venerdì 30 gennaio 2009
I Draghi di Earthsea
Concludo la lettura della serie di Earthsea, questa fantastica serie di Ursula Le Guin (i precedenti post erano stati questo e quest'altro...).
Le opinioni non del tutto entusiaste che avevo ricevuto da Illoca fra i commenti del primo post hanno qualche riconoscimento da parte mia leggendo questa seconda parte della saga, due romanzi strettamente correlati (L'Isola del Drago e I Venti di Earthsea) che in parte si riagganciano a La Spiaggia più Lontana, formando un'unica storia di ampio respiro. La trama tratta del rapporto tra umani e draghi e delle tematiche relative alla creazione di Earthsea e ai suoi miti più antichi: storia impegnativa e interessante anche se annegata in trame collaterali e appesantita da una certa lungaggine.
Non mi nascondo che non sono mancati i momenti di noia. Mentre avevo apprezzato il parlare di Fantasy dal punto di vista personale e intimo dei personaggi, così caratteristico della Le Guin, qui non mi è piaciuto come la storia anneghi tanto spesso nel dettaglio insignificante e si soffermi troppo a parlare della quotidianità. Spiacevole. Né più né meno di quelle lunghissime saghe stile Tolkien (pataccaro) in cui qualche scrittore si dilunga a descrivere nel dettaglio tutto quello che fanno i protagonisti.
Non voglio dire che non ci siano momenti di grandezza né che non succeda nulla, ma certo il complimento che avevo fatto ai primi libri di Earthsea dicendo che non c'era alcuna lungaggine non necessaria né "allungamento del brodo," non lo ripeto per questa seconda parte delle serie.
Con tutto questo non voglio scivolare nel giudizio negativo. Nel complesso credo che Earthsea sia fondamentale nel panorama del Fantasy, come ambientazione, come stile innovativo e originale (o se non altro, molto personale), come esempio di una scrittrice che ha voluto inserire tematiche politiche e femministe nella sua opera ed è riuscita a farlo senza scivolare nel becero e nel pesante (complimento che, personalmente, non faccio a Marion Zimmer Bradley, o almeno non estenderei a molta della sua produzione). Non che manchino momenti di critica forte al mondo al maschile, come quello del paragone con la noce (l'uomo di potere, che dentro in realtà è pieno solo di quello: se perde il potere rimane come un guscio vuoto): frase arguta e apprezzabile, anche se oggi come oggi potremmo pensare che tante donne di potere non siano così diverse.
Alla fine della serie emerge come personaggio chiave Tenar, mentre Ged scivola un po' in secondo piano. Con la sua saggezza e la sua forza interiore Tenar riesce ad essere, a mio parere, quella eroina fantastica che tante guerriere in bikini corazzato non sono state. Belli anche i personaggi delle streghe, bislacche, superstiziose e ignoranti, talvolta difficili da tenersi amiche per Tenar, quando ha bisogno di loro, ma che riescono spesso a fare ciò che serve per mettere le cose a posto e risolvere tanti problemi per il meglio. Piacevole il re, personaggio davvero fantasy nella sua rettitudine e forza morale, e simpatica la sua promessa sposa arrivata, coperta di veli, dalle terre degli uomini bianchi (che, bisogna ricordare, qui sono i barbari arretrati, rifilati nella periferia del grande arcipelago).
In conclusione: noia, sì, lo ammetto, ce n'è anche stata. Ma nell'insieme questa serie va conosciuta.
domenica 25 gennaio 2009
Manifest Destiny
Questo gioco da tavolo è stato pubblicato un po' di anni fa dalla GMT Games, ed è incentrato sulla creazione di imperi economici o mercantili in America settentrionale (Stati Uniti e dintorni). L'ho giocato un po' di volte quindi sono sicuro, prima di criticarlo, di averlo almeno capito.
