sabato 2 agosto 2008

La Lama del Dolore


Ho terminato di leggere la Lama del Dolore, scritto da Marco Davide per la Armando Curcio Editore, e non posso dire di averlo pienamente apprezzato. Quello che mi ha più sconcertato è la scelta stilistica, sicuramente compiuta consapevolmente, di parlare con un linguaggio molto moderno. Ora, anche in un gran libro come Il Nome del Vento avevo riscontrato qua e là un disinvolto uso di termini tecnici piuttosto evoluti (unità di misura, ad esempio...) ma qui abbiamo addirittura, per fare degli esempi, "una ventina di minuti" in un mondo che non sembra conoscere orologi da polso, "epidemie virali" laddove dire epidemie sarebbe bastato (ricordiamo che i virus sono una scoperta della medicina moderna), il termine "sparare" o "far fuoco" per l'uso di armi come la balestra, addirittura suggestioni motoristiche in frasi come "percepiva tuttavia la testa ancora fuori fase" e nella parola "capolinea" che già avevo trovato, ahimé, in un libro fantasy italiano. Anche i dialoghi spesso suonano decisamente moderni. Insomma non si tratta del termine anacronistico che può anche scappare, ma di una scelta stilistica ben precisa. Peccato che questa scelta m'abbia un po' ammazzato la sensazione di leggere un mondo fantasy.
Non credo comunque di essere l'arbitro del giusto e dello sbagliato, valuto secondo i miei gusti personali e quindi un lettore di queste righe potrebbe, per questi aspetti che ho sottolineato, decidere che La Lama del Dolore è proprio il libro che fa per lui: sarò ben contento di averlo aiutato a scegliere.

Un secondo aspetto spiacevole l'ho notato già in apertura... Il nano collerico Rugni, che non vuol cedere la sua ascia all'ingresso di una città ed è pronto a fare un macello per non separarsi dall'arma. Potenza di quel fantasy semi-tolkieniano standardizzato dai videogiochi e da D&D, il personaggio è quasi identico al nano del Sigillo del Vento, altra mia recente lettura. C'è addirittura chi si rallegra per il fatto che esista un mondo comune che tutti conoscono e che quindi non c'è nemmeno bisogno di descrivere: per la gioia di costoro, nella storia c'è pure un mezz'orco... ma io resto dell'idea che siccome il genere si chiama fantasy sarebbe meglio esercitarla un po' di più, la benedetta fantasia. Sono comunque abituato a non considerare come aspetto necessariamente negativo il "mondo comune" del fantasy moderno, perciò andiamo oltre.

La Lama del Dolore è una storia gotica, cupa, dove seguiamo le avventure di un personaggio coraggioso ma umorale e tormentato da un terribile passato, Lothar Basler. Lothar è abbastanza ben riuscito e delineato abilmente, talvolta seguendo i suoi pensieri ma più spesso con brevi accenni al suo comportamento o agli atteggiamenti, o nella relazione degli altri con lui. Lothar e l'amico Mutio sono i due personaggi che ricevono una netta caratterizzazione, gli altri sono fondamentalmente dei cliché.
Quanto alla trama, che qui in parte anticipo (e chi non vuole sapere, non prosegua ma salti al paragrafo successivo, dopo lo spazio), è abbastanza lineare, una serie di sfide con tanto di donzella in pericolo da soccorrere (in realtà è una donna sposata: la moglie di Mutio), e un gruppo di avventurieri che si forma spinto dalla necessità, poiché i cattivi li hanno presi di mira. Molti combattimenti descritti con abilità, una scorrevolezza ammirevole tranne qualche passo esageratamente descrittivo, e si arriva alla fine senza che fondamentalmente nulla sia risolto. Si scopre il nome del nemico, si viene a sapere che Lothar è un predestinato, un personaggio estremamente speciale. La rivelazione avviene per magia, durante uno scontro con il supercattivo Kurt, ma la risoluzione del conflitto è rimandata alla puntata successiva: un risultato positivo in realtà c'è, la salvezza della moglie di Mutio che doveva essere sacrificata.
La rivelazione di tutti i retroscena e delle intenzioni dei nemici per mezzo di una epifania magica a favore di Lothar pone praticamente fine ai tentativi di investigazione che abbiamo all'inizio, e regala il quadro della situazione in una maniera che mi è sembrata estremamente forzosa, ma se prendete questo libro come svago leggero non ve ne renderete nemmeno conto, perché il pretesto per un altro viaggio o un ulteriore duello mortale si trova sempre.

