Da un mesetto o poco più il Gruppo Mondadori ha creato un portale, Scrivo.me, dedicato all'autopubblicazione: ho avuto occasione di darci un'occhiata e riferire su Fantasy Magazine le mie impressioni, tra luci e ombre. Questa iniziativa mi ha lasciato un po' incerto (perché una grande casa editrice dovrebbe dare indicazioni per l'autopubblicazione?) ma ho visto come positivo l'atteggiamento amichevole verso gli autopubblicati.
Anzi, visto che veniva dal campo Mondadori un segnale di pace, ho creduto che significasse una tregua nell'ennesima guerriglia degli Italiani che si dividono su tutto. Invece no.
Compare sul Corriere online, infatti, l'ennesimo post contrario all'autopubblicazione. Il titolo dice già molto: Perché sentirsi scrittori non equivale a esserlo. Stefano Izzo, autore dell'articolo, si sente in dovere di mettere gli autori autopubblicati in guardia di fronte a un certo numero di pericolose illusioni. Dal momento che non posso copiare qui parola per parola l'articolo, vi invito a darci un'occhiata. Queste le mie considerazioni punto per punto:
1) L'autopubblicazione non è una fuga dal giudizio, anzi penso che la massima parte degli autori che si pubblicano da sé ci terrebbe ad essere vista, letta e quindi anche giudicata, per quanto le critiche negative non piacciano a nessuno (in questo non credo che siano i soli, comunque). Dubito che vi siano molti intenzionati a creare una "repubblica delle lettere autoeletta" come dice l'articolo: certo vi è gente che dichiara di non volere aver nulla a che fare con le case editrici, però questo non significa sottrarsi al giudizio più importante che è quello del pubblico.
2) I frutti migliori rimarranno confusi nel mucchio disperdendo la domanda. Questo già si verifica, è un danno reale e in effetti ci vorrebbe qualche sistema per orientarsi. Posso aggiungerne un altro, di danno, uno di cui ho parlato anche di recente: l'autore che "vende se stesso," ovvero il proprio carisma, simpatia, capacità di sbrogliarsela nel marketing digitale, e non il libro. Ma il mondo dell'editoria tradizionale non è così diverso dall'autopubblicazione, in nessuno dei due aspetti che reputo dannosi.
3) Il self-publishing come libido di scrivere fine a se stessa? Generalmente non è così. La voglia di raggiungere un pubblico esiste per quanto difficile sia farcela. Quanto al fatto che lo scrittore autoprodotto sia anche auto-editato, questa è una cosa che talvolta si verifica, talvolta no.
4) Perché volersi sottrarre al criterio di scelta degli editori deve per forza essere narcisismo? E quale "preparazione" ci vorrebbe per sottoporsi al giudizio dei lettori? Giudizio che peraltro arriva in ogni caso, preparati o no. Per quanto mi riguarda se un romanzo o racconto che ho scritto non trovasse un editore, ma fossi convinto della sua validità, non avrei problema a pubblicarlo da me per offrirlo a coloro che potrebbero apprezzarlo. Inoltre: se certe nicchie, generi e interessi particolari non trovano grande mercato e quindi non sono affatto seguite dagli editori, penso che non ci sia alternativa all'autopubblicazione. Ma non è narcisismo: si scrive sempre per un pubblico, per limitato che sia.
5) Qui non c'è nulla da ribattere perché se si tratta a una critica a un certo modo di lavorare di molte case editrici a pagamento potrebbe avere ragione. Del resto autopubblicarsi su carta senza avere parallelamente la distribuzione vuol dire veramente rischiare di non avere affatto un pubblico: meglio il digitale.
6) Pubblicare non è un diritto, è un obiettivo che va conquistato. Qui uno potrebbe ribattere a Stefano Izzo che il mondo è cambiato, semplicemente... e che è possibile pubblicare con o senza l'ausilio di una casa editrice. Personalmente, essendomi "conquistato" quell'obiettivo pochi giorni fa, non sono contro nessuno dei due sistemi. Va detto comunque che autopubblicarsi richiede alcune conoscenze e una certa consapevolezza di come vanno le cose, e la collaborazione di altre persone se non altro in fase revisione testo. E con questo penso di aver detto la mia anche sul punto 7.