Il problema di Manifest Destiny è che a volte non si capisce cosa stia simulando. E' un gioco economico in cui si cerca (fra tante cose) di prendere il controllo di certe zone geografiche per sfruttarne le risorse. Però ha molte caratteristiche che ricordano i giochi di guerra, compreso il fatto che si attaccano le zone degli altri giocatori (come se alla competizione economica si fossero sostituite... le vie di fatto: e ammetto che nella frontiera qualche volta succedeva anche questo ma vi assicuro che nell'atmosfera di un gioco fondamentalmente economico stona abbastanza). Aggiungiamoci delle regole complicate: c'è tutto un gioco collaterale di "progressi tecnologici" e di "pionieri" che cercano di arrivare a delle "scoperte," insomma si può investire in miglioramenti che possono consentire di muoversi meglio, guadagnare di più e avere tutta una serie di vantaggi (e guadagnare dei bei punti vittoria), ci sono delle carte che permettono di compiere azioni particolari, insomma tutta la pletora di possibilità che ci si aspetta di trovare in giochi di questo tipo.
Solo che il regolamento pare a volte inutilmente complesso, la mappa è una delle più brutte che io abbia visto in tempi recenti... insomma proprio non ci siamo.
Non so se questo gioco ha la traduzione in italiano, e se ce l'ha non ve lo consiglio proprio. Confuso, scarso nel dare al giocatore un "feeling" dell'epoca in cui è ambientato, astratto più di quanto il titolo direbbe ma allo stesso tempo inutilmente complicato, Manifest Destiny è un gioco che non ha per nulla riscosso le mie simpatie.
martedì 20 gennaio 2009
Lasciami Entrare
La moda dei vampiri comincia un po' a rompere ma questo Lasciami Entrare l'ho voluto vedere, anche perché sono abbastanza curioso del cinema dei paesi nordici.
E' un film che potrà piacere o no agli amanti delle budella srotolate per la stanza e del sangue a fiumi. Lo splatter c'è, ma c'è molto altro. Intanto l'ambientazione è piuttosto originale e poi lo stile è quello (che può non piacere) di un certo tipo di film nordeuropei: lunghi silenzi, immobilità dell'inquadratura, scene introspettive. Infine è insolita la storia: Oskar, un dodicenne emarginato (vittima dei bulli) incontra una misteriosa ragazzina, Eli, che si fa vedere solo di notte. Avrete già capito che è una vampira... insomma si sviluppa una ben strana coppia.
Il film è tratto da un libro che era ben più lungo e complesso: e probabilmente nel libro è essenziale (immagino) un particolare che nel film viene riportato in maniera così striminzita da renderlo irrilevante e forse addirittura di disturbo: la giovanissima vampira (se non volete l'anticipazione, saltate la frase...) in realtà è un maschio evirato: prima lo fa capire in una frase che dice a Oskar ("ti piacerei se non fossi una femmina?") poi, ahimé, ci tocca vedere il particolare.
La sete di sangue di Eli si incontra con la repressione e il desiderio di vendetta di Oskar, le scelte che i due attuano sono certamente... discutibili (a dir poco!) ma sembrano quasi giustificate, in un clima di spietata sopravvivenza.
Insomma un film bello e particolare: val la pena di vederlo. Stanno già facendo un remake per il pubblico USA (che non ama vedere i film stranieri, al limite apprezza le idee migliori, ma ricucinate in salsa BBQ). Chissà se la rielaborazione americana sarà meglio: non sono uno di quelli che dicono che il remake americano sia sempre uno schifo ma in questo caso penso che un rifacimento possa solo peggiorare il film.
Comunque sia, complimenti a Lindqvist (che ha scritto il libro) e ad Alfredson (che ha diretto il film).
Che Hari Seldon ci protegga
La Warner Bros e la Fox erano i principali contendenti per aggiudicarsi i diritti cinematografici de La Fondazione di Asimov. Proprio le stesse compagnie che si sono scannate sui diritti di Watchmen. Ebbene, a sorpresa i vincitori sono stati altri: la Columbia Pictures.
Cosa verrà fuori da questa trasposizione? Non sono un grandissimo ammiratore di Asimov, ma un paio di libri fondamentali li ho letti e la trilogia della Fondazione è fra quelli (in verità ho letto fino al quarto o al quinto della serie, ma secondo me non sono all'altezza degli originali tre). Il mio timore è che, essendoci tre o quattro concetti da capire, i produttori decidano che sono troppi, e ne facciano una riduzione da cartone animato. Speriamo di no...