I cattivi sono così cattivi che di più non si può, e per giunta fanno pure schifo, perché un altro aspetto di questo libro è la commistione del fantasy con elementi horror. Commistione che, a mio parere, non può riuscire facilmente: dal momento che nel fantasy abbiamo eroi senza paura che sfidano mostri orrendi già come base di partenza, la suggestione orrorifica è già banalizzata e disinnescata da subito, perciò i mostri (peraltro decisamente allucinanti) con cui Lothar e compagni devono vedersela mi hanno turbato assai meno della scena in cui un gatto viene cotto e mangiato, la vera vetta di orrore di tutto il libro.

Cosa mi è piaciuto di questa Lama del Dolore? Innanzitutto la gradevole scorrevolezza: si tratta di 700 pagine (con un carattere un po' grande, ma son sempre tantissime) eppure il libro è un buon intrattenimento, nonostante qualche descrizione un po' barocca che fa venir voglia di saltare al paragrafo successivo. Lothar è un personaggio caratterizzato bene con il suo dolore e i suoi problemi, chiuso in se stesso, non fa il capogruppo anzi rimane spesso sulle sue, nonostante sia evidentemente il più dotato del manipolo di compagni. Gli scontri armati abbondano, ad essi è dedicato parecchio spazio, ma devo dire che mi hanno preso molto.
Nonostante i problemi di scelte stilistiche e di trama che ho sottolineato, posso dire che il libro si fa leggere piacevolmente: peccato per il prezzo, che è decisamente elevato.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche questa volta mi trovi abbastanza d'accordo con la tua analisi, tuttavia vorrei sottolineare un punto che per me è stato fondamentale per apprezzare (e molto!) questo romanzo: l'introspezione del protagonista. Penso che sia stato fatto davvero un buon lavoro da questo punto di vista. Ed è un aspetto a cui io tengo molto quando leggo un romanzo, specie se, come in questo caso, scritto da un uomo che riesce a trovare la giusta misura tra azione e introspezione.
Un buon risultato, che fa ben sperare per il futuro

Bruno ha detto...

Francesca, concordo con te: le sue capacità l'autore le mostra. E, in effetti Lothar è un tipo interessante, anche se dal suo mestiere (cacciatore di taglie) non si direbbe un tipo capace di umanità e buoni sentimenti.

Parao ha detto...

Mmm... lo sto ancora leggendo (e molto lentamente). Tuttavia direi che almeno su due punti sono all'esatto opposto di te, Bruno: il linguaggio/stile (ho già detto chiaramente la mia con l'ultimo romanzo che ho pubblicato: secondo me il fantasy ha bisogno di modernità anche nei termini) e le descrizioni (che ho trovato evocative e particolarmente care).
Su tutto il resto non mi pronuncio ora, perché devo prima terminare il libro.

Riguardo a certi cliché, sì, ci sono, ma in primo luogo tengo conto di quando l'autore ha scritto questa trilogia, in secondo luogo tengo conto del fatto che gli sono riusciti bene (e che l'autore stesso non li indica come "originali").

Mirtillangela ha detto...

@bruno: Marco Davide mi manca, lo becco spesso sugli scaffali delle librerie ma all'ultimo faccio sempre altre scelte.
Non so neppure io perchè ^^'

Bruno ha detto...

