Quest'anno lo ricorderemo come uno dei più difficili, anche se penso che il peggio (dal punto di vista della crisi economica) debba ancora arrivare. Ma a parte la situazione economica, sociale e politica del Paese, potrei dire di aver avuto qualche soddisfazione personale con la pubblicazione di due racconti, nei 365 Racconti Horror per un Anno e nel Magazzino dei Mondi. La cosa che invece mi spiace di più è che sto ancora lottando per vedere pubblicato il mio gioco (che davo per certo solo un annetto o due fa: stolto!) e non ho avuto tempo di procedere coi miei progetti librari.
A parte i fatti miei personali, il 2011 si segnla anche per lo "sdoganamento" dei lettori di ebook. Due anni fa avevo cercato di fare il profeta su quello che poteva comportare questa rivoluzione (in seguito il tema su come cambierà il mondo, l'editoria, l'intero universo con l'avvento del lettore digitale è diventato tormentone periodico di riviste e quotidiani, e non più solo sfizio di qualche blog). Anche qui, però, non c'è da essere troppo ottimisti. Salvo qualche decantato caso, non è nata una editoria "democratica," di qualità e diffusa dal basso per mezzo degli ebook, anzi si rischia un clamoroso monopolio fatto di macchine dedicate e autorizzazioni DRM quando di distributori sul mercato ne sarà rimasto solo uno.
Ma a parte le fosche previsioni, quello che si deve constatare adesso è un sostanziale cartello per non abbassare i prezzi (salvo la "guerriglia" delle piccole case editrici), decisamente una grossa delusione.
Letture del 2011: per il fantasy non ho dubbi, la lettura (mia) più interessante dell'anno è The Wise Man Fear di Rothfuss. Per la fantascienza, The Windup Girl di Bacigalupi. Entrambi letti in lingua originale. Italiani: senz'altro il Burattinaio di Barbi.
Quanto al 2012, ci riserva probabilmente molti dolori, ma almeno quando sarà finito avremo fatto una risata sulle profezie che lo indicano l'anno della fine del mondo. Facendo i debiti scongiuri, ovviamente.
sabato 31 dicembre 2011
martedì 20 dicembre 2011
Nel prequel di Alien non c'è Alien
Un rapido aggiornamento sulle fatiche di Ridley Scott intenzionato a tornare alla fantascienza con il prossimo film. Prometheus, il "prequel" di Alien, non avrà affatto un collegamento diretto con la storia che tutti conosciamo. Anzi, non ci sarà la creatura terrificante che amiamo così tanto. Che fregatura, eh? Comunque il legame c'è, nel senso che si tornerà a parlare dell'astronave dove Alien (o meglio, il suo bozzolo) viene incontrato per la prima volta. Chi era il personaggio (cadavere) che si vede nella scena? Da dove veniva la misteriosa astronave? dove era diretta? E se siamo di fronte alla civiltà che ha creato un'arma biologica così potente (perché questo è Alien, in fondo) cos'altro potrebbero fare questi stranieri?
Bene, aspetto con ansia il risultato, anche se il perfido mostriciattolo mi mancherà.
Bene, aspetto con ansia il risultato, anche se il perfido mostriciattolo mi mancherà.
domenica 18 dicembre 2011
Segnalazioni
Un fine settimana privo di novità per Mondi Immaginari. Segnalo però un paio di cose in giro per la rete.
Innanzitutto, nel blog di Ferruccio Gianola abbiamo i consigli di scrittura di Neil Gaiman.
Per chi ha qualche soldo da spendere, nel blog di Patrick Rothfuss è segnalata una serie di iniziative di beneficienza (donazioni, aste, ecc...).
La Torre di Tanabrus invece ci porta al libro rivelazione (praticamente un evento prima ancora che qualcuno del comune pubblico lo avesse letto...) The Night Circus.
E qui chiudo. Buon Natale se non riesco ad aggiornare prima...
Innanzitutto, nel blog di Ferruccio Gianola abbiamo i consigli di scrittura di Neil Gaiman.
Per chi ha qualche soldo da spendere, nel blog di Patrick Rothfuss è segnalata una serie di iniziative di beneficienza (donazioni, aste, ecc...).
La Torre di Tanabrus invece ci porta al libro rivelazione (praticamente un evento prima ancora che qualcuno del comune pubblico lo avesse letto...) The Night Circus.
E qui chiudo. Buon Natale se non riesco ad aggiornare prima...
giovedì 15 dicembre 2011
Sangue straniero e letteratura fantasy
L'accaduto è doloroso, ma dedicherei un grandissimo "chi se ne frega" riguardo allo specifico fatto che l'assassino di Firenze fosse un amante del fantasy. Perché bisognerebbe sentire il bisogno di chiedere scusa di esistere? Perché allora non va Clint Eastwood a chiedere scusa per aver interpretato
l'ispettore Callaghan, visto che l'uccisore di Firenze era
"ossessionato" dalla figura del giustiziere cinematografico?
Perché la chiesa non chiede scusa per la strage di Oslo visto che l'aggressore (Anders Breivik) era un fanatico cristiano e si definiva un crociato? La verità è che questi personaggi sono semplicemente pazzi, e di fatto nel caso di Breivik la schizofrenia è stata diagnosticata.
Di qualsiasi cosa si parli, anche fosse del tutto paciosa e pacifica, si corre il rischio di essere associati a qualche azione brutta... così come tanti altri interessi, il fantastico può piacere a gente molto varia: che il mondo se ne faccia una ragione.
Perché la chiesa non chiede scusa per la strage di Oslo visto che l'aggressore (Anders Breivik) era un fanatico cristiano e si definiva un crociato? La verità è che questi personaggi sono semplicemente pazzi, e di fatto nel caso di Breivik la schizofrenia è stata diagnosticata.
Di qualsiasi cosa si parli, anche fosse del tutto paciosa e pacifica, si corre il rischio di essere associati a qualche azione brutta... così come tanti altri interessi, il fantastico può piacere a gente molto varia: che il mondo se ne faccia una ragione.
lunedì 12 dicembre 2011
Sangue, budella e messaggi politici
Non è che capiti spesso un film che riesca ad avere le parentesi nel titolo, ma Frontier(s) ce l'ha. L'originalità vorrebbe averla anche nell'accostare a una storia di orrore e follia neonazista gli episodi di violenza della periferia parigina, ma il tentativo fa ridere.
Il regista è Xavier Gens (francese, come del resto il film), che ha partecipato anche, più recentemente a La Horde, un'apocalisse zombie alla parigina. Gli attori a me sono sommamente sconosciuti. La trama parte da Parigi, nella tensione di un'elezione politica in cui l'ultradestra sta per andare democraticamente al potere, cosa che fa scoppiare dei disordini. Un gruppo di emarginati del ghetto, dai volti e dai nomi arabeggianti, approfitta del momento caotico per cercare di fare una rapina.
Il colpo va male e uno dei nostri poveri emarginati resta ferito, e con questo problema anche la lealtà reciproca dei membri del gruppo vacilla. Per farla breve, decidono di mollare il ferito in ospedale e di fuggire verso il confine in due gruppi separati.
Uno di questi gruppi, ovvero due dei rapinatori, si ferma in un posto fuori mano e va in un albergo. I nostri due fuggiaschi vengono accolti da due ragazze, una che si dimostra subito fin troppo ammiccante, accogliente e di facili costumi, l'altra che guarda con fissità e risponde a monosillabi. Inoltre il personaggio che va a preparare le stanze ha una faccia patibolare, e il posto è una schifezza.
A questo punto una persona con un po' di cervello, anche di fronte alla trappola sessuale, dovrebbe dire: "senta ci ho ripensato, preferisco fare altre 18 ore filate in autostrada" ma ovviamente nei film dell'orrore le vittime non capiscono mai le cose più ovvie...
E finalmente arriviamo a sangue, mutilazioni, violenze, gente fuori di testa e via dicendo, come nella premessa iniziale. Questo è quanto: valore del film? Poco. C'è una certa capacità di rappresentare personaggi inquietanti in un ambiente malato, ma avrebbe valore se ci fosse una tensione psicologica che arrivi nel finale all'esplosione di violenza, qui invece qualsiasi (eventuale) talento è sprecato in un tripudio di sbudellamenti. Buon divertimento.
Il regista è Xavier Gens (francese, come del resto il film), che ha partecipato anche, più recentemente a La Horde, un'apocalisse zombie alla parigina. Gli attori a me sono sommamente sconosciuti. La trama parte da Parigi, nella tensione di un'elezione politica in cui l'ultradestra sta per andare democraticamente al potere, cosa che fa scoppiare dei disordini. Un gruppo di emarginati del ghetto, dai volti e dai nomi arabeggianti, approfitta del momento caotico per cercare di fare una rapina.
Il colpo va male e uno dei nostri poveri emarginati resta ferito, e con questo problema anche la lealtà reciproca dei membri del gruppo vacilla. Per farla breve, decidono di mollare il ferito in ospedale e di fuggire verso il confine in due gruppi separati.
Uno di questi gruppi, ovvero due dei rapinatori, si ferma in un posto fuori mano e va in un albergo. I nostri due fuggiaschi vengono accolti da due ragazze, una che si dimostra subito fin troppo ammiccante, accogliente e di facili costumi, l'altra che guarda con fissità e risponde a monosillabi. Inoltre il personaggio che va a preparare le stanze ha una faccia patibolare, e il posto è una schifezza.
