"I blogger parlano di tutto e non sanno niente"
Ringrazio Radio Popolare per la perla di saggezza.
Una cosa la so: la domenica mattina posso ascoltare un'altra radio.
domenica 30 settembre 2012
La fisica di Battlestar Galactica
Un articolo interessante in rete (è in inglese) parla da un punto di vista militare del "realismo" di Battlestar Galactica, la serie TV, e in generale dei concetti di guerra spaziale come si vedono in televisione o al cinema.
Già. Come l'intervistato (che è un esperto della marina militare USA) fa notare, il fatto stesso che la Galactica sia una portaerei nello spazio ha i suoi problemi. Nello spazio gli "aerei" non avrebbero bisogno di un ponte di lancio per uscire con grande accelerazione dalla "nave." E non sarebbero un mezzo diverso da quello in cui decollano perché l'ambiente è uno solo: lo spazio. La portaerei nel mondo reale si muove nell'acqua, ed è adatta a qeull'ambiente; lancia gli aerei che sono capaci di muoversi nell'aria, che pone altre possibilità e vantaggi (per esempio, si può andare molto più veloci nell'aria) ma è un mezzo differente che pone dei problemi da risolvere (per dirne uno: l'atterraggio dell'aereo, che è veloce, sulla portaerei, che è lenta) che non ci sarebbero nello spazio.
Quindi che senso ha la "portaerei spaziale?" Vediamo un po'.
Per quanto riguarda il tipo di combattimento, l'intervistato afferma giustamente che la premessa dello scrittore (o dello sceneggiatore) crea la tecnologia, che dovrebbe essere anche quella secondo cui uno scontro è combattuto. Se le astronavi viaggiano più veloci della luce e sparano con potenti cannoni laser, una battaglia sarebbe uno scambio di colpi poderosi, diretti là dove si pensa che il nemico potrebbe trovarsi fra qualche istante. Perciò, dice l'articolo, non ci sarebbe bisogno dei caccia spaziali: If you do a fairly simple extrapolation of current technology, what you end up with is space combat as sort of ponderous ballet with shots fired at long distance at fairly fragile targets where you have to predict where the target is going to be. You don't end up with space fighters. You don't end up with lots of armaments.
Traduzione alla buona: estrapolando semplicemente la tecnologia di oggi, arrivi al combattimento spaziale come una specie di balletto da pesi massimi con colpi sparati da lunga distanza a bersagli piuttosto fragili, e dovrai prevedere dove si troverà il tuo bersaglio. Non arrivi ai caccia, o a enormi quantità di armamenti.
Non sono un esperto militare ma la penso diversamente. Se armati in maniera decente (ovvero in grado di distruggere una nave "grossa" come potevano farlo, per dire, i bombardieri in picchiata o gli aerosiluranti della II Guerra Mondiale) gli "aerei imbarcati" moltiplicherebbero lo spazio "occupato" dalle tue armi e quindi saturato dal tuo fuoco, e si sacrificherebbero per tenere il nemico a distanza dalla "nave madre" così preziosa per la sopravvivenza di tutti). In Guerra Eterna di Haldeman c'è proprio uno scontro in cui i mezzi telecomandati o secondari (caccia, missili...) conducono il "balletto matematico" di spari, mosse e contromosse per cercare di eliminare il nemico e salvare l'incrociatore che li ha lanciati.
Inoltre: se accetti tutto il resto come ad esempio la velocità superiore a quella della luce, allora accetti che possano esistere gli "scudi" alla Star Trek, capaci di resistere ai colpi. Oppure le particelle che disturbano i radar come nel cartone animato Gundam, dove il combattimento torna ad essere regolato dai sensi del pilota nonostante l'elevata tecnologia. Un'osservazione forse ovvia dell'esperto militare, ovvia ma da tener presente, è che in un universo dove sia possibile il viaggio a velocità superiori a quella della luce sarebbero all'ordine del giorno gli attacchi di sorpresa. Ma è sempre vero che si può "immaginare" una tecnologia che corregga anche questo.
E' vero che scrittori e sceneggiatori si ispirano pesantemente al mondo reale per ideare una fantascienza che non sia totalmente aliena al loro pubblico. Ma poiché è sempre possibile inventare la tecnologia fantastica che si vuole, l'esperto intervistato può dire che certe cose sono mostrate male (movimento non vettoriale ad esempio) ma non può dire che un certo tipo di arma per forza non dovrebbe esserci. Ovviamente, le cose andrebbero spiegate. Invece, come ho già fatto notare, anche in una serie piuttosto evoluta come Battlestar Galactica le necessità della trama portano facilmente alle improvvisazioni più atroci.
Già. Come l'intervistato (che è un esperto della marina militare USA) fa notare, il fatto stesso che la Galactica sia una portaerei nello spazio ha i suoi problemi. Nello spazio gli "aerei" non avrebbero bisogno di un ponte di lancio per uscire con grande accelerazione dalla "nave." E non sarebbero un mezzo diverso da quello in cui decollano perché l'ambiente è uno solo: lo spazio. La portaerei nel mondo reale si muove nell'acqua, ed è adatta a qeull'ambiente; lancia gli aerei che sono capaci di muoversi nell'aria, che pone altre possibilità e vantaggi (per esempio, si può andare molto più veloci nell'aria) ma è un mezzo differente che pone dei problemi da risolvere (per dirne uno: l'atterraggio dell'aereo, che è veloce, sulla portaerei, che è lenta) che non ci sarebbero nello spazio.
Quindi che senso ha la "portaerei spaziale?" Vediamo un po'.
Per quanto riguarda il tipo di combattimento, l'intervistato afferma giustamente che la premessa dello scrittore (o dello sceneggiatore) crea la tecnologia, che dovrebbe essere anche quella secondo cui uno scontro è combattuto. Se le astronavi viaggiano più veloci della luce e sparano con potenti cannoni laser, una battaglia sarebbe uno scambio di colpi poderosi, diretti là dove si pensa che il nemico potrebbe trovarsi fra qualche istante. Perciò, dice l'articolo, non ci sarebbe bisogno dei caccia spaziali: If you do a fairly simple extrapolation of current technology, what you end up with is space combat as sort of ponderous ballet with shots fired at long distance at fairly fragile targets where you have to predict where the target is going to be. You don't end up with space fighters. You don't end up with lots of armaments.
Traduzione alla buona: estrapolando semplicemente la tecnologia di oggi, arrivi al combattimento spaziale come una specie di balletto da pesi massimi con colpi sparati da lunga distanza a bersagli piuttosto fragili, e dovrai prevedere dove si troverà il tuo bersaglio. Non arrivi ai caccia, o a enormi quantità di armamenti.
