lunedì 7 marzo 2022

Collapse - The Fall of the Soviet Union

 Questo libro, scritto dal professor Vladislav M. Zubok, è forse il racconto più dettagliato e approfondito sugli eventi che, una trentina di anni fa abbondante, portarono alla dissoluzione dell'Unione Sovietica.

Non è una lettura che ho intrapreso con l'occasione della crisi ucraina, anche se leggere Collapse può essere utile per crearsi una opinione sulle origini di certi eventi che, oggi, ci portano ad essere spettatori del conflitto. Avevo affrontato questo libro per scoprire la verità riguardo a un mistero: come fu che il gigante dai piedi d'argilla (ma pur sempre potenza nucleare) cercò di gestire la propria trasformazione, e perché non vi riuscì. Mentre un altro potente vicino si trasformò in un paese moderno (parlo ovviamente della Cina), l'Unione Sovietica non riuscì a trasformarsi, ma solo a distruggersi.

Ci si può chiedere se questo esito potesse essere evitato, e molto discutere si concentra sulle scelte di un singolo uomo. Parlo ovviamente di Mikhail Gorbachev, l'ideatore della "perestrojka" e della "glasnost," le politiche di ristrutturazione e trasparenza condotte in maniera così rovinosa.

Qual è stato il ruolo di Gorbachev in tutto questo? Di sicuro Gorbachev ha fallito, ma avrebbe fallito chiunque? C'è chi crede che la storia la facciano gli uomini, e che talvolta un "uomo del destino" cambi nel bene e nel male le sorti del mondo. C'è chi invece crede che la storia sia lo svolgersi di anonime forze sociali ed economiche. Io penso che la logica degli eventi (quindi il risultato di forze anonime) trovi il personaggio che realizza i fatti storici. Se Gorbachev è arrivato al potere e ha potuto fare quello che ha fatto, commettendo gli errori che vedremo, senza che lui stesso o qualcun altro prendesse il timone in mano per cambiare strada, evidentemente il sistema si era indebolito a tal punto da permettere che le cose andassero così.

Nessun "uomo forte" della conservazione comunista è emerso a fermare le riforme che Gorbachev aveva avviato. E non è nemmeno apparso un riformatore più brillante di Gorbachev che prendesse in mano le redini del potere e portasse a termine una trasformazione meno devastante. E il successore di Gorbachev come grande leader (stavolta non dell'URSS ma della Russia) fu Boris Yeltsin, un personaggio che procurò danni ancor maggiori.

Ma chi era Gorbachev? Di origini provinciali e contadine, di provenienza russo-ucraina, Gorbachev studiò a Mosca, divenne un intellettuale, e poté salire alle vette del potere grazie al rapporto con Yuri Andropov, Segretario Generale del Partito Comunista dopo la morte di Leonid Breznev. Mentre Breznev era stato per quasi un ventennio il campione della stabilità e della stagnazione, congelando le riforme tentate da Nikita Kruscev,  Andropov era un riformatore. Che non fece in tempo a realizzare un gran che, visto che giunse al potere in tarda età nel 1982, e non in buone condizioni di salute. Morì presto, nel 1984. Andropov era un riformista, ma anche un uomo amante del centralismo e della linea dura.

L'autore si chiede: se fosse vissuto di più, forse non avremmo visto lo squagliarsi dell'URSS a opera di Gorbachev? Chi lo sa. Gorbachev era ben visto come potenziale riformatore perché non coinvolto in repressioni o altre porcherie degli anni più bui, e perché d'animo puro e non corrotto. Alla morte di Andropov gli fu preferito Konstantin Cernenko, che però morì a sua volta dopo poco tempo (1985). A quel punto anche la vecchia guardia accettò come successore Gorbachev, che si trovò a riflettere, assieme a sua moglie, se accettare o no l'incarico. Decise che poteva far qualcosa per migliorare la situazione. Decise che non si poteva andare avanti così. Bisognava fare delle riforme.

Grande conoscitore del pensiero di Lenin, Gorbachev pensava che si potesse tornare alle radici "pure" del socialismo, creare un nuovo "socialismo democratico" che togliesse il potere alle elite del partito per un più genuino governo popolare. Se aveva in mente delle riforme politiche, non era però competente nel campo economico. Dal 1985 al 1991 si videro perciò vari tentativi di introdurre cambiamenti più o meno radicali, portati avanti da vari economisti talvolta ispirati da studi praticati all'estero, leggasi in occidente.