A questo punto una persona con un po' di cervello, anche di fronte alla trappola sessuale, dovrebbe dire: "senta ci ho ripensato, preferisco fare altre 18 ore filate in autostrada" ma ovviamente nei film dell'orrore le vittime non capiscono mai le cose più ovvie...
E finalmente arriviamo a sangue, mutilazioni, violenze, gente fuori di testa e via dicendo, come nella premessa iniziale. Questo è quanto: valore del film? Poco. C'è una certa capacità di rappresentare personaggi inquietanti in un ambiente malato, ma avrebbe valore se ci fosse una tensione psicologica che arrivi nel finale all'esplosione di violenza, qui invece qualsiasi (eventuale) talento è sprecato in un tripudio di sbudellamenti. Buon divertimento.
sabato 10 dicembre 2011
Garage Ermetico (molto)
Dal momento che mi piacciono i fumetti ma sono scettico su quello che arriva dal Giappone, dovrò amare ovviamente qualcos'altro. Tra le mie preferenze trovano posto gli autori francesi (e giù di lì) e fra questi l'immaginifico Moebius (Jean Giraud) di cui ho ripescato un'opera di parecchi anni fa: Il Garage Ermetico. Un fumetto da anni settanta, quando un autore poteva uscir fuori di testa, mettere su carta quello che gli pareva ed essere pubblicato. Il nostro Moebius fece praticamente a meno di una storia e di una sceneggiatura, seguendo un filo conduttore che lasciava il lettore estremamente sul vago. Idea veramente azzeccata se dopo un po' le cose si fossero ricucite andando da qualche parte, purtroppo non è proprio così.
C'è un tizio in fuga, un altro che lo insegue, e... boh? Più che altro abbiamo un inseguirsi di situazioni, di scenografie, di esplorazioni nel tratto dell'autore, un insieme senza ordine definito che cerca di creare delle sensazioni ma non di comporre una storia.
Comunque è disegnato bene, e si fa leggere.
C'è un tizio in fuga, un altro che lo insegue, e... boh? Più che altro abbiamo un inseguirsi di situazioni, di scenografie, di esplorazioni nel tratto dell'autore, un insieme senza ordine definito che cerca di creare delle sensazioni ma non di comporre una storia.
Comunque è disegnato bene, e si fa leggere.
giovedì 8 dicembre 2011
Estrapolazioni
Condivido un articolo che ho letto in rete tempo fa, non è roba nuova ma merita qualche approfondimento. Scrivere sul futuro, quindi essenzialmente fantascienza, richiede una capacità di estrapolare dal presente (della tecnologia) il futuro (della medesima). Scrivere fantascienza non è necessariamente un tentativo di predirre tutto il futuro, ma direi che non vale la pena di chiamare fantascienza un libro, o un film, se non c'è un'analisi, una previsione, una scommessa su sviluppi tecnologici e sociali. Questo indipendentemente dal fatto che oggi l'etichetta fantascienza non la voglia praticamente nessuno.
Nel post alcuni autori di una certa fama (Larry Niven tra gli altri) sono stati invitati a dire la loro.
Alcune considerazioni sono molto interessanti.
Le previsioni non possono essere a lungo termine, oltre 10 o 15 anni (Nancy Kress). Questo perché intervengono sviluppi non ipotizzabili, basati su novità tecnologiche improvvise e imponderabili. Vero, dico io, ma solo se si cerca di azzeccarci anche nei dettagli. Non c'è niente di male nel fare del world-building a scadenze molto più lunghe (anche nell'articolo è una delle vie consigliate, ma per un altro motivo: nessuno ti potrà venire a dire che le tue previsioni non erano azzeccate).
L'economia detta legge (Robert Sawyer). Nel 1969, quando l'uomo sbarcò sulla Luna per la prima volta, forse nessuno avrebbe detto che tre anni dopo ci sarebbe stato l'ultimo episodio di questa esplorazione. Gli scienziati e i fanatici dell'eplorazione spaziale possono pensare quello che vogliono, ma se non c'è convenienza a fare una cosa, non si farà.
La mia opinione: ok, è un argomento potente. Se devi pensare che il futuro non sia dettato da considerazioni economiche devi anche immaginare e giustificare un importante cambiamento sociale che trasformi il contesto. Per esempio, per qualche plausibile motivo una superpotenza dovrebbe cadere sotto il dominio di un tiranno che voglia e possa spendere denaro a palate per andare a farsi una passeggiata su un satellite di Giove, fregandosene di problemi più urgenti. Difficile. Credo comunque che le difficoltà tecniche abbiano smorzato gli entusiasmi verso l'esplorazione dello spazio tanto quanto la mancanza di un ritorno economico immediato. Il costo per fare un passo significativo, ovvero trovare un luogo da cui sia sensato trarre materie prime o un pianeta vivibile per esportare popolazione in eccesso, non è nemmeno immaginabile, perché la tecnologia per fare queste cose non esiste e non è al momento ipotizzabile in maniera realistica.
Per Larry Niven gli obiettivi eterni dell'uomo dettano le scoperte, che è anche un po' come tornare a parlare di economia. Poter viaggiare lontano, vivere a lungo, sapere di più. Ma ogni scoperta avrà le sue controindicazioni (come il traffico per l'automobile) e le sue conseguenze inattese.
Una interessante idea sull'intelligenza artificiale applicata alla cura delle persone (Robert Sawyer): ci sono sviluppi che possono far pensare a delle applicazioni in tempi relativamente brevi. Fare le pulizie, accudire gli anziani o i disabili, occuparsi di piccoli compiti domestici: tutti vogliono qualcuno o qualcosa che li aiuti in queste incombenze. La maggior parte della gente non vuole però nulla che faccia ricordare o pensare alle ingiustizie storiche, sociali, di classe ecc... Ovvero, un extracomunitario che ti fa le pulizie, detto dal punto di vista nostrano. La risposta sono i robot e quindi i robot arriveranno, dice l'articolo. Sarà? Io credo di sì. Un paese che invecchia velocemente e non vuole stranieri fra i piedi (il Giappone) non a caso è all'avanguardia in queste tecnologie. Però da questo mi permetto di prevedere dell'altro: l'uscita dal mercato del lavoro di operai di tutti i tipi (non solo i generici o gli imbianchini, muratori e simili, ma anche i tecnici specializzati, almeno entro certi limiti), guidatori di veicoli, cassieri e commessi di negozio, barbieri e parrucchieri (tranne quelli più di moda), falegnami, fabbri e simili artigiani, e via dicendo. A questo punto o ci potrà essere una risposta sociale, ovvero la tanto decantata "fine del lavoro" con una vita più o meno scalcagnata per il 90% della popolazione o giù di lì, condannata a ridursi a inutili scimmie, o una risposta liberale, ovvero i giochi sono fatti, chi controlla questa rivoluzione conta i suoi soldi, chi viene messo fuori mercato può crepare, il tutto con le tensioni (a dir poco) forti che ne deriverebbero. Non vedo come riassorbire una simile massa di disoccupati. Insomma, il futuro è inquietante. Per questo ho messo un bell'incrociatore spaziale come illustrazione del post, non esisterà forse mai, ma almeno mette speranza.
Nel post alcuni autori di una certa fama (Larry Niven tra gli altri) sono stati invitati a dire la loro.
Alcune considerazioni sono molto interessanti.
Le previsioni non possono essere a lungo termine, oltre 10 o 15 anni (Nancy Kress). Questo perché intervengono sviluppi non ipotizzabili, basati su novità tecnologiche improvvise e imponderabili. Vero, dico io, ma solo se si cerca di azzeccarci anche nei dettagli. Non c'è niente di male nel fare del world-building a scadenze molto più lunghe (anche nell'articolo è una delle vie consigliate, ma per un altro motivo: nessuno ti potrà venire a dire che le tue previsioni non erano azzeccate).
L'economia detta legge (Robert Sawyer). Nel 1969, quando l'uomo sbarcò sulla Luna per la prima volta, forse nessuno avrebbe detto che tre anni dopo ci sarebbe stato l'ultimo episodio di questa esplorazione. Gli scienziati e i fanatici dell'eplorazione spaziale possono pensare quello che vogliono, ma se non c'è convenienza a fare una cosa, non si farà.
La mia opinione: ok, è un argomento potente. Se devi pensare che il futuro non sia dettato da considerazioni economiche devi anche immaginare e giustificare un importante cambiamento sociale che trasformi il contesto. Per esempio, per qualche plausibile motivo una superpotenza dovrebbe cadere sotto il dominio di un tiranno che voglia e possa spendere denaro a palate per andare a farsi una passeggiata su un satellite di Giove, fregandosene di problemi più urgenti. Difficile. Credo comunque che le difficoltà tecniche abbiano smorzato gli entusiasmi verso l'esplorazione dello spazio tanto quanto la mancanza di un ritorno economico immediato. Il costo per fare un passo significativo, ovvero trovare un luogo da cui sia sensato trarre materie prime o un pianeta vivibile per esportare popolazione in eccesso, non è nemmeno immaginabile, perché la tecnologia per fare queste cose non esiste e non è al momento ipotizzabile in maniera realistica.
Per Larry Niven gli obiettivi eterni dell'uomo dettano le scoperte, che è anche un po' come tornare a parlare di economia. Poter viaggiare lontano, vivere a lungo, sapere di più. Ma ogni scoperta avrà le sue controindicazioni (come il traffico per l'automobile) e le sue conseguenze inattese.