Non sono un esperto militare ma la penso diversamente. Se armati in maniera decente (ovvero in grado di distruggere una nave "grossa" come potevano farlo, per dire, i bombardieri in picchiata o gli aerosiluranti della II Guerra Mondiale) gli "aerei imbarcati" moltiplicherebbero lo spazio "occupato" dalle tue armi e quindi saturato dal tuo fuoco, e si sacrificherebbero per tenere il nemico a distanza dalla "nave madre" così preziosa per la sopravvivenza di tutti). In Guerra Eterna di Haldeman c'è proprio uno scontro in cui i mezzi telecomandati o secondari (caccia, missili...) conducono il "balletto matematico" di spari, mosse e contromosse per cercare di eliminare il nemico e salvare l'incrociatore che li ha lanciati.
Inoltre: se accetti tutto il resto come ad esempio la velocità superiore a quella della luce, allora accetti che possano esistere gli "scudi" alla Star Trek, capaci di resistere ai colpi. Oppure le particelle che disturbano i radar come nel cartone animato Gundam, dove il combattimento torna ad essere regolato dai sensi del pilota nonostante l'elevata tecnologia. Un'osservazione forse ovvia dell'esperto militare, ovvia ma da tener presente, è che in un universo dove sia possibile il viaggio a velocità superiori a quella della luce sarebbero all'ordine del giorno gli attacchi di sorpresa. Ma è sempre vero che si può "immaginare" una tecnologia che corregga anche questo.
E' vero che scrittori e sceneggiatori si ispirano pesantemente al mondo reale per ideare una fantascienza che non sia totalmente aliena al loro pubblico. Ma poiché è sempre possibile inventare la tecnologia fantastica che si vuole, l'esperto intervistato può dire che certe cose sono mostrate male (movimento non vettoriale ad esempio) ma non può dire che un certo tipo di arma per forza non dovrebbe esserci. Ovviamente, le cose andrebbero spiegate. Invece, come ho già fatto notare, anche in una serie piuttosto evoluta come Battlestar Galactica le necessità della trama portano facilmente alle improvvisazioni più atroci.
mercoledì 26 settembre 2012
La trappola del punto di vista
Confesso che la mie orrende code di lettura (orrende perché ogni volta che ci penso scopro che parecchi libri, che mi ero impegnato a leggere al più presto, dopo un annetto sono ancora lì) c'è anche un bel po' di numeri di Writers Magazine, tra cui alcuni nemmeno aperti a mesi dall'arrivo.
Ho avuto una sorpresa interessante mentre cercavo di rimettermi al passo. Del numero 31, di agosto, sono riuscito a leggere il primo articolo, di Franco Forte.
L'autore, che ha all'attivo parecchi romanzi storici, si toglie un sassolino dalla scarpa e critica senza nominarlo apertamente un "collega" che ha scritto un tomo piuttosto corposo ambientato nell'antica Roma. La critica riguarda la gestione del punto di vista "ballerino" nel romanzo in questione, ovvero la scarsa chiarezza nell'azione e nei dialoghi che risulta quando non si capisce bene quale personaggio dice o fa una certa cosa.
Il punto di vista è sempre un argomento spinoso e confesso di avere talvolta le mie incertezze, e di scivolare spesso nel "narratore onnisciente" anche quando non voglio. La disamina che Forte compie su un passo preso in esame è molto interessante come promemoria sugli errori da evitare, e può essere illuminante per chi... vorrebbe scrivere ma quando sente nominare il punto di vista non sa bene di cosa si tratti. Un bell'articolo, che consiglio.
Ho avuto una sorpresa interessante mentre cercavo di rimettermi al passo. Del numero 31, di agosto, sono riuscito a leggere il primo articolo, di Franco Forte.
L'autore, che ha all'attivo parecchi romanzi storici, si toglie un sassolino dalla scarpa e critica senza nominarlo apertamente un "collega" che ha scritto un tomo piuttosto corposo ambientato nell'antica Roma. La critica riguarda la gestione del punto di vista "ballerino" nel romanzo in questione, ovvero la scarsa chiarezza nell'azione e nei dialoghi che risulta quando non si capisce bene quale personaggio dice o fa una certa cosa.
Il punto di vista è sempre un argomento spinoso e confesso di avere talvolta le mie incertezze, e di scivolare spesso nel "narratore onnisciente" anche quando non voglio. La disamina che Forte compie su un passo preso in esame è molto interessante come promemoria sugli errori da evitare, e può essere illuminante per chi... vorrebbe scrivere ma quando sente nominare il punto di vista non sa bene di cosa si tratti. Un bell'articolo, che consiglio.
domenica 23 settembre 2012
La lenta morte della lingua italiana
giovedì 20 settembre 2012
La Piave
La Piave è un racconto (lungo) di Diego Bortolozzo di genere steampunk, pubblicato da Edizioni Scudo e ora presente su Amazon e altrove; è ambientato in una prima guerra mondiale che, per via di premesse tecnologiche che hanno cambiato il corso degli eventi, scoppia più o meno un secolo prima.
Gli orpelli della tecnologia a vapore sono quindi presenti in prima linea, tra tubature a cui agganciare le armi, caldaie che i soldati si portano dietro e così via, e non mancano gli aeroplani e le attrezzature individuali per il volo (jet pack e simili). Lo scontro si svolge in Italia: come nella Prima Guerra Mondiale, il nemico teutonico preme per oltrepassare il Piave e farla finita con gli Italiani.
L'azione segue l'offensiva nemica nelle esperienze di un umile fantaccino e di un aviatore della Squadriglia Serenissima cui toccherà il compito di svolgere una pericolosa ricognizione. Ci saranno armi terribili, mostri meccanici, eroici soldati che si sacrificheranno per affrontarli. Un solo appunto da rompiscatole che mi è venuto da fare leggendo una scena: se un meccanismo di volo per una persona è munito di ali, come fa costui a rotolare al suolo per attutire i danni della caduta? Per il resto i dettagli meccanico-tecnici aggiungono divertimento all'azione.
Bel racconto militaresco, patriottico e avvincente.
La pagina dell'autore.
Gli orpelli della tecnologia a vapore sono quindi presenti in prima linea, tra tubature a cui agganciare le armi, caldaie che i soldati si portano dietro e così via, e non mancano gli aeroplani e le attrezzature individuali per il volo (jet pack e simili). Lo scontro si svolge in Italia: come nella Prima Guerra Mondiale, il nemico teutonico preme per oltrepassare il Piave e farla finita con gli Italiani.