8) Il sogno di chi mette la propria opera online resta quello di uscire per un editore tradizionale e su carta? C'è gente che assicura di non volerne sapere di entrambe le cose, e qualcuno solo di una delle due. Chi lo sa, magari alcuni di questi firmerebbero di corsa un contratto, se fosse proposto. Altri forse no. Non penso che ci sia utilità nel fare processi alle intenzioni o cercare di indovinare cosa sognano gli altri.
Il mio sogno, personalmente, è solo quello di raggiungere più lettori possibile. Per cui anche a parti invertite, ovvero se il digitale avesse preso la prevalenza sul cartaceo, vorrei tutti e due i sistemi per il mio libro, e vorrei uno spazio sugli scaffali delle librerie, se si potesse averlo. A ognuno i suoi gusti, è una questione di libertà.
6 commenti:
pubblicare non è un diritto? ma stiamo scherzando? è un diritto costituzionale, si chiama "libertà di stampa", c'è morta un sacco di gente per ottenerlo, francamente sono offeso dalla leggerezza argomentativa di certa gente, non vorrei mai essere editato da un tizio del genere. poi vabbè, lui dice che stampare non è pubblicare, ma questa è una vera stupidaggine retorica, una volta che diffondo il prodotto stampato pubblicamente, anche solo distribuendolo per strada come un volantino, esso sarà pubblico.
per quanto riguarda il self-publishing in generale, personalmente penso che in musica esista l'autoproduzione da 40 anni, e non è certo dal sottobosco underground improntato all'etica del Do It Yourself che vengono le ciofeche peggiori. Lo vadano a dire a Brett Gurewitz che autopubblicarsi è come comprarsi la coppa in negozio, a vedere quante risate si fa. Ma il signor Izzo dubito abbia idea di cosa sia la Epitaph e di quale giro d'affari abbia.
poi va proprio detto che case editrici come Rizzoli hanno poco da insegnare quanto a qualità dei prodotti pubblicati.
Con l'auto-pubblicazione occorre capire cosa s'intende, perché ci sono tanti modi di vederlo. L'editoria a pagamento è auto-pubblicazione perché praticamente si paga per pubblicare senza ricevere nessun servizio; poi ci sono siti che permettono di vendere le proprie opere online.
Infine c'è chi mette a disposizione gratuitamente i propri lavori sui siti che gestisce, ma non si tratta di narcisismo o libido o non voler confrontarsi con giudizio dell'editoria tradizionale: lo si fa per avere uno spazio, anche piccolo, dove aver la possibilità di far leggere e conoscere il proprio lavoro. Perché la spiacevole realtà è che spazio viene dato solo a chi è nel giro dell'ambiente editoriale e ha conoscenze che possono aiutare: triste, ma tale è la realtà italiana, dove il merito e il valore non sono considerati.
Be' quella del comprarsi la coppa in negozio non l'avevo nemmeno citata e in effetti non ha molto senso. Certamente esiste un diritto di parola garantito per tutti. MA... La pubblicazione, se accettiamo che sia qualcosa di più che parlare alla gente che passa per strada o stampare libri che terremo in cantina, bisogna "conquistarla" impadronendosi dei mezzi per esprimersi, e in questo senso l'articolo non ha del tutto torto. Quello che Izzo non vede però è che quei mezzi non sono monopolio delle case editrici.
Poi gli spazi sono piccoli o grandi, ma anche con moltissime vere e proprie case editrici alla fine l'unico spazio disponibile è quello su internet, né più né meno che per le autopubblicazioni.
Oppure vogliamo dire che solo chi pubblica con una casa editrice grossa ha diritto di sentirsi scrittore?
Condivido le tue parole. Non mi è piaciuto il commento di Izzo, l'ho trovato ottuso e rivolto a un pubblico che ha una concezione ancora idealizzata dell'editoria italiana.
Per essere scrittori non occorre essere pubblicati da una grande ce, come se questa fosse sinonimo e bollino di qualità e valore.
quante info!
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