Una interessante idea sull'intelligenza artificiale applicata alla cura delle persone (Robert Sawyer): ci sono sviluppi che possono far pensare a delle applicazioni in tempi relativamente brevi. Fare le pulizie, accudire gli anziani o i disabili, occuparsi di piccoli compiti domestici: tutti vogliono qualcuno o qualcosa che li aiuti in queste incombenze. La maggior parte della gente non vuole però nulla che faccia ricordare o pensare alle ingiustizie storiche, sociali, di classe ecc... Ovvero, un extracomunitario che ti fa le pulizie, detto dal punto di vista nostrano. La risposta sono i robot e quindi i robot arriveranno, dice l'articolo. Sarà? Io credo di sì. Un paese che invecchia velocemente e non vuole stranieri fra i piedi (il Giappone) non a caso è all'avanguardia in queste tecnologie. Però da questo mi permetto di prevedere dell'altro: l'uscita dal mercato del lavoro di operai di tutti i tipi (non solo i generici o gli imbianchini, muratori e simili, ma anche i tecnici specializzati, almeno entro certi limiti), guidatori di veicoli, cassieri e commessi di negozio, barbieri e parrucchieri (tranne quelli più di moda), falegnami, fabbri e simili artigiani, e via dicendo. A questo punto o ci potrà essere una risposta sociale, ovvero la tanto decantata "fine del lavoro" con una vita più o meno scalcagnata per il 90% della popolazione o giù di lì, condannata a ridursi a inutili scimmie, o una risposta liberale, ovvero i giochi sono fatti, chi controlla questa rivoluzione conta i suoi soldi, chi viene messo fuori mercato può crepare, il tutto con le tensioni (a dir poco) forti che ne deriverebbero. Non vedo come riassorbire una simile massa di disoccupati. Insomma, il futuro è inquietante. Per questo ho messo un bell'incrociatore spaziale come illustrazione del post, non esisterà forse mai, ma almeno mette speranza.
martedì 29 novembre 2011
Spartaco Albertarelli sul boardgame design
Intervento al Politecnico del più grande progettista di giochi italiano (o per lo meno, quello con maggiore diffusione e successo commerciale).
Confesso che non l'ho ancora visto tutto, comunque molto interessante.
lunedì 28 novembre 2011
Hereafter
Film di storie parallele che si incrociano, con risultati talvolta positivi: l'argomento è lo spiritismo. Premessa molto interessante, per me. Questo perché ho avuto (come molti) quelle esperienze di "incontri" nei sogni o nel dormiveglia, e quelle sensazioni di deja vu, che sebbene spiegabili scientificamente fanno decisamente pensare a un'esistenza separata di anima e corpo.
Ma questo film qua e là è riuscito a rendermi noioso perfino un argomento che considero affascinante, nonostante i momenti spettacolari e un regista (Clint Eastwood) che non reputo dei peggiori. Forse non era adatto al ruolo del medium Matt Damon? Forse è noiosa la parte interpretata da Cécile de France, giornalista e scrittrice in crisi d'identità dopo un'esperienza di "quasi morte" in occasione dello Tsunami del 2004? A Hereafter riconosco un merito: una prospettiva abbastanza insolita sulla vita di una persona dotata della capacità di contattare i morti. Il protagonista George (Damon) non vuol più svolgere quel mestiere tanto redditizio e preferisce (nella prima parte del film) fare l'operaio, perché altrimenti avrebbe continuamente a che fare con i morti e con il dolore. Non sente alcun obbligo di usare il suo "dono" per aiutare il prossimo e ne ha avuto un sacco di problemi da ragazzo.
Mi pare credibile. Sono pienamente convinto che una capacità psichica del genere se esistesse davvero (con la potenza che vediamo nel film) non sarebbe molto benvenuta, e potrebbe rovinare la vita di una persona, pur pagando i conti della spesa.
Ma purtroppo la cosa non viene sviluppata abbastanza, e sebbene il personaggio di George sia solitario e piuttosto triste, nonché un accanito lettore di Dickens, l'attore che lo interpreta è un po' troppo il "classico" giovanottone americano (sia come fisico che come atteggiamento) per essere valido come personaggio schivo che si rifugia nella lettura. Personalmente non ho trovato molto coinvolgente il film, e nonostante il tema stimolante lo colloco tra le occasioni mancate.
Ma questo film qua e là è riuscito a rendermi noioso perfino un argomento che considero affascinante, nonostante i momenti spettacolari e un regista (Clint Eastwood) che non reputo dei peggiori. Forse non era adatto al ruolo del medium Matt Damon? Forse è noiosa la parte interpretata da Cécile de France, giornalista e scrittrice in crisi d'identità dopo un'esperienza di "quasi morte" in occasione dello Tsunami del 2004? A Hereafter riconosco un merito: una prospettiva abbastanza insolita sulla vita di una persona dotata della capacità di contattare i morti. Il protagonista George (Damon) non vuol più svolgere quel mestiere tanto redditizio e preferisce (nella prima parte del film) fare l'operaio, perché altrimenti avrebbe continuamente a che fare con i morti e con il dolore. Non sente alcun obbligo di usare il suo "dono" per aiutare il prossimo e ne ha avuto un sacco di problemi da ragazzo.
Mi pare credibile. Sono pienamente convinto che una capacità psichica del genere se esistesse davvero (con la potenza che vediamo nel film) non sarebbe molto benvenuta, e potrebbe rovinare la vita di una persona, pur pagando i conti della spesa.
Ma purtroppo la cosa non viene sviluppata abbastanza, e sebbene il personaggio di George sia solitario e piuttosto triste, nonché un accanito lettore di Dickens, l'attore che lo interpreta è un po' troppo il "classico" giovanottone americano (sia come fisico che come atteggiamento) per essere valido come personaggio schivo che si rifugia nella lettura. Personalmente non ho trovato molto coinvolgente il film, e nonostante il tema stimolante lo colloco tra le occasioni mancate.
sabato 26 novembre 2011
Il Treno di Moebius
Un altro esperimento di scrittura su web che ho letto in questo periodo, questo Il Treno di Moebius di Alessandro Girola è in effetti abbastanza breve: più un racconto lungo che un vero e proprio romanzo. La storia è semplice e va rapidamente al punto, portandoci in un viaggio inquietante assieme a una troupe televisiva impegnata, piuttosto stancamente, a indagare uno dei tanti misteri irrisolti della nostra Italia. Insomma, uno di quei programmi un po' sensazionalistici che hanno moderato successo in TV e generalmente fanno venire il latte alle ginocchia a chi vorrebbe una trattazione seria degli argomenti. Ma nel caso dei nostri protagonisti, in buona parte frustrati da precedenti carriere andate male o esperienze negative, c'è anche l'ambizione di fare tutto sommato un lavoro decente, un po' di giornalismo vero.
Qui non abbiamo una storia sciocca di allucinazioni o ciarlatanerie, però: ci troviamo di fronte a un fatto di una certa gravità (la scomparsa di un piccolo treno, tre persone incluse) in un passato recente ma già ingiallito dal tempo, con fonti non proprio autorevoli (un giornale scandalistico) che già avevano sollevato il problema in passato, ma senza seguito.
Il nostro gruppetto di protagonisti va a indagare sul posto con tanta buona volontà, scoprendo una storia sempre più bizzarra: la linea è stata abbandonata, addirittura un paese è rimasto deserto dopo lo spostamento della tratta ferroviaria, gli abitanti del posto sono piuttosto ostili. Tutto "quasi" tranquillo ma qualche segnale decisamente inquietante, e una sensazione piuttosto lovecraftiana instillata nel lettore.
Trama in parte ispirata a un film, in parte, mi par di capire, a un "vero" mistero di casa nostra, questo libro/racconto è disponibile gratuitamente (potete scaricarlo qui). Posso garantire che si fa leggere in un fiato, quindi consiglio di assaggiarlo se avete un attrezzo in grado di leggere il formato epub (io ce l'ho, anche se con qualche problema, perché come i miei affezionati lettori già sanno il mio ebook reader è una chiavica).
Detto questo, e volendo anticipare un bel po' di trama per gli improvvidi che non smettessero subito di leggere questo articolo per passare al racconto, mi è piaciuta la storia di questo gruppetto di persone, e tutto l'antefatto. Caratterizzazione quel tanto che ci vuole in un racconto di questo tipo, e fatta bene, per quanto abbia trovato ripetitivi i pensieri del capo, Maurizio, verso Martina, avvenente e volonterosa componente della squadra (squadra che si completa con un attore fallito che fa il Piero Angela della situazione, ovvero si fa riprendere dalla telecamera e spiega quello che c'è da spiegare non senza sfoggiare una certa buona volontà, e con un cameraman che vanta una passata esperienza militare).
Dalla storia mi aspettavo qualcosa di più, diciamo che viene costruita una buona suspense e poi viene un po' sprecata. I mostri, che a occhio direi tratti da qualche fonte medievale o rinascimentale, fanno la loro comparsa senza la dovuta presentazione.
Le scene in cui muoiono i membri del gruppo sono asciutte, nel senso che la morte arriva all'improvviso con un effetto che dovrebbe essere sconvolgente o straniante, ma che forse funzionerebbe meglio con il mezzo televisivo piuttosto che su carta. Anche qui ci sarebbe voluta qualche descrizione in più. Sul mondo misterioso scoperto e poi subito abbandonato, mi manca qualche appiglio, qualche approfondimento, che non è dato per scelta consapevole dell'autore (condivisibile o meno) nemmeno nel finale quando il protagonista chiede di sapere almeno cosa c'è dietro il mistero per cui è venuto a morire, e non viene accontentato.