Cosa verrà fuori da questa trasposizione? Non sono un grandissimo ammiratore di Asimov, ma un paio di libri fondamentali li ho letti e la trilogia della Fondazione è fra quelli (in verità ho letto fino al quarto o al quinto della serie, ma secondo me non sono all'altezza degli originali tre). Il mio timore è che, essendoci tre o quattro concetti da capire, i produttori decidano che sono troppi, e ne facciano una riduzione da cartone animato. Speriamo di no...
venerdì 16 gennaio 2009
Le Tombe di Atuan
A quanto pare la discussione su Earthsea si è fatta interessante, e nel frattempo ho continuato la mia lettura, con Le Tombe di Atuan e La Spiaggia più Lontana. Per prima cosa devo, almeno in parte, condividere la delusione di Illoca come espressa nei commenti al precedente post: la Spiaggia è in effetti un libro piuttosto lento e pesante, dove la metafora (o la morale, se vogliamo chiamarla così) prevale assolutamente sulla storia. Ci sono momenti belli o solenni, ma questo squilibrio è evidente in una trama che parte con una minaccia da identificare, e con la partenza e il vagare a casaccio di Ged e del principe suo allievo, quasi la Le Guin non sapesse bene dove andare a parare, e si volge verso un obiettivo preciso solo grazie a un Deus ex Machina grande come una casa (un drago che rivela dove devono andare e chi devono combattere), con un finale che non riesce a cogliere di sorpresa perché la morale della storia è già stata sviscerata in maniera addirittura ripetitiva in fin troppe scene in cui i personaggi si parlano (o si pensano) addosso.
Quindi nel mio personalissimo parere rifilo un'insufficienza a La Spiaggia più Lontana; ma torniamo alle Tombe di Atuan. Potrei dire che anche qui dopo le prime pagine non ci sia molto per sorprendersi, ma l'importante non è cosa, ma il come viene raccontato.
Le Tombe di Atuan (saltare per evitare gli spoiler...) è una storia di oppressione e incubo, di dolore e di liberazione. La storia di Tenar che diventa Arha la Divorata, supposta incarnazione di una principessa immortale (un po' come il Dalai Lama, per intenderci) al servizio di divinità della morte e del buio, antiche e crudeli. Arha vive in una specie di monastero malvagio, e impara a muoversi nel buio in un labirinto in cui sono custodite ricchezze incredibili, ma che non serviranno mai a nessuno. Vive di riti vuoti, danzando davanti a un trono su cui non siede nessuno e muovendosi nel buio in gallerie solitarie, si rende conto che attorno a lei l'unica cosa che anima le sacerdotesse recluse è la rassegnazione o la lotta per il potere: un potere astratto, che ad Arha sembra insignificante, ormai morto. Un potere formale crollato nel nulla e dimenticato dai sovrani, che una volta erano solleciti nei confronti del culto delle Tombe e adesso lo ignorano. Situazione claustrofobica e asfissiante, fuori e dentro ai sotterranei, una trappola che avrà la sua imprevedibile via di uscita quando uno straniero (che poi è il mago Ged) penetra nel labirinto ed è fatto prigioniero. Ged rivelerà a Tenar-Arha che in realtà il potere delle Tombe di Atuan esiste davvero... ma soltanto in quel luogo; e la donna non tarderà a completare la presa di coscienza che era già iniziata nei lunghi anni del confinamento, e a desiderare la fuga da quel covo di oscurità e odio.
Il personaggio di Teren-Arha è ben delineato e caratterizzato, meglio dello stesso Ged, forse. Mi sono chiesto se possa essere un esempio di eroina fantasy ben riuscita: da una parte può sembrare il classico esempio della donna vittima, sfruttata e sacrificata per i fini di altri, in realtà impotente e inutile anche là dove dovrebbe essere la somma sacerdotessa, trattata come una bambina dal suo vecchio servitore eunuco e sottratta a tutte le brutture solo per il classico intervento dell'eroe maschio (ovvero Ged, che però nel suo ruolo di mago saggio e filosofo non rappresenta uno stereotipo classico di potere maschile). Dall'altra la sua crescita interiore, la sua presa di posizione contro ciò che rappresenta, il fatto che sia in effetti lei a salvare Ged (in violazione delle regole) all'inizio, poiché il contrario avviene invece quando fuggono, fanno di Teren un personaggio maturo e forte più di quanto potrebbe sembrare, e se non corrisponde allo stereotipo della donna empowered lo ritengo un meraviglioso personaggio femminile. Mi riservo di modificare questa impressione leggendo gli altri romanzi di Earthsea. Per adesso, un applauso a Le Tombe di Atuan.
