mercoledì 5 maggio 2021

Scrivere di quello che non sai

 Ricordo Andrzej Sapkowski intervistato a un Lucca Comics: diceva che lo scrittore può documentarsi e usare la fantasia, non è quindi obbligato a scrivere "solo di quello che conosce."

Un premio nobel (per quel che vale) ovvero Kazuo Ishiguro, afferma che scrivere di ciò che si sa è un consiglio idiota, buono solo per ammazzare la fantasia dello scrittore.

Ora, in qualche caso questo è appropriato, in qualche caso non lo è. Esistono argomenti in cui non ti puoi addentrare facilmente con il solo appoggio della fantasia o dell'esserti documentato. Oggi poi esiste anche l'esigenza di verificare se quello che scrivi fa arrabbiare qualcuno, viste le guerre "culturali" in corso, ma a parte questo dettaglio non da poco, esistono esperienze che difficilmente puoi riprodurre.

Per esempio, se qualcuno cercasse di scrivere come ci si sente a buttar via un anno della propria vita nel servizio militare, senza averlo fatto, potrebbe scriverne a un livello superficiale e limitato, documentandosi. Il risultato sarebbe buono? forse sì, magari con troppi cliché, ma ritengo sia possibile farne qualcosa di buono a patto di avere un po' di esperienze di vita. Ma se lo stesso scrittore cercasse, senza aver provato quella esperienza o una simile, a entrare nel dettaglio? se cercasse di scrivere come ci si sente giorno dopo giorno? Probabilmente scriverebbe qualcosa che suonerebbe falso a chi, come me, ha dovuto fare il servizio militare per davvero.

Elenchiamo qualche altro esempio. L'esperienza della maternità, per chi non l'ha provata. Essere stati in guerra. Essere stati in carcere. Raccontare la vita di un poliziotto, di un detective, senza riempirla di elementi stantii, visti e ripetuti centomila volte.

Sono tutte cose di cui si può scrivere senza saperne per esperienza diretta, ma solo a patto di non metterle in primo piano nella narrazione, e di documentarsi bene. Per quanto, presumo, le centinaia di storie (e film) su ispettori e polizia siano state realizzate al 99 per cento da gente che ne sa poco o niente per esperienza diretta.

Abbiamo storie di guerra in cui i soldati si dannano l'anima perché uno di loro è caduto, poi leggi le osservazioni di un vero reduce che ti dice che non è così. Magari al caduto gli dedichi un brindisi, e poi non ci pensi più (potrebbe essere diverso se si tratta di qualcuno molto vicino a te). E se ci ragioniamo un attimo, questo ha la sua logica.

Innumerevoli libri sono stati scritti su storie di amore e di sesso dando una visione della sessualità femminile simile a quella maschile, e completamente inventata dagli scrittori (uomini).

Se conoscete un poliziotto o carabiniere, chiedetegli quanto siano realistici i commissari che si vedono alla televisione.

Ovviamente in tanti casi ci si può documentare, leggendo quello che stai scrivendo con una persona che abbia avuto quelle esperienze e possa dare indicazioni.

Poi magari, in certi casi, il realismo non interessa: vogliamo personaggi apparentemente reali ma in realtà del tutto fantastici, che si muovono in mondi fantastici.


2 commenti:

M.T. ha detto...

la diatriba sulla questione sarebbe lunga e non so quanto potrei sbilanciarmi su di essa. Quello che penso è che un testo di narrativa deve coinvolgere il lettore, non rompergli in sense of wonder e avere una certa coerenza.

Bruno ha detto...


Ma in effetti l'importante è dare la sensazione di essere in quel tipo di storia. Ad esempio le storie di ispettori di polizia, probabilmente funzionano meglio con quel tipo di situazioni e personaggi che leggiamo nei libri e vediamo in TV.
Immagino che il vero lavoro di questi personaggi, nella vita vera, abbia molti meno colpi di scena, sia fatto di noiosissima raccolta di documenti e soffiate, senza brillanti intuizioni, scoperte sorprendenti, inseguimenti mozzafiato eccetera.