Anche la scena in cui due uomini corrono in un tunnel di fronte a un avversario orrendo (avete presente una scolopendra? gigante, dico) sapendo che uno farà una fine atroce, con la logica che l'altro deve passare per "far sapere al mondo" cosa è successo, sarebbe stata da approfondire. Probabilmente non c'è alternativa, non c'è nemmeno un gran che di tempo per pensarci sopra... Ma anche se uno dei due è un ex militare si tratta comunque di correre incontro alla morte, non so se mi spiego.
Insomma abbiamo una storia dove poteva starci molto di più, raccontata con uno stile asciutto che funziona bene all'inizio, ma che avrebbe richiesto forse maggiore dettaglio andando avanti.
Qui non abbiamo una storia sciocca di allucinazioni o ciarlatanerie, però: ci troviamo di fronte a un fatto di una certa gravità (la scomparsa di un piccolo treno, tre persone incluse) in un passato recente ma già ingiallito dal tempo, con fonti non proprio autorevoli (un giornale scandalistico) che già avevano sollevato il problema in passato, ma senza seguito.
Il nostro gruppetto di protagonisti va a indagare sul posto con tanta buona volontà, scoprendo una storia sempre più bizzarra: la linea è stata abbandonata, addirittura un paese è rimasto deserto dopo lo spostamento della tratta ferroviaria, gli abitanti del posto sono piuttosto ostili. Tutto "quasi" tranquillo ma qualche segnale decisamente inquietante, e una sensazione piuttosto lovecraftiana instillata nel lettore.
Trama in parte ispirata a un film, in parte, mi par di capire, a un "vero" mistero di casa nostra, questo libro/racconto è disponibile gratuitamente (potete scaricarlo qui). Posso garantire che si fa leggere in un fiato, quindi consiglio di assaggiarlo se avete un attrezzo in grado di leggere il formato epub (io ce l'ho, anche se con qualche problema, perché come i miei affezionati lettori già sanno il mio ebook reader è una chiavica).
Detto questo, e volendo anticipare un bel po' di trama per gli improvvidi che non smettessero subito di leggere questo articolo per passare al racconto, mi è piaciuta la storia di questo gruppetto di persone, e tutto l'antefatto. Caratterizzazione quel tanto che ci vuole in un racconto di questo tipo, e fatta bene, per quanto abbia trovato ripetitivi i pensieri del capo, Maurizio, verso Martina, avvenente e volonterosa componente della squadra (squadra che si completa con un attore fallito che fa il Piero Angela della situazione, ovvero si fa riprendere dalla telecamera e spiega quello che c'è da spiegare non senza sfoggiare una certa buona volontà, e con un cameraman che vanta una passata esperienza militare).
Dalla storia mi aspettavo qualcosa di più, diciamo che viene costruita una buona suspense e poi viene un po' sprecata. I mostri, che a occhio direi tratti da qualche fonte medievale o rinascimentale, fanno la loro comparsa senza la dovuta presentazione.
Le scene in cui muoiono i membri del gruppo sono asciutte, nel senso che la morte arriva all'improvviso con un effetto che dovrebbe essere sconvolgente o straniante, ma che forse funzionerebbe meglio con il mezzo televisivo piuttosto che su carta. Anche qui ci sarebbe voluta qualche descrizione in più. Sul mondo misterioso scoperto e poi subito abbandonato, mi manca qualche appiglio, qualche approfondimento, che non è dato per scelta consapevole dell'autore (condivisibile o meno) nemmeno nel finale quando il protagonista chiede di sapere almeno cosa c'è dietro il mistero per cui è venuto a morire, e non viene accontentato.
Anche la scena in cui due uomini corrono in un tunnel di fronte a un avversario orrendo (avete presente una scolopendra? gigante, dico) sapendo che uno farà una fine atroce, con la logica che l'altro deve passare per "far sapere al mondo" cosa è successo, sarebbe stata da approfondire. Probabilmente non c'è alternativa, non c'è nemmeno un gran che di tempo per pensarci sopra... Ma anche se uno dei due è un ex militare si tratta comunque di correre incontro alla morte, non so se mi spiego.
Insomma abbiamo una storia dove poteva starci molto di più, raccontata con uno stile asciutto che funziona bene all'inizio, ma che avrebbe richiesto forse maggiore dettaglio andando avanti.
martedì 22 novembre 2011
Girlfriend From Hell
Cosa dire di questo ebook di "Germano M." ovvero nel nome d'arte HellGraeco? Innanzitutto che il formato mi ha un po' messo in difficoltà. Ormai ho capito che il mio lettore di ebook (quando alle prese col formato epub) con gli apostrofi e certi altri segni di interpunzione non va troppo d'accordo, mette un paio di spazi di distanza dalla lettera precedente, che ci vogliano o no. Non sono in grado di seguire link, e ce n'è parecchi: rimandi a note, traduzioni di frasi in inglese, immagini, citazioni. Il materiale mostra la sterminata conoscienza mitologica (moderna) e multimediale di HellGraeco, blogger assiduo e immenso.
Comunque va bene anche così o forse va meglio. Io considero un libro consistere nel contenuto. Ovvero nel pensiero espresso nel testo (non ce l'ho con quelli che dicono che senza la carta stanno male, ma per me un ebook va bene lo stesso). Quindi non posso che approvare le scelte del mio scassato lettore, mi interessano poco i rimandi anche se ovviamente non rinuncio alle sensazioni che citazioni alla musica o ammiccamenti cinematografici possono evocare. Pur non essendo amante della forma diaristica/blogghistica, devo dire che si adatta abbastanza bene a questa narrazione, un'avventura apocalittica in cui l'autore si ritrova a essere testimone (privilegiato, inizialmente) di un'epidemia. A creare il disastro è un prione che si diffonde nell'ambiente e nel cibo, e con il contatto tra le persone. L'effetto è un po' quello che si vede nei film di zombie, o in 28 Giorni Dopo: le persone si trasformano in rabbiosi cannibali, insidiosi e pericolosissimi. Il protagonista si rifugia in una zona protetta grazie all'interessamento dell'attrice Zooey (ossessione personale che l'autore trasporta anche in quest'opera) cui ha salvato la vita in quel dell'Inghilterra, e segue passo dopo passo il disgregamento della società, tra zone di coprifuoco, tentativi di contenere i focolai di infezione con le buone o con le cattive, disordini e sciacallaggio. Le informazioni arrivano più dalla rete per mezzo di smartphone e computer portatili che dalla televisione. La rete, almeno in parte, resta in piedi anche quando buona parte del mondo cade nel caos, tra governi che si fortificano in qualche ridotta, ordine civile che collassa e un generale si salvi chi può. Credibile, non credibile? Non saprei, per me in uno stadio iniziale potrebbe anche essere, dopo un po' decisamente no, non credo che senza alcuna manutenzione la rete elettrica andrebbe avanti più di tanto.
All'ultimo stadio, diventa tutti contro tutti: e chi può farcela pensa per sé ed eventualmente per poche persone care di cui riesce a occuparsi; la sola speranza di salvezza sta nel cercare rifugio in posti fuori mano e poco frequentati, nel cercare fonti di alimentazione non contaminate, nell'evitare il contatto con il prossimo, perché anche chi è rimasto sano diventa una minaccia mortale, in una situazione disperata dove si vive dei resti di un mondo ordinato e industriale che non esiste più, consumando risorse che si ha ben poca speranza di vedere reintegrate.
Tematiche a me abbastanza conosciute anche se non sono "specializzato" nel genere; penso di poter dire che la storia è abbastanza credibile, anche nel presentare una società che va in malora a poco a poco e non una notte "dei morti viventi" che improvvisamente travolge tutto. Magari è una mia deformazione professionale, ma penso che ci sarebbe da soffermarsi un po' di più sull'economia che va irrimediabilmente in malora, sarebbe divertente riflettere su quanto durerebbe il trading in borsa, o sulle parole degli economisti capaci di preoccuparsi del Prodotto Interno Lordo mentre gli infetti azzannano la polizia per le strade.
Molto pensare ma non molta vera introspezione, però il passaggio del protagonista da persona civilizzata a guardingo sopravvissuto pronto a tutto per salvaguardare la vita e gli scarsi beni c'è, ed è realistico. Finale aperto.
Con tutte le mie riserve verso la forma ibrida di questo lavoro, e senza alcuna smanceria verso l'autore, Girlfriend from Hell mi è piaciuto molto più di tante opere prime cartacee del fantastico italiano, sia detto senza voler male a nessuno (be', magari a qualcuno sì...). Potete scaricare questo libro qui.