Quindi nel mio personalissimo parere rifilo un'insufficienza a La Spiaggia più Lontana; ma torniamo alle Tombe di Atuan. Potrei dire che anche qui dopo le prime pagine non ci sia molto per sorprendersi, ma l'importante non è cosa, ma il come viene raccontato.
Piangeva per lo spreco dei suoi anni, asserviti a un male inutile. Piangeva di dolore, perché era libera. Aveva cominciato ad apprendere il peso della libertà. La libertà è un fardello oneroso, un grande e strano fardello per lo spirito che se l'addossa. Non è agevole. Non è un dono ma una scelta, e la scelta può essere dura. La strada sale, verso la luce: ma il viandante oberato può anche non raggiungerla mai.
Le Tombe di Atuan (saltare per evitare gli spoiler...) è una storia di oppressione e incubo, di dolore e di liberazione. La storia di Tenar che diventa Arha la Divorata, supposta incarnazione di una principessa immortale (un po' come il Dalai Lama, per intenderci) al servizio di divinità della morte e del buio, antiche e crudeli. Arha vive in una specie di monastero malvagio, e impara a muoversi nel buio in un labirinto in cui sono custodite ricchezze incredibili, ma che non serviranno mai a nessuno. Vive di riti vuoti, danzando davanti a un trono su cui non siede nessuno e muovendosi nel buio in gallerie solitarie, si rende conto che attorno a lei l'unica cosa che anima le sacerdotesse recluse è la rassegnazione o la lotta per il potere: un potere astratto, che ad Arha sembra insignificante, ormai morto. Un potere formale crollato nel nulla e dimenticato dai sovrani, che una volta erano solleciti nei confronti del culto delle Tombe e adesso lo ignorano. Situazione claustrofobica e asfissiante, fuori e dentro ai sotterranei, una trappola che avrà la sua imprevedibile via di uscita quando uno straniero (che poi è il mago Ged) penetra nel labirinto ed è fatto prigioniero. Ged rivelerà a Tenar-Arha che in realtà il potere delle Tombe di Atuan esiste davvero... ma soltanto in quel luogo; e la donna non tarderà a completare la presa di coscienza che era già iniziata nei lunghi anni del confinamento, e a desiderare la fuga da quel covo di oscurità e odio.
Orrenda copertina tedesca delle Tombe di Atuan, dove Arha è in versione pupattola con autoreggenti verde smeraldo e coscia di fuori
Il personaggio di Teren-Arha è ben delineato e caratterizzato, meglio dello stesso Ged, forse. Mi sono chiesto se possa essere un esempio di eroina fantasy ben riuscita: da una parte può sembrare il classico esempio della donna vittima, sfruttata e sacrificata per i fini di altri, in realtà impotente e inutile anche là dove dovrebbe essere la somma sacerdotessa, trattata come una bambina dal suo vecchio servitore eunuco e sottratta a tutte le brutture solo per il classico intervento dell'eroe maschio (ovvero Ged, che però nel suo ruolo di mago saggio e filosofo non rappresenta uno stereotipo classico di potere maschile). Dall'altra la sua crescita interiore, la sua presa di posizione contro ciò che rappresenta, il fatto che sia in effetti lei a salvare Ged (in violazione delle regole) all'inizio, poiché il contrario avviene invece quando fuggono, fanno di Teren un personaggio maturo e forte più di quanto potrebbe sembrare, e se non corrisponde allo stereotipo della donna empowered lo ritengo un meraviglioso personaggio femminile. Mi riservo di modificare questa impressione leggendo gli altri romanzi di Earthsea. Per adesso, un applauso a Le Tombe di Atuan.
martedì 13 gennaio 2009
Punto di non Ritorno
Di horror non mi sono ancora occupato in questo blog, e non perché non mi interessi. Ma devo ammettere di essere parecchio schizzinoso per quanto riguarda il genere, insomma non basta un'orda di zombi o qualche mentecatto che m'insegue con la motosega per impressionarmi... Ma all'horror si rifà in verità uno degli autori che amo di più, Lovecraft... perciò prima o poi indagheremo anche su questo genere.