Ringrazio per gli interventi (e a Mirtilla confesso che io invece avevo una gran curiosità riguardo a questo libro fin da subito, anche se poi per varie traversie ci ho messo tanto a leggerlo).
Andrea, non mi permetto di discutere le motivazioni del tuo parere sullo stile del fantasy e sulle sue sperabili evoluzioni, né forse sarei al livello di intavolare una discussione interessante in merito, ma rimango dell'idea che si tratta di questioni di gusti, e secondo me il linguaggio fa ancora la sua parte nel costruire l'atmosfera: non lo credo ciecamente però, e di questo libro ho apprezzato la scorrevolezza e l'espressività, anche le descrizioni quando non andavano troppo sul lungo. Credo che il risultato sia da valutare caso per caso.
Per quanto riguarda la Lama del Dolore devo ribadire che certe scelte mi hanno un po' rovinato il gusto della storia. Marco Davide avrebbe magari lo stile perfetto per un urban fantasy moderno e il suo Lothar lo vedrei bene in qualche avventura stile Guardiani della Notte di Luk'janenko, ma a me non è sembrato amalgamarsi alla perfezione con lo scenario fantasy.

Al di là di tutto, la Lama del Dolore è stata una bella lettura, mi spiace tuttavia che non vi sia una vera e propria conclusione.

alladr ha detto...

non ho letto il libro ma ne ho letto abbastanza da disinteressarmene, non parlerò del libro: quello del linguaggio è un punto dolente della fantasy e un argomento abbastanza interessante da solo (mi scuso, se ce ne fosse bisogno, per il parziale OT).

ai miei autori è fatto assoluto divieto di scrivere fantasy in linguaggio aulico: è una strada troppo facile da intraprendere e troppo difficile da percorrere correttamente. e poi è noioso da morire. qualcosa in utp è passato, a livello di sintassi.
ma la sintassi è il ritmo del racconto, è la voce del narratore.
il lessico, invece, le scelte terminologiche, il ricorso a frasi idiomatiche, sono fondamentali per definire il mondo di appartenenza: un autore che usa parole che presuppongono la nostra storia, il nostro sviluppo tecnologico, le nostre figure storiche semplicemente non sta raccontando di un mondo completamente altro ma di una versione alternativa del nostro. oppure non è capace di scrivere.

dicevo che su utp sono passate alcune cose. devo dire che alla seconda lettura manuela ha trovato l'espressione: dirlo ai quattro venti. tolta. sostituita con una espressione di inear e non del bacino mediterraneo (non mi ricordo più quale, bisognerebbe chiedere a seymour). non era tecnologica, ma già presupponeva troppo della nostra cultura. poi, compaiono parole come cazzo, tantino, credo anche fregare.
ma capolinea, prima classe e psicologia (tre autori diversi) non sono svecchiare lo stile, sono incapacità di raccontare un mondo diverso da nostro.

Bruno ha detto...

Anche l'intervento di alladr mi porta a ritornare su un punto fermo (per me): si tratta di questioni di gusti e non di verità assolute. Personalmente sono del parere che un uso del linguaggio troppo colloquiale e familiare neghi l'immedesimazione in un mondo fantasy, ed è per questo che m'invento unità di misura, nomi strani, parole "straniere" e così via, e utilizzo spesso un linguaggio piuttosto asettico: certamente non aulico (per gli stessi motivi che dici tu, alladr) ma cercando di evitare l'anacronismo e i richiami al parlare moderno. Va da sé che questo impone anche dei sacrifici (se uno parla in gergo popolaresco, sarà più difficoltoso renderlo). Però se uno deve dire cazzo o un bel vaffanculo, per esempio, non vedo perché cercare degli improbabili sostituti. Sarà che l'inglese è una lingua un po' più povera (almeno credo, ma sarà vero?) però non mi sembra che abbiano gli stessi dubbi. Le traduzioni che leggo sono generalmente molto asciutte, e questo vorrà dire qualcosa. Ma anche lì, ogni testo fa storia a sé, e un grande autore come Gene Wolffe usa, nel futuro lontanissimo della serie del Nuovo Sole, il Latino come sostituto di qualche lingua che i suoi personaggi percepiscono come oscura e aulica, e questa sarà una scelta che, secondo i miei usi, non mi sarebbe venuta in mente, ma la giudico davvero azzeccata.
Comunque: ad ognuno il suo stile preferito.

