Cory Doctorow è una specie di opinion maker (blogger, scrittore, giornalista e via dicendo) che si è distinto per le lotte a favore della libertà dell'informazione, ovvero a favore di filsharing e contro il copyright. O forse così la metto troppo dura, diciamo che ha discusso le molte alternative possibili per la gestione dei diritti digitali, da un punto di vista libertario che io personalmente non condivido; anche se è doveroso ammettere che non sono privo di peccato su questo aspetto.
Il suo romanzo breve Infoguerra (After the Siege) edito da Delos Books parla di libertà digitale, di una città dove si vive meravigliosamente con la produzione di tutti i beni possibili (qui si "stampano" vestiti, si produce ottimo cibo con macchine ecc...) in virtù della libertà di informazione.
Passiamo alla trama, che sto per spoilerare a morte (se non vi va, saltate al prossimo paragrafo, grazie). Valentina, la protagonista, vive con la madre, il padre e un fratellino in un appartamento, e gode di questa abbondanza (la vediamo assieme a un'amica approfittare di questo bengodi dei consumi). Però ci sono i cattivi, quelli che vogliono le royalties, e dichiarano guerra alla città della libera informazione. In breve tempo tutta l'abbondanza sparisce e la vita diventa grama. Ci sono bombardamenti, combattimenti, un autentico assedio e trincee da scavare. Nelle trincee il padre di Valentina muore, lei non ha più la bella vita di prima e deve fare dei lavori stancanti per la comunità: finisce per vedere raramente la madre (che è andata a combattere) e il fratello, perde le amicizie. Poi ci sono i razionamenti sempre più severi, i virus mandati dal nemico per trasformare la gente in zombi, e altri orrori. Valentina fa una vita durissima, ormai, la sua infanzia è finita in un incubo. La aiuta il Mago, personaggio ambiguo e ipocrita che le dà cibo e vestiti: Valentina sospetta che sia una spia ma in realtà rappresenta il mondo dell'informazione (documentaristi e reporter). Questo personaggio sembra al di sopra delle parti ma in realtà è piuttosto losco, e forse non neutrale come vorrebbe far sembrare, e la sua è una generosità pelosa. La madre di Valentina fraintende i doni ricevuti dalla ragazzina, pensa che si sia prostituita. Ma alla fine la ragazza farà in modo che la comunità prenda al Mago un segreto (una specie di "antivirus") che permetterà di sconfiggere le armi e le insidie del nemico e di far terminare la guerra con una vittoria.
Testo scorrevole e a volte suggestivo, ma finale irrealistico e melenso, anche illogico (se la metafora della storia deve rispettare i rapporti di forza e i ruoli esistenti). Morale: Infoguerra è una favoletta fortunatamente breve ma purtroppo sciocca, che banalizza un tema difficile, tema che sarebbe invece meritevole di approfondimento. Certamente le soluzioni non arriveranno da questo raccontino, e nemmeno una maggior consapevolezza sul problema. Se poi Doctorow abbia detto qualcosa di importante in altri contesti, non lo so, certamente dopo questa lettura le mie aspettative si sono abbassate di diversi gradini.
Sulla Biblioteca Galattica un'altra recensione più generosa ma che esprime più o meno le mie stesse perplessità.
lunedì 30 aprile 2012
mercoledì 25 aprile 2012
The Avengers
Come inevitabile, sono andato a vedere il film appena è uscito nelle sale. La cosa che mi incuriosiva di più era vedere come avrebbe fatto il regista Joss Whedon a gestire così tanti personaggi senza dimenticarsene... qualcuno per strada. E magari dando a ciascuno la giusta dose di protagonismo. In The Avengers, straordinariamente, questo equilibrio viene raggiunto, e anche i comprimari degli eroi hanno i loro momenti (SPOILER: per qualcuno è l'ultimo).
Il film è spettacolare, spumeggiante, anche se c'è una lunga serie di eventi che portano alla grande battaglia finale, dando spazio allo sviluppo di storia e personaggi. Le frizioni che portano discordia nel gruppo degli eroi (che hanno qualche difficoltà a collaborare, essendo tutti quanti dei tipi piuttosto fuori dall'ordinario) ci risparmiano generalmente le solite esagerazioni all'americana. Pertanto un buon equilibrio narrativo, grande spettacolo senza perdere il filo del discorso, e il tutto punteggiato da battute divertenti, ironia e autoironia da parte un po' di tutti i personaggi. Quindi, sia pure con l'ovvia avvertenza che i prodotti di questo tipo di cinema hanno un certo stile e struttura da cui non si sfugge, roba che può anche stancare alla lunga, non posso che consigliare questo film. Credo che il regista abbia fatto un gran bel lavoro, quasi il migliore possibile. Nota: dopo i titoli di coda c'è un accenno ad altri cattivoni di là da venire, quindi alla fine del film rimanete un altro minutino con il posteriore sulla poltrona.
