Ebbene sì, amo questo libro, non sarà perfetto ma mi ci riconosco per la maniera in cui rievoca i ricordi, e se fra i miei moventi c'è un imbecille sentimentalismo, così sia.
Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani l'ho letto per obbligo scolastico, ed è stato uno (dei non moltissimi) che, dopo un avvio stentato, m'è veramente piaciuto. Tante frasi, tante atmosfere mi sono rimaste impresse per anni: alla fine ho dovuto rileggermelo.
Dov'è, secondo me, il valore di questo classico? Mi piace per come racconta di un amore triste, disperato, una storia crudele che non può aspirare a nessuna conclusione positiva. Mi piace per come sa evocare l'arrovellarsi, lo struggimento. Ma anche il ritornare con la memoria, il voler evocare e far rivivere persone che non ci sono più. Passione e malinconia, ricordo e ossessione.
Sinceramente m'interessano meno e mi sembrano meno centrali, invece, il periodo storico e l'ambientazione, le idee politiche espresse dai personaggi nelle conversazioni, la ricostruzione di Ferrara o la menzione delle persecuzioni contro la comunità ebraica, anche se quest'ultimo fattore diventa un elemento portante della trama: il destino di morte che incombe sulla ricca famiglia dei Finzi-Contini e su tutta una comunità, discriminata e schiacciata a poco a poco. Sono elementi di contorno che, per carità, possono meritare una storia a parte, ma qui sono la cornice. Anche se avrebbero ben altro peso se uno prendesse in considerazione tutta l'opera di Bassani, che è più o meno completamente centrata su Ferrara e dintorni.
La trama, per chi non la sa e se la vuole far raccontare: il personaggio narrante, studente bravo ma scricchiolante in qualche materia, fa parte della comunità ebraica di Ferrara. Tra le sue conoscenze più remote e appartate ci sono Alberto e Micòl, i figli della famiglia più facoltosa (e negli atteggiamenti quasi aristocratica) di quella comunità: i Finzi-Contini, appunto. In occasione di una materia da riparare, mentre vaga disperato perché non sa come dirlo al padre, ha occasione di scambiare qualche parola con Micòl, allora ragazzina come lui, che lo chiama dall'alto delle mura di cinta del giardino di famiglia. Invitato a saltar dentro, ma troppo impacciato e pauroso per cogliere l'occasione in tempo e avventurarsi all'interno, il nostro protagonista resta affascinato da lei: tuttavia per anni non ha altra occasione di parlarle. Infatti la famiglia dei Finzi-Contini vive separata nella sua vasta tenuta, protetta da barriere che tengono lontano il resto della città.
Queste barriere sono scosse dall'arrivo delle leggi razziali. Gli ebrei sono espulsi dal ritrovo sportivo dove giocavano a tennis e l'isolamento dei Finzi-Contini si allenta, con l'invito a numerosi giovani di andare a giocare nel rudimentale campo esistente nel giardino. Tra questi c'è il narratore e Giampiero Malnate, milanese e comunista fervente, intimo amico di Alberto. Il nostro protagonista ha modo di frequentare Micòl e si strugge, cerca di corteggiarla senza fare la figura dello stupido, nella speranza di trasformare in qualcosa di più la calda amicizia che lei gli dimostra. Quando Micòl scompare per un certo periodo a Venezia, il narratore comincia a frequentare la lussuosa casa di famiglia per approfittare della biblioteca del padre (visto che in quanto ebreo non può più andare nelle biblioteche pubbliche) in modo da preparare la tesi di laurea; nel frattempo approfondisce la relazione con Alberto e con Malnate.
Al ritorno di Micòl trova il coraggio di baciarla ma la relazione di lei è ambigua, lo respinge ma gli resta amica, diventando però più scostante. Insistendo tra corteggiamenti e scenate di gelosia, il nostro sfortunato eroe finisce per rovinare tutto: ad un certo punto Micòl gli chiarisce che lo vede solo come un amico, che si era allontanata per far sgonfiare il malinteso, ma anche questa amicizia sta venendo rovinata dalla sua insistenza. "Esiliato" da Micòl che gli impone di farsi vedere solo raramente (e anche questo solo per "salvare le apparenze" perché in effetti non lo vuol più vedere), il narratore si danna, ma anziché dedicarsi a qualche progetto costruttivo (potrebbe, perché si è finalmente laureato), frequenta a tempo perso il Malnate fuori dalla casa di lei.