Una costante di queste riforme economiche fu che non funzionarono, e che quando produssero qualche realtà locale efficiente, la decentralizzazione del sistema bancario e la corruzione dei funzionari permisero di incanalare i profitti su conti privati, senza fornire al governo centrale il flusso di entrate fiscali di cui c'era disperata necessità.

Chernobyl (foto presa dalla BBC)

Di fatto, le misure messe in atto si rivelarono spesso impotenti a modificare una situazione incancrenita.

Un problema che Gorbachev cercò di affrontare all'inizio del suo mandato fu la qualità insufficiente dei prodotti, ad esempio il vestiario e le scarpe che rimanevano invenduti nei magazzini mentre la gente cercava con ogni mezzo di procurarsi merce prodotta all'estero. Gorbachev ideò dei team di lavoratori e specialisti per il controllo qualità. Il risultato fu che la maggior parte di quanto prodotto da un'enormità di industrie fu respinto per evidenti difetti, mettendo in crisi oltre alle aziende ispezionate anche quelle che facevano parte della catena di distribuzione o di produzione dei semilavorati.

Cosa si sarebbe dovuto fare delle imprese che non producevano merce di qualità e dei loro lavoratori? Secondo il sistema comunista le imprese non potevano andare in bancarotta e i lavoratori avevano comunque diritto all'impiego e allo stipendio. Gli sforzi del "controllo di qualità" in salsa sovietica furono quindi inefficaci, perché al di fuori di una economia di mercato.

Successivamente, anziché far partire nuove imprese con nuovi uomini e mentalità nuove, Gorbachev cercò di innovare metodologie e processi nelle imprese esistenti, generalmente non riuscendovi per l'inerzia e l'ostilità del personale. Quando le aziende adottarono una nuova mentalità imprenditoriale, spesso lo fecero dedicandosi all'esportazione e al profitto di pochi anziché aiutare a risollevare le sorti dello stato e a fornire prodotti al mercato locale.

Sarebbe troppo lungo fare altri esempi. Ci limiteremo a dire che, anche per colpa delle spese catastrofiche per la guerra in Afghanistan (da cui l'URSS si tirò fuori solo nel 1989) e per il disastro atomico di Chernobyl (del 1986 ma con conseguenze che si sono protratte nel tempo), l'economia sovietica passò da un disastro all'altro.

Boris Yeltsin (foto presa da Wikipedia)

Passando al lato politico, Gorbachev si sforzò di ridurre il potere delle élite del partito, creando altri organi, favorendo la decentralizzazione. Radicali liberalizzazioni politiche vennero adottate in contemporanea con le tentate, drastiche, riforme economiche, creando una situazione di caos che andò peggiorando anno dopo anno. Affine nel modo di pensare alla minoranza intellettuale delle accademie di Mosca, Gorbachev trovò una sponda in questo ambiente sofisticato, e in una frazione del partito comunista, ma i suoi complessi discorsi e ragionamenti non ebbero alcun effetto concreto.

C'erano uomini nuovi emergenti che delle riforme costituzionali e legali non sapevano che farsene: si prendevano semplicemente lo spazio che Gorbachev aveva cominciato a concedere. Agguantavano il potere politico locale, e si comportavano da nuovi uomini forti, iniziando delle spinte centrifughe nelle varie repubbliche che componevano l'URSS; oppure arraffavano il controllo delle imprese, diventando mezzi imprenditori e mezzi gangster, in un nuovo far west che il potere centrale, sebbene dotato di notevoli apparati repressivi, non sapeva riordinare.

Il super-parlamento che Gorbachev creò per fare da contraltare allo strapotere del partito rese ingovernabile il paese (e fu abolito poi solo da Yeltsin). Gorbachev, che andava avanti con le sue riforme senza voler riconoscerne i negativi effetti pratici, liberalizzò l'informazione e incoraggiò le nuove forze politiche ed economiche, perché temeva che le élite reazionarie nel partito avrebbero paralizzato il rinnovamento.

Tuttavia erano il partito e le istituzioni sovietiche che giustificavano il suo essere al potere. Mentre lui pensava che le nuove forze locali, i nuovi partiti politici, le risvegliate repubbliche coi loro umori localisti e separatisti, gli sarebbero stati alleati per gratitudine, questi non fecero che togliere sempre più potere alle istituzioni sovietiche e sfidare Gorbachev continuamente. Al posto di nuovi alleati, Gorbachev si trovò ad avere a che fare con i rivoltosi e con i virulenti populisti che sorsero un po' dovunque.

