domenica 26 luglio 2015

Lavoro e società nel ventunesimo secolo

Ritorniamo, con un paio di citazioni, sui temi politici ed economici che ho esplorato qualche mese fa, immaginando il futuro con l'evoluzione della tecnologia e la corrispondente reazione della società.
Da una parte una tecnologia che non crea opportunità di lavoro, ma anzi le distrugge, almeno nel medio e breve periodo, dando opportunità ai proprietari dei mezzi di produzione e del potere conomico di creare ricchezza senza bisogno di pagare stipendi; dall'altra un'atmosfera culturale e sociale che sta cambiando, e che secondo me continuerà a acambiare, con un'ideologia liberalcapitalista che attualmente monopolizza l'informazione e può suonarsela e cantarsela come vuole, ma una coscienza ormai diffusa (e secondo me sempre più diffusa in futuro) che le cose non possano continuare così.

Colgo l'occasione per citare un articolo (La Stampa) di un paio di settimane fa, dove ci si chiede se i robot "ci salveranno dal lavoro" o saranno la causa di una ennesima crisi. Premetto, io sono uno di quei poveri scemi che pensano che il lavoro nobiliti l'uomo. Forse la vedo così perché mi è toccato di macinarne tanto, in un paese dove moltissima gente considerà la massima qualità umana proprio la capacità di scansarlo. Tuttavia è anche vero che una vita più equilibrata dovrebbe consistere di meno ore di lavoro e qualcosina di più per se stessi, e non sarebbe male arrivarci. Penso anche che, se un nuovo clima sociale lo consentisse, molto lavoro potrebbe essere creato per garantire la salute
psicofisica e mentale della gente, fattore assai trascurato nel duro mondo di oggi. Non mi piacerebbe invece (alla faccia della battuta di Russel citata nell'articolo) l'ipotesi di milioni di persone a cui fosse concesso di vivere senza fare niente, la creazione di una plebe nullafacente, avida di piaceri e grezzamente ignorante (perché nessuna capacità le sarebbe richiesta). Magari anche prepotente e chiassosa nel tentativo di avere ancora di più senza dare niente in cambio (esempio storico: l'antica Roma). L'articolo fa notare che la libertà dal lavoro sarebbe comunque difficile da amministrare perché molta gente non saprebbe cosa farsene.
Le conseguenze della diminuzione del lavoro potrebbero però anche essere una scrollata di spalle da parte dei detentori della ricchezza (e una situazione di durissima povertà per milioni di persone anche in paesi dove la gente oggi pensa di nascere con il diritto di star bene economicamente).


Il secondo articolo è in inglese, molto più speranzoso (e viene dal Guardian, testata di sinistra). L'articolista, Paul Mason, mi sembra adottare dei toni alla Jeremy Rifkin, un intellettuale ed economista eretico che considero, meglio precisarlo subito, un grande dispensatore di aria fritta. L'articolo pone grande importanza sulle modalità di organizzazione, diffusione dell'informazione, condivisione di risorse possibili grazie alla rete, e considera "il network" come la grande forza che ha reso il capitalismo obsoleto. Addirittura le nuove forme di moneta nate grazie alla rete sarebbero alternative... idea che per me è un po' ottimista. Comunque l'articolo è lungo e complesso, credo che vada letto, anche se c'è un passaggio che mi sembra veramente assai illusorio (e il fatto che lo sia per me è l'aspetto centrale del problema):
Sono le elite, tagliate fuori nel loro mondo di scure limousine, i cui progetti sembrano pazzeschi come quelli delle sette millenariste del diciannovesimo secolo. La democrazia della squadre antisommossa, dei politici corrotti, dei giornali controllati dai magnati e dello stato di sorveglianza appaiono false e fragili come la Germania Est di 30 anni fa.
Ma davvero? Temo proprio di no, nel senso che non c'è nulla che minacci al momento di farle cadere. E mentre la società continua a essere governata da queste elite senza alcuna vera connessione con la gente, non stupiamoci se, in cerca di una qualsiasi identità che combatta tutto questo, ci sono addirittura occidentali che si rivolgono all'islam radicale e a organizzazioni come l'ISIS. Se va avanti così, non abbiamo visto ancora niente.



5 commenti:

M.T. ha detto...

La tecnologia, se usata nel modo giusto, potrebbe aiutare a vivere meglio tutti, non solo a far divenire più ricco chi è già ricco. Potrebbe dare la possibilità di lavorare meno e avere più tempo per se stessi. Ma il lavorare meno non significa voler essere scansafatiche, quanto ottimizzare tempo ed energie; questa ottimizzazione di tempo ed energie potrebbe portare ad avere più interessi, espandere le proprie conoscenze, in poche parole porterebbe l'individuo a evolvere.
Temo che questa però sia utopia, perché la maggior parte delle persone avendo più tempo libero, si occuperebbe d'oziare, baderebbe a sciocchezze e questo creerebbe una noia, un'insofferenza che scaturirebbe in vizi e cose poco piacevoli.

Bruno ha detto...

@ M.T. prima di eliminare il lavoro bisognerebbe fare un grosso sforzo sulle persone e la loro mentalità... Cosa intendo: esiste un'influenza culturale che spinge al più dispendioso e insensato consumo, e tanta gente che non sarebbe comunque capace (così come spesso i poveri che diventano ricchi all'improvviso non sanno gestire la ricchezza) di gestire il tempo libero. L'ansia di vivere a cento all'ora porta a spendere tanto e a fare tante esperienze in poco tempo libero (questo, potremmo dire, è "funzionale al sistema," ma credo che senza fare politica a tutti i costi sia anche naturale per molte persone), trovarsi con tanto tempo libero ma non molti soldi potrebbe gettare un certo numero di persone nello sconcerto. C'è stato un periodo in cui la Wolksvagen fece fare ai suoi operai la settimana di quattro giorni per la medesima paga: anziché usare in maniera fruttuosa tutto quel tempo in più, molti vissero la cosa con disagio.

p.s. mi scuso per aver dimenticato di mettere il link dell'articolo sul Guardian. Imperdonabile! (fa caldo!). Ora ho rimediato.

M.T. ha detto...

già, occorrerebbe una presa di consapevolezza. Cosa tutt'altro che facile, specialmente sciogliere vecchie mentalità per farne entrare delle nuove. Occorrerebbe abituare le nuove generazioni con una mentalità differente, ma per farlo occorrerebbe cambiare tutto il sistema in cui sono e questo avverrebbe solo se cambia la gente al suo interno, che è radicata al sistema; insomma, un cane che si mangia la coda. Il cambiamento non è impossibile, però è molto arduo e in pochi lo recepirebbero, proprio per l'influenza culturale di cui parli.

Ivano Landi ha detto...

Basti pensare che in genere chi ha un po' di tempo libero dal proprio lavoro lo utilizza per dedicarsi a un secondo lavoro.
Comunque credo che l'attuale sistema economico sia destinato a implodere, forse in tempi più rapidi di quanto immaginiamo. Chissà, forse la bolla cinese di questi giorni è una prima importante avvisaglia.

Bruno ha detto...

In definitiva, il problema è politico. C'è una elite che sta portando all'esasperazione la sua stretta sul mondo intero. Dubito che voglia lasciarla volentieri e volontariamente.