mercoledì 24 ottobre 2018
Si Alza il Vento
Si alza il vento è il film che doveva essere il "testamento," l'ultimo film di Hayao Miyazaki, la (maggiore) testa pensante del celeberrimo Studio Ghibli. L'anziano genio dell'animazione giapponese ha forse nuovi progetti, in realtà, per cui quest'ultimo atto potrebbe essere seguito da delle appendici, però il film è interessante perché contiene le tematiche più care Miyazaki, oltre ad essere un progetto che, finalmente, andava a trattare un argomento che l'artista desiderava da sempre di poter mettere al centro di qualche storia. In questo post esaminiamo brevemente la pellicola, anticipandone anche la trama. È un film di un paio d'ore, ed essendo animazione "vera" e non computer grafica, ha richiesto una notevole quantità di persone impegnate alla produzione, e parecchio tempo.
L'argomento che davvero interessava a Miyazaki, e che qui è in primissimo piano, è l'aviazione e il volo, come in altri film dello Studio Ghibli (ad esempio Porco Rosso); in particolare qui si parlerà di alcuni aerei giapponesi specifici tra cui il caccia Zero, aereo della marina militare giapponese, e il suo progettista Jiro Horikoshi. Oltre a questo, e per rendere la trama più varia e più poetica, abbiamo una drammatica storia d'amore e un rapporto onirico tra il progettista giapponese e Giovanni Caproni, un pioniere dell'aviazione italiana.
Già: Giovanni Caproni, Conte di Taliedo. Dove si trova questa contea? È situata in una zona periferica di Milano, la vecchia pista e fabbrica Caproni, si trova vicino a dove ho abitato per quasi 20 anni. Da bambino ero andato con un amico a esplorare la zona in bicicletta (c'erano ancora degli hangar e parte della pista, sotto forma di prato), ma fummo respinti... dal custode che venne a intercettarci. Guardando la zona dall'alto, la forma a rettangolo allungato di quella che fu la pista si può notare ancora oggi, tra Via Salomone e la ferrovia. Adesso ci sono case, varie attività, campi sportivi, spazi verdi. Qui fece i primi voli di prova il primo aereo a reazione italiano.
Nel film Caproni sembra quasi uno spirito, un fantasma con un ruolo sciamanico (ma era ancora vivo, nel periodo ricoperto dalla narrazione di Si Alza il Vento), che prende per mano Jiro e gli dà incoraggiamenti e consigli. Jiro Horikoshi ama gli aerei, però ha una cattiva vista, non può fare il pilota. Può coronare il suo sogno comunque, costruendo gli aerei. E lo farà, inseguendo con altri progettisti il sogno di colmare il ritardo tecnologico del proprio paese verso le potenze più moderne. I progettisti giapponesi vanno infatti in Germania per recuperare un gap di vent'anni e poi realizzano dei modelli eccellenti. Questo permette a Miyazaki di mostrarci altri grandi personaggi dell'aviazione del periodo fra le due guerre.
Indubbiamente le tematiche ricoperte dal film sono controverse: ma Miyazaki non fa discorsi sulla guerra se non per citarla come causa di distruzione, sebbene ammiri la potenza del caccia Zero e le sue eleganti linee aerodinamiche.
Per quanto riguarda la storia d'amore tra Jiro e la giovane Nahoko, si tratta di un'altra parte inventata come la figura di Caproni che compare nei sogni del giovane progettista. Nahoko è una di quelle gentili, belle figure femminili che popolano i film dello Studio Ghibli, una ragazza conosciuta per caso da Jiro, un grande amore, ma purtroppo compromesso dal fatto che Nahoko è malata: ha la tubercolosi, cerca di guarire tra vacanze in posti salubri e ricoveri nei sanatori, ma non ci riuscirà. Dopo aver coronato il sogno di sposarsi con Jiro si renderà conto di non aver superato la malattia e tornerà in sanatorio per morirvi.
Una cosa che mi ha colpito è che dopo la fuga della moglie lui non vada a trovarla, nel film. Certo lei ha detto addio, ma con questo? È troppo impegnato a progettare i suoi aerei?
Sbaglio probabilmente io a essere sorpreso di non trovare una scena romantica cliché occidentale in una storia che viene da un'altra cultura: ad esempio, lui che sale sulla montagna a riprendersi la moglie perché vuol stare insieme in ogni caso, o, siccome lei non può andarsene e privarsi delle cure, perché altrimenti morirebbe subito, lui che si trasferisce nel sanatorio, a costo di abbandonare i propri progetti e sogni(*).
Nahoko scompare, poi ritorna nel finale, si "fonde" nel sogno di Jiro che la incontrerà un'ultima volta con Caproni, dopo la guerra: l'aviatore italiano commenterà con amarezza la sorte dei caccia Zero che "non sono tornati indietro," ma dirà anche che bisogna continuare a vivere, e anche Nahoko lo esorta, assicurandolo che lo aspetterà. Non era questo il finale previsto inizialmente. Lo so perché ho visto un documentario, Il Regno dei Sogni e della Follia, grazie a un amico che me lo ha prestato assieme al DVD di questo film: nel documentario si parla di Miyazaki e dei suoi progetti, e per quanto riguarda questo ultimo film c'è una rivelazione. Nahoko doveva essere, nella scena finale, un fantasma che chiama Jiro dall'altra parte, nell'aldilà. Insomma la storia si concludeva con la morte di tutti. E invece il finale è stato cambiato: lei esorta Jiro a vivere.