L'azione segue l'offensiva nemica nelle esperienze di un umile fantaccino e di un aviatore della Squadriglia Serenissima cui toccherà il compito di svolgere una pericolosa ricognizione. Ci saranno armi terribili, mostri meccanici, eroici soldati che si sacrificheranno per affrontarli. Un solo appunto da rompiscatole che mi è venuto da fare leggendo una scena: se un meccanismo di volo per una persona è munito di ali, come fa costui a rotolare al suolo per attutire i danni della caduta? Per il resto i dettagli meccanico-tecnici aggiungono divertimento all'azione.
Bel racconto militaresco, patriottico e avvincente.
La pagina dell'autore.
martedì 18 settembre 2012
Off Topic: Belgio
Avrei senz'altro dovuto andarci prima, perché ci sono due attrattive che m'interessano particolarmente in questo paese: e non sto parlando della birra e della cioccolata (che pure ho assaggiato con piacere) ma delle opere dei pittori fiamminghi e dell'architettura Art Nouveau, che qui ha alcune delle più significative testimonianze (nonostante non ci sia stato alcun tentativo di conservazione fino agli anni '60-'70 e alcuni capolavori siano stati allegramente demoliti).
Peraltro il Belgio è anche il paese che vanta alcune stupende cittadine che conservano un ampio centro storico rinascimentale (Bruges, Gand, la stessa Bruxelles) e frequentemente canali navigabili che permettono visite suggestive.
Può interessare anche gli appassionati di militaria perché vi si sono svolti diversi scontri decisivi del passato (per esempio la battaglia di Waterloo che ha segnato il destino di Napoleone, e la controffensiva delle Ardenne che fu l'ultima zampata di Hitler).
Un altro interesse particolare qui è quello per i fumetti, ma l'offerta è talmente varia da caderci dentro e alla fine i miei acquisti sono stati limitati. Altro problema, ti tirano dietro Tin Tin e i Puffi a ogni pié sospinto, e sebbene io ami il fumetto "all'europea" di questi specifici personaggi non mi è mai importato molto.
Devo fare una confessione. Il Centre Belge de la Bande Dessinée a Bruxelles (ospitato da una stupenda struttura costruita da Horta, il papà dell'Art Nouveau belga) mi ha purtroppo dato l'impressione di una nostalgica memoria del passato glorioso più che testimonianza di un vibrante presente, per quanto i paesi francofoni (il Belgio lo è per metà) siano l'ultima roccaforte del fumetto occidentale.
A dire la verità in una settimana non ho visto tutto quello che avrei voluto, perché c'è veramente troppa offerta. Ho fatto gran camminate guardandomi attorno (approfittando anche di un ottimo sistema di mezzi pubblici quando possibile e opportuno), fatto puntate in diverse località e visitato alcuni musei, ma c'era veramente molto di più di quello che ho potuto raggiungere.
Alcune note negative di Bruxelles (dove ho dormito): l'albergo con la stanza così piccola che non si poteva fare il giro del letto ma bisognava scavalcarlo per aprire l'armadio; gente che chiede soldi insistentemente (e quelli che m'hanno preoccupato di più non erano extracomunitari, ma biondi e ariani), troppi ubriachi e strafatti in giro (però non più che in qualsiasi città del nordeuropa che si rispetti), prezzi altissimi e la presenza del quartiere EU, ovvero la prossima capitale europea, che nascerà proprio qui e sarà ospitata in orrende schifezze in vetrocemento.
Comunque se trovate tempo e quattrini, fate un salto in Belgio. Val la pena.
Peraltro il Belgio è anche il paese che vanta alcune stupende cittadine che conservano un ampio centro storico rinascimentale (Bruges, Gand, la stessa Bruxelles) e frequentemente canali navigabili che permettono visite suggestive.
Può interessare anche gli appassionati di militaria perché vi si sono svolti diversi scontri decisivi del passato (per esempio la battaglia di Waterloo che ha segnato il destino di Napoleone, e la controffensiva delle Ardenne che fu l'ultima zampata di Hitler).
Art Nouveau e storia del fumetto nello stesso posto!
Un altro interesse particolare qui è quello per i fumetti, ma l'offerta è talmente varia da caderci dentro e alla fine i miei acquisti sono stati limitati. Altro problema, ti tirano dietro Tin Tin e i Puffi a ogni pié sospinto, e sebbene io ami il fumetto "all'europea" di questi specifici personaggi non mi è mai importato molto.
Devo fare una confessione. Il Centre Belge de la Bande Dessinée a Bruxelles (ospitato da una stupenda struttura costruita da Horta, il papà dell'Art Nouveau belga) mi ha purtroppo dato l'impressione di una nostalgica memoria del passato glorioso più che testimonianza di un vibrante presente, per quanto i paesi francofoni (il Belgio lo è per metà) siano l'ultima roccaforte del fumetto occidentale.
A dire la verità in una settimana non ho visto tutto quello che avrei voluto, perché c'è veramente troppa offerta. Ho fatto gran camminate guardandomi attorno (approfittando anche di un ottimo sistema di mezzi pubblici quando possibile e opportuno), fatto puntate in diverse località e visitato alcuni musei, ma c'era veramente molto di più di quello che ho potuto raggiungere.
Alcune note negative di Bruxelles (dove ho dormito): l'albergo con la stanza così piccola che non si poteva fare il giro del letto ma bisognava scavalcarlo per aprire l'armadio; gente che chiede soldi insistentemente (e quelli che m'hanno preoccupato di più non erano extracomunitari, ma biondi e ariani), troppi ubriachi e strafatti in giro (però non più che in qualsiasi città del nordeuropa che si rispetti), prezzi altissimi e la presenza del quartiere EU, ovvero la prossima capitale europea, che nascerà proprio qui e sarà ospitata in orrende schifezze in vetrocemento.
Comunque se trovate tempo e quattrini, fate un salto in Belgio. Val la pena.
L'orrore: sui palazzi eleganti e tradizionali che circondano il delizioso stagno in piazza Marie-Louise incombe il mostro di cemento dell'Unione Europea
lunedì 17 settembre 2012
Il tramonto di Ridley Scott?