Un misto di fantascienza e horror che mi lasciò spiazzato e addirittura deluso all'inizio, e però nel tempo mi si è incollato nella memoria è il film Punto di non Ritorno di una decina di anni fa: va subito detto che il regista di questa coproduzione anglo-americana (di nome fa Paul Anderson) non è dei più noti e nemmeno gli attori sono di grido, e non ricordo alcuna recitazione eccezionale.
Il film (attenzione, c'è la rivelazione di qualche particolare della trama) parla di una spedizione di soccorso che deve capire cos'è successo alla Event Orizon, una nave spaziale che è andata misteriosamente perduta mentre si trovava ai confini del sistema solare. Il mistero verte anche attorno ad un particolare tipo di propulsione sperimentale capace di curvare lo spaziotempo, un motore che la nave usava per la prima volta (doveva esplorare la stella più vicina).
Che presenza ha chiamato questo misterioso propulsore che piega le leggi della natura? Quali sono le conseguenze sull'equipaggio della nave di soccorso? Cosa era successo all'equipaggio della Event Orizon? C'è un filmato nel diario di bordo ma inizialmente non si riesce a decodificare... Alla fine ovviamente succederanno tante cose molto brutte.
Fantascienza e horror insieme, quindi. Una bella storia, di orrore inquietante, disturbante, claustrofobico. Può risultare sgradevole, e se il regista avesse seguito la sua ispirazione ci sarebbero state molte sequenze orrende in più, ma la produzione lo ha costretto a darsi una regolata. Ovviamente il successo come storia horror si basa proprio sul fatto che riesca veramente a mettere a disagio: se non vi va bene, non guardate questo film. Peccato però per la non sempre convincente interpretazione (a mio parere) dei ruoli principali.
giovedì 8 gennaio 2009
(Off topic) La neve è bella per chi non deve andare in ufficio
martedì 6 gennaio 2009
L'Esercito delle Dodici Scimmie
Le storie che parlano di viaggi nel tempo le ho sempre viste con sospetto: la possibilità che succedano cose paradossali, o la necessità di non farle succedere, rende molto chiaro che con il tempo, questa entità mostruosa che ci porta via tutto, c'è poco da scherzare. La serie del Nuovo Sole di Gene Wolfe è un esempio del genere (i ritorni al passato del protagonista mi hanno lasciato un po' perplesso).
Un altro esempio è il magnifico film di Terry Gilliam, L'Esercito delle Dodici Scimmie, un film difficile da catalogare: è senz'altro fantascienza nell'apparenza, ma la sua solidità "scientifica" lascia molto a desiderare, eppure proprio questo aiuta a rendere accattivante la poetica del film. Gilliam lascia molti aspetti ambigui: compresa la possibilità che il protagonista, Cole, sia pazzo e soffra di allucinazioni. Questa tra l'altro è una possibile spiegazione di alcune assurdità che potrebbero confondere lo spettatore (ma qui non entro nella complessità della cosa).
Per parlare di questo film sottile e ambiguo, bisogna per forza anticiparne la trama e raccontarne un poco di storia (se non conoscete il film correte a vederlo anziché leggere questo post). L'esercito delle Dodici Scimmie è un'incursione nel cinema più convenzionale (ma fino a un certo punto!) da parte del controverso e anticonformista Terry Gilliam, che si è trovato a dirigere un cast di tutto rispetto (Bruce Willis, Brad Pitt e Madeleine Stowe). Per Brad e Bruce è stata una rara occasione di interpretare un ruolo con una vera profondità, perciò immagino che se la siano spassata. Il regista a quanto pare un po' meno, perché ha insistito per fare a modo suo tra i commenti sempre più orripilati dei produttori, convinti che stesse per portare in vita uno dei più bizzarri flop della storia del cinema. Non è stato così per fortuna, per quanto mi ricordo che quando uscii dalla sala dopo averlo visto (oltre 10 anni fa!) udivo i commenti di un sacco di gente che si lamentava di non averci capito nulla... e me la ridevo: non che io sia per i film estremamente cervellotici, ma non amo neanche gli spettatori pigri che stentano a sforzare un minimo l'intelligenza.