Comunque va bene anche così o forse va meglio. Io considero un libro consistere nel contenuto. Ovvero nel pensiero espresso nel testo (non ce l'ho con quelli che dicono che senza la carta stanno male, ma per me un ebook va bene lo stesso). Quindi non posso che approvare le scelte del mio scassato lettore, mi interessano poco i rimandi anche se ovviamente non rinuncio alle sensazioni che citazioni alla musica o ammiccamenti cinematografici possono evocare. Pur non essendo amante della forma diaristica/blogghistica, devo dire che si adatta abbastanza bene a questa narrazione, un'avventura apocalittica in cui l'autore si ritrova a essere testimone (privilegiato, inizialmente) di un'epidemia. A creare il disastro è un prione che si diffonde nell'ambiente e nel cibo, e con il contatto tra le persone. L'effetto è un po' quello che si vede nei film di zombie, o in 28 Giorni Dopo: le persone si trasformano in rabbiosi cannibali, insidiosi e pericolosissimi. Il protagonista si rifugia in una zona protetta grazie all'interessamento dell'attrice Zooey (ossessione personale che l'autore trasporta anche in quest'opera) cui ha salvato la vita in quel dell'Inghilterra, e segue passo dopo passo il disgregamento della società, tra zone di coprifuoco, tentativi di contenere i focolai di infezione con le buone o con le cattive, disordini e sciacallaggio. Le informazioni arrivano più dalla rete per mezzo di smartphone e computer portatili che dalla televisione. La rete, almeno in parte, resta in piedi anche quando buona parte del mondo cade nel caos, tra governi che si fortificano in qualche ridotta, ordine civile che collassa e un generale si salvi chi può. Credibile, non credibile? Non saprei, per me in uno stadio iniziale potrebbe anche essere, dopo un po' decisamente no, non credo che senza alcuna manutenzione la rete elettrica andrebbe avanti più di tanto.
All'ultimo stadio, diventa tutti contro tutti: e chi può farcela pensa per sé ed eventualmente per poche persone care di cui riesce a occuparsi; la sola speranza di salvezza sta nel cercare rifugio in posti fuori mano e poco frequentati, nel cercare fonti di alimentazione non contaminate, nell'evitare il contatto con il prossimo, perché anche chi è rimasto sano diventa una minaccia mortale, in una situazione disperata dove si vive dei resti di un mondo ordinato e industriale che non esiste più, consumando risorse che si ha ben poca speranza di vedere reintegrate.
Tematiche a me abbastanza conosciute anche se non sono "specializzato" nel genere; penso di poter dire che la storia è abbastanza credibile, anche nel presentare una società che va in malora a poco a poco e non una notte "dei morti viventi" che improvvisamente travolge tutto. Magari è una mia deformazione professionale, ma penso che ci sarebbe da soffermarsi un po' di più sull'economia che va irrimediabilmente in malora, sarebbe divertente riflettere su quanto durerebbe il trading in borsa, o sulle parole degli economisti capaci di preoccuparsi del Prodotto Interno Lordo mentre gli infetti azzannano la polizia per le strade.
Molto pensare ma non molta vera introspezione, però il passaggio del protagonista da persona civilizzata a guardingo sopravvissuto pronto a tutto per salvaguardare la vita e gli scarsi beni c'è, ed è realistico. Finale aperto.
Con tutte le mie riserve verso la forma ibrida di questo lavoro, e senza alcuna smanceria verso l'autore, Girlfriend from Hell mi è piaciuto molto più di tante opere prime cartacee del fantastico italiano, sia detto senza voler male a nessuno (be', magari a qualcuno sì...). Potete scaricare questo libro qui.
sabato 19 novembre 2011
Melancholia
Il regista |
Qui anticiperò liberamente la trama, perché tanto non vale niente.
La prima parte era meglio saltarla a pié pari. Dramma borghese pari pari a quelli di quarant'anni fa, da cineforum con dibattito alla fine: con false smancerie e buone maniere, discorsi di soldi e ipocrisie, tiratacce fuori luogo contro la falsità di tutto questo (messe in bocca a Charlotte Rampling nella parte della madre bisbetica). La solita parabola sui sentimenti falsi, sul materialismo e sulla falsa felicità di cui nessuno ha bisogno perché son cose che sanno tutti, senza bisogno di essere ricchi come i personaggi del film, e senza alcun bisogno di registi intellettualoidi a ricordarlo con scene scontate o insensate (la sposa a un certo punto sbrocca, lascia lo sposo ad aspettarla in mutande e va a fare diverse fesserie, tra cui consumare un rapporto con un altro tizio, mandare a quel paese l'imprenditore per cui lavora, ecc...).
L'appartenenza di Melancholia al fantastico si giustifica, almeno in teoria, nella seconda parte: inizia infatti la storia di questo pianeta malefico che si dirige verso la terra. Quando la noia ha raggiunto lo spasimo, fine del matrimonio; lo scenario, i personaggi e gli attori restano gli stessi ma adesso si parla di Melancholia, che sta per passare vicinissimo alla Terra. Sembra che non debba succedere niente, ma è chiaro che succederà tutto. Parabola: la vita in questo atomo oscuro del male è cattiva (come esposto nella prima parte del film) e merita di crepare (vedere seconda parte). Se c'è qualche altro significato, magari un po' più sensato di questo, non l'ho percepito. Ma perché il buon regista ha deciso anche che la telecamera dovesse essere fastidiosamente instabile e non stare mai ferma? Non lo so, pare sia nel suo stile, magari sono io che non capisco l'arte.
Ad ogni modo, nella possibilità della catastrofe imminente le due sorelle (la sposa Justine, interpretata da Kirsten Dunst, e la sorella Claire, ovvero Charlotte Gainsbourg) cominciano a comportarsi in maniera opposta: la razionale Claire diventa impaurita e disperata, la depressa e irrazionale Justine affronta la catastrofe con rassegnata calma. Il marito di Claire cerca di raccontare bugie pietose, ma dopo un primo passaggio in cui la Terra rimane incolume, Melancholia ha un apparente allontanamento che dura poco: torna indietro per l'effetto fionda gravitazionale, ed è la fine di tutto, anche di un film talmente brutto e pretenzioso da farmi rimpiangere quelli con Nicolas Cage.
mercoledì 16 novembre 2011
Tempi duri per gli autori di genere
Tempi duri. E anche uno che "ce l'aveva fatta" (a uscire bene, ovvero con Mondadori) finisce la sua trilogia pubblicato esclusivamente in ebook (nonostante le proteste di alcuni lettori). Che è un declassamento, non giriamoci intorno: qui non funziona come in quei paesi dove il digitale ha già sfondato, da noi gli ebook vanno ancora poco.
Ma almeno non rischiano di finire al macero, ed è ciò che preoccupa gli editori.
Sto parlando di G.L. D'Andrea con la sua serie Wunderkind (arrivata al terzo episodio; io avevo letto solo il primo).
Per saperne di più, linko il post sul blog di Loredana Lipperini. Tra i commenti, quello di Sandrone Dazieri (editor che ha lanciato anche la Troisi): "Wunderkind è stato il mio fallimento." Abbastanza inequivocabile, direi. C'è poco da commentare, l'ammissione è abbastanza esplicita (si parla di poche vendite, fin dal primo libro); soprattutto l'evento è tale da farmi pensare che, anche per via della crisi, il fantastico scritto in italiano avrà poco spazio con le grandi case editrici, almeno nel prossimo futuro.
Ma almeno non rischiano di finire al macero, ed è ciò che preoccupa gli editori.
Sto parlando di G.L. D'Andrea con la sua serie Wunderkind (arrivata al terzo episodio; io avevo letto solo il primo).
Per saperne di più, linko il post sul blog di Loredana Lipperini. Tra i commenti, quello di Sandrone Dazieri (editor che ha lanciato anche la Troisi): "Wunderkind è stato il mio fallimento." Abbastanza inequivocabile, direi. C'è poco da commentare, l'ammissione è abbastanza esplicita (si parla di poche vendite, fin dal primo libro); soprattutto l'evento è tale da farmi pensare che, anche per via della crisi, il fantastico scritto in italiano avrà poco spazio con le grandi case editrici, almeno nel prossimo futuro.
domenica 13 novembre 2011
Il Burattinaio
Partiva tutto dall'esordio dell'Acchiapparatti, pubblicato da Baldini e Castoldi Dalai (io avevo letto la primissima versione edita da Campanila, titolata L'Acchiapparatti di Tilos). Ora è arrivato il Burattinaio, sempre per il medesimo editore, a confermare Francesco Barbi.
Quello che speravo dopo la lettura del primo libro era di vedere l'autore alle prese con una storia dal sapore più epico, e in parte sono stato accontentato. I toni da "Armata Brancaleone" si riducono anche se rimaniamo in un low fantasy particolarmente ruvido, tra sofferenze, malattie, sangue ed escrementi. Le storie dei poveracci e le loro peripezie continuano a occupare parecchie pagine, e secondo me troppe (ci sono delle parti un po' troppo... verghiane, come avevo osservato per Zeferina di Coltri) e c'è forse una moltiplicazione di personaggi che rende la storia un po' indigesta e a tratti lenta nel progredire. Anche qui, come spesso dico per i libri voluminosi, probabilmente si poteva far tutto con un buon centinaio di pagine in meno.
La trama quindi si sviluppa lentamente, poi finalmente cattura l'interesse. Le premesse vengono rispettate e piano piano si prepara un finale spettacolare.
Da una parte abbiamo un "culto della Luce" decisamente ossessivo e oppressivo, intento a indagare su una profezia che coinvolge i fatti e i personaggi che abbiamo conosciuto con l'Acchiapparatti. Dall'altra il cacciatore di taglie del primo libro, Gamara, intento in una vendetta personale. La famiglia allargata dell'Acchiapparatti Zaccaria rimane in mezzo a tutte queste peripezie, e c'è un personaggio... senza corpo ma molto presente, Ar-Gular, il mago che aveva creato il Boia di Giloc, l'orrendo mostro che aveva trovato la morte ed era finito in fondo a un fosso.
