detto...

E del resto anche ai tempi che furono (ottocento e dintorni) c'era la letteratura e le storielle da un tanto al chilo "per le servette e le lavandaie" (il romanzo d'appendice!!). Il miracolo è attirare il pubblico senza scendere a livelli qualitativi inaccettabili...

Earwen ha detto...

La cosa buffa è che Jane Austen scriveva per sé stessa principalmente, era talmente gelosa del proprio lavoro e così timorosa che qualcuno potesse intromettersi nel suo operato che scriveva solo quando era certa di essere sola in casa.
E i suoi lavori più belli sono storie che ha scritto ispirandosi semplicemente a ciò che la circondava, senza pretendere di ottenere attenzione, gloria, fama o denaro, si evince dal contenuto delle sue pagine.
In termini numerici 50 sfumature ha venduto di più, ma Orgoglio e Pregiudizio ha superato duecento anni e in quanto a filmografia... Solo la Storia può decidere chi ricordare, però noi lettori possiamo prenderci il giusto e sacrosanto diritto di scegliere cosa leggere e apprezzare e cosa no.
Ce lo meritiamo in fondo.