Da qui in poi un paio di riflessioni che forse è meglio leggere dopo aver visto il film per non avere anticipazioni. Il personaggio di Loki, con le sue ambiguità e la sua "filosofia" condita di ironico disprezzo per tutto e tutti, parte alla grande, all'inizio. Dopo un po' purtroppo il cattivo viene smontato, sia perché tutti gli dicono che ha messo in piedi un pasticcio che non sa dove potrà finire (con il furto del cubo magico, il Tesseract). Alla fine diventa praticamente un povero idiota che ha iniziato un'invasione di forze che non controlla, e viene sbaragliato come un pagliaccio. Penso che Loki meritasse un trattamento migliore, anche per il bene della storia; sembra che il piano così ben congegnato all'inizio per sfogare i suoi rancori non portasse in realtà molto lontano.
Altri dettagli personali degli eroi (la nota rossa in "pagella" della Vedova Nera) vengono appena accennati, sembra che siano temi destinati a giocare un ruolo nella storia, e poi invece non ne segue niente. Vedremo forse in un prossimo episodio se questi accenni si svilupperanno?
Ultima osservazione: Thor alla fine del film dedicato a lui era rimasto imprigionato in Asgard o mi sbaglio? Se è così, o mi sono perso un pezzo, distraendomi durante The Avengers, o questo problema è stato semplicemente ignorato.
Il film è spettacolare, spumeggiante, anche se c'è una lunga serie di eventi che portano alla grande battaglia finale, dando spazio allo sviluppo di storia e personaggi. Le frizioni che portano discordia nel gruppo degli eroi (che hanno qualche difficoltà a collaborare, essendo tutti quanti dei tipi piuttosto fuori dall'ordinario) ci risparmiano generalmente le solite esagerazioni all'americana. Pertanto un buon equilibrio narrativo, grande spettacolo senza perdere il filo del discorso, e il tutto punteggiato da battute divertenti, ironia e autoironia da parte un po' di tutti i personaggi. Quindi, sia pure con l'ovvia avvertenza che i prodotti di questo tipo di cinema hanno un certo stile e struttura da cui non si sfugge, roba che può anche stancare alla lunga, non posso che consigliare questo film. Credo che il regista abbia fatto un gran bel lavoro, quasi il migliore possibile. Nota: dopo i titoli di coda c'è un accenno ad altri cattivoni di là da venire, quindi alla fine del film rimanete un altro minutino con il posteriore sulla poltrona.
Da qui in poi un paio di riflessioni che forse è meglio leggere dopo aver visto il film per non avere anticipazioni. Il personaggio di Loki, con le sue ambiguità e la sua "filosofia" condita di ironico disprezzo per tutto e tutti, parte alla grande, all'inizio. Dopo un po' purtroppo il cattivo viene smontato, sia perché tutti gli dicono che ha messo in piedi un pasticcio che non sa dove potrà finire (con il furto del cubo magico, il Tesseract). Alla fine diventa praticamente un povero idiota che ha iniziato un'invasione di forze che non controlla, e viene sbaragliato come un pagliaccio. Penso che Loki meritasse un trattamento migliore, anche per il bene della storia; sembra che il piano così ben congegnato all'inizio per sfogare i suoi rancori non portasse in realtà molto lontano.
Altri dettagli personali degli eroi (la nota rossa in "pagella" della Vedova Nera) vengono appena accennati, sembra che siano temi destinati a giocare un ruolo nella storia, e poi invece non ne segue niente. Vedremo forse in un prossimo episodio se questi accenni si svilupperanno?
Ultima osservazione: Thor alla fine del film dedicato a lui era rimasto imprigionato in Asgard o mi sbaglio? Se è così, o mi sono perso un pezzo, distraendomi durante The Avengers, o questo problema è stato semplicemente ignorato.
domenica 22 aprile 2012
Al Servizio del TBII
Speravo un po' meglio, quando ho iniziato questo Urania. Joe Haldeman è uno dei miei autori di fantascienza preferita, per via della lettura (giovanile) di Guerra Eterna. In questo Al Servizio del TB II che poi in inglese sarebbe All my sins remembered, Haldeman ci propone una serie di episodi legati da un solo filo conduttore: il protagonista, Otto, è un agente segreto che agisce sotto ipnosi agli ordini del TB II, una specie di servizio segreto della (consueta) Confederazione intergalattica. Il TB II è un ente che indaga sui crimini più pericolosi a tutela della libertà sui pianeti, e tutela (soprattutto) il proprio potere, ammazzando un sacco di gente se occorre.
[Da qui in poi qualche anticipazione di trama]. La particolarità è che gli agenti si devono infiltrare nelle file nemiche, impersonando comandanti o personaggi di spicco. Proprio quello che ci vuole per lasciarci la pelle, perché nonostante le tecniche avanzate di chirurgia plastica e ipnosi, non è semplice ingannare tutti. Inoltre l'inganno si basa sul prendere il posto di personaggi che vengono imprigionati o fatti sparire, o che comunque dovrebbero essere fuori dal gioco almeno per un po'. Guarda caso, al nostro Otto capita che i suoi "doppi" saltino fuori di nuovo, magari nel momento meno opportuno. Ne derivano situazioni rocambolesche, imprigionamenti e talvolta torture, ma Otto alla fine porta a termine (quasi) sempre la missione con successo.
Comunque il protagonista è a sua volta una vittima, un burattino, condizionato a fare cose che la sua morale non gli consentirebbe: faccenda che tornerà nel finale. Insomma: sporco lavoro al servizio dello sporco potere, il che non è una novità, ma il libro è del 1977 e bisogna magari anche "contestualizzare."