Prometheus è arrivato tardi in Italia e io l'ho visto ancor più tardi perché quest'anno mi son concesso ben una settimana di vacanze. Avevo già raccolto testimonianze assai perplesse, ma non ci credevo. Adesso avendo visto il film devo ricredermi. L'accostamento ad Alien, di cui dovrebbe essere addirittura il prequel, è sottile come carta velina sia per il legame tirato abbastanza per i piedi (salvo maggiori informazioni in un Prometheus 2 che mi auguro non facciano), sia per la differenza abissale tra l'originalità del primo e l'andare a rimorchio, in Prometheus, di idee già rimasticate sia dell'ambientazione di Alien sia della fantascienza recente in generale. Insomma Ridley Scott ha creato un film che si fa vedere, ma per tanti aspetti grida vendetta.
Per chi non l'avesse visto: le questioni filosofiche e le grandi teorie che dovrebbero essere discusse in questo film si riducono ad alcune domande che i personaggi si pongono, ma tutto resta superficiale e senza risposta, e (a mio parere) senza stimoli che restino nella mente dello spettatore. Al contrario, azioni di grande portata vengono intraprese senza che lo spettatore possa capire il perché, e ci sono dei momenti piuttosto pasticciati nella narrativa. Non abbiamo un personaggio carismatico come la Ripley di Alien, non abbiamo un mostro che faccia presa sull'immaginario, e quando sappiamo delle intenzioni degli "ingegneri" progenitori della razza umana, non vi è una spiegazione.
Invece alcune scene spettacolari, paesaggi ripresi ad ampio respiro e particolari tecnici di astronavi, o anatomici di creature, possono essere interessanti, per quanto l'uso del 3D mi sembri (una volta di più) superfluo. Detto questo il film si fa vedere e ha un buon ritmo tranne qualche momento un po' lungo all'inizio, ma penso che si faccia anche dimenticare rapidamente: non sarà una pietra miliare della fantascienza, questo no di sicuro. Decidete voi se spenderci i vostri soldi e il vostro tempo.
[Da qui fino alla fine ci saranno anticipazioni sulla trama]. Quello che nelle prime scene mi ha particolarmente colpito è che non sembra si sia molto pensato a come raffigurare l'equipaggio dell'astronave che parte per questa missione eccezionale. O meglio, che lo si sia fatto in maniera assai stereotipata.
La comandante Vickers (Charlize Theron) non ha nessuna vera leadership, è solo una prepotente donna da consiglio d'amministrazione con la tutina attillata al posto del tailleur. Non si capisce ad esempio perché due personaggi chiave (gli archeologi Elizabeth Shaw, interpretatata dall'attrice ispanico-svedese Noomi Rapace, e Holloway interpretato da Logan Marshal-Green) debbano essere informati dalla comandante, una volta arrivati su un lontanissimo pianeta per la missione storica, che il finanziatore è privato e quindi comanda lei, e certe indagini che a loro interessano da morire andranno in secondo piano. Non doveva esser chiarito già ben prima di partire? Brave comunque entrambe le attrici, mi piace anche il comandante Janek (Idris Elba) e alcuni degli elementi del gruppo, ma sono troppi per essere caratterizzati tutti a dovere.
Quanto agli altri personaggi, è chiaro che ognuno deve avere ha la propria personalità e ci debbano essere conflitti e incomprensioni e via dicendo, è quello che vediamo sviluppato in quasi tutti i film. Incredibile come siano male assortiti i poveretti che viaggiano sulla Prometheus, però.
Qui, in una missione che è agli inizi (dopo il lungo viaggio di avvicinamento ovviamente) e prima che succeda nulla di stressante o pericoloso, la gente bisticcia malamente e c'è chi dice che "siccome le sue capacità non sono necessarie qui," lui se ne ritorna alla sua cabina dentro l'astronave... insomma dopo pochi minuti di film ho già avuto l'impressione che il regista non ci avesse messo la buona volontà e andasse per stereotipi, a casaccio, a volte citando se stesso. Se aggiungiamo che questa misteriosa razza di creatori oggetto della missione ha deciso di distruggere l'umanità che aveva creato, e non si sa perché, se l'inevitabile uomo sintetico a bordo (Michael Fassbender) non ha un suo piano malefico, magari in sintonia con la solita mega corporazione di cattivi, ma fa cose strane le cui motivazioni non si comprendono, il pasticcio diventa difficilmente dipanabile.
E non è che la comandante abbia perso il controllo, solo che sembra fregarsene della vita altrui, non riesce a dominare l'androide e cerca solo di imporre la sua volontà fino a che il capitano Janek le fa capire che la sua permanenza a bordo ha ormai annoiato, ed è meglio che se la svigni sul lussuoso modulo di salvataggio privato visto che lui ha una missione suicida da compiere (la missione suicida è uno dei momenti interessanti del film).
Tornando all'androide, David: non obbedisce alla comandante Vickers ed è in evidente contrasto. Infetta il povero Holloway e non si sa bene perché. O meglio, le motivazioni immagino siano la fotocopia di quelle degi cattivi (androidi e no) di Alien e Alien scontro finale, no? Ma qui non si capisce, sembra solo la ripetizione gratuita del primo Alien, l'androide deve tradire perché tradisce, e basta. David ubbidisce invece con apparente fedeltà al suo padrone miliardario (quello che ha finanziato la missione prima di morire, e invece ricompare a bordo) ma sembra desiderare liberarsene. O meglio no, lui non può desiderare. Insomma che personalità ha, se ne ha una? In David e nelle sue battute ci sono alcuni dei temi interessanti e classici delle intelligenze artificiali e della robotica, ma manca la logica che dovrebbe muoverlo.
Quanto agli alieni (la razza di creatori che ha plasmato l'umanità per poi decidere, a quanto pare, che fosse stata una cattiva idea e la razza umana andrebbe eliminata) le loro vicende sono spiegate (e solo in parte) da degli ologrammi deus-ex-machina che toglierebbero allo spettatore il gusto di vedere un'indagine che procede verso dei risultati, e dico "toglierebbero" perché... il mistero è ristabilito dalla mancanza di spiegazioni finali, poiché anche il "prometeo" che viene risvegliato dalla criostasi non trova di meglio da fare che aggredire gli umani che hanno assistito al suo risveglio e prepararsi a decollare per commettere un genocidio, così, senza nemmeno aver fatto colazione.
Tutto sembra puntare a un messaggio del tipo: non vi abbiamo fatto capire niente, ma voi state pronti a pagare il biglietto per la seconda parte e magari vi spiegheremo qualcosina di più.
Ok, procedete pure... ma senza di me.
