Un libro uscito nel 2024, scritto da un professore bocconiano, Guido Alfani, questo Come dèi fra gli uomini: Una storia dei ricchi in Occidente si occupa della disuguaglianza economica in una prospettiva storica. La prospettiva è scientifica, piuttosto asettica, ricca di dati, diagrammi e riflessioni su come si arrivi alle conclusioni a partire dai pochi dati disponibili. Non è facile, in effetti, ricostruire quanti fossero, secoli fa, i ricchi e i super ricchi, quanta parte della ricchezza nazionale detenessero, come avessero accumulato le ricchezze.
Saltiamo questa parte tecnica e arriviamo a qualche fatto: innanzitutto, non si può parlare di ricchezza prima dello sviluppo di società stanziali. Se è vero che un nomade può possedere (ad esempio) più bestiame di un altro, quel tipo di società difficilmente può creare così tanta ricchezza da permettere grandissime differenze. La disuguaglianza nasce con le società stanziali, agricole, ed è inizialmente soprattutto una disuguaglianza di terra, più che di denaro o di altri beni preziosi. Il possesso della terra è generalmente legato all'aristocrazia, che per tantissimo tempo è stata il ceto più ricco. In questo senso, nella società dell'antica Roma la disuguaglianza era già estremamente notevole.
Cosa porta a una diminuzione delle disuguaglianze? Per quanto una maggiore uguaglianza sia una buona cosa, spesso, storicamente, essa si verifica a seguito di catastrofi, soprattutto se inaspettate: le maggiori guerre, le grandi crisi economiche (come il crollo della borsa nel 1929), la peste nera del Trecento.
Quest'ultima ha spesso ucciso i più abbienti (che vivevano in città affollate, si spostavano per traffici, e quindi si ammalavano facilmente) e ha consentito ai poveri di impadronirsi di terre, ma anche di pretendere salari più elevati, poiché la manodopera era diventata scarsa.
Quanto invece ai momenti in cui la disuguaglianza è aumentata, possiamo annoverare l'inizio dell'espansione dei commerci attorno all'anno mille, la rivoluzione industriale, l'esplosione della finanza in tempi recenti. Nel nuovo millennio la concentrazione della ricchezza nelle mani del ristretto strato più abbiente ha raggiunto livelli probabilmente senza precedenti. E questo nonostante la grande recessione del 2007-2008. Nel 2020, ad esempio, quasi la metà della ricchezza globale era nelle mani dell'1% più ricco.
Come andava con le tasse? La tassazione è stata estremamente regressiva per gran parte del passato. Ovvero, i poveri pagavano più dei ricchi, e non c'è da stupirsene: i ricchi sono stati contigui al potere quasi sempre. Il principio della tassazione progressiva (aliquote più alte per i più ricchi) è stato un progresso moderno e, comunque, oggi come oggi, è aggirato in molti modi o messo in discussione.
...la possibilità che oggi stia nascendo una nuova «aristocrazia globale» desta una preoccupazione crescente. Si tratta di una questione importante, da cui derivano molti interrogativi rilevanti
C'è da tenere conto del fatto che la possibilità di ridistribuire la ricchezza è da sempre osteggiata in molti modi. Alleanze più o meno codificate tra i ricchi impedivano ai "parvenu" di entrare negli strati superiori, salvo che magari acquistassero un titolo nobiliare. La società è sempre diffidente nei confronti di chi accumula rapidamente ricchezza. Questo vuol dire anche che, salvo i momenti in cui qualche evento spariglia le carte, la ricchezza generalmente si eredita e, con essa, anche i mezzi per crearne altra. Questo vuol dire anche che le tasse di successione sono uno strumento politico importante per garantire una maggiore mobilità sociale.
Parlando di politica, è chiaro che da sempre ricchezza e politica vanno di pari passo. Il potere permette di arricchirsi così come la ricchezza permette di influenzare il potere politico. Fino a quando la nobiltà ha avuto la prevalenza, era importante riuscire a farne parte, anche perché gli incarichi pubblici redditizi erano appannaggio dei nobili. Oggi però gli enormi patrimoni hanno fatto emergere nuove aristocrazie: con un controllo sul potere che non avevamo visto negli ultimi decenni. E siccome le dinastie, dopo il fondatore, sono composte di persone per lo più normali, ma con un potere smisurato, questo sta generando un enorme risentimento fra tutti gli altri. C'è da dire che l'autore si sforza di essere equanime e afferma, a ragione, che qualsiasi cosa facciano i ricchi suscita il risentimento: che cerchino di essere membri influenti, contribuendo al benessere di tutti, o che se ne stiano nel loro angolino a badare agli affari propri.
La percezione della ricchezza è infatti cambiata molto nel corso della storia. Nel medioevo il ricco era colpevolizzato, a meno che non fosse un nobile, il cui privilegio appariva più normale. Un ricco mercante doveva invece trovare il modo di mettere a posto la propria anima e lo faceva con donazioni, lasciti alla chiesa o l'acquisizione di un titolo nobiliare. La comunità tollerava il ricco purché, in momenti di crisi, fosse disposto ad aprire i forzieri per aiutare i bisognosi.
La resistenza culturale all'accumulo di ricchezze è un fenomeno persistente nella società occidentale, anche dopo il medioevo. Economisti, teorici, intellettuali di ogni tipo hanno però accompagnato una trasformazione sociale che ha portato a attribuire un valore positivo all'accumulo di ricchezza, all'innovazione tecnica e al perseguimento del successo economico. Allo stesso tempo il quadro sociale spesso creava ostacoli insuperabili a chi, dal basso, cercasse di elevare la propria posizione.
Oggi ci sono molti metodi per garantire che i pochi ricchissimi restino in testa. Una start-up ti minaccia? La compri. Fai donazioni che detrai dalle tasse a organizzazioni "benefiche" che controlli sempre tu e che agiscono a tuo favore (i famosi milionari "filantropi", che non lo sono per niente). Sposti i capitali in paradisi fiscali e trovi il modo per far sì che le tue imprese non paghino le tasse o godano di regimi fiscali agevolati.
Quanto alla "filantropia" dei ricchi, va notato che, quand'anche i denari donati siano veramente destinati a fare del bene, la donazione, che è sottrazione di risorse al fisco, non è una buona cosa. Se il "filantropo" decide in proprio la destinazione, fosse anche a scopo sociale, la cosa è arrogante e decisamente antidemocratica.
vedendo la propria posizione sociale via via più sicura, la propria partecipazione all’élite di governo incontrastata (o quasi) e la propria presenza all’interno della comunità non più messa in questione, i ricchi si sono sentiti sempre meno obbligati a restituire parte della propria ricchezza alla comunità.
Il ricco e potente, oggi, è perfettamente estraneo alle vicende della comunità se non per svolgere i propri affari: è sostanzialmente apolide, pronto a trasferirsi altrove se necessario, pronto a spostare produzione e soldi dove conviene. Se c'è una crisi, il ricco interviene? Forse, ma probabilmente lo farà soltanto se vede la possibilità di guadagnarci qualcosa.
Pertanto, conclude l'autore in maniera asettica, la concentrazione della ricchezza sta modificando, di fatto, la natura delle democrazie occidentali. I ricchi diventano, come dice il titolo del libro, come dèi tra gli uomini.
Siamo ancora in tempo per cambiare le cose?
Nota: anni fa scrissi alcune considerazioni su questo stesso tema.

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