I Guardiani dell'Equilibrio, una specie di inquisizione non priva di capacità militari, inviano una nutrita pattuglia per indagare chi mette in pericolo la religione della Luce: la loro storia, tra successi e insuccessi, infamie perpetrate e perdite subite, per me è una parte piuttosto interessante del Burattinaio, nuova rispetto al precedente Barbi, e indispensabile comunque sia per lo svolgersi della vicenda che per la comprensione della posta in gioco.
Gamara, freddo, carismatico, una vera potenza militare nonostante il continuo martirio di ferite e torture, si rivela una forza del destino per conto proprio, sebbene la sua storia lo porti a essere una risorsa al servizio di quelli che, in definitiva, sono "i buoni."
Il povero Zaccaria questa volta soffrirà molto e non sarà protagonista. Molti personaggi già noti verranno scartati senza rimorso dall'autore e incontreranno una fine più o meno aspra. Nel finale tutti i fili si congiungono e abbiamo una resa dei conti spettacolare.
A mio parere qualche caduta di tono e un paio citazioni che, sempre a mio avviso, era meglio evitare (una riconosciuta dall'autore e un'altra, clamorosamente, no: lascio ai lettori il compito di cercarla), parte della confusione iniziale è invece colpa mia perché la storia e complessa e il lettore non deve essere pigro nell'affrontarla, se vuol capire tutto quello che c'è da capire. Il finale è piacevole, riporta le varie tessere del mosaico a posto e ripaga l'attesa. I personaggi sono rappresentati bene, e in generale c'è un'aria di originalità e creatività. Non grido al miracolo, ma Francesco Barbi si riconferma autore maturo e in grado di gestire una storia molto più complessa della precedente. Dal momento che il fantasy italiano per adulti non conta molti protagonisti, questa riconferma è decisamente positiva.
Invito anche a leggere la recensione su Fantasy Magazine scritta da Emanuele Manco che questa volta mi ha... battuto sul tempo.
Quello che speravo dopo la lettura del primo libro era di vedere l'autore alle prese con una storia dal sapore più epico, e in parte sono stato accontentato. I toni da "Armata Brancaleone" si riducono anche se rimaniamo in un low fantasy particolarmente ruvido, tra sofferenze, malattie, sangue ed escrementi. Le storie dei poveracci e le loro peripezie continuano a occupare parecchie pagine, e secondo me troppe (ci sono delle parti un po' troppo... verghiane, come avevo osservato per Zeferina di Coltri) e c'è forse una moltiplicazione di personaggi che rende la storia un po' indigesta e a tratti lenta nel progredire. Anche qui, come spesso dico per i libri voluminosi, probabilmente si poteva far tutto con un buon centinaio di pagine in meno.
La trama quindi si sviluppa lentamente, poi finalmente cattura l'interesse. Le premesse vengono rispettate e piano piano si prepara un finale spettacolare.
Da una parte abbiamo un "culto della Luce" decisamente ossessivo e oppressivo, intento a indagare su una profezia che coinvolge i fatti e i personaggi che abbiamo conosciuto con l'Acchiapparatti. Dall'altra il cacciatore di taglie del primo libro, Gamara, intento in una vendetta personale. La famiglia allargata dell'Acchiapparatti Zaccaria rimane in mezzo a tutte queste peripezie, e c'è un personaggio... senza corpo ma molto presente, Ar-Gular, il mago che aveva creato il Boia di Giloc, l'orrendo mostro che aveva trovato la morte ed era finito in fondo a un fosso.
I Guardiani dell'Equilibrio, una specie di inquisizione non priva di capacità militari, inviano una nutrita pattuglia per indagare chi mette in pericolo la religione della Luce: la loro storia, tra successi e insuccessi, infamie perpetrate e perdite subite, per me è una parte piuttosto interessante del Burattinaio, nuova rispetto al precedente Barbi, e indispensabile comunque sia per lo svolgersi della vicenda che per la comprensione della posta in gioco.
Gamara, freddo, carismatico, una vera potenza militare nonostante il continuo martirio di ferite e torture, si rivela una forza del destino per conto proprio, sebbene la sua storia lo porti a essere una risorsa al servizio di quelli che, in definitiva, sono "i buoni."
Il povero Zaccaria questa volta soffrirà molto e non sarà protagonista. Molti personaggi già noti verranno scartati senza rimorso dall'autore e incontreranno una fine più o meno aspra. Nel finale tutti i fili si congiungono e abbiamo una resa dei conti spettacolare.
A mio parere qualche caduta di tono e un paio citazioni che, sempre a mio avviso, era meglio evitare (una riconosciuta dall'autore e un'altra, clamorosamente, no: lascio ai lettori il compito di cercarla), parte della confusione iniziale è invece colpa mia perché la storia e complessa e il lettore non deve essere pigro nell'affrontarla, se vuol capire tutto quello che c'è da capire. Il finale è piacevole, riporta le varie tessere del mosaico a posto e ripaga l'attesa. I personaggi sono rappresentati bene, e in generale c'è un'aria di originalità e creatività. Non grido al miracolo, ma Francesco Barbi si riconferma autore maturo e in grado di gestire una storia molto più complessa della precedente. Dal momento che il fantasy italiano per adulti non conta molti protagonisti, questa riconferma è decisamente positiva.
Invito anche a leggere la recensione su Fantasy Magazine scritta da Emanuele Manco che questa volta mi ha... battuto sul tempo.
giovedì 10 novembre 2011
Ma guarda come parli...
Non disprezzo i libri e i corsi di scrittura creativa, ma tra le regole che si sentono spesso ribadire ce ne sono alcune che, col tempo, ho cominciato a mettere decisamente in dubbio.
Per citarne una: mi sono sentito a volte rimproverare dai miei lettori che i miei personaggi "parlano tutti nello stesso modo" ovvero che bisognerebbe caratterizzarli con un linguaggio ben diverso.
Per me, questo porta spesso e volentieri a risultati ridicoli. Non sto dicendo che non si debba provarci, però è necessaria prudenza, cose tipo avere un tizio che dice sempre "perbacco!" fanno ridere. Nella realtà, qualcuno ha un vocabolario più limitato di altri, qualcuno ama dire certe frasi che diventano particolarmente sue, ma le differenze sono spesso e volentieri modeste.
Anche mettere modi di parlare diversi quando ci sono personaggi che provengono da estrazioni sociali differenti, andrebbe fatto con attenzione, questa grande disparità, nella vita quotidiana, non la si vede sempre.
Tra i miei colleghi di lavoro, tra i miei amici, le differenze spesso sono difficili da mettere su... carta. Intonazioni, sfumature. Bisogna cercare di coglierle, di riprodurle, senza sprecarci troppe parole in descrizioni. Il tono, l'espressione del volto con cui una cosa viene detta è importante, e spesso nello scrivere ce ne si dimentica.
Va detto anche che non è nemmeno scontato che si debba inseguire il realismo al cento per cento. Il modo in cui la gente parla veramente è brutto, pieno di errori, spesso sgradevole; posso capire che uno scrittore voglia usare uno stile che non punti a un realismo completo nel modo di parlare.
Per citarne una: mi sono sentito a volte rimproverare dai miei lettori che i miei personaggi "parlano tutti nello stesso modo" ovvero che bisognerebbe caratterizzarli con un linguaggio ben diverso.
Per me, questo porta spesso e volentieri a risultati ridicoli. Non sto dicendo che non si debba provarci, però è necessaria prudenza, cose tipo avere un tizio che dice sempre "perbacco!" fanno ridere. Nella realtà, qualcuno ha un vocabolario più limitato di altri, qualcuno ama dire certe frasi che diventano particolarmente sue, ma le differenze sono spesso e volentieri modeste.
Anche mettere modi di parlare diversi quando ci sono personaggi che provengono da estrazioni sociali differenti, andrebbe fatto con attenzione, questa grande disparità, nella vita quotidiana, non la si vede sempre.
Tra i miei colleghi di lavoro, tra i miei amici, le differenze spesso sono difficili da mettere su... carta. Intonazioni, sfumature. Bisogna cercare di coglierle, di riprodurle, senza sprecarci troppe parole in descrizioni. Il tono, l'espressione del volto con cui una cosa viene detta è importante, e spesso nello scrivere ce ne si dimentica.
Va detto anche che non è nemmeno scontato che si debba inseguire il realismo al cento per cento. Il modo in cui la gente parla veramente è brutto, pieno di errori, spesso sgradevole; posso capire che uno scrittore voglia usare uno stile che non punti a un realismo completo nel modo di parlare.
mercoledì 9 novembre 2011
Tempo di concorsi
Il Premio Stella Doppia di Urania e Fantascienza.com è una opportunità pazzesca per gli amanti della fantascienza. Pazzesca perché farsi pubblicare su Urania non è proprio cosa da tutti i giorni, per quanto ci siano delle polemiche a non finire sulla qualità della testata (che comunque c'è, esce da una vita ed è una delle pochissime iniziative di fantascienza e/o fantasy ad avere grande diffusione, e scusate se è poco...).
E' da un paio di settimane che cerco di farmi venire una buona idea, ma non arriva... si accettano suggerimenti.