Per chi non l'avesse visto: le questioni filosofiche e le grandi teorie che dovrebbero essere discusse in questo film si riducono ad alcune domande che i personaggi si pongono, ma tutto resta superficiale e senza risposta, e (a mio parere) senza stimoli che restino nella mente dello spettatore. Al contrario, azioni di grande portata vengono intraprese senza che lo spettatore possa capire il perché, e ci sono dei momenti piuttosto pasticciati nella narrativa. Non abbiamo un personaggio carismatico come la Ripley di Alien, non abbiamo un mostro che faccia presa sull'immaginario, e quando sappiamo delle intenzioni degli "ingegneri" progenitori della razza umana, non vi è una spiegazione.
Invece alcune scene spettacolari, paesaggi ripresi ad ampio respiro e particolari tecnici di astronavi, o anatomici di creature, possono essere interessanti, per quanto l'uso del 3D mi sembri (una volta di più) superfluo. Detto questo il film si fa vedere e ha un buon ritmo tranne qualche momento un po' lungo all'inizio, ma penso che si faccia anche dimenticare rapidamente: non sarà una pietra miliare della fantascienza, questo no di sicuro. Decidete voi se spenderci i vostri soldi e il vostro tempo.
[Da qui fino alla fine ci saranno anticipazioni sulla trama]. Quello che nelle prime scene mi ha particolarmente colpito è che non sembra si sia molto pensato a come raffigurare l'equipaggio dell'astronave che parte per questa missione eccezionale. O meglio, che lo si sia fatto in maniera assai stereotipata.
La comandante Vickers (Charlize Theron) non ha nessuna vera leadership, è solo una prepotente donna da consiglio d'amministrazione con la tutina attillata al posto del tailleur. Non si capisce ad esempio perché due personaggi chiave (gli archeologi Elizabeth Shaw, interpretatata dall'attrice ispanico-svedese Noomi Rapace, e Holloway interpretato da Logan Marshal-Green) debbano essere informati dalla comandante, una volta arrivati su un lontanissimo pianeta per la missione storica, che il finanziatore è privato e quindi comanda lei, e certe indagini che a loro interessano da morire andranno in secondo piano. Non doveva esser chiarito già ben prima di partire? Brave comunque entrambe le attrici, mi piace anche il comandante Janek (Idris Elba) e alcuni degli elementi del gruppo, ma sono troppi per essere caratterizzati tutti a dovere.
Quanto agli altri personaggi, è chiaro che ognuno deve avere ha la propria personalità e ci debbano essere conflitti e incomprensioni e via dicendo, è quello che vediamo sviluppato in quasi tutti i film. Incredibile come siano male assortiti i poveretti che viaggiano sulla Prometheus, però.
Qui, in una missione che è agli inizi (dopo il lungo viaggio di avvicinamento ovviamente) e prima che succeda nulla di stressante o pericoloso, la gente bisticcia malamente e c'è chi dice che "siccome le sue capacità non sono necessarie qui," lui se ne ritorna alla sua cabina dentro l'astronave... insomma dopo pochi minuti di film ho già avuto l'impressione che il regista non ci avesse messo la buona volontà e andasse per stereotipi, a casaccio, a volte citando se stesso. Se aggiungiamo che questa misteriosa razza di creatori oggetto della missione ha deciso di distruggere l'umanità che aveva creato, e non si sa perché, se l'inevitabile uomo sintetico a bordo (Michael Fassbender) non ha un suo piano malefico, magari in sintonia con la solita mega corporazione di cattivi, ma fa cose strane le cui motivazioni non si comprendono, il pasticcio diventa difficilmente dipanabile.
E non è che la comandante abbia perso il controllo, solo che sembra fregarsene della vita altrui, non riesce a dominare l'androide e cerca solo di imporre la sua volontà fino a che il capitano Janek le fa capire che la sua permanenza a bordo ha ormai annoiato, ed è meglio che se la svigni sul lussuoso modulo di salvataggio privato visto che lui ha una missione suicida da compiere (la missione suicida è uno dei momenti interessanti del film).
Tornando all'androide, David: non obbedisce alla comandante Vickers ed è in evidente contrasto. Infetta il povero Holloway e non si sa bene perché. O meglio, le motivazioni immagino siano la fotocopia di quelle degi cattivi (androidi e no) di Alien e Alien scontro finale, no? Ma qui non si capisce, sembra solo la ripetizione gratuita del primo Alien, l'androide deve tradire perché tradisce, e basta. David ubbidisce invece con apparente fedeltà al suo padrone miliardario (quello che ha finanziato la missione prima di morire, e invece ricompare a bordo) ma sembra desiderare liberarsene. O meglio no, lui non può desiderare. Insomma che personalità ha, se ne ha una? In David e nelle sue battute ci sono alcuni dei temi interessanti e classici delle intelligenze artificiali e della robotica, ma manca la logica che dovrebbe muoverlo.
Quanto agli alieni (la razza di creatori che ha plasmato l'umanità per poi decidere, a quanto pare, che fosse stata una cattiva idea e la razza umana andrebbe eliminata) le loro vicende sono spiegate (e solo in parte) da degli ologrammi deus-ex-machina che toglierebbero allo spettatore il gusto di vedere un'indagine che procede verso dei risultati, e dico "toglierebbero" perché... il mistero è ristabilito dalla mancanza di spiegazioni finali, poiché anche il "prometeo" che viene risvegliato dalla criostasi non trova di meglio da fare che aggredire gli umani che hanno assistito al suo risveglio e prepararsi a decollare per commettere un genocidio, così, senza nemmeno aver fatto colazione.
Tutto sembra puntare a un messaggio del tipo: non vi abbiamo fatto capire niente, ma voi state pronti a pagare il biglietto per la seconda parte e magari vi spiegheremo qualcosina di più.
Ok, procedete pure... ma senza di me.
martedì 11 settembre 2012
Le Macchine Infernali
Lo scrittore USA K.W. Jeter ha avuto nella sua carriera il dubbio gusto di scrivere dei seguiti alla storia di Blade Runner. Questo tanto per citare una macchia difficile da perdonargli. Ma lasciamo perdere. Di suo ho letto una storia in bilico tra lo cthulhoide e lo steampunk, Le Macchine Infernali.