A poco a poco si profilava la catastrofe. L'URSS era fatta per funzionare come un singolo stato, le autonomie locali contavano solo per questioni minori. Con il procedere della riforme nuove frontiere avrebbero cominciato a spezzettare il potere centrale e l'economia sovietica, oltre al fatto che, ovviamente, i paesi del Patto di Varsavia se la stavano svignando il più in fretta possibile (e la Germania andava verso la riunificazione). Peggio ancora, antichi conflitti sopiti con il pugno di ferro si stavano risvegliano (quello tra Armeni e Azeri è stato il più importante di quel periodo).

Zubok cita un figlio del presidente cinese Deng Xiaoping che dichiarò: "Mio padre pensa che Gorbachev sia un idiota." Il leader cinese aveva aperto le campagne alle forze del mercato e creato delle zone economiche speciali dove si iniziava a praticare un'economia parzialmente liberale con investimenti stranieri. Quando le aspirazioni verso una maggiore libertà sfociarono nel movimento di Piazza Tien An Men, Deng schiacciò i dissidenti con i carri armati. Zubok paragona Deng ad Andropov, un altro che manteneva le leve del potere fermamente sotto il proprio controllo. Gorbachev, anche per via della propria personalità, non avrebbe mai potuto ricorrere così pesantemente alla violenza. Zubok cita vari motivi per cui, dal punto di vista economico, l'esperienza cinese non avrebbe potuto essere ripetuta nell'URSS. Tuttavia fu proprio il fallimento sovietico a spingere la Cina a non abbandonare mai il primato politico del partito, sebbene l'ideologia comunista in tali condizioni sia praticamente diventata una barzelletta. Di fatto Gorbachev permise che la situazione gli sfuggisse di mano, e non fece nulla per porvi rimedio, anche quando il fatto era ormai evidente.

Una massima di Alexis de Tocqueville, citata nel libro, afferma che il momento più critico di un cattivo regime è quando tenta le riforme: perché i mali che vengono pazientemente tollerati quando si crede che non ci sia modo di evitarli diventano insopportabili quando si vede la possibilità di una via di uscita. Questo un altro dei fattori che resero ingovernabile l'URSS: perché anche ai vertici del partito il vecchio modo di vivere faceva schifo. Alle vecchie ideologie qualcuno diceva di credere ancora, ma solo per finta. Ci si procuravano beni occidentali se possibile, e si aspirava a uno stile di vita consumista. Chi poteva viaggiare all'estero aveva un enorme prestigio, e la vista di un supermercato occidentale, con ogni ben di dio in vista, stimolava le fantasie più sciocche, come se bastasse dichiarare di voler cambiare sistema per entrare immediatamente in una specie di paradiso del benessere economico.

Invece la realtà era ben più dura. Gorbachev chiedeva fondi occidentali, aveva sperato in una specie di "piano Marshall" che permettesse una ristrutturazione economica dell'Unione Sovietica, invece quello che otteneva erano aiuti concessi con il contagocce. Gli Europei erano un po' più propensi, il governo USA di Bush padre, pur incoraggiando Gorbachev a procedere (e godendo nel vederlo scavarsi la fossa, aggiungerei), trattava i sovietici come un nemico dal quale spillare ogni concessione possibile finché durava il momento di debolezza. Contando sul fatto che non sarebbe durato.

Somme importanti vennero pur concesse, ma mai quello che sarebbe stato necessario per stabilizzare il paese, solo il minimo per non vedere folle di persone morire di fame in mezzo alla strada, o poco più. D'altra parte con il disordine politico ed economico che si stava creando, non era più chiaro chi si sarebbe preso carico di garantire la restituzione dei crediti, e quali fossero le possibili garanzie da concedere. Le scorte di oro e diamanti dell'URSS erano presto state dilapidate.

Con il golpe dell'agosto 1991 iniziò il declino finale di Gorbachev. L'ala dura del partito e del KGB (il servizio segreto) si era alla fine mossa, assai tardi. Voleva bloccare il nuovo trattato che avrebbe devoluto in massima parte il potere alle varie repubbliche, limitando al minimo l'influenza dell'URSS che sarebbe stato rappresentato solo da istituzioni finanziarie centrali, dall'esercito, e da una parte dell'apparato militare-industriale. Gorbachev era in ferie e fu colto di sorpresa. Fu messo agli arresti domiciliari e a Mosca vennero fatti sfilare dei carri armati. Forse la giunta del colpo di stato avrebbe potuto davvero prendere il potere, a patto di eliminare Gorbachev e sparare sulla folla, e accettare poi il sicuro collasso economico e l'isolamento del paese. Ma i golpisti non lo fecero, e permisero a Boris Yeltsin di mobilitare la gente comune contro di loro. Yeltsin, politico che aspirava all'indipendenza della Russia dall'Unione Sovietica, rischiò il tutto per tutto opponendosi alle forze della restaurazione e guadagnandosi l'appoggio  popolare. Così fece fallire il golpe, in verità diretto da gente che non aveva stomaco per una guerra civile. Il partito comunista ricevette così un colpo fatale. Gorbachev fu salvato, ma nel giro di pochi mesi ogni potere gli fu sottratto. La sua fine fu patetica. Teneva discorsi noiosi che non interessavano a nessuno e comandava soltanto la propria scrivania. Aveva ancora una valigetta con i comandi nucleari ma, a sua insaputa, questa era stata disabilitata per ordine di Yeltsin.