Il film si apre con la visione di un futuro oscuro e disperato: una malattia ha costretto l'umanità a sigillarsi in un grande rifugio sotterraneo (immagino che ce ne possano essere diversi in giro per il mondo, ma nella scena iniziale ci troviamo dalla parti di Philadelphia, USA). Il protagonista Cole (Bruce Willis) si trova in un carcere per qualche ignoto crimine, ma viene inviato come "volontario" sulla superficie per portare campioni di forme viventi agli scienziati: essi se ne servono per cercare una cura contro il virus che rende la terra inabitabile.
In seguito, Cole viene mandato nel... passato, mediante una macchina del tempo piuttosto capricciosa, che lo manda in un' epoca sbagliata e non nel 1996 (anno dell'epidemia). Compito di Cole è trovare un esemplare del virus nella sua forma originale (poiché ha subito delle mutazioni in seguito) perciò serve che lo trovi proprio nel periodo in cui venne diffuso. Fermare la malattia prima che nasca è impossibile perché il passato non si può alterare. E uno dei pochi indizi è un messaggio vocale misterioso: la responsabilità del disastro è dell'Esercito delle Dodici Scimmie.
In vari tentativi Cole riesce a mettersi nei guai (finendo in manicomio), fa la conoscenza di Jeffrey (Brad Pitt), un lunatico ecologista fanatico, il cui padre è un celebre virologo (e dal cui laboratorio il virus mortale sta in effetti per fuoriuscire, nelle mani del fanatico dott. Peters). In manicomio la dottoressa Railly (Madeleine Stowe) interroga per la prima volta Cole, credendolo pazzo (e la follia presunta di Cole rimarrà un tema del film). In seguito la dottoressa avrà dubbi sempre più angosciosi, mentre Cole comincerà a credere meno alla sua spedizione (nonostante l'incontro con dei bizzarri personaggi lo convinca che gli scienziati dal futuro lo stanno tenendo sotto controllo).
L'indagine sull'Esercito delle Dodici Scimmie sembra decisiva perché Cole scopre che Jeffrey ne è il capo, ma alla fine non porterà da nessuna parte. La dottoressa Railly e Cole decidono di eclissarsi, non sapendo se la catastrofe ci sarà, ma proprio all'aeroporto incontrano il dottor Peters, e riescono a capire da indizi precedenti che si tratta dell'untore, che sta partendo per diffondere il virus per il mondo. Dal futuro, compare uno dei compagni di cella di Cole e gli consegna una pistola. Cole cerca di fermare il dott. Peters e viene abbattuto dalla sicurezza dell'aeroporto, cadendo mentre un bambino lo guarda: è lui stesso, che aveva più volte ricordato quella scena. Da bambino (prima dell'epidemia) aveva viaggiato da quell'aeroporto e si era visto morire.
Il film è volutamente enigmatico, comunque la sua coerenza scientifica, o meglio fantascientifica, fa acqua. Tenta di evitare il paradosso temporale presentando un ciclo che si chiude in un tempo che rimane inalterato (Cole ha visto la sua morte, e inevitabilmente morirà). Ma il paradosso rimane: la dott. Railly si convince della possibilità che ci sia del vero nella futura minaccia di cui Cole parla, proprio per via di eventi e testimonianze legate ai viaggi nel tempo. Pertanto il tempo non è rimasto inalterato. Il messaggio vocale che accusa l'Esercito delle Dodici Scimmie viene lasciato dalla Railly nella segreteria telefonica messa a disposizione di Cole per poter lasciare messaggi agli scienziati nel futuro (possono monitorarla, chissà come...); tale messaggio viene dato a Cole come indizio per iniziare l'indagine, ma l'indizio è stato costruito a seguito dell'indagine stessa ovvero senza aver conosciuto Cole la dottoressa non lo avrebbe lasciato! E ancora, gli scienziati che controllano Cole dal futuro, loro che dovrebbero sapere se il destino si può cambiare o no con un viaggio nel tempo, spingono il protagonista a tentare disperatamente di fermare l'untore. Oppure vogliono solo togliere Cole di mezzo spingendolo a farsi uccidere dalla polizia. Ma perché?