Alla fine torna una notte nel giardino scavalcando il famoso muro di nascosto e, in una scena in cui deduce i fatti con molta calma senza apparentemente farsi sviare dalla gelosia, sembrerà capire che proprio Malnate è stato l'amante di Micòl, chissà da quanto tempo. Ma anche questa scoperta è ambigua, messa in dubbio più avanti, nelle ultime righe del libro. Il narratore si decide a lasciare per sempre la casa dei Finzi-Contini dopo un affettuoso e intimo colloquio col padre (che lo invita a lasciar perdere e a comportarsi "da uomo"). Non rivedrà Micòl mai più, perché è destinata con tutta la sua famiglia (tranne Alberto che muore di malattia) a scomparire nei campi di concentramento. Malnate invece non tornerà più dalla campagna di Russia.
La parte più interessante del libro a mio parere è quella centrale, dopo i lunghi preamboli quasi ottocenteschi che introducono i personaggi e la storia: la parte delle speranze, delle paure e delle gioie del nostro protagonista, pagine che allo stesso tempo sono monumento al personaggio di Micòl, questa affascinante e apparentemente capricciosa divinità. Quando il nostro povero eroe dovrebbe capire (e non capisce) di essersi fatto delle illusioni, insiste malamente nel fare figure da imbecille: è una parte del libro dolorosa ma anche troppo estesa. L'avrei apprezzato di più se fosse andato rapidamente verso la conclusione. Alcuni tocchi commoventi nel finale.
Cosa disse la critica: troppo "classico", troppo ottocentesco, troppo sentimentalista, Bassani è stato accusato di essere una "Liala" della letteratura (il riferimento è ai romanzi rosa, per chi non lo sapesse). La critica gli veniva dagli ambienti progressisti e sarebbe da approfondire, trovando più tempo da dedicarvi (ma, sinceramente, se potrò tornare a Bassani credo che invece preferirò leggere un altro suo libro). Da una parte si potrebbe dire che uno ha diritto a scrivere quello che gli pare, seppure altre tematiche potrebbero sembrare degne di maggior urgenza a chi è più progressista o comunista di lui. Dall'altra, se ho ben capito, va considerato c'erano altre beghe in ballo, oltre alle squisite dissertazioni culturali: controllo di collane editoriali, posizioni di editor nelle case, lotta politica, insomma faccende di potere. A Bassani ad un certo punto della sua carriera artistica è toccato il ruolo del "vecchio" da cercare di far fuori? Forse. Il suo successo comunque è stato innegabile.
E quindi? Le critiche non sono del tutto sbagliate, e talvolta dietro il sentimento potrebbe esserci la fredda manipolazione delle emozioni del lettore. Però il tutto ha l'aria di essere molto sincero, almeno in parte è autobiografico, e ci sono dei tratti di una forza evocativa incredibile.
Chi volesse leggere quest'opera sappia che ci sono anche i momenti lenti, riferimenti talvolta prolissi a fatti ormai antichi e forse non interessanti, e lo stile è certamente datato. Mentre libri più vecchi di qualche decennio sono capaci di parlarti ancora con estrema freschezza, qui forse al lettore tocca fare qualche sforzo per "inserirsi nel contesto". D'altra parte essendo tutto un inno alla memoria e al passato, sarebbe ben strano trovare uno stile moderno e teso all'innovazione in un romanzo come Il Giardino dei Finzi-Contini.
Detto questo, il libro ha conquistato ormai la posizione di opera di primo piano della letteratura del novecento, e l'accostamento ai romanzi rosa è insensato se fatto come punzecchiatura, ridicolo se creduto sul serio.
Ma penso che chi mi ha seguito fin qui si sarà probabilmente fatto un'idea se, secondo i propri gusti, dovrà cercare questo libro o tenersene ben lontano.
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