alladr ha detto...

si tratta di un discorso pericoloso: se tutto dipende dai gusti allora anche quella che è (per me?) inequivocabilmente merda può passare per buona letteratura. preferisco dire che alcune cose, per essere buon fantasy, devono rispettare dei requisiti minimi.

con questo non intendo dire che usare chilometro significhi necessariamente merda scritta, ma abbiamo sia lo urban fantasy che quelle opere borderline tipo cuore d'acciaio di swanwick che ammettono l'uso di certa terminologia.

se invece tenti di scrivere un signore degli anelli o un'opera di fantasy classica e, non una tantum ma come scelta stilistica, i mostri hanno un ringhio che sembra una motosega e i personaggi, chessò, aspettano cinque minuti e poi se ne vanno, allora hai toppato nella creazione di un mondo fantasy.
come per tutto il resto: se qualcosa esula, devi spiegarlo.

come lettori, è una strategia di autodifesa (economica e di tempo, risorsa assai più preziosa) ribadire il fatto che scrivere buoni romanzi è difficile, che ci sono delle regole e che vanno rispettate, altrimenti non si scrive bene.
e qui chiudo, non tornerò più sull'argomento.

Bruno ha detto...

Per quanto riguarda le regole, io le vedo come una linea non nettissima, tratteggiata dal sommarsi delle opinioni più o meno autorevoli. In linea di massima, sono comunque d'accordo con Alladr per quanto riguarda gli anacronismi più evidenti, meno rigido su ogni singola questione di linguaggio. La problematica mi aveva comunque stimolato e vi avevo accennato già in altri post, quindi probabilmente io sull'argomento ci tornerò.

Anonimo ha detto...

Ciao Bruno,
comincio col ringraziarti per avere letto il mio romanzo. Lo faccio sempre, quale che sia il giudizio ricevuto in cambio, e lo faccio invariabilmente di cuore.

I pareri che hai espresso ti appartengono, dunque non starò qui a metterci bocca. Proverò ad offrire qualche mio punto di vista, nella speranza di poter aggiungere qualcosa al discorso.

Sugli anacronismi (o meno) in campo fantasy ho avuto modo di discutere di recente sul mio blog. Ti sorprenderà sapere che io sono uno di quelli che parteggiano per la limitazione delle modernità nel fantasy. Nel rispetto, ovviamente, di chi appartiene alla schiera opposta (come Andrea D'Angelo). Sono approcci differenti, una questione di gusto, non penso esista quella giusto e quello sbagliato.

"Ma come," dirai, "e allora?"

Partiamo da un presupposto: ho scritto "La Lama del Dolore" undici anni fa. Questa non è una scusa (i soldi che uno tira fuori per acquistarla sono gli stessi che se l'avessi scritta ieri, dopotutto) ma una constatazione. Come in tutti gli esordi, l'ho 'percorsa' alla ricerca della strada che mi definisse meglio. E' stata revisionata, è vero, ma quel che nasce in un modo non può essere trasfigurato completamente. Diciamo che per l'epoca non avevo ancora un'idea così precisa a proposito degli anacronismi e delle modernità.