I viaggi nel tempo, quindi, aprono inevitabilmente dei problemi di logica in una storia. Tuttavia la ricerca che parte da pochi brandelli di informazione, svolta da un uomo solo e sempre più in difficoltà, è uno degli aspetti più emozionanti del film. Il tentativo di cambiare quello che è stato rimane una chiave di lettura interessantissima.
Il tutto, però, si muove nell'atmosfera di follia che rende lecito dubitare di ogni fatto. Cole così potrebbe essere semplicemente un pazzo che crede di venire dal futuro? Ma anche così non si spiegano molti fatti.
Fantascienza o no, con i mille dubbi che pone L'Esercito delle Dodici Scimmie rimane uno dei film più affascinanti che io abbia mai visto. Ancora una volta, non è la storia in sé, ma come la si racconta a fare tutta la differenza.
Una pagina sulle anomalie temporali: si parla, fra tanti argomenti, dell'Esercito delle 12 Scimmie
Un sito dedicato al film.
Un altro sito dedicato a questo film.
venerdì 2 gennaio 2009
Earthsea
La mia lettura natalizia è stata Il Mago di Earthsea, di Ursula Le Guin: il primo romanzo di una fortunata serie, roba di oltre 40 anni fa, ormai. Ho avuto il piacere di leggerlo nella raccolta dell'Editrice Nord, con una copertina, un'illustrazione interna e una mappa molto belle (per la mappa c'è un po' da sforzare la vista, però, e quella che compare qui... è un'altra).
La prima cosa che mi è saltata all'occhio è lo stile. Chi pubblicherebbe la Le Guin, oggi, se si presentasse con questo gioiello del fantasy? Nessuno, perché generalmente compie l'errore più imperdonabile: non usa lo show don't tell, ovvero racconta ciò che i protagonisti fanno e vedono come narratrice esterna alla scena, anziché mostrarcelo all'interno di un'azione dal punto di vista dei personaggi.
Ma, siccome non ho il pallino dello show don't tell a tutti i costi, io ho molto apprezzato il tono epico di questa narrazione affascinante eppure tutto sommato semplice, e l'ambientazione originale: Earthsea è un vasto arcipelago, abitato da popoli piuttosto primitivi con varie caratteristiche culturali e razziali ma che non ricalcano la storia e l'etnografia terrestri. La Le Guin inoltre dimostra con questo romanzo che si può raccontare bene una storia (sia pure, ripeto, di complessità non eccessiva) in sole 150 pagine.
La magia con i suoi caposaldi (la conoscenza del vero nome delle cose e degli esseri viventi, l'uso dell'antica lingua) e le sue varie categorie (illusione, legamento, trasformazione ecc...) mi è parsa molto interessante, è un po' l'aspetto più rilevante di questa ambientazione, stimolante ancora oggi quando su magia e sistemi magici sono state fatte tante elucubrazioni. Meno piacevole per me, la presenza di una scuola di magia con materie e insegnanti ecc... Innanzitutto non è il mio modo di concepire questa scienza che è anche un'arte, in secondo luogo mi rammenta troppo gli innumerevoli autori (successivi, beninteso) che hanno ricalcato la cosa. Il protagonista arriva alla scuola di magia, incontra un ambiente abbastanza amico, ma c'è un altro allievo di origine privilegiata che senza motivo comincia ad angariarlo... un tema scritto e riscritto, talvolta anche bene, però l'ho visto un po' troppe volte (Harry Potter ma anche Il Nome del Vento...). Ma passiamo oltre.
Ged, il nostro ragazzo aspirante mago, viene spinto dal rivale Diaspro (e prima di lui dalla figlia del signore di Re Albi) a esagerare con le sue prodezze di talento naturale, e per questo suo errore di immaturità (che in effetti non suscita molto la mia simpatia) sarà condannato a una sfida che sa di lotta archetipale, primordiale. Bella la battaglia che fa maturare questo ragazzo, belli i viaggi nel mare misterioso e pericoloso, interessante la concezione che non si può compiere, in magia, un'azione senza che abbia delle conseguenze.
Un vero classico, insomma: senz'altro avrei dovuto godermelo prima.