Qualche volta si sentono le atmosfere di Guerra Eterna, ma in fin dei conti questo romanzo è solo una serie di racconti d'azione in mezzo a situazioni strane, coloni dagli strani costumi che si trovano nei pianeti più strani, e alieni con un sacco di caratteristiche bizzarre e incredibili. Brutto? No, direi piuttosto che è fantascienza da ombrellone.
[Da qui in poi qualche anticipazione di trama]. La particolarità è che gli agenti si devono infiltrare nelle file nemiche, impersonando comandanti o personaggi di spicco. Proprio quello che ci vuole per lasciarci la pelle, perché nonostante le tecniche avanzate di chirurgia plastica e ipnosi, non è semplice ingannare tutti. Inoltre l'inganno si basa sul prendere il posto di personaggi che vengono imprigionati o fatti sparire, o che comunque dovrebbero essere fuori dal gioco almeno per un po'. Guarda caso, al nostro Otto capita che i suoi "doppi" saltino fuori di nuovo, magari nel momento meno opportuno. Ne derivano situazioni rocambolesche, imprigionamenti e talvolta torture, ma Otto alla fine porta a termine (quasi) sempre la missione con successo.
Comunque il protagonista è a sua volta una vittima, un burattino, condizionato a fare cose che la sua morale non gli consentirebbe: faccenda che tornerà nel finale. Insomma: sporco lavoro al servizio dello sporco potere, il che non è una novità, ma il libro è del 1977 e bisogna magari anche "contestualizzare."
Qualche volta si sentono le atmosfere di Guerra Eterna, ma in fin dei conti questo romanzo è solo una serie di racconti d'azione in mezzo a situazioni strane, coloni dagli strani costumi che si trovano nei pianeti più strani, e alieni con un sacco di caratteristiche bizzarre e incredibili. Brutto? No, direi piuttosto che è fantascienza da ombrellone.
sabato 21 aprile 2012
Diaz - Non pulire questo sangue (off topic)
Se vi invito ad andare a vedere questo film, lo faccio per l'apprezzamento dell'intenzione più che del risultato, tuttavia Diaz - Non pulire questo sangue ha un suo fascino di film d'impegno civile che riesce a non essere noioso, almeno per una parte della sua durata, e a mantenere una certa tensione nei momenti topici. Il film è basato sugli atti giudiziari relativi ai fatti del G8 di Genova (irruzione nella scuola Diaz, fatti della caserma di Bolzaneto).
Punto che poteva esser forte del film, ma non lo è, è la coralità della storia. Diaz segue il punto di vista di poliziotti, giornalisti, operatori del Social Forum, anarchici dei black bloc, gente che finisce in mezzo ai guai per caso. Ci sono quindi molti punti di vista, che servono a raccontare la storia nelle sue varie sfaccettature (e anche quello che successe nei giorni precedenti). Alla fine però la maggior parte di questi personaggi avranno troppo poco tempo sullo schermo: sono davvero troppi.
Il film parte dai fatti che precedono l'incursione alla scuola Diaz, quando il G8 di Genova sta già terminando e il suo momento di sangue (con la morte di un manifestante) si è già verificato. Dopo l'inaspettata irruzione nella scuola vengono mostrati i fatti della caserma di Bolzaneto e le violenze ai danni degli arrestati. Segue la liberazione (e l'espulsione di molti di questi in quanto stranieri). Non posso dire io al regista di cosa si doveva occupare, ma un film che rappresentasse più in generale gli eventi e le ragioni del contendere mi sarebbe stato più gradito di due ore dove trionfano le manganellate della polizia. Manca un po' la storia, si dà troppo per scontato che tutti la sappiano.
Cosa dire della regia (di Daniele Vicari)? buone molte scene d'azione, restano i limiti che ho già espresso. La scarsità del tempo dedicato a ciascun personaggio fa sì che mi siano rimasti in mente pochi attori. Segnalerei una decente interpretazione di Claudio Santamaria nei panni di un ufficiale della polizia, e Jennifer Ulrich nei panni di una manifestante tedesca che viene percossa, denudata, umiliata e offesa nella caserma di Bolzaneto.
Curiosità: me ne sono andato a guardare un po' di recensioni in inglese per capire se questo film può avere un futuro fuori dall'ambito italiano (o al limite delle altre nazioni che hanno partecipato alla produzione, ma credo che la Romania sia dentro solo per questioni di taglio dei costi). Ecco quindi il riassunto in breve di alcune recensioni:
The Hollywood Reporter: un film per la TV molto gonfiato ma che mostra chiaramente i suoi limiti. Troppo lungo, male strutturato, con pochissime prospettive commerciali fuori dall'Italia. Dopo due ore di film non sappiamo esattamente di chi è la colpa per l'orrenda aggressione della polizia (interessante osservazione, dico io, ma forse era impossibile dare una risposta precisa, per un film che si basa su atti giudiziari). Troppe immagini sgranate e telecamera mossa. La scena della bottiglia che carambola e cade a terra mostrata come simbolo di un incidente che scatena la tragedia è davvero una disgrazia visto che il frantumarsi della bottiglia è mostrato con pessima computer grafica a buon mercato (ultimo tocco feroce, temo che ci possa stare).
