sabato 19 giugno 2010

Fahrenheit 451

La distopia mi ha sempre interessato, quindi sono molto in ritardo nella lettura di questo libro. Qui scriverò qualche riflessione, invitando coloro che non conoscono il libro a leggerlo prima di tornare eventualmente a questo articolo, perché anticiperò elementi della trama.
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury è un libro importante, che ancora oggi può stimolare la riflessione, nonostante la metafora che veicola la storia mi abbia sempre lasciato perplesso: tutta la questione del bruciare i libri, dei pompieri che vanno in giro con il cherosene, e così via. Probabilmente ci voleva, nel senso che se voglio fare un discorso serio spesso devo annunciarlo in maniera stravagante o semiseria, così almeno qualcuno si incuriosisce e mi sta a sentire. Ma non mi piace. No, davvero: questo aspetto di Fahrenheit 451 mi è sempre sembrato inverosimile, troppo irrealistico, fin da quando (ero bambino) vidi una scena del film ispirato a questo libro: mi è rimasta come l'impressione di una storia bizzarra e impossibile. Innanzitutto perché l'autore deve poi inventarsi delle altre trovate irrealistiche per giustificare il fatto che i pompieri hanno cambiato mestiere (appiccano incendi e non li spengono): così le case sono state ricoperte di un intonaco che impedisce qualsiasi incendio e i pompieri nel vecchio ruolo non servono più (be'... non prende mai fuoco nemmeno una foresta?). D'altra parte se l'autore, come ha dichiarato, era più preoccupato di parlarci dei pericoli della televisione (ai suoi tempi una novità) non è chiaro come mai c'è tanta enfasi su questioni che sanno più di un monito sul ritorno della censura. Infine, nella stessa narrazione è evidente che la lettura prima di essere vietata è stata "stesa al tappeto" dalla televisione perciò non c'è alcun senso, nel mondo immaginato da Bradbury, di vietarla. Perciò la storiella dei roghi di libri e della caccia alle persone "eccentriche" mi pare poco azzeccata, tanto più che oggi ci troviamo più o meno nel mondo immaginato da Bradbury ed è evidente che non vi è alcun bisogno di dar la caccia ai letterati o ai professori universitari. Viviamo in un mondo che è satira di sé stesso, dove il teleschermo detta legge (e, per adesso, con buona pace di chi spera che internet cambi le regole del gioco) e l'uomo che lo controlla [edit: qui parlo ovviamente di Berlusconi] controlla il potere, anzi controllando pure la carta stampata può perfino guadagnare sulla produzione dei libri che criticano proprio lui, li lascia pubblicare senza la minima difficoltà, tanto chi legge libri è ininfluente. Pertanto, anche sulla scorta del nostro Fahrenheit all'italiana, mi permetto di criticare la distopia di Bradbury, per quanto delle previsioni interessanti in questo libro ci siano. E quindi passiamo a queste.

Innanzitutto, tornando proprio alla politica: le elezioni del mondo di Fahrenheit 451 (dove si presenta un candidato bello e sorridente e uno brutto, antipatico e vestito male) sono evidentemente una farsa, degna di riflessione nel mondo di oggi dove essere rappresentati è diventato ormai impossibile. Ma ancora di più viene puntato il dito contro l'idiozia dell'elettorato, il fatto che vive di slogan, di immagine, il fatto che prende decisioni importanti per il futuro ascoltando spesso solo qualche frase a effetto e impegnandosi in ragionamenti non più lunghi di dieci secondi, perché di più non è capace. L'elettorato di Fahrenheit 451 è come la maggior parte di noi, inutile nascondersi dietro un dito. E il bipolarismo politico rischia di trasformarsi nella stessa farsa del libro, visto che le decisioni ormai non si prendono più nei parlamenti.

Altre riflessioni sulla democrazia di Bradbury non mi sono sfuggite. Innanzitutto la critica ante litteram al politicamente corretto, là dove dice che ogni minoranza ha il diritto di sentirsi offesa per qualcosa che va contro il suo modo di pensare e di invocare il cherosene e il fiammifero per dar fuoco a queste idee. Ma Bradbury critica anche la tirannide della maggioranza, idea che mi trova d'accordo (e peraltro problema di non facile soluzione).

