E così sono arrivato alla fine della trilogia di Panta Rei
di Stefano Bianchi. Un cammino iniziato qualche anno fa in compagnia di uno
scrittore che ho conosciuto personalmente (sia pure di sfuggita, al corso di
scrittura creativa di Franco Forte) e quindi ancora più interessante. Seguiamo brevemente le tappe.
(Nota:
chi non vuole anticipazioni sui libri precedenti salti subito al paragrafo che
inizia con Tokyattan).
La storia iniziava con Caverne, dove il manager francese
Jean moriva nelle prime pagine e si ritrovava in un mondo misterioso con una sua burocrazia e una
specie di guerra in corso. Un mondo dove non si era certo in paradiso e dove una nuova morte sarebbe stata definitiva. Esisteva un nemico insidioso, Vlad Tepes, ovvero il
conte Dracula, e il Corpus, organizzazione che sembrava animata da buona
volontà, ma che stentava a mettere assieme una difesa degna di questo nome.
Poiché il mondo di Panta Rei è diviso in tre settori, il
secondo libro prende il nome dal nuovo luogo, Urbe (sempre non ben collocato
nella carta geografica), dove Jean svolge ancora un’attività di consulente per
il Corpus. Attività non esente da pericoli, e sempre poco gratificante perché
il Corpus non è generoso con le spiegazioni mentre il nemico sa essere
pericoloso. Qui Jean fa la conoscenza di nuovi personaggi ma perde Deepak il
cavernicolo, uno dei primi amici. Intrighi più complicati, tribolazioni e
travagli da parte di Jean per organizzare una linea di difesa (ne scaturiscono
spesso scene divertenti), l’inizio di qualche dubbio da parte del nostro
manager (il cattivo non sembra così cattivo?) e soprattutto uno stile più maturo
e valido da parte dell’autore.
Tokyattan: terzo settore di questo strano paradiso. Non è stato
semplicissimo rimediare il libro, ma alla fine ho tormentato la Edizioni Montag a un punto tale che me lo hanno mandato direttamente a casa e non hanno voluto
i soldi. Continua la lotta di Jean, che si trova in una situazione delicata con
le proprie convinzioni fin dall’inizio. Non è molto facile parlare del libro
senza tradire qualcosa della trama. Diciamo che Jean non sa bene a chi credere
ma non è più rassegnato a farsi manovrare. Anche alla moglie Caroline e alle
bambine, ancora vivissime a Parigi, succederà qualcosa. E finalmente scopriremo
cos’è Panta Rei e come vi giungono i suoi ospiti. Le mie considerazioni, che
ovviamente non vorrete leggere prima di aver terminato il libro, sono in fondo
(paragrafo che inizia con Attenzione Spoiler).
La storia ha finalmente una conclusione ed soddisfacente, di questa trilogia posso dire che a tratti mi sembrava potesse migliorare con qualche sforbiciata, ma anche i momenti inconcludenti, le parti dove Jean si rompe le scatole ed è esasperato, hanno il loro perché nel creare personaggio e atmosfera. Avrei magari alleggerito qualche scena d'azione, qua e là mi pare che ci sia qualche battaglia o colpo di scena superflui. Nel complesso, una storia che porta un soffio di novità: so bene che l'originalità assoluta è praticamente impossibile (bisognava nascere ai tempi dei caratteri cuneiformi...), immagino che qualcuno dei miei lettori conosca qualcos'altro di simile o non tanto diverso, ma nel complesso l'autore è riuscito a instillarmi la curiosità, è stato inizialmente molto avaro di risposte ma ha mantenuto sveglia l'attezione con le avventure di Jean e anche con la sua vita in questo strano posto, compresi momenti di nostalgia, noia, indecisione, e le occasionali passioni. Alla fine ha saputo tirare le fila, spiegare l'origine e la natura di Panta Rei e creare un buon epilogo. Stile e capacità in crescendo, il che non vuol dire che Caverne fosse brutto. Insomma, bella idea e buona realizzazione: complimenti.
Attenzione Spoiler (da non leggere prima del libro!): era evidente dopo un po' che Panta Rei non esisteva per "evento divino" ma che doveva esserci qualche sofisticata tecnologia in atto. Quindi la serie scivola senz'altro in territorio fantascientifico e arriva verso la fine lo svelamento: Panta Rei esiste in un'altra era, non in un luogo diverso: i viaggi nel tempo hanno permesso di creare questa strana popolazione che è nata in diverse epoche. Mi sono domandato che necessità ci fosse di portare su questo mondo persone ormai morte (come Jean che ha un infarto all'inizio della vicenda) o uccise appositamente; se non fosse più semplice trasportare i personaggi ancora viventi dal momento che, con l'uso della macchina del tempo, è senz'altro possibile andarli a pescare ancor vivi. Tutto sommato, l'idea dei cloni toglie il problema della scomparsa di queste persone dal mondo reale nelle relative epoche, e del cambiamento che avrebbe subito la storia: pensiamo se, per esempio, Quinto Fabio Massimo fosse stato prelevato misteriosamente nel corso della lotta contro Annibale. E ovviamente non si possono prelevare personaggi viventi se si vuole che poi "credano" di essere in un aldilà. Resta trascurato il problema delle menti (come fanno a ricordare la loro vita precedente ecc...) ma se esiste la possibilità di viaggiare nel tempo si può immaginare una tecnologia che risolva anche questo problema; però se è così resta irrisolto, mi pare, il problema dei cloni di primo livello e i successivi: se posso fare un Bugsy Siegel con i suoi esatti ricordi, perché non ne posso fare tanti, visto che la memoria gliela devo impiantare comunque con qualche sistema artificiale? Non mi addentro oltre, forse mi sono perso io qualche pezzo per strada, come si suol dire; ma alla fine questa ambientazione, pur strutturata in maniera sufficientemente solida e ingegnosa, necessiterebbe di qualche spiegazione in più. La scoperta della verità resta una delle parti migliori del finale, ad ogni modo.
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