Ma veniamo ai casi citati. Io credo si debbano fare delle distinzioni. "Una ventina di minuti", è poco elegante (perché un pò troppo specifico, in assenza di orologio da polso...), ma a tutt'oggi utilizzo liberamente ore e mezz'ore, concedendo ai miei personaggi (e, soprattutto, a me narratore) la capacità di stimare il tempo con una certa approssimazione. "Sparare" con archi e frecce è un'ingenuità bella e buona che avrebbe necessitato di correzione in fase di editing, hai ragionissima. Nei volumi successivi non la ritroverai, a meno di non imbatterti in armi da fuoco vere e proprie (accadrà, t'anticipo, anche se si tratterà di rozze colubrine e terzette, non certo di colt e automatiche ;)). Su altri termini non mi trovi completamente d'accordo. "Capolinea" è inserito in un mondo dove possono esistere tragitti a tappe per le diligenze, il termine non mi pare affatto fuori luogo (anche perché composto da termini molto generici). "Fuori fase" non m'ispira suggestioni motoristiche, è un concetto cui ricorro spesso con accezioni differenti, proprio in virtù della sua genericità. "Epidemie virali", infine, è messo in bocca al narratore, non ad uno dei personaggi: in questi casi cerco di evitare termini troppo moderni (non direi, neppure da narratore, che tizio "sbuffava come una locomotiva") ma non sto a interrogarmi se "virus" o "psicologia" esistano o meno in uno pseudo-medioevo.

Le mie parole non vogliono inficiare il tuo giudizio, per carità! Volevo soltanto provare a spiegare la mia posizione, sia dove la penso come te, che dove no. L'argomento modernità, d'altro canto, è molto complesso e il confine che lo contraddistingue labile. Questo lascia spesso la percezione dello stile al gusto di chi legge. Molti hanno apprezzato il ricorso frequente che faccio a termini desueti per rendere l'atmosfera, nell'editing del secondo volume invece ho dovuto addirittura 'ammorbidire' alcuni dialoghi per non renderli troppo 'picareschi'... Per questo ho voluto fare un distinguo tra lo "sparare" con l'arco (mea culpa, mea grandissima culpa...) e il "fuori fase" (cui invece non riesco ad attribuire alcun peccato). Nel complesso, mi ripeto, ho pagato una certa indecisione di fondo che, spero, nel prosieguo della trilogia risulti invece abbandonata in favore di una strada più decisa.

Passiamo all'ambientazione... Io non ho mai preteso di avere dipinto uno scenario innovativo. Semplicemente, non era nelle mie intenzioni. Non mi rallegro di questo o di quello (non ho ancora letto il Sigillo del Vento ;)), dico solo che l'originalità dell'ambientazione può essere un ingrediente molto saporito ma non necessario. L'accento può essere messo in molti posti diversi. Di contro, non trovo neppure le atmosfere di Lothar&co. tanto conformi alla fantasy classica (alla D&D, che tu citi). Forse lo svolgersi della storia e gli archetipi della compagnia, non l'ambientazione. Non è un heroic fantasy, a tratti non è quasi neppure fantasy. Sembra quasi un romanzo storico, tanto il fantastico è tenuto sotto traccia. Vi si imbattono i protagonisti ma per il resto della popolazione (inserita in un contesto immaginario, ok) la vita scorre in maniera molto... medioevale. ;)
Ho cercato di dare e mantenere un tocco di realismo nei personaggi e nelle situazioni. Non sono io a poter dire di esserci riuscito, e questo rende preziosi i commenti come il tuo, ma il tentativo c'è stato. E questo mi riporta all'horror. Non concordo sul fatto che non sia possibile la commistione col fantay, proprio per quello che ho appena detto. I miei personaggi non sono affatto eroi senza paura abituati a sfidare mostri orrendi. Vivono in un mondo dove l'esistenza dei mostri orrendi è retaggio della fantasia e della superstizione, almeno nella cultura comune. Ho cercato di rendere l'orrore delle esperienze che vivono e, ancor più, lo strascico che esse lasciano. Componente a mio avviso fin troppo trascurata nei fantasy heroic, tutti spade fatate, magie, draghi e mostri orrendi. Niente di sbagliato, intendiamoci, ma è quel che volevo per il mio romanzo. Qui la semplice vista di Moonz, mezz'orchetto, suscita repulsione e paura. I personaggi vivono lo choc delle disavventure, proporzionale a quanto accade. Di nuovo, comunque, questo è quel che ho cercato di rendere. I feedback che ricevo mi danno l'idea della misura in cui ho avuto successo. ;)