Probabilmente non era una vera e propria "predizione" perché certe cose Bradbury le poteva già vedere in embrione, ma è acuta la critica del consumismo e del micidiale corto circuito in cui le persone scoprono di aver desiderio di piaceri, di titillazioni immediate ai propri sensi, e trovano una società commerciale che non desidera altro che di fornire questi piaceri, e poi magari di indurre nuovi bisogni, contribuendo a creare una collettività di menti immature, deviate. Dove senza alcuna razionalità e lucidità si mettono in atto in nome del piacere anche comportamenti pericolosi (il flagello delle corse in auto di cui parla Bradbury) e criminali: qui l'autore identifica la violenza come piacere, come soddisfazione immediata degli istinti. Uno spiraglio di intuizione verso la pornografia della violenza che oggi è effettivamente venuta a solleticare gli istinti di tutti noi.


Quanto all'obiettivo principale di Bradbury, quello di fornire un monito contro i pericoli della televisione, oggi possiamo chiederci se sia ancora un messaggio attuale. Apparentemente lo è. La televisione non è più l'unico strumento di comunicazione, ma rimane senz'altro il principale. C'è chi ha gridato al miracolo quando la comparsa dgli SMS ha riportato i giovani a "leggere e scrivere". Salvo poi scoprire tutto un mondo di superficialità legato al cellulare e all'uso che se ne fa. E se possiamo dire che internet sta a poco a poco cambiando le regole del gioco (maggiore interattività, pluralità dei soggetti che hanno diritto di parola) dobbiamo però temere che la televisione, intesa sia come canali di comunicazione che come maniera di intendere la fruizione di contenuti, sta a sua volta colonizzando anche internet, che diventa sempre più un ricettacolo di filmati e messaggi istantanei. (Da notare che, sia pure in una maniera ben poco stimolante, anche la TV di Fahrenheit 451 è interattiva).

Ma in verità la prospettiva va cambiata, non ha senso prendersela con la "televisione". Non ci sono media buoni o cattivi, anche se gli usi possibili di alcuni sono forse potenzialmente più pericolosi di altri. Esistono possibilità tecnologiche una volta impensabili, che permettono anche alle schifezze degli ignoranti e degli imbecilli di prendere prepotentemente la ribalta lasciando con una piva di mezzo metro chi pensava di avere il diritto di sedersi in cattedra con la propria istruzione e autorevolezza. E questo non risparmia i libri. I romanzetti da quattro soldi di tutti i tempi (più o meno sono sempre esistiti!) e la maggior parte di quello che viene stampato oggi meritano proprio il trattamento che i pompieri di Bradbury riservavano ai libri che riuscivano a trovare (chissà come mai i titoli che vanno al rogo, citati da Bradbury, sono solo opere immortali, mai una schifezza che sia una).

Il punto è che una volta la gente viveva e moriva senza fruire di altri contenuti di comunicazione se non qualche canzone, qualche dipinto visto in una chiesa e i sermoni del prete la domenica. Le eccezioni riguardavano una percentuale minima della popolazione. La stessa che poi ha visto con orrore il "popolo" diventare fruitore, protagonista e produttore di contenuti adatti al proprio livello culturale. Con l'aggravante che se una volta esisteva una saggezza popolare oggi abbiamo una società destrutturata, senza capacità di riflessione, dove la famiglia è diventata latitante senza niente che la sostituisca, dove alla gente manca la minima voglia di migliorarsi.
Piuttosto, se vogliamo dare un significato alla lamentela sulla tirannide della maggioranza cui fa menzione l'autore, nei media questa si esercita con le leggi del marketing e della televisione o dell'editoria commerciale, per cui se la maggior parte della gente chiede programmi escrementizi, questi saranno imposti a tutti, con un sorriso e un augurio di buon appetito.

Il mio giudizio sul valore della "profezia" distopica di Bradbury è quindi ambivalente. Per quanto riguarda il valore letterario, sono invece molto più soddisfatto. Bradbury procede con una prosa a volte rapida ed energica, intervallata a momenti descrittivi e intimi. Fa largo uso di similitiudini, di immagini evocative. Il suo scrivere è potente, fa subito presa. Scava nell'alienazione del suo protagonista e delle persone che gli stanno intorno. Coglie alla perfezione il vuoto, la tristezza sorda di chi sente che qualcosa non va ma non riesce a guardarsi dentro e a capire la propria insoddisfazione.