La storia è scritta in maniera scorrevole e si legge che è una meraviglia, il che segna senz'altro un punto a suo favore. L'ambientazione è vittoriana, con una Londra cosmopolita e caotica in cui seguiamo le avventure di un certo Downer, un ipocondriaco bottegaio represso, timoroso e di poche capacità, che per giunta non ha alcun talento nel seguire il lavoro ereditato dal padre, geniale costruttore di apparecchiature dotate di ingranaggi complessi, automi, orologi e macchinari di vario genere. Downer sa poco o niente di tutto ciò, è in grado di eseguire solo le più semplici riparazioni: perciò le sue prospettive sul lavoro non sono buone dopo la morte del genitore. Vive solo, con un servitore che gli è di modesto aiuto, e cerca di sbarcare il lunario. Quando gli si presentano individui bizzarri a fare domande o chiedere di intervenire su macchine prodotte dal padre, Downer si trova coinvolto in una faccenda poco chiara che lo porta, per prima cosa, a visitare un sobborgo di Londra dove vive strana gente dalla curiosa morfologia, una razza che sembra ibrida tra uomini e pesci. Il primo terzo del libro è tutto sommato abbastanza noioso e, per chi conosce Lovecraft, sembra quasi la trasposizione de La Maschera di Innsmouth pari pari sul vecchio continente.
Per fortuna si aprono altri elementi della trama e, sebbene ci si spinga assai al di là del credibile e del verosimile (cosa che peraltro lo steam fa quasi sempre con disinvoltura, senza andare a cercare giustificazioni e spiegazioni) si viene trascinati in una cavalcata stralunata e tutto sommato divertente. Oltre a una razza antica avremo avventurieri senza scrupoli, moralisti bigotti, lord eccentrici e vari ceffi da galera coinvolti in una lotta senza esclusione di colpi attorno a tutta una serie di invenzioni e marchingegni concepiti dall'ingegnoso padre di Downer. L'intreccio della storia è assai complesso e inizialmente tante cose appaiono inspiegabili. Il protagonista è troppo inetto per poter sbrogliare la matassa da solo, per cui si trova spesso a seguire istruzioni altrui, e ad avere da altri lunghe spiegazioni di ciò che è successo e su ciò che dovrà fare... questa passività del protagonista, che narra la storia in prima persona, non mi sembra veramente un buon sistema per far avanzare la trama, ma così è, e comunque il libro ha i suoi buoni momenti. Decisamente meglio del più famoso Paul Difilippo, ad ogni modo.
La storia è scritta in maniera scorrevole e si legge che è una meraviglia, il che segna senz'altro un punto a suo favore. L'ambientazione è vittoriana, con una Londra cosmopolita e caotica in cui seguiamo le avventure di un certo Downer, un ipocondriaco bottegaio represso, timoroso e di poche capacità, che per giunta non ha alcun talento nel seguire il lavoro ereditato dal padre, geniale costruttore di apparecchiature dotate di ingranaggi complessi, automi, orologi e macchinari di vario genere. Downer sa poco o niente di tutto ciò, è in grado di eseguire solo le più semplici riparazioni: perciò le sue prospettive sul lavoro non sono buone dopo la morte del genitore. Vive solo, con un servitore che gli è di modesto aiuto, e cerca di sbarcare il lunario. Quando gli si presentano individui bizzarri a fare domande o chiedere di intervenire su macchine prodotte dal padre, Downer si trova coinvolto in una faccenda poco chiara che lo porta, per prima cosa, a visitare un sobborgo di Londra dove vive strana gente dalla curiosa morfologia, una razza che sembra ibrida tra uomini e pesci. Il primo terzo del libro è tutto sommato abbastanza noioso e, per chi conosce Lovecraft, sembra quasi la trasposizione de La Maschera di Innsmouth pari pari sul vecchio continente.
Per fortuna si aprono altri elementi della trama e, sebbene ci si spinga assai al di là del credibile e del verosimile (cosa che peraltro lo steam fa quasi sempre con disinvoltura, senza andare a cercare giustificazioni e spiegazioni) si viene trascinati in una cavalcata stralunata e tutto sommato divertente. Oltre a una razza antica avremo avventurieri senza scrupoli, moralisti bigotti, lord eccentrici e vari ceffi da galera coinvolti in una lotta senza esclusione di colpi attorno a tutta una serie di invenzioni e marchingegni concepiti dall'ingegnoso padre di Downer. L'intreccio della storia è assai complesso e inizialmente tante cose appaiono inspiegabili. Il protagonista è troppo inetto per poter sbrogliare la matassa da solo, per cui si trova spesso a seguire istruzioni altrui, e ad avere da altri lunghe spiegazioni di ciò che è successo e su ciò che dovrà fare... questa passività del protagonista, che narra la storia in prima persona, non mi sembra veramente un buon sistema per far avanzare la trama, ma così è, e comunque il libro ha i suoi buoni momenti. Decisamente meglio del più famoso Paul Difilippo, ad ogni modo.
venerdì 7 settembre 2012
Brutte figure internazionali
A quanto pare la rete, con la possibilità che offre di assumere false identità, gioca brutti scherzi (anche) all'estero.
Ecco un link che mi è rimasto nel cassetto per qualche giorno: l'articolo del Corriere riguarda uno scrittore inglese che si faceva recensioni mirabolanti da solo.
Ma allora tutto il mondo è paese, anche nei paesi anglosassoni sono furbetti come da noi? No. Premesso che non è che gli anglo mi siano sempre così simpatici, devo riconoscere che da quelle parti i furbetti ogni tanto li beccano, e quando li beccano devono chiedere scusa.
Ecco un link che mi è rimasto nel cassetto per qualche giorno: l'articolo del Corriere riguarda uno scrittore inglese che si faceva recensioni mirabolanti da solo.
Ma allora tutto il mondo è paese, anche nei paesi anglosassoni sono furbetti come da noi? No. Premesso che non è che gli anglo mi siano sempre così simpatici, devo riconoscere che da quelle parti i furbetti ogni tanto li beccano, e quando li beccano devono chiedere scusa.
lunedì 3 settembre 2012
Songs of the Dying Earth
Arriva in tre parti e in tre anni consecutivi in italiano con gli Urania, con grande scorno di qualche appassionato di fantascienza che vede invaso il proprio orticello (molto italiano questo schifo di certi puristi della fantascienza verso il fantasy, comunque quest'ambientazione in realtà è fantasy con una non piccola venatura di fantascienza, se solo se ne rendessero conto). Il titolo è "Storie dal Crepuscolo di un Mondo" e ho già letto e recensito il primo volume italiano. E' già uscito il secondo, ma non resistendo alla tentazione, quando l'ho visto in libreria in inglese ho comprato questo Songs of the Dying Earth che altro non è che la versione originale completa, senza aspettare... e costa anche poco.
Come già scrivevo oltre un anno fa (vedi link precedente), si tratta di un'antologia in onore del mondo della Terra Morente di Jack Vance e ovviamente dell'autore stesso ormai vecchissimo. La raccolta è curata da George Martin e Gardner Gozois.