Variety: (un altro recensore che prevede l'insuccesso). Vicari esagera nella sua ricostruzione fino a martellare lo spettatore nel tedio piuttosto che farlo sentire oltraggiato dagli eventi. Manca lo scenario, specialmente riguardo ai black bloc che vengono mostrati. Il film fa venir voglia di capire ma offre poche spiegazioni.
Screendaily: scarsa e isterica la regia. Tutta la violenza mostrata rischia di attirare il pubblico sbagliato e trasformare questa pellicola in un fenomeno da baraccone. Tutto il bene da una parte (i dimostranti sono buoni) e trutto il male dall'altra (con scarsissime eccezioni i poliziotti sono sadici sanguinari) in una generalizzazione fin troppo estrema. La storia seguendo vari punti di vista si muove in maniera non lineare e confusa.
Cineuropa: il regista è padrone del linguaggio cinematografico e mescola immagini di repertorio, ricostruzione storica e narrazione per raccontare l'incontro di diversi personaggi in quei momenti fatali. Riesce a narrare una storia che coinvolge lo spettatore e lo riempie di indignazione, senza alcuno sbilanciamento ideologico.
A parte una recensione decisamente positiva, vengono attribuiti molti difetti a questo film. In parte ci vedo del pregiudizio ideologico, in parte la consueta scarsa capacità del cinema italiano di farsi capire e apprezzare. Molte critiche le condivido.
Nel caso che passi di qui qualcuno che ha visto il film, la sua opinione è benvenuta.
Punto che poteva esser forte del film, ma non lo è, è la coralità della storia. Diaz segue il punto di vista di poliziotti, giornalisti, operatori del Social Forum, anarchici dei black bloc, gente che finisce in mezzo ai guai per caso. Ci sono quindi molti punti di vista, che servono a raccontare la storia nelle sue varie sfaccettature (e anche quello che successe nei giorni precedenti). Alla fine però la maggior parte di questi personaggi avranno troppo poco tempo sullo schermo: sono davvero troppi.
Il film parte dai fatti che precedono l'incursione alla scuola Diaz, quando il G8 di Genova sta già terminando e il suo momento di sangue (con la morte di un manifestante) si è già verificato. Dopo l'inaspettata irruzione nella scuola vengono mostrati i fatti della caserma di Bolzaneto e le violenze ai danni degli arrestati. Segue la liberazione (e l'espulsione di molti di questi in quanto stranieri). Non posso dire io al regista di cosa si doveva occupare, ma un film che rappresentasse più in generale gli eventi e le ragioni del contendere mi sarebbe stato più gradito di due ore dove trionfano le manganellate della polizia. Manca un po' la storia, si dà troppo per scontato che tutti la sappiano.
Cosa dire della regia (di Daniele Vicari)? buone molte scene d'azione, restano i limiti che ho già espresso. La scarsità del tempo dedicato a ciascun personaggio fa sì che mi siano rimasti in mente pochi attori. Segnalerei una decente interpretazione di Claudio Santamaria nei panni di un ufficiale della polizia, e Jennifer Ulrich nei panni di una manifestante tedesca che viene percossa, denudata, umiliata e offesa nella caserma di Bolzaneto.
Curiosità: me ne sono andato a guardare un po' di recensioni in inglese per capire se questo film può avere un futuro fuori dall'ambito italiano (o al limite delle altre nazioni che hanno partecipato alla produzione, ma credo che la Romania sia dentro solo per questioni di taglio dei costi). Ecco quindi il riassunto in breve di alcune recensioni:
The Hollywood Reporter: un film per la TV molto gonfiato ma che mostra chiaramente i suoi limiti. Troppo lungo, male strutturato, con pochissime prospettive commerciali fuori dall'Italia. Dopo due ore di film non sappiamo esattamente di chi è la colpa per l'orrenda aggressione della polizia (interessante osservazione, dico io, ma forse era impossibile dare una risposta precisa, per un film che si basa su atti giudiziari). Troppe immagini sgranate e telecamera mossa. La scena della bottiglia che carambola e cade a terra mostrata come simbolo di un incidente che scatena la tragedia è davvero una disgrazia visto che il frantumarsi della bottiglia è mostrato con pessima computer grafica a buon mercato (ultimo tocco feroce, temo che ci possa stare).
Variety: (un altro recensore che prevede l'insuccesso). Vicari esagera nella sua ricostruzione fino a martellare lo spettatore nel tedio piuttosto che farlo sentire oltraggiato dagli eventi. Manca lo scenario, specialmente riguardo ai black bloc che vengono mostrati. Il film fa venir voglia di capire ma offre poche spiegazioni.
Screendaily: scarsa e isterica la regia. Tutta la violenza mostrata rischia di attirare il pubblico sbagliato e trasformare questa pellicola in un fenomeno da baraccone. Tutto il bene da una parte (i dimostranti sono buoni) e trutto il male dall'altra (con scarsissime eccezioni i poliziotti sono sadici sanguinari) in una generalizzazione fin troppo estrema. La storia seguendo vari punti di vista si muove in maniera non lineare e confusa.