Cosa dire di Si Alza il Vento? Il film è un inno alla fantasia, ai sogni e alle passioni, anche in mezzo alle avversità e al dolore. È così fin dal titolo, parte di una poesia di Valéry: Le vent se lève, il faut tenter de vivre (si alza il vento, bisogna cercare di vivere): un anelito a cogliere pienamente la vita, visto che il suo ritmo ci chiama a risponderle. Poetico, efficace. Mi spiace per Miyazaki, ma la storia del caccia Zero, che doveva essere la tematica "vera" di Si Alza il Vento, è meno interessante della poesia costruita con Nahoko e Giovanni Caproni.
Chiudo con una nota (da nerd amante delle cose militari) sul famoso aereo, lo Zero (Mitsubishi A6M): ne è stato fatto un mito, certamente superiore ai meriti. Il Giappone era, come l'Italia, un paese meno tecnologicamente avanzato rispetto a colossi come Gran Bretagna, USA, Germania. Questo significa anche motori e armamenti meno potenti. Tuttavia, alleggerendo l'aereo il più possibile, con lo Zero si ottenne un caccia discretamente veloce, a lunga autonomia e molto manovrabile, sebbene alle alte quote perdesse agilità. Lo si vide quando gli USA iniziarono a bombardare il Giappone da alta quota. Comunque nel Pacifico, dove i combattimenti tattici si svolgevano a quote relativamente basse, e dove inizialmente gli Alleati non avevano quasi nulla da opporre, questo agilissimo aereo, pilotato da uomini esperti, nei primi mesi di guerra sembrò la fine del mondo. Ma nel giro di pochi mesi la musica era già cambiata.
E poiché per renderlo leggero e agile si era fatto meno di protezioni per il pilota e di serbatoi autosigillanti, lo Zero veniva spesso abbattuto con pochissimi colpi a segno.
D'altra parte gli aerei da combattimento della Seconda Guerra Mondiale si evolvevano in una direzione diversa. Più velocità, più potenza del motore, e quindi la possibilità di aumentare il peso. Il che rendeva possibile avere più protezione e armi più potenti.
Aerei come lo Zero (e i lenti ma agili biplani di casa nostra) erano ottimi nel dogfight, la mischia in cui un pilota cerca di inquadrare l'aereo nemico e abbatterlo. Gli arei USA più moderni erano vittoriosi invece con la tecnica dello zoom and boom, ovvero salire di quota, calare velocissimi sul nemico e colpire; se non riuscivano ad abbattere il nemico potevano risalire di quota e riprovare, oppure continuare a scendere e fuggire, senza concedere la possibilità del dogfight all'aereo meno potente. Poiché con i mezzi del tempo la quota era la "moneta" che si poteva scambiare con la velocità (ovvero chi era più in alto poteva scendere veloce in picchiata, guadagnando un vantaggio tattico), l'aereo meno potente non poteva imitare queste tattiche. Questo vuol dire che lo Zero, pur avendo delle finezze tecnologiche, rappresentava una scelta verso una strada senza uscita, dal punto di vista dello sviluppo tecnico.
C'erano delle soluzioni avanzate nell'aereo, ma il suo trionfo fino ai primi mesi del 1942 fu dovuto principalmente al fatto che gli avversari avevano pochi mezzi, oppure erano già impegnati altrove.
(*) Nota: la storia di Nahoko è ispirata a un libro di Hori Tatsuo e, in effetti, in quella storia il protagonista ci va, a vivere con la donna che sta morendo. Così almeno dice Wikipedia...
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2 commenti:
Io credo che Miyazaki abbia riversato molto di se in Jiro Horikoshi, visto che entrambi mostrano uno zelo lavorativo e una passione otaku per l'oggetto delle loro brame (anche se al maestro questo aggettivo sicuramente non piacerà), che gli porta a a sacrificare tutto e tutti per di mandare avanti il proprio sogno (Per Jiro Horikoshi è l'amore per la propria moglie, mentre per Miyazaki credo che sia la sua politica aziendale della sua società,ormai desueta, visto che coscientemente o meno ha eliminato ogni possibile erede capace di portare avanti un sviluppo moderno).
Un film bellissimo ma che ti fa riflettere se sia sempre lecito inseguire un sogno fregandosene delle possibili conseguenze, misto ad ammirazione per qualcuno capace di sacrificare tutto pur di arrivare a un obbiettivo.
@ Long John Silver: Nel documentario dice anche che lo Studio Ghibli non ha possibilità di rimanere a galla in futuro... interessante il tuo parere.
La cosa affascinante (che vedi dagli spezzoni che vedi nel documentario quando è inquadrata la casa di Miyazaki, o andando a visitare il museo dello Studio Ghibli, opportunità irripetibile che ho avuto quest'anno) è osservare la quantità di libri e in genere arte che compone l'immaginario dell'autore, tra vecchi classici francesi, scorci dell'Europa centrale, tutto un immaginario intriso della bellezza del vecchio continente (quando era bello, ovviamente).
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