Cosa dire di questi racconti? Io li trovo molto godibili e penso che piaceranno a tutti, non solo a quelli che conoscono Vance. In alcuni casi lo stile del grande autore è stato imitato abbastanza bene, anche se, come tutti affermano, è inimitabile. Altri racconti hanno seguito un taglio molto più personale. Le storie sono diverse fra loro e riprendono vari aspetti della Terra Morente. A volte sono stati approfonditi elementi appena accennati da Vance, in qualche caso con un risultato piacevole, ma anche talvolta in modi che a me sono risultati sgradevoli. Faccenda di gusti personali. Volete proprio sapere un paio di particolari che non mi sono piaciuti? Gli uomini-Twk che cavalcano minuscoli le libellule e scambiano informazioni per qualche grammo di sale sono stati banalizzati da alcuni degli autori, mentre avrei preferito il senso di meraviglia e mistero che Vance aveva costruito attorno alle loro scarse apparizioni. La fine del mondo che in Vance è sempre incombente in qualche caso diventa esplicita. Nient'altro.
Ogni autore è presentato con una breve bibliografia (alcuni sono molto famosi anche se non tutti li nominerò qui) e dopo il racconto narra nelle proprie parole come ha conosciuto l'opera di Vance e che effetto ha avuto su di lui: alcuni di questi ricordi sono particolarmente commoventi.
Nel dettaglio, qualche storia particolarmente interessante dei due terzi che non avevo già letto in italiano.
The Green Bird di Kage Baker: Cugel l'Astuto si intrufola nella casa di due bisbetiche sorelle che si odiano fra loro con lo scopo di realizzare un losco piano. Sarà più dura di quello che crede.
A Night at the Tarn House di George Martin: incontro di diversi personaggi in una taverna degli orrori. Incontro mortale, ovviamente.
Evillo the Uncunning di Tanith Lee: non la storia meglio riuscita di un'autrice che amo molto, ma ha dei momenti buoni.
The Collegeum of Mauge di Byron Tetrick: storia di un ragazzo che entra in una scuola di maghi. Un po' alla Harry Potter. Carino.
The Return of the Fire Witch di Elizabeth Hand: il migliore racconto dell'intero libro anche se non è molto "alla Vance" e ha una trama assai semplice e lineare. Saloona Morn, pacifica strega che produce funghi magici, viene coinvolta dalla strega del fuoco Paytim Noringal in una vendetta contro una malevola casa regnante. La nave volante (senziente) di Saloona ammonisce contro la minaccia della feroce e imprevedibile strega del fuoco, ma la mite coltivatrice di funghi non può ribellarsi ed è costretta a collaborare. Grande caratterizzazione dei personaggi e interazione.
Sylgarmo's Proclamation di Lucius Shepard si svolge intorno alle avventure di un paio di personaggi che devono ottenere vendetta contro Cugel l'Astuto.
The Lamentably Comical Tragedy (or The Laughably Tragic Comedy) of Lixal Laqavee di Tad Williams: un ciarlatano costringe un autentico mago a concedergli l'uso di alcuni incantesimi. Subirà una vendetta terribile per lui, ma esilarante sotto certi aspetti (per il lettore).
Guyal the Curator di John Wright: in una città decadente, ombra della potenza passata, un uomo mantiene l'ordine (o almeno ci prova) con l'uso di un potente artefatto. Aiuterà in una sorprendente avventura uno straniero che ha perso la memoria.
Di quest'ultimo è molto pregnante la postfazione, dove Wright rammenta i tempi in cui (prima di Tolkien!) il fantasy era raro e "ogni libro era diverso dagli altri." Sì, l'impronta del fantasy banalizzato non è sempre esistita.
Come già scrivevo oltre un anno fa (vedi link precedente), si tratta di un'antologia in onore del mondo della Terra Morente di Jack Vance e ovviamente dell'autore stesso ormai vecchissimo. La raccolta è curata da George Martin e Gardner Gozois.
Cosa dire di questi racconti? Io li trovo molto godibili e penso che piaceranno a tutti, non solo a quelli che conoscono Vance. In alcuni casi lo stile del grande autore è stato imitato abbastanza bene, anche se, come tutti affermano, è inimitabile. Altri racconti hanno seguito un taglio molto più personale. Le storie sono diverse fra loro e riprendono vari aspetti della Terra Morente. A volte sono stati approfonditi elementi appena accennati da Vance, in qualche caso con un risultato piacevole, ma anche talvolta in modi che a me sono risultati sgradevoli. Faccenda di gusti personali. Volete proprio sapere un paio di particolari che non mi sono piaciuti? Gli uomini-Twk che cavalcano minuscoli le libellule e scambiano informazioni per qualche grammo di sale sono stati banalizzati da alcuni degli autori, mentre avrei preferito il senso di meraviglia e mistero che Vance aveva costruito attorno alle loro scarse apparizioni. La fine del mondo che in Vance è sempre incombente in qualche caso diventa esplicita. Nient'altro.
Ogni autore è presentato con una breve bibliografia (alcuni sono molto famosi anche se non tutti li nominerò qui) e dopo il racconto narra nelle proprie parole come ha conosciuto l'opera di Vance e che effetto ha avuto su di lui: alcuni di questi ricordi sono particolarmente commoventi.
Nel dettaglio, qualche storia particolarmente interessante dei due terzi che non avevo già letto in italiano.
The Green Bird di Kage Baker: Cugel l'Astuto si intrufola nella casa di due bisbetiche sorelle che si odiano fra loro con lo scopo di realizzare un losco piano. Sarà più dura di quello che crede.
A Night at the Tarn House di George Martin: incontro di diversi personaggi in una taverna degli orrori. Incontro mortale, ovviamente.
Evillo the Uncunning di Tanith Lee: non la storia meglio riuscita di un'autrice che amo molto, ma ha dei momenti buoni.
The Collegeum of Mauge di Byron Tetrick: storia di un ragazzo che entra in una scuola di maghi. Un po' alla Harry Potter. Carino.
The Return of the Fire Witch di Elizabeth Hand: il migliore racconto dell'intero libro anche se non è molto "alla Vance" e ha una trama assai semplice e lineare. Saloona Morn, pacifica strega che produce funghi magici, viene coinvolta dalla strega del fuoco Paytim Noringal in una vendetta contro una malevola casa regnante. La nave volante (senziente) di Saloona ammonisce contro la minaccia della feroce e imprevedibile strega del fuoco, ma la mite coltivatrice di funghi non può ribellarsi ed è costretta a collaborare. Grande caratterizzazione dei personaggi e interazione.
