Ho parlato tre anni fa del film L'Invenzione di Morel di Emidio Greco, e mi sono tolto ora lo sfizio di leggere il libro omonimo, pubblicato dall'autore argentino Adolfo Bioy Casares nel 1940. La copia che ho letto io l'ho recuperata dalla biblioteca, è del 1966 e dagli aloni che vedo sulle pagine deve essere caduta in acqua a qualcuno, o in qualche altro liquido immondo. Per fortuna era leggibile.
Non ci sono enormi differenze con la storia del film, tuttavia alcuni dubbi vengono chiariti verso la fine. Parliamone, quindi, ma con l'avvertenza che anticiperò più o meno tutte le parti significative della trama.
Il fuggitivo, che naviga dall'isola di Rabaul (nel Pacifico) verso una destinazione ignota, è vittima di un sistema distopico che sorveglia e reprime spietatamente. Si ritiene innocente ma deve scontare una dura condanna. L'isola di Morel quindi potrebbe essere un rifugio favorevole, perché le grandi escursioni delle maree e gli scogli rendono molto difficile per chiunque sbarcarvi. Inoltre sembra che una malattia colpisca chi si avventuri nell'isola.
Dal momento che vede degli estranei sull'unica altura dell'isola, il nostro protagonista deve nascondersi, pena l'essere denunciato e deferito alla polizia. La sua esistenza è precaria, rischia di essere affogato dalle maree, trova pochissimo cibo e certamente non molto appetitoso: il libro parla di radici, ma una volta cattura un uccello e se lo mangia.
Poi inizia, come nel libro, l'avvicinamento al colle e alle persone che vi sono improvvisamente comparse. L'uomo vede una bella donna, Faustine, e la spia da lontano, presto la sua comincia a diventare una fissazione; sa che c'è uno spasimante che la corteggia, e inizia a considerarlo un rivale. Si tratta in effetti di Morel, l'inventore.
Poi inizia a cercare di interagire, ma presto si rende conto che tutti si comportano come se lui non esistesse. Per un certo tempo non se ne fa una ragione. Ci sono anche in certi momenti due soli e due lune in cielo... questi sono gli effetti del macchinario di Morel, che in effetti sta "ritrasmettendo" una settimana di vita di quelle persone che erano arrivate sull'isola anni prima, su suo invito.
Per risolvere un dubbio che avevo espresso sul film: gli oggetti trasmessi sono ben solidi e reali. Il protagonista non riesce a interagire; per esempio non può aprire una porta, durante la proiezione di Morel e amici, perché se viene proiettata chiusa, resta chiusa. E quindi non può, come vorrebbe, infilarsi durante la notte nella stanza di Faustine.
La spiegazione da parte di Morel e lo sconcerto degli amici, che hanno il sospetto di essere condannati a morte dalla pericolosa invenzione, sono descritti più o meno come nel film. Più approfondito il discorso sul dubbio se essi veramente "rivivranno" nelle future proiezioni oppure no, e se questo eremo deserto scelto da Morel, in un mondo sovrappopolato, rimarrà davvero deserto per consentire la ripetizione della settimana di felicità in eterno, o se verrà invaso dalla popolazione terrestre che nella sua maltusiana espansione va ad occupare ogni angolo possibile.
Lo straniamento del protagonista e la sua fissazione sulla donna sono punti forti del libro, che li rende meglio del film. Mi intriga anche la situazione paradossale, questa simulazione che dovrebbe essere eterna, ma già non funziona perfettamente, e comunque non può davvero andare avanti in eterno. E poi, se da fuori può sembrare vita, lo è davvero?
A favore del regista devo dire che il soggetto poco si presta al cinema, secondo me. Ma Greco forse peggiora le cose. Non ricorrendo alla voce fuori campo del protagonista, rende ancora più difficile accostarsi al film.
Il protagonista usa le macchine di Morel addirittura per "introdursi" nella vita di Faustine e dei suoi amici; mentre nel film si limita a inserire le sue immagini fra le loro, nel libro ci spiega che recita in modo da far sembrare, a un eventuale osservatore esterno, che egli interagisca con quei personaggi. Ma è consapevole che le cose non stanno così, e che la sua registrazione è separata e così resterà. Infatti, il pio desiderio che esprime alla fine del libro è che, se arrivasse qualcuno con le necessarie competenze tecniche, lo unisse veramente, in questa finzione di vita, a Faustine e compagni. Comunque il punto non è quello che avviene nella registrazione, che non mi par capace di ridare la vita a nessuno... il protagonista non era con quelle persone quando vennero riprese, e non può essere con loro in un momento successivo: esse non sono veramente lì per accorgersi di lui.
Quello che il protagonista sa per certo è che far parte della "invenzione di Morel" significa morire, e lui sente che i suoi tessuti decadono irreparabilmente da quando si è fatto registrare dalla macchina. Insomma non ha fatto un buon affare, ma forse non gli restava di meglio da fare, visto che sarebbe finito in galera se catturato dalla polizia.
Non so a chi potrà piacere questo libro ma, siccome è breve, e probabilmente lo troverete gratuitamente in una biblioteca, invito a provarlo. Questa storia continua a intrigarmi.
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