Cineuropa: il regista è padrone del linguaggio cinematografico e mescola immagini di repertorio, ricostruzione storica e narrazione per raccontare l'incontro di diversi personaggi in quei momenti fatali. Riesce a narrare una storia che coinvolge lo spettatore e lo riempie di indignazione, senza alcuno sbilanciamento ideologico.
A parte una recensione decisamente positiva, vengono attribuiti molti difetti a questo film. In parte ci vedo del pregiudizio ideologico, in parte la consueta scarsa capacità del cinema italiano di farsi capire e apprezzare. Molte critiche le condivido.
Nel caso che passi di qui qualcuno che ha visto il film, la sua opinione è benvenuta.
venerdì 20 aprile 2012
Tentativi di rimonta del cinema italiano? (Off Topic)
Segnalo questa intervista all'attore Vinicio Marchioni, noto per aver ricoperto uno dei ruoli principali nella fiction Romanzo Criminale (noto per chi se l'è vista ovviamente), e per alcuni film. Le opinioni che esprime sul cinema risuonano un po' come tante cose che si sentono sull'editoria. La colpa della mala parata del cinema italiano di qualità è delle case distributrici o no, quali sono le responsabilità del pubblico e dei suoi gusti, e così via. Citando tre film (Diaz, Romanzo di una Strage e I Più Grandi di Tutti) l'attore dice che questa volta le copie della pellicole erano sufficienti per una robusta distribuzione, ma non c'è stato il successo. Perché dopo una sola settimana, se non "tirano," i film vengono tolti dalle sale: quindi il pubblico italiano ignora che, se non fa in fretta ad andarli a vedere, li perde (e ne decreta la scomparsa). Insomma una critica contro l'esterofilia del nostro pubblico, più una frecciata contro i produttori (certe cose che magari potrebbero anche fare successo i registi non le provano perché sanno che non gliele producono).
Mi trovo d'accordo con alcune delle affermazioni di Marchioni (che il cinema debba essere anche intrattenimento, ad esempio, per quanto la volgarità in cui spesso si va a cadere scoraggi Marchioni quanto il sottoscritto...). Anche sulla necessità di avere dei "bravi confezionatori," gente capace di lavorare con professionalità qualsiasi materiale, anche modesto.
Su altre non sono d'accordo. Ad esempio, l'affermazione che ci siano tanti attori e tutti bravi in Italia: io vedo spesso difficoltà recitative anche serie, quando mi prendo il disturbo di andare a vedere un film italiano. E la tendenza a buttare colpe (o meglio, corresponsabilità) sul pubblico. Io riconosco che qualche volta si senta aria nuova nel nostro cinema. Ma, non ce lo dimentichiamo, ci è stata rifilata della roba imbarazzante per troppo tempo.
Quanto alle nuove uscite che "purtroppo" non hanno sfondato, ho visto Diaz e cercherò di parlarne nei prossimi giorni...
Mi trovo d'accordo con alcune delle affermazioni di Marchioni (che il cinema debba essere anche intrattenimento, ad esempio, per quanto la volgarità in cui spesso si va a cadere scoraggi Marchioni quanto il sottoscritto...). Anche sulla necessità di avere dei "bravi confezionatori," gente capace di lavorare con professionalità qualsiasi materiale, anche modesto.
Su altre non sono d'accordo. Ad esempio, l'affermazione che ci siano tanti attori e tutti bravi in Italia: io vedo spesso difficoltà recitative anche serie, quando mi prendo il disturbo di andare a vedere un film italiano. E la tendenza a buttare colpe (o meglio, corresponsabilità) sul pubblico. Io riconosco che qualche volta si senta aria nuova nel nostro cinema. Ma, non ce lo dimentichiamo, ci è stata rifilata della roba imbarazzante per troppo tempo.
Quanto alle nuove uscite che "purtroppo" non hanno sfondato, ho visto Diaz e cercherò di parlarne nei prossimi giorni...
domenica 15 aprile 2012
Terry Gilliam, l'artista
A gennaio scrivevo di non aver visto tutti i film di Terry Gilliam: alla lacuna ho rimediato, con piacere. Ammetto che l'idea di scriverne qui mi ha dato la spinta per fare una cosa che, seppur piacevole, rimandavo sempre.
Quello che amo di Gilliam, oltre ai momenti di divertimento di cui si può godere coi suoi film, è la volontà di dare uno sguardo diverso al mondo, filtrandolo attraverso l'immaginario, il magico e il surreale. Questo potrebbe essere il lavoro di qualsiasi cantastorie, ma in un mondo in cui si viene condizionati continuamente è quasi rivoluzionario.
La modernità non è fatta soltanto di tecnologie: così come si è realizzata nel nostro mondo (occidentale, e ormai globale) ha un corredo di idee che devono diventare le tue a ogni costo. A modo suo, Gilliam fa dell'arte una guerriglia contro questo stato di cose, anche quando superficialmente sembra che tutto sia solo per ridere. Amo la maniera in cui distorce il reale in fantasia, quando immerge lo spettatore in un mondo folle o irreale, eppure confinante con il quotidiano. E lo fa quasi sempre infallibilmente e senza difficoltà.
Amo il suo modo di sbeffeggiare i meccanicismi mostruosi del potere e della burocrazia, e amo il suo rimanere individuo con delle idee proprie in un mondo "artistico" dove ci si imita a vicenda così spesso.