E' da un paio di settimane che cerco di farmi venire una buona idea, ma non arriva... si accettano suggerimenti.
domenica 6 novembre 2011
1984, il film
Mi fece un po' male, ammetto, sentire i commenti annoiati delle persone che uscivano dal cinema. Era il lontano 1984 ed ero andato a vedere questo film con molta curiosità, immaginando però che la reazione del grande pubblico sarebbe stata quella. Sto parlando della trasposizione cinematografica di 1984, il libro di George Orwell, operata da Michael Radford.
Va detto che il trailer del film giocava sporco, come spesso accade con questo tipo di produzioni che cercano un aggancio a tipi di pubblico cui dovrebbero rinunciare in partenza, Il trailer ovviamente non me lo ricordo, ma rammento che cercava di darsi un taglio da film d'azione. Cosa che non poteva essere perché si era giurata l'aderenza alla storia. La vedova di Orwell non voleva gli effetti speciali, e del resto nel mondo di 1984 non c'è molto più di qualche elicottero (e le "fortezze galleggianti," che però non entrano nella storia). Il regista voleva addirittura fare un film in bianco e nero, cosa che secondo me sarebbe stata un'esagerazione. Insomma, nonostante all'epoca io fossi appassionato della storia narrata da 1984, e volessi pensare che dovesse pur esistere un modo di "portare il messaggio al volgo," in effetti si tratta di un libro che non si presta bene a una trasposizione cinematografica.
A peggiorare le cose, il fatto che il regista si sforzasse di riportare tutti gli elementi della trama e del mondo immaginato da Orwell, creando un film assai poco "cinematografico" e facendo dei riferimenti che, per uno che non avesse letto il libro, sarebbero per forza risultati sibillini e incomprensibili.
[SPOILER! in questo paragrafo] Comunque va detto che il film non è poi male, fatte ovviamente le dovute premesse. Grigio, cupo e polveroso come una città sovietica nell'epoca staliniana, trasmette il senso di oppressione che dev'esserci, e il protagonista è decisamente azzeccato: John Hurt, che crea un perfetto Winston, triste, mingherlino e malaticcio. Nella parte di Julia Suzanna Hamilton, attrice britannica che in effetti ha avuto l'apice della sua carriera proprio con questo film. La fiamma ribelle del personaggio del libro, che risveglia i sensi e la voglia di reagire del demoralizzato Winston, a mio parere non è stata ben rappresentata da questa attrice: ci sarebbe voluta un'interprete che sapesse trasmettere il ribollire sotto l'aspetto conformista, e la Hamilton non ce l'ha fatta. Richard Burton, grande attore del tempo che fu (nonché alcolizzato a livelli suicidi e qui prossimo alla morte), interpretò assai bene O'Brien, il membro del partito intelligente ma cinico che tende la trappola ai due ribelli. Qualche abbozzo di "complicità omoerotica" tra Winston e O'Brien è stato aggiunto nel film, creando una delle poche licenze che si è concesso il regista; ma c'entra come i cavoli a merenda e se ne poteva fare a meno.
Ambienti e tecnologia sono vecchi, squallidi, e scassati quasi sempre, e comunque sempre pesantemente sovietici nello stile, creando un'atmosfera consonante con il mondo totalitario del libro. Il risultato finale è verboso e noioso, inevitabilmente. Se 1984 dovesse essere portato al cinema in una nuova versione, mi auguro che si trovi un regista disposto a osare, a staccarsi dalla trama originale per cercare di fare cinema ma senza tradire lo spirito della storia orwelliana... anche se per me questo resta il classico libro che non si presta a farne un film.
Va detto che il trailer del film giocava sporco, come spesso accade con questo tipo di produzioni che cercano un aggancio a tipi di pubblico cui dovrebbero rinunciare in partenza, Il trailer ovviamente non me lo ricordo, ma rammento che cercava di darsi un taglio da film d'azione. Cosa che non poteva essere perché si era giurata l'aderenza alla storia. La vedova di Orwell non voleva gli effetti speciali, e del resto nel mondo di 1984 non c'è molto più di qualche elicottero (e le "fortezze galleggianti," che però non entrano nella storia). Il regista voleva addirittura fare un film in bianco e nero, cosa che secondo me sarebbe stata un'esagerazione. Insomma, nonostante all'epoca io fossi appassionato della storia narrata da 1984, e volessi pensare che dovesse pur esistere un modo di "portare il messaggio al volgo," in effetti si tratta di un libro che non si presta bene a una trasposizione cinematografica.
A peggiorare le cose, il fatto che il regista si sforzasse di riportare tutti gli elementi della trama e del mondo immaginato da Orwell, creando un film assai poco "cinematografico" e facendo dei riferimenti che, per uno che non avesse letto il libro, sarebbero per forza risultati sibillini e incomprensibili.
[SPOILER! in questo paragrafo] Comunque va detto che il film non è poi male, fatte ovviamente le dovute premesse. Grigio, cupo e polveroso come una città sovietica nell'epoca staliniana, trasmette il senso di oppressione che dev'esserci, e il protagonista è decisamente azzeccato: John Hurt, che crea un perfetto Winston, triste, mingherlino e malaticcio. Nella parte di Julia Suzanna Hamilton, attrice britannica che in effetti ha avuto l'apice della sua carriera proprio con questo film. La fiamma ribelle del personaggio del libro, che risveglia i sensi e la voglia di reagire del demoralizzato Winston, a mio parere non è stata ben rappresentata da questa attrice: ci sarebbe voluta un'interprete che sapesse trasmettere il ribollire sotto l'aspetto conformista, e la Hamilton non ce l'ha fatta. Richard Burton, grande attore del tempo che fu (nonché alcolizzato a livelli suicidi e qui prossimo alla morte), interpretò assai bene O'Brien, il membro del partito intelligente ma cinico che tende la trappola ai due ribelli. Qualche abbozzo di "complicità omoerotica" tra Winston e O'Brien è stato aggiunto nel film, creando una delle poche licenze che si è concesso il regista; ma c'entra come i cavoli a merenda e se ne poteva fare a meno.
Ambienti e tecnologia sono vecchi, squallidi, e scassati quasi sempre, e comunque sempre pesantemente sovietici nello stile, creando un'atmosfera consonante con il mondo totalitario del libro. Il risultato finale è verboso e noioso, inevitabilmente. Se 1984 dovesse essere portato al cinema in una nuova versione, mi auguro che si trovi un regista disposto a osare, a staccarsi dalla trama originale per cercare di fare cinema ma senza tradire lo spirito della storia orwelliana... anche se per me questo resta il classico libro che non si presta a farne un film.
martedì 1 novembre 2011
1984, il libro
Una delle mie distopie preferite, decisamente, vuoi per la bella prosa con cui è scritto, vuoi perché Orwell è uno degli scrittori che amo di più, e 1984 è l'opera che volle completare a tutti i costi prima di morire di tubercolosi.
Due parole sull'autore: Orwell, vero nome Eric Arthur Blair, ha vissuto la vita dell'attivista squattrinato, stentando ad affermarsi sia come giornalista che come scrittore; passò qualche tempo nell'amministrazione coloniale inglese, visse poveramente a Parigi, e si recò in Spagna ai tempi della guerra civile per combattere a favore dei Repubblicani tra il 1936 e il '37. Nella complessa situazione della guerra civile, dove i comunisti erano i soli ad avere la forza di reggere la coalizione democratica perché ricevevano aiuti militari (dall'URSS), Orwell si ritrovò nelle file di un movimento minore che assunse presto un ruolo scomodo. Si trattava del POUM, movimento marxista e anarco-sindacalista della Catalogna. Per la troppo vivace foga rivoluzionaria il POUM si ritrovò nei guai paradossalmente proprio con i comunisti, che subivano diverse pressioni per non esagerare con le riforme: gli alleati moderati erano allarmati dallo stato dell'economia, gli stati democratici (Francia e Gran Bretagna) anziché intervenire supportavano poco o niente la repubblica, non sapendo cosa fosse peggio per i loro interessi tra i comunisti e le milizie filofasciste di Franco, e spingeva sul freno perfino il buon vecchio Stalin, che non voleva far precipitare le cose: appoggiava i Repubblicani per non dare un regalo a Hitler e Mussolini, ma non voleva in Spagna un governo spagnolo a egemonia comunista, che avrebbe creato contrasti a livello politico e internazionale in un momento in cui Stalin non desiderava guerre.
Quando il POUM venne fatto fuori a tradimento, in uno scontro fratricida con sparatorie, incarcerazioni, persone torturate a morte ecc... Orwell aprì gli occhi sul comunismo di marca sovietica e sui rischi del totalitarismo, e se queste esperienze sono molto ben espresse in Omaggio alla Catalogna, certamente hanno influito sulle convinzioni da lui espresse in altri libri come La Fattoria degli Animali e lo stesso 1984. Orwell tornò in Inghilterra dopo essersi preso una brutta ferita sul fronte; si rirprese ma la sua salute era instabile, e sopravvisse pochissimi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: 1984 è praticamente il suo testamento.
La trama di 1984 (che immagino sia nota a tutti, ma se lo considerate uno "spoiler" allora c'è da saltare questo paragrafo) ci porta in un mondo dominato da tre totalitarismi diversi soltanto per il nome e in perenne guerra fra loro: il protagonista Winston Smith vive in Oceania (che è uno di questi tre mega stati) e lavora per il "Ministero della Verità" ovvero confeziona bugie per il partito al potere (il Partito Socialista Inglese o INGSOC, che diventa SOCING nella traduzione italiana). Come tutti i membri del partito Winston è sorvegliato dalle telecamere (lo schermo gigante che gli spara propaganda in casa e che allo stesso tempo lo riprende) ma tiene un diario dove esprime i suoi pensieri di dissenso.