Sylgarmo's Proclamation di Lucius Shepard si svolge intorno alle avventure di un paio di personaggi che devono ottenere vendetta contro Cugel l'Astuto.
The Lamentably Comical Tragedy (or The Laughably Tragic Comedy) of Lixal Laqavee di Tad Williams: un ciarlatano costringe un autentico mago a concedergli l'uso di alcuni incantesimi. Subirà una vendetta terribile per lui, ma esilarante sotto certi aspetti (per il lettore).
Guyal the Curator di John Wright: in una città decadente, ombra della potenza passata, un uomo mantiene l'ordine (o almeno ci prova) con l'uso di un potente artefatto. Aiuterà in una sorprendente avventura uno straniero che ha perso la memoria.
Di quest'ultimo è molto pregnante la postfazione, dove Wright rammenta i tempi in cui (prima di Tolkien!) il fantasy era raro e "ogni libro era diverso dagli altri." Sì, l'impronta del fantasy banalizzato non è sempre esistita.
sabato 1 settembre 2012
Fatto Quotidiano: Ebook e Batman
Sugli Ebook si sta formando una classica suddivisione tutta italiota in schieramenti contrapposti che si odiano a morte, spinta probabilmente da alcune persone del settore che cercano di chiudersi a riccio nel loro piccolo mondo antico anziché adeguarsi a un'evoluzione della diffusione del libro (e non solo di quello) ormai sicura, e che non aspetterà certo il permesso degli italiani per procedere. Io ho fatto le mie osservazioni sulle possibili conseguenze di questo sviluppo tecnologico già tempo fa, e non sento il bisogno di fare miei certi toni intransigenti della battaglia in corso.
Mi spiace però quando l'informazione, anche quella che pretende di essere libera, ci propina articoli evidentmente disinformati e faziosi, e reagisce malamente alle reazioni dei lettori. Parecchi commentatori hanno contestato questo articolo sul sito del Fatto Quotidiano, decisamente estremo e malamente documentato.
Ora, a volte i lettori che approfittano dello spazio offerto dai giornali online per discutere sugli articoli sono dei veri troll che attaccano tanto per fare. Ma ci sono anche quelli che fanno osservazioni motivate. Mi è quindi dispiaciuto che il Fatto Quotidiano abbia deciso di censurare un commento che era sì espresso in toni piuttosto aggressivi, ma anche circostanziato. E comunque una critica ragionata che andava a toccare certe parti dell'articolo che ragionate non erano di sicuro.
Solidarietà quindi a coloro che hanno potuto gustare la libertà di commento offerta dal Fatto Quotidiano.
Un'osservazione positiva la devo invece rivolgere alla versione... cartacea dello stesso giornale. Ho già accennato in un post di qualche giorno fa alla diatriba sul significato "politico" dell'ultimo Batman di Christopher Nolan. E' una di quelle beghe che piacciono moltissimo nel nostro paese, destra-sinistra, in fondo è lì che si va a parare quasi sempre, e stavolta ne parlano anche all'estero. Elisa Battistini sul Fatto Quotidiano del 23 agosto (l'ho letto su carta ma l'articolo è anche online) "il regista 42enne [Nolan] si è fatto notare nel 2000 con l'indipendente Memento, paranoica storia di un uomo con la memoria a breve termine danneggiata, dove la narrazione non procede in ordine cronologico... Da allora ha preso il patentino di autore di culto, patentino confermato proprio con il primo Batman, consolidato con il secondo e timbrato indelebilmente con Inception... Così, Nolan d'ora in poi potrebbe fare solo blockbuster ma ci sarà sempre chi si scervellerà nel trovare significati reconditi..."
Non so cosa Nolan farà in futuro, ma devo dire che la vedo allo stesso modo. Il terzo Batman non è uno di quei film cui Nolan ci ha abituati in effetti, il tema portante sulla morte e risurrezione dell'uomo pipistrello è portato a compimento non senza alcune scene a fortissimo effetto, ma per il resto il film ha diversi momenti trattati in modo superficiale e sottotono. L'accenno alle difficoltà economiche e ai movimenti di protesta americani ricade tra questi.
Mi spiace però quando l'informazione, anche quella che pretende di essere libera, ci propina articoli evidentmente disinformati e faziosi, e reagisce malamente alle reazioni dei lettori. Parecchi commentatori hanno contestato questo articolo sul sito del Fatto Quotidiano, decisamente estremo e malamente documentato.
Ora, a volte i lettori che approfittano dello spazio offerto dai giornali online per discutere sugli articoli sono dei veri troll che attaccano tanto per fare. Ma ci sono anche quelli che fanno osservazioni motivate. Mi è quindi dispiaciuto che il Fatto Quotidiano abbia deciso di censurare un commento che era sì espresso in toni piuttosto aggressivi, ma anche circostanziato. E comunque una critica ragionata che andava a toccare certe parti dell'articolo che ragionate non erano di sicuro.
Solidarietà quindi a coloro che hanno potuto gustare la libertà di commento offerta dal Fatto Quotidiano.
Un'osservazione positiva la devo invece rivolgere alla versione... cartacea dello stesso giornale. Ho già accennato in un post di qualche giorno fa alla diatriba sul significato "politico" dell'ultimo Batman di Christopher Nolan. E' una di quelle beghe che piacciono moltissimo nel nostro paese, destra-sinistra, in fondo è lì che si va a parare quasi sempre, e stavolta ne parlano anche all'estero. Elisa Battistini sul Fatto Quotidiano del 23 agosto (l'ho letto su carta ma l'articolo è anche online) "il regista 42enne [Nolan] si è fatto notare nel 2000 con l'indipendente Memento, paranoica storia di un uomo con la memoria a breve termine danneggiata, dove la narrazione non procede in ordine cronologico... Da allora ha preso il patentino di autore di culto, patentino confermato proprio con il primo Batman, consolidato con il secondo e timbrato indelebilmente con Inception... Così, Nolan d'ora in poi potrebbe fare solo blockbuster ma ci sarà sempre chi si scervellerà nel trovare significati reconditi..."
Non so cosa Nolan farà in futuro, ma devo dire che la vedo allo stesso modo. Il terzo Batman non è uno di quei film cui Nolan ci ha abituati in effetti, il tema portante sulla morte e risurrezione dell'uomo pipistrello è portato a compimento non senza alcune scene a fortissimo effetto, ma per il resto il film ha diversi momenti trattati in modo superficiale e sottotono. L'accenno alle difficoltà economiche e ai movimenti di protesta americani ricade tra questi.