I personaggi di Fahrenheit 451 sono in buona parte belli, ben riusciti. Il protagonista con il suo viaggio di scoperta ma anche i suoi errori e le sue titubanze. Molto azzeccato il fatto che Montag sappia leggere ma non capisce veramente quello che legge: in un mondo di interruttori e manopole, la lettura in effetti non è dimenticata ma ridotta al minimo (ad esempio, i pompieri ricevono con una telescrivente l'indirizzo del luogo in cui devono intervenire) perciò il significato di un testo letterario è loro impervio perché vivono in un mondo di messaggi brevi, immediati e semplici. Montag deve cercare un vecchio con un'educazione all'antica, e lo trova in Faber, che alterna momenti di timore per sé e il suo nuovo amico a momenti in cui scopre un coraggio che non aveva mai avuto.

Mi ha interessato di meno Clarissa, la ragazza rimasta "viva e vitale" e che svolge all'inizio del libro un ruolo di catalizzatore dell'insofferenza di Montag per il suo mondo. Per me è un personaggio che ricopre in modo abbreviato e abbastanza utilitaristico il ruolo di Julia, in 1984, la bella ragazza ribelle che dà coraggio all'eroe e lo sprona alla presa di coscienza. Beatty (capo della squadra di pompieri) sa troppe cose del mondo di prima per essere davvero credibile come difensore del sistema, anche se in effetti la dice lunga il suo farsi ammazzare da Montag, quando lo ha scoperto e incastrato.
Mildred è un personaggio praticamente nullo eppure Montag pensa a lei e si preoccupa per lei. Questa donna schiava della sua mega - televisione che ha preso ormai tre pareti del soggiorno in qualche modo comunica una pena al lettore che la rende meno odiosa e insignificante di quello che potrebbe sembrare. Granger col suo gruppo di saggi intellettuali nomadi invece è un personaggio un po' ridicolo (tutto il suo gruppo lo è). Come un po' debole è il finale apparentemente catastrofico ma in realtà ottimistico della guerra atomica, che distrugge il mondo distopico di Fahrenheit 451 e prelude alla rinascita dell'uomo:

Conosceremo una grande quantità di persone sole e dolenti, nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci domanderanno cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: "Noi ricordiamo." Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra.
Bisogna proprio dire che qui Bradbury sembra proprio un inguaribile ottimista.

7 commenti:

Rocco ha detto...

intanto devo farti i complimenti per la bellissima recensione...completa ed acuta!
Mi sentirei soltanto, ma è una cosa personale :), di essere meno severo nei confronti delle incongruenze citate. Ho trovato le questioni dell'alienazione e delle 'dipendenze di massa' molto più significative, ancor più nel libro naturalmente. Il film non si discosta molto, ma non trasmette certo quella stessa sensazione di 'panopticon' che possono dare le pagine di Bradbury.
Insomma, forse anche io sono un inguaribile ottimista!

Grazie
R

Bruno ha detto...

Grazie per i complimenti, Rocco. Devo fare un'osservazione sulla mia critica: è pochissimo contestualizzata, ovvero pur riconoscendo che alcune intuizioni di Bradbury erano molto valide per il tempo in cui sono state formulate (e tra queste ci sono alienazioni, dipendenze e vizi), ho volutamente giudicato la sua "profezia" con il metro di oggi anche per vedere che senso possiamo dare a questo discorso incentrato sulla televisione. Molto di quello che dice Bradbury è ancora valido o comunque interessante ma credo che leggendo le sue pagine nel 2010 non si possa che essere un po' blasé nei confronti di certi discorsi, e di certa difesa a spada tratta della cultura "alta".
Con questo non ho detto che sono un fan dei telequiz e del Grande Fratello :)
Quanto al film (da cui sono tratte le foto), spero di parlarne presto. L'ho iniziato prima del libro ma non sono entrato in sintonia e non ho finito di vederlo.

Rocco ha detto...

eheh si capiva che non sei un fan del Grande Fratello...per fortuna non lo sono nemmeno io!
Ad ogni modo, anche se mi ripeto, davvero eccellente recensione. E chiarissimo è quanto esprimi in merito alla sua profezia. ciao! :)

alladr ha detto...

bella recensione. grazie.

Bruno ha detto...

Grazie a te per avermi letto, alladr. Chissà quanti sono arrivati fino in fondo. L'articolo è un po' lungo e forse pesante, però le cose da dire erano parecchie.

by Ax ha detto...

Io ho letto l'articolo fino in fondo: mi è piaciuto :). Non ho commentato perché non ho ancora letto il libro.
Concordo con l'altro post, quello sul film... almeno per quanto ricordo.

Alex.

Bruno ha detto...

@ by Ax: il film non è bruttissimo ma libro è meglio... fidati.