Paul Di Filippo è un eclettico autore statunitense (nonostante il cognome) di fantascienza, che si è dilettato molto con lo steampunk. La sua Trilogia Steampunk, risalente a una quindicina di anni fa e ora pubblicata in italiano da Delos Books, è una raccolta di tre racconti corposi (o romanzi brevi, fate un po' voi) di ambientazione ottocentesca. Ucronie, se vogliamo: di macchinari strani non se ne vedono proprio moltissimi, e comunque non sono al centro dell'azione; comunque lascio ad altri il verdetto, le classificazioni nei sottogeneri non sono il mio mestiere.
Il primo racconto, Vittoria, ci presenta lo scienziato Cowperthwait alle prese con un terribile problema: un ministro lo avverte che la regina è scomparsa, ed è necessario il suo aiuto per nascondere l'accaduto. Il nostro eroe ha proprio quello che ci vuole per mantenere il segreto: almeno per un po'.
In Ottentotti il naturalista Louis Agassiz (nella realtà un grande sconfitto della scienza, perché rifiutò le teorie darwiniane) si trova imbarcato in una pericolosa avventura per impedire che un prezioso feticcio vada nelle mani sbagliate. Mani sbagliate che appartengono a una serie di personaggi pittoreschi e stravaganti. In parte presi dalla storia, ma non mancano delle sorprese. Anche gli alleati del nostro eroe, che in realtà è dipinto in una maniera che lo rende piuttosto odioso, sono di varia e talvolta bizzarra provenienza. Non svelo se Agassiz uscirà vincitore da questa avventura, ma vi assicuro che probabilmente non farete il tifo per lui. Walt ed Emily, il terzo racconto, ci porta invece nel mondo dello spiritismo e in un viaggio transdimensionale alla ricerca di verità, contatto coi defunti e con l'aldilà, e del proprio destino. Per i due personaggi letterari cui è intitolato il racconto (Walt Whitman ed Emily Dickinson) il viaggio porta sviluppi inaspettati, distaccandosi anche dalla realtà storica.
Lo stile è scorrevole e piacevole, le citazioni culturali infinite e talvolta molto divertenti, anche se la risata sui costumi dell'800 a volte si spinge un po' sul becero: ma non si può negare all'autore una gran conoscenza della materia. Predominano arguzia e ironia, che marciano a ritmo spedito nei primi due racconti, dei quali mi sento in dovere però di criticare l'eccessivo uso di una grottesca comicità basata sul sesso: ciascun lettore giudichi fino a che punto fa ridere, ma l'eccesso sfocia nel pecoreccio, con qualche scena che sembra tratta dalle sceneggiature dei film con Alvaro Vitali.
Il terzo racconto è più riflessivo e profondo, anche poetico, sarebbe forse il migliore della trilogia ma purtroppo non ha la verve dei primi due. Giudizio finale: curioso, da leggere, anche se personalmente posso dire che "si fa leggere," ma non che mi abbia entusiasmato.
4 commenti:
Come ti dicevo, capisco benissimo le critiche che muovi all'opera. Distante da ciò che uno immaginerebbe come steampunk (mancano calcolatori ante litteram, macchinari strani, ...) la componente "punk" è proprio nella critica di costume. Pecoreccio? Oddio, non so. Certo, Agassiz porta a un'esasperazione quasi paradossale la figura del naturalista monolitico nelle sue (assurde) convinzioni di fine ottocento, può risultare fastidioso. Io mi sono divertito molto, soprattutto per i presupposti scientifici - certe idee, purtroppo, sono ancora in vita!
Guarda, facendo i conti con la necessità di "contestualizzare" uno potrebbe anche dire che se vuoi fare una satira dell'epoca vittoriana vai per forza a finire lì. Il tutto però per me è andato oltre la saturazione.
No, non per forza. È chiaro che si tratta una scelta. Swift, facendone altre, è stato anche più cattivo - ma lui ci viveva, pertanto il discorso può non essere lo stesso. Però la premessa di Ottentotti, il sinus pudoris, non è inventata. Saartjie Baartman, purtroppo, è un personaggio storico, così come tristemente documentati sono alcuni episodi della sua vita (e successivi). Mi sembra, anzi, che Di Filippo si sia trattenuto, rivalutando la "dinastia" Cezar e facendo inseguire al povero Agassiz una chimera. Più gratuito è forse il primo, anche se meno "cattivo".
Non per forza? No, ma è un elemento che viene senz'altro in mente. Comunque poi c'è modo e modo... nel film L'Uomo venuto dall'Impossibile (dove Malcolm McDowell fa per una volta la parte del buono) c'è tutta una serie di confronti fra le epoche, fatta però sempre con un certo garbo. Se di questo libro si facesse una trasposizione penso invece che verrebbe una roba alla Benny Hill o peggio. Non che non ci siano basi "storiche" per quello che si afferma. Comunque, de gustibus.
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