Yeltsin manovrava allo stesso tempo per assumere, sotto il controllo russo, parte delle prerogative sovietiche. Nelle condizioni in cui si trovava il paese gli fu facile sbarazzarsi di Gorbachev, ma non fu altrettanto semplice ragionare con le repubbliche separatiste. Non c'era verso di mantenere in una federazione i Paesi Baltici, che godevano di influenza sugli USA per via di una diaspora di emigranti fuggiti ai tempi dell'occupazione sovietica. E poi c'era il problema dell'Ucraina. Vladimir Lukin, dell'entourage di Yeltsin, propose un referendum sotto controllo internazionale che stabilisse con chi volessero stare i cittadini di Crimea e Donbass. Questo perché i confini erano stati manipolati senza tenere conto della realtà etnica sul terreno: sono proprio quei confini che hanno creato una serie di drammatici problemi tra Russia e Ucraina, dall'annessione della Crimea nel 2014 al conflitto di questi giorni.

In un curioso parallelo con Gorbachev, Yeltsin si sentì tradito in quanto, avendo sempre appoggiato le forze centrifughe che volevano abbattere il potere centrale, adesso si aspettava che gli Ucraini fossero ragionevoli. Come al solito, ci fu invece una contrapposizione muro contro muro. Yeltsin non poté averla vinta con l'Ucraina, tranne che per la restituzione della flotta e delle armi atomiche. Per effetto dei movimenti di persone dell'era sovietica e dei confini tracciati in maniera arbitraria milioni di Russi pertanto vivono da stranieri in Ucraina, nei Paesi Baltici, in Kazakistan ecc...

Gorbachev a dicembre 1991 era ormai stato silurato. La sua popolarità è sopravvissuta in occidente, almeno per un certo tempo. In Russia è generalmente considerato un incapace se non un traditore.

Per l'autore del libro il collasso dell'URSS non era inevitabile. L'URSS s'è trovata in enormi difficoltà e con un leader incapace al comando, ma le cose avrebbero potuto andare diversamente. Può darsi che abbia ragione, visto che esiste il modello cinese. Tuttavia i due casi non sono esattamente sovrapponibili.

I sovietici in Afghanistan (foto presa da Reuters.com)

La Cina era più controllabile? Certamente più omogenea e con il vantaggio che in un certo senso "partiva da zero," senza la zavorra di un vecchio sistema industriale che non funzionava. Per i Cinesi era più semplice tenere unito il paese e cercare esperienze nuove.

Ma le élite conservatrici sovietiche in verità (aggiungo io) non hanno ostacolato le riforme fino a che non hanno visto che Gorbachev distruggeva tutto, e anche allora il loro golpe è stato condotto con riluttanza. Non c'era un monolite di vecchi incartapecoriti che dicevano no a tutto. I personaggi del vecchio regime sono stati capaci di adattarsi. Alcuni leader hanno appoggiato Gorbachev fino a che è stato possibile, altri si sono riciclati nelle varie forze "democratiche" delle singole nazioni, altri hanno saccheggiato quanto di buono c'era nell'economia, diventando i nuovi oligarchi. Gorbachev avrebbe potuto trovare nel partito la stabilità che gli serviva per tentare riforme economiche, e invece ha lavorato alla distruzione del vecchio sistema di potere (che era il SUO potere!).

Un'altra opinione largamente diffusa, ovvero che gli USA, con la corsa agli armamenti voluta da Reagan, abbiano tagliato il fiato al nemico sovietico, è smentita da Zubok, secondo cui il sistema stava già crollando per conto suo, e i tentativi di riformarlo erano allo studio da tempo.