In conclusione, ti rinnovo i ringraziamente per la lettura e, sento il caso di aggiungere, per il giudizio strutturato che mi hai offerto. Mi spiace che tu ti spiaccia (!!!) dell'assenza di una conclusione ma ho cercato d'essere chiaro a tutti i costi sul fatto che si trattasse d'una trilogia proprio per evitare fraintendimenti. ;)
'La Lama del Dolore' ha comunque una sua identità, costituisce una specie di lungo prologo alla storia che, in parte svelata, troverà pieno sviluppo nel secondo volume.

Se avrai voglia di leggere il resto e scambiare nuove opinioni, o se vorrai limitarti ad ampliare quelle vecchie, direi che sulla rete i luoghi non mancano, per un piacevole confronto. ;)

Ti saluto,
Marco.

Bruno ha detto...

Ringrazio per la visita e comincio dal dire che sì, mi ero reso perfettamente conto che si tratta del primo volume di una trilogia (e senza fatica, visto che me ne hai informato fin dalla copertina), solo che mi sarebbe piaciuto un qualche tipo di conclusione o compimento al termine della prima parte.

Non è mia abitudine combattere sulla singola parola o fare il processo all'autore, quindi accetto che alcuni degli esempi di anacronismi da me rilevati possano non essere tali, ma ribadisco che a mio parere lo stile, pur ritornando aulico in alcuni tratti descrittivi, suona troppo moderno in vari momenti di dialogo e di azione.

Chiarito questo punto, riconosco l'efficacia del personaggio protagonista, e il suo essere 'fuori scala' rispetto a certi canoni ripetitivi del fantasy; anche la sua spalla, Mutio, non è un guerriero fatto con lo stampino.

Se l'atmosfera del libro non è male, per me il limite di voler insistere su certi elementi horror rimane e ho già spiegato perché la penso così, quindi non mi ripeterò: ne approfitto invece per dire che il dolore e lo choc dei personaggi per le dure esperienze che vivono contribuisce in effetti a dare una dimensione un po' diversa e un pizzico di novità alla storia rispetto al fantasy tradizionale: e non voglio dire che nel fantasy questo non ci debba essere perché devono essere tutti come Conan. Però anche qui si mescola male con il resto dell'ambientazione: nel senso che ci si aspetta, in un duro mondo medievaleggiante dove le guerre non mancano, di trovare gente con la scorza piuttosto resistente. Esistono personaggi fantasy deboli e delicati come Elric di Melnibone (così come viene descritto all'inizio della sua storia): ma Elric è un principe che vive nel lusso di una civiltà sofisticata ed è quindi assimilabile all'uomo moderno con i suoi drammi e problemi interiori.
Lothar peraltro ha fatto un mestiere duro e infame (cacciatore di taglie) che me lo rende ulteriormente difficile da capire nei suoi momenti malinconici, ma qui non voglio esagerare nel giudizio perché ho letto solo il primo libro dove questo particolare non è molto dettagliato.

Torno quindi a dire che certe atmosfere e certi dettagli dei personaggi avrebbero reso meglio in un diverso tipo di fantasy, fermo restando che è la mia personale opinione e che comunque il libro si fa leggere piacevolmente.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con te, Bruno, commentare o dibattere la singola parola non ha senso anche perché il nocciolo della questione è che tu hai avuto una certa impressione ed io non ho né il diritto né l'intenzione di stare a sindacarla. ;)

I pareri articolati come il tuo fanno sempre comodo ad un autore, a prescindere dal contenuto e da quento l'autore stesso possa trovarcisi concorde (nel caso, riconosco davvero senza sforzo che su alcuni punti condividiamo la medesima opinione).

Ti rinnovo dunque i saluti e ti auguro buone, future letture,

Marco.