Questo libro è stato scritto una decina d'anni fa (abbondante) da un'improbabile autrice di nome K.J. Parker, ma non ce l'ho fatta a capire la K e la J per cosa stanno. Ella avrebbe dimestichezza con l'arte del fabbro come con quella dell'avvocato, nonché una gran conoscenza delle armi, delle tecniche militari e di un sacco di questioni tecniche e artigianali. Il libro, Tutti i Colori dell'Acciaio, tradotto da Alex Voglino per la Nord, l'ho preso (usato e in italiano) dopo aver letto da qualche parte che parlava diffusamente di duelli e scherma: è così in effetti, anche se c'è molto di più.
E dal momento che nel meraviglioso ambiente del fantasy italiano c'è lo sport di seppellire sotto i peggiori epiteti quegli scrittori che non capiscono di tattica, scherma, metallurgia e proprietà delle armi e così via, se volete unirvi alle gloriose schiere denigratrici questo libro potrebbe tornarvi utile; e può tornarvi comodo anche se volete unire una lettura non spiacevole all'apprendimento di qualche nozione tecnica.
Il protagonista del libro è Bardas Loredan, un avvocato molto particolare, poiché le cause in questo mondo si sono infervorate prendendo l'aspetto religioso dell'ordalia ovvero giudizio di Dio (peraltro in una società che non sembra davvero così religiosa e osservante), pertanto le contese si risolvono con un duello fra gli avvocati, dove generalmente ne resta uno secco. Pertanto, Bardas Loredan di legge non sa un accidente, lui uccide e basta, cercando di evitare di finire in contese troppo roventi (ovvero evita i duelli dove è prevedibile che sia lui a lasciarci la pelle).
Bardas Loredan ha fatto dieci anni di questa carriera, all'incirca, ed è uno dei non molti a poter dire di essere durato così a lungo in un mestiere del genere. Tuttavia ha vissuto pericolosamente anche in passato, poiché era a far parte di una ridotta unità militare che teneva a bada i barbari delle pianure con spietata efficienza, ovvero li sterminava.
La città per cui Bardas si era battuto e dove fa l'avvocato all'inizio della nostra storia è Perimadeia, una capitale imperiale decadente ispirata un po' a Bisanzio e un po' a Venezia secondo le intenzioni dell'autrice, ma a me non pare la cosa sia particolarmente riuscita. Perimadeia riceve qualche descrizione, e sappiamo qualcosa delle peculiarità degli abitanti di questa metropoli, ma tutto sommato non diventa mai veramente viva ai miei occhi, dico a malincuore.
La città vive di commerci e industria, ormai: ha praticamente rinunciato a mettere in campo un esercito e si fida delle proprie possenti difese murarie, e della possibilità di ricevere indefinitamente rifornimenti dal mare se i barbari dovessero assediarla dal lato terrestre.
Tale sicumera verrà messa alla prova perché un ragazzo, Temrai, proveniente dalle pianure, si è fatto assumere come fabbro all'arsenale di Perimadeia proprio per imparare la tecnologia degli avversari e trasferirla al proprio popolo, che assomiglia parecchio ai Mongoli e altri popoli delle steppe, solo che è gente un po' meno bellicosa.
S'impone una riflessione. Sarà realistico che questi signori dall'oggi al domani imparino a fare catapulte e altre macchine da guerra? Be', i Germani hanno fatto qualche scherzo del genere contro le legioni di Roma, aiutati, sembra, da dei disertori. Com'è svolta nel libro non mi pare del tutto realistica, la cosa, ma il concetto generale è possibile.
Accenniamo che esiste anche una ragazza che (il motivo lo sapremo più avanti) vuole vendicarsi di Bardas, e ottiene l'aiuto di un saggio, che glielo concede sconsideratamente. Faccenda un po' inverosimile a mio parere, e anche com'è narrata mi pare zoppa: su questo mi confronterei volentieri con qualcun altro che ha letto il libro, se capitasse da queste parti; ma andiamo oltre. Quasta iniziativa scatena delle forze magiche che causeranno un mucchio di guai; il saggio poco saggio è il Patriarca Alexius, anziano e dotto studioso che ricopre una posizione importante, e pratica l'arte del Principio, ovvero una specie di forza magica poco appariscente, fatta di strane coincidenze, strane sensazioni, grandi mal di testa, sogni premonitori e poco altro.
Lo stile di questo libro è molto descrittivo in un sacco di scene dove i protagonisti sono le armi e i macchinari, o le mosse dei duellanti. C'è un che di distaccato, forse un po' freddo, ma la narrazione l'ho goduta ugualmente. Poco piacevole per me l'uso del sistema metrico decimale nelle descrizioni (magari sarà stata colpa del traduttore? non so) e il modo di parlare, talvolta dannatamente contemporaneo, o culturalmente fuori luogo.
I personaggi sono spesso egoisti o cinici, qualcuno pure un gran bastardo, ma il protagonista è uno in cui ci si può immedesimare, coi suoi eroismi e le sue paure, la sua disillusione e i suoi momenti di riscatto. Un tipo tosto e però sotto sotto anche un debole.
Spesso l'autrice permea di umorismo (nero, a volte) le pagine; scrive benino, e le devo riconoscere di aver creato un fantasy abbastanza insolito, intelligente e complesso: avrà i suoi limiti ma mi è piaciuto. Certamente un libro così non uscirebbe mai, se lo scrivesse un italiano e cercasse di pubblicarlo nella nostra lingua, a meno che non si tratti del cugino dell'editore.
Tutti i Colori dell'Acciaio (che in lingua originale suona Colours in the Steel) è il primo libro di una trilogia, già arrivata da tempo a conclusione, ma io non so se la proseguirò. E' comunque possibile considerarlo un libro autoconclusivo.
Se volete cimentarvi in questa lettura, il libro è reperibile a un prezzo ragionevole in italiano (tra i quindici e i venti euro) e, se sapete l'inglese e lo cercate in siti come Abebooks, lo trovate usato per due soldi più spese di spedizione.
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