Quanto al giudizio su Gorbachev, Zubok afferma che sia stato il principale artefice del disastro con la sua mentalità, carattere e ideologia. Nota però anche che il partito, e la "vecchia guardia," erano diventati come lui riluttanti ad agire con violenza e a riprendere in mano la situazione con il pugno di ferro; vi era stato insomma un forte cambiamento culturale dai tempi di Stalin. Forse, aggiungo io, la spietata crudeltà di Stalin aveva schifato in maniera durevole i politici che gli erano succeduti, anche se nel periodo di Gorbachev molti erano ancora reduci della Seconda Guerra Mondiale.

Possiamo quindi supporre che sia "tutta colpa di Gorbachev?" Zubok pensa di si, fondamentalmente. Non crede che un esito differente fosse impossibile. Io non ho una conoscenza così profonda dei fatti ma, pur avendo come riferimento gli elementi che Zubok ci fornisce, giungo a una conclusione diversa. Penso che se le cose sono andate così, ovvero se non c'è stato nessuno che, come Deng Xiaoping, abbia ripreso le redini in mano con il pugno di ferro, pur portando avanti riforme economiche, vuol dire che l'Unione Sovietica aveva perso ogni vitalità ed era destinata in un modo o nell'altro a spegnersi, con le pesanti conseguenze che ne sono seguite.

Se l'URSS nel suo momento critico è stata guidata nel peggior modo possibile, credo però che l'occidente avrebbe tratto maggior vantaggio da una politica un po' più conciliante e lungimirante. Ma forse quello che sta succedendo oggi è proprio ciò che gli USA desideravano.

Per dare infine un giudizio sul libro: innanzitutto è in inglese, lungo oltre 400 pagine e molto descrittivo sulle varie fasi del periodo preso in esame. Certamente è un testo importante, analizzando con una nuova prospettiva quei fatti di un trentennio fa. Non è certamente una lettura facilissima, e vi è molto, ma molto di più di quello che ho riassunto qui. Lo consiglio soltanto a chi si senta motivato ad approfondire il collasso dell'URSS.


4 commenti:

M.T. ha detto...

Penso che non ci fosse molto da fare per evitare quello che è successo perché, di base, non sono cambiate molte cose dai tempi degli zar: la corruzione è sempre rimasta la stessa, se non peggiorata, in più si è aggiunta la questione mafia. Lenin, Chruščëv e lo stesso Gorbačëv hanno tentato di cambiare questo stato delle cose. Cosa che invece non fece Stalin e non ha fatto neppure Putin, dato che praticamente sta facendo le stesso cose di Stalin. Quindi, l'insuccesso di Gorbačëv era qualcosa di prevedibile: c'erano troppe cose che non andavano e che ci si portava dietro da troppo tempo.

Bruno ha detto...


Innanzitutto ti ringrazio per aver letto un post molto lungo e piuttosto ostico. Che Gorbachev stesse facendo un'idiozia colossale è un giudizio che condivido con l'autore. Me ne rendevo conto io, ai tempi, ma non perché fossi un genio: lo capivano gli USA, gli Europei, i Cinesi, i popoli dell'Est, che infatti hanno cercato la protezione occidentale appena possibile; lo avevano capito anche moltissimi nell'URSS. Un leader accorto e autoritario avrebbe potuto realizzare una copia sbiadita di quello che sono riusciti a fare in Cina, ma anche qui c'è il dubbio: come dici tu, c'erano troppe cose che non andavano da troppo tempo, metterci le mani sarebbe stato un incubo anche per un genio... figuriamoci cosa poteva fare quel povero illuso di Gorbachev.

M.T. ha detto...

Ostico non direi: è approfondito, come è naturale che sia dato l'argomento.
Ai tempi ero piccolo per comprendere certe cose, anche se ho seguito il disastro di Cernobyl, ma all'età che avevo allora la politica non era certo nei miei interessi: le ho seguite successivamente.

Bruno ha detto...

Ti posso dare la mia testimonianza da un punto di vista diverso, visto che sono più vecchio. Da ragazzo ho conosciuto la divisione del mondo in blocchi come un fatto irreversibile e presumibilmente irrimediabile. Una realtà disperante, con la Germania divisa in due, i moti ungheresi schiacciati brutalmente nel sangue nel 1956, la primavera di Praga congelata nel 1968... Addirittura, con la caduta del Vietnam e il ripiegamento degli USA su se stessi per diversi anni, l'URSS sembrava il possibile vincitore del confronto.

Quello che è successo con Gorbachev e Yeltsin mi ha quindi sorpreso, lo trovo più comprensibile solo a posteriori. Sorprendentemente, oggi potremmo vedere una riedizione dei vecchi blocchi, ma con la Russia assai più debole e non più comunista.