Allo stesso tempo apprezzo il fatto che Gilliam non sia un intellettualoide, uno di quelli che girano film per un circolo ristretto di acculturati dei festival (o addirittura, come succede in Italia, semplicemente per prendere contributi statali): a parte qualche eccezione in cui si è permesso di partire per la tangente (Tideland?) Gilliam cerca di dire la sua stando sul mercato internazionale, litigando per raccattare i fondi e i consensi, con l'obiettivo di piacere al pubblico e il dovere di far contenti i produttori di Hollywood.
Non condivido necessariamente tutti i messaggi o tutto lo stile di questo regista, non sono un suo "fan," però lo ritengo uno dei più grandi registi viventi, e nell'ambito del fantastico non vedo nessuno che potrebbe essergli superiore. Difficilmente, se amate il fantsy o il fantastico in generale, vi troverete a sottovalutare il lavoro di questo artista. Probabilmente, se siete qui, lo rispettate quanto me.
Faccio qui un accenno a tutti i rimanenti film di Gilliam (esclusi quelli con il gruppo dei Monty Python) cui non ho dedicato un post in questo blog:
I Banditi del Tempo (1981) ha come protagonista un ragazzino (ahimé) che viene coinvolto da sei stravaganti personaggi in una serie di avventure che spaziano in diversi luoghi ed epoche. Questi "banditi del tempo" sono sei nani che si occupano di riparare i piccoli difetti del continuum spaziotemporale per conto dell'Essere Supremo (Dio, o qualcosa di molto simile); approfittano delle loro conoscenze, e della mappa del creato, per commettere dei furti e vivere alla grande. Ma c'è anche il Male che vuole la loro mappa...Tutto sommato un film abbastanza divertente, fantasioso e ingegnoso, sebbene realizzato con mezzi piuttosto scarsi.
La Leggenda del Re Pescatore (del 1991) con Robin Williams e Jeff Bridges, è un film ambientato a New York. Non carente di elementi fantastici, ma una ricerca del Sacro Graal in terra americana mi ha convinto poco (e vari elementi delal trama mi paiono deboli). Ha avuto successo e vinto dei bei premi, comunque. Gilliam non ha avuto alcuna influenza nella sceneggiatura, e questo secondo me spiega qualcosa (o per lo meno, spiega perché il film non sia particolarmente piaciuto a me).
I Fratelli Grimm e l'Incantevole Strega (del 2005) non è il miglior film di Gilliam, a mio parere non è nemmeno bruttissimo anche se il tocco magico del regista è piuttosto indebolito (vedi sotto). La storia, che ci porta in una Germania ottocentesca sotto l'occupazione napoleonica, ha come protagonisti i fratelli Will e Jacob Grimm, rispettivamente Matt Damon e Heath Ledger. Il loro mestiere è un po' quello di fare i "ghostbusters" dell'epoca, inscenando trucchi da prestigiatori e complicate pagliacciate per far credere alla gente di aver sconfitto spiriti o presenze demoniache. Will è perfettamente a suo agio in questo ruolo prosaico da imbroglione, il frattello invece crede che nelle leggende e nelle favole ci sia del vero. Avranno modo di sperimentarlo quando verranno catturati dai francesi: sono spediti a Marbaden, villaggio sperduto dove si trova una temibile foresta misteriosa (e nove ragazzine sono già scomparse). In un'antica torre una regina che si era rifugiata durante una pestilenza del passato esercita ancora un'influenza mefitica: sarà vero? Riferimenti a tante favole ed elementi di folklore, il sarcasmo di Gilliam sui dominatori francesi, alcune belle scene in costume: ma c'è qualcosa che ingrana poco. Gilliam, costretto a sopportare continue intrusioni da parte dei produttori, ha dichiarato che alla fine il film non è quello che volevano loro, ma nemmeno quello che voleva lui. Penso che sia proprio questo che ha creato un insieme non del tutto amalgamato. Accoglienza di critica e pubblico non entusiastica, bilancio economico tutto sommato in attivo, io da semplice spettatore dico che tutto sommato si può apprezzare.
Paura e Delirio a Las Vegas (1998) parla di un giornalista sportivo (interpretato da Johnny Depp) e il suo associato che vanno nella città dei divertimenti per coprire un evento. Ci vanno con un rifornimento di droghe abbondante e ben assortito, e passano tutto il tempo fuori di testa, tra allucinazioni psichedeliche e malinconie post sessantottine (un passatempo che a quanto pare non si pratica solo in Italia). E' la trasposizione di un libro che era ritenuto assai difficile da trasformare in film: Gilliam ci ha provato ma non ce l'ha fatta a cogliere il successo. Però il film ha i suoi momenti, nelle crisi dei due protagonisti (c'è anche Benicio del Toro a far da spalla a Johnny Depp, nei panni del suo "avvocato samoano," personaggio incline al delirio paranoide dopo l'uso di sostanze stupefacenti) che scivolano nella follia lasciando una scia di stanze d'albergo allagate e devastate, e coinvolgendo gli estranei nei loro discorsi assurdi.
Gli articoli su Gilliam in questo blog:
Le Avventure del Barone di Munchausen
Jabberwocky
Tideland
Parnassus - L'Uomo che voleva ingannare il Diavolo
Brazil
L'Esercito delle Dodici Scimmie
E per finire il link a una intervista che ho trovato sul web.
Quello che amo di Gilliam, oltre ai momenti di divertimento di cui si può godere coi suoi film, è la volontà di dare uno sguardo diverso al mondo, filtrandolo attraverso l'immaginario, il magico e il surreale. Questo potrebbe essere il lavoro di qualsiasi cantastorie, ma in un mondo in cui si viene condizionati continuamente è quasi rivoluzionario.
La modernità non è fatta soltanto di tecnologie: così come si è realizzata nel nostro mondo (occidentale, e ormai globale) ha un corredo di idee che devono diventare le tue a ogni costo. A modo suo, Gilliam fa dell'arte una guerriglia contro questo stato di cose, anche quando superficialmente sembra che tutto sia solo per ridere. Amo la maniera in cui distorce il reale in fantasia, quando immerge lo spettatore in un mondo folle o irreale, eppure confinante con il quotidiano. E lo fa quasi sempre infallibilmente e senza difficoltà.
Amo il suo modo di sbeffeggiare i meccanicismi mostruosi del potere e della burocrazia, e amo il suo rimanere individuo con delle idee proprie in un mondo "artistico" dove ci si imita a vicenda così spesso.
Allo stesso tempo apprezzo il fatto che Gilliam non sia un intellettualoide, uno di quelli che girano film per un circolo ristretto di acculturati dei festival (o addirittura, come succede in Italia, semplicemente per prendere contributi statali): a parte qualche eccezione in cui si è permesso di partire per la tangente (Tideland?) Gilliam cerca di dire la sua stando sul mercato internazionale, litigando per raccattare i fondi e i consensi, con l'obiettivo di piacere al pubblico e il dovere di far contenti i produttori di Hollywood.
Non condivido necessariamente tutti i messaggi o tutto lo stile di questo regista, non sono un suo "fan," però lo ritengo uno dei più grandi registi viventi, e nell'ambito del fantastico non vedo nessuno che potrebbe essergli superiore. Difficilmente, se amate il fantsy o il fantastico in generale, vi troverete a sottovalutare il lavoro di questo artista. Probabilmente, se siete qui, lo rispettate quanto me.
Faccio qui un accenno a tutti i rimanenti film di Gilliam (esclusi quelli con il gruppo dei Monty Python) cui non ho dedicato un post in questo blog:
I Banditi del Tempo (1981) ha come protagonista un ragazzino (ahimé) che viene coinvolto da sei stravaganti personaggi in una serie di avventure che spaziano in diversi luoghi ed epoche. Questi "banditi del tempo" sono sei nani che si occupano di riparare i piccoli difetti del continuum spaziotemporale per conto dell'Essere Supremo (Dio, o qualcosa di molto simile); approfittano delle loro conoscenze, e della mappa del creato, per commettere dei furti e vivere alla grande. Ma c'è anche il Male che vuole la loro mappa...Tutto sommato un film abbastanza divertente, fantasioso e ingegnoso, sebbene realizzato con mezzi piuttosto scarsi.
La Leggenda del Re Pescatore (del 1991) con Robin Williams e Jeff Bridges, è un film ambientato a New York. Non carente di elementi fantastici, ma una ricerca del Sacro Graal in terra americana mi ha convinto poco (e vari elementi delal trama mi paiono deboli). Ha avuto successo e vinto dei bei premi, comunque. Gilliam non ha avuto alcuna influenza nella sceneggiatura, e questo secondo me spiega qualcosa (o per lo meno, spiega perché il film non sia particolarmente piaciuto a me).
I Fratelli Grimm e l'Incantevole Strega (del 2005) non è il miglior film di Gilliam, a mio parere non è nemmeno bruttissimo anche se il tocco magico del regista è piuttosto indebolito (vedi sotto). La storia, che ci porta in una Germania ottocentesca sotto l'occupazione napoleonica, ha come protagonisti i fratelli Will e Jacob Grimm, rispettivamente Matt Damon e Heath Ledger. Il loro mestiere è un po' quello di fare i "ghostbusters" dell'epoca, inscenando trucchi da prestigiatori e complicate pagliacciate per far credere alla gente di aver sconfitto spiriti o presenze demoniache. Will è perfettamente a suo agio in questo ruolo prosaico da imbroglione, il frattello invece crede che nelle leggende e nelle favole ci sia del vero. Avranno modo di sperimentarlo quando verranno catturati dai francesi: sono spediti a Marbaden, villaggio sperduto dove si trova una temibile foresta misteriosa (e nove ragazzine sono già scomparse). In un'antica torre una regina che si era rifugiata durante una pestilenza del passato esercita ancora un'influenza mefitica: sarà vero? Riferimenti a tante favole ed elementi di folklore, il sarcasmo di Gilliam sui dominatori francesi, alcune belle scene in costume: ma c'è qualcosa che ingrana poco. Gilliam, costretto a sopportare continue intrusioni da parte dei produttori, ha dichiarato che alla fine il film non è quello che volevano loro, ma nemmeno quello che voleva lui. Penso che sia proprio questo che ha creato un insieme non del tutto amalgamato. Accoglienza di critica e pubblico non entusiastica, bilancio economico tutto sommato in attivo, io da semplice spettatore dico che tutto sommato si può apprezzare.
Paura e Delirio a Las Vegas (1998) parla di un giornalista sportivo (interpretato da Johnny Depp) e il suo associato che vanno nella città dei divertimenti per coprire un evento. Ci vanno con un rifornimento di droghe abbondante e ben assortito, e passano tutto il tempo fuori di testa, tra allucinazioni psichedeliche e malinconie post sessantottine (un passatempo che a quanto pare non si pratica solo in Italia). E' la trasposizione di un libro che era ritenuto assai difficile da trasformare in film: Gilliam ci ha provato ma non ce l'ha fatta a cogliere il successo. Però il film ha i suoi momenti, nelle crisi dei due protagonisti (c'è anche Benicio del Toro a far da spalla a Johnny Depp, nei panni del suo "avvocato samoano," personaggio incline al delirio paranoide dopo l'uso di sostanze stupefacenti) che scivolano nella follia lasciando una scia di stanze d'albergo allagate e devastate, e coinvolgendo gli estranei nei loro discorsi assurdi.
Gli articoli su Gilliam in questo blog:
Le Avventure del Barone di Munchausen
Jabberwocky
Tideland
Parnassus - L'Uomo che voleva ingannare il Diavolo
Brazil
L'Esercito delle Dodici Scimmie
E per finire il link a una intervista che ho trovato sul web.
sabato 7 aprile 2012
365 Racconti sulla Fine del Mondo
Eccoci alla pubblicazione di un nuovo "365" da parte di Delos Books. Avevo partecipato (riuscendo a farmi pubblicare) alle 365 storie dell'orrore, non potevo non mancare a questa raccolta di miniracconti catastrofisti.
Trecentosessantacinque scrittori diversi hanno immaginato un modo per far finire questo amato pianeta, una botta finale più o meno fantasiosa. Per entrare nel progetto di questi 365 Racconti sulla Fine del Mondo questa volta mi ero preparato in anticipo, individuando una tematica che "non poteva mancare" in quanto oggetto di polemiche e risate, qualche tempo fa: ero sicuro che se avessi trattato il tema in maniera piacevole e ironica sarei riuscito a passare la selezione. Così, dopo aver mandato il mio racconto già all'apertura delle selezioni, eccomi infatti scelto per comparire al 3 gennaio...
Curatore dell'iniziativa, come al solito, Franco Forte.
Devo dire che questo formato dei 365 lo trovo... lunghissimo da leggere. Non ho ancora finito i 365 racconti horror per esempio. Cominciare una nuova storia ogni pagina non è fatica da poco, e sono sempre pagine dense, perché l'autore deve riuscire a dire tutto quello che ha da dire in una trentina di righe. E siccome tuti i gusti sono gusti, su 365 autori ce n'è sicuramente un certo numero che non ti piace.
Quanto alla raccolta sulla fine del mondo, sono certo che vi troverò parecchie idee pazzesche (come la mia). Resto dell'idea che far fuori l'umanità sia una faccenda difficile, ce ne vorrà di tempo e fatica... Fin troppo facile, invece, il vederla cadere in un nuovo medioevo di morte e superstizione, direi che sta già accadendo.
Trecentosessantacinque scrittori diversi hanno immaginato un modo per far finire questo amato pianeta, una botta finale più o meno fantasiosa. Per entrare nel progetto di questi 365 Racconti sulla Fine del Mondo questa volta mi ero preparato in anticipo, individuando una tematica che "non poteva mancare" in quanto oggetto di polemiche e risate, qualche tempo fa: ero sicuro che se avessi trattato il tema in maniera piacevole e ironica sarei riuscito a passare la selezione. Così, dopo aver mandato il mio racconto già all'apertura delle selezioni, eccomi infatti scelto per comparire al 3 gennaio...
Curatore dell'iniziativa, come al solito, Franco Forte.
Devo dire che questo formato dei 365 lo trovo... lunghissimo da leggere. Non ho ancora finito i 365 racconti horror per esempio. Cominciare una nuova storia ogni pagina non è fatica da poco, e sono sempre pagine dense, perché l'autore deve riuscire a dire tutto quello che ha da dire in una trentina di righe. E siccome tuti i gusti sono gusti, su 365 autori ce n'è sicuramente un certo numero che non ti piace.
Quanto alla raccolta sulla fine del mondo, sono certo che vi troverò parecchie idee pazzesche (come la mia). Resto dell'idea che far fuori l'umanità sia una faccenda difficile, ce ne vorrà di tempo e fatica... Fin troppo facile, invece, il vederla cadere in un nuovo medioevo di morte e superstizione, direi che sta già accadendo.
martedì 3 aprile 2012
Storia del Risiko
Segnalo un breve articolo (accessibile agli anglofoni) sul Risiko, gioco che mi ostino a considerare un interessante strategico. Nascita ed evoluzione di uno dei boardgame più famosi e classici, con in più un paio di ragionamenti sulle statistiche, ma questi ultimi a noi diranno poco perché in Italia (salvo alcune versioni recenti) vige la regola del famoso "trerzo dado" per il difensore.