Winston conduce questa noiosa esistenza senza prospettive e da solo, dal momento che il suo matrimonio senza amore è presto naufragato.
Del resto c'è poco da ribellarsi. Il Grande Fratello (un leader che potrebbe anche essere ormai morto, e trasformato in simbolo) tiene in pugno il paese con un potente apparato repressivo. I "prolet" (proletari) sono mantenuti in uno stato di ignoranza bestiale, la psicopolizia (che tradurrei meglio in polizia del pensiero) vigila su ogni manifestazione di dissenso (ovvero lo psicoreato), e anche il modo di parlare è alterato attraverso una neolingua per rendere impossibile il dissenso.
Ma nonostante questo mondo di disperazione consolidata, Winston incontra una ragazza, Julia, con cui instaura una relazione. Si illude di poter capire qualcosa di più sul suo mondo e sul sistema di potere che controlla tutti, si illude di poter far parte di una resistenza, ma in realtà un membro della psicopolizia lo ha tenuto d'occhio. E' O'Brien, membro del partito interno, ovvero la ristretta cerchia dei veramente privilegiati. Provvederà a distruggere la personalità e il sentimento di Winston, e a rieducarlo.
Tematiche sorpassate? A dire il vero sono stato sempre del parere che il mondo si diriga in tutt'altra direzione e non verso il totalitarismo orwelliano, e ho visto che l'opinione è diventata diffusa (tra chi si fila i libri ovviamente) dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Forse, adesso che ci dirigiamo verso un futuro apparentemente meno democratico e assai più povero potremmo riscoprire le delize di questa distopia ma continuo ad avere i miei dubbi: il totalitarismo duro e militarista del libro è una faccenda costosa e come sistema per poter controllare la gente lo ritengo piuttosto sorpassato, e messo in crisi dalla tecnologia moderna in vari paesi, perciò sotto questo aspetto 1984 non lo ritengo profetico.
Invece un aspetto del mondo orwelliano che in parte si è verificato è quello delle telecamere di sorveglianza, per quanto il loro corrente uso di controllare i delinquenti non mi veda molto contrario. La degenerazione del linguaggio, l'uso furbo di certe parole per far passare le peggiori porcherie mi ha fatto anche ricordare la "neolingua" di Orwell, e certe facce che parlano di valori e virtù mentre fanno discorsi che coprono le peggiori porcherie di certi governi possono farci davvero pensare al bispensiero, ovvero alla possibilità di sostenere con gli altri e perfino con sé stessi opinioni contrastanti e in contraddizione (e di deformare la visione della realtà). Il condizionamento del mondo dei media, la povertà di linguaggio e di pensiero del cinema dove si fanno per lo più remake di storie famose, tante cose del mondo di oggi fanno pensare alla distopia orwelliana.
Anche il programma televisivo atroce che prende il nome dal Grande Fratello orwelliano ha molto a che vedere con il controllo del pensiero e della personalità, ma il gioco è praticamente scoperto, perché la gente oggi fa un gioco di consapevole complicità con quelli che la condizionano.
Di fatto l'influenza culturale di 1984 è stata immensa, che la "profezia" sia azzeccata o no.
Winston. Il protagonista e la sua disperazione sono quello che fa grande questo libro. L'odio di Winston per il Grande Fratello e la sua ostinata speranza di potersi opporre, la relazione con Julia che gli permette di uscire dalla repressione sessuale del mondo che lo circonda, la volontà di capire e combattere. Per quanto sia un protagonista tutt'altro che eroico, Winston è capace di coinvolgere profondamente il lettore. Con la scomparsa finale della sua personalità, la storia finisce.
Curiosità. Le mie consuete preoccupazioni sulla credibilità e il funzionamento dei meccanismi nei mondi immaginari mi hanno portato a chiedermi se sia veramente possibile andare a riesaminare tutta la produzione culturale (giornali, libri ecc...) per far sparire i riferimenti a una persona quando cade in disgrazia, che è uno dei lavori svolti da Winston al Ministero della Verità. Credo che sia impossibile in un mondo come il nostro, per quanto fin dai tempi degli antichi Romani la pratica sia esistita (damnatio memoriae).
Il mondo di 1984 perciò dovrebbe avere una produzione di libri, riviste, film ecc... relativamente limitata. La guerra vista come mezzo per distruggere il surplus industriale e mantenere "stabile" il mondo potrebbe sembrare un artificio meno realistico, perché una situazione di stallo ininterrotto tra stati moderni è piuttosto improbabile e non si è mai vista in una guerra "calda." Sarebbe bello poter sapere come Orwell avrebbe interpretato questo equilibrio dei blocchi se avesse visto nascere il mondo della guerra fredda e i suoi giochi di spie, frontiere fortificate stile "cortina di ferro," incidenti di confine ecc... uno scenario che era solo agli inizi quando lui morì
Non sono uno che fa la lista dei cento libri che dovete leggere assolutamente (o che portereste con voi sull'isola deserta) però1984, che per me è un libro di fantascienza a tutti gli effetti pur avendo ovviamente tutte le altre implicazione che abbiamo esaminato, è un classico che qualsiasi lettore dovrebbe conoscere.
Due parole sull'autore: Orwell, vero nome Eric Arthur Blair, ha vissuto la vita dell'attivista squattrinato, stentando ad affermarsi sia come giornalista che come scrittore; passò qualche tempo nell'amministrazione coloniale inglese, visse poveramente a Parigi, e si recò in Spagna ai tempi della guerra civile per combattere a favore dei Repubblicani tra il 1936 e il '37. Nella complessa situazione della guerra civile, dove i comunisti erano i soli ad avere la forza di reggere la coalizione democratica perché ricevevano aiuti militari (dall'URSS), Orwell si ritrovò nelle file di un movimento minore che assunse presto un ruolo scomodo. Si trattava del POUM, movimento marxista e anarco-sindacalista della Catalogna. Per la troppo vivace foga rivoluzionaria il POUM si ritrovò nei guai paradossalmente proprio con i comunisti, che subivano diverse pressioni per non esagerare con le riforme: gli alleati moderati erano allarmati dallo stato dell'economia, gli stati democratici (Francia e Gran Bretagna) anziché intervenire supportavano poco o niente la repubblica, non sapendo cosa fosse peggio per i loro interessi tra i comunisti e le milizie filofasciste di Franco, e spingeva sul freno perfino il buon vecchio Stalin, che non voleva far precipitare le cose: appoggiava i Repubblicani per non dare un regalo a Hitler e Mussolini, ma non voleva in Spagna un governo spagnolo a egemonia comunista, che avrebbe creato contrasti a livello politico e internazionale in un momento in cui Stalin non desiderava guerre.
Quando il POUM venne fatto fuori a tradimento, in uno scontro fratricida con sparatorie, incarcerazioni, persone torturate a morte ecc... Orwell aprì gli occhi sul comunismo di marca sovietica e sui rischi del totalitarismo, e se queste esperienze sono molto ben espresse in Omaggio alla Catalogna, certamente hanno influito sulle convinzioni da lui espresse in altri libri come La Fattoria degli Animali e lo stesso 1984. Orwell tornò in Inghilterra dopo essersi preso una brutta ferita sul fronte; si rirprese ma la sua salute era instabile, e sopravvisse pochissimi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: 1984 è praticamente il suo testamento.
La trama di 1984 (che immagino sia nota a tutti, ma se lo considerate uno "spoiler" allora c'è da saltare questo paragrafo) ci porta in un mondo dominato da tre totalitarismi diversi soltanto per il nome e in perenne guerra fra loro: il protagonista Winston Smith vive in Oceania (che è uno di questi tre mega stati) e lavora per il "Ministero della Verità" ovvero confeziona bugie per il partito al potere (il Partito Socialista Inglese o INGSOC, che diventa SOCING nella traduzione italiana). Come tutti i membri del partito Winston è sorvegliato dalle telecamere (lo schermo gigante che gli spara propaganda in casa e che allo stesso tempo lo riprende) ma tiene un diario dove esprime i suoi pensieri di dissenso.
Winston conduce questa noiosa esistenza senza prospettive e da solo, dal momento che il suo matrimonio senza amore è presto naufragato.
Del resto c'è poco da ribellarsi. Il Grande Fratello (un leader che potrebbe anche essere ormai morto, e trasformato in simbolo) tiene in pugno il paese con un potente apparato repressivo. I "prolet" (proletari) sono mantenuti in uno stato di ignoranza bestiale, la psicopolizia (che tradurrei meglio in polizia del pensiero) vigila su ogni manifestazione di dissenso (ovvero lo psicoreato), e anche il modo di parlare è alterato attraverso una neolingua per rendere impossibile il dissenso.
Ma nonostante questo mondo di disperazione consolidata, Winston incontra una ragazza, Julia, con cui instaura una relazione. Si illude di poter capire qualcosa di più sul suo mondo e sul sistema di potere che controlla tutti, si illude di poter far parte di una resistenza, ma in realtà un membro della psicopolizia lo ha tenuto d'occhio. E' O'Brien, membro del partito interno, ovvero la ristretta cerchia dei veramente privilegiati. Provvederà a distruggere la personalità e il sentimento di Winston, e a rieducarlo.
Tematiche sorpassate? A dire il vero sono stato sempre del parere che il mondo si diriga in tutt'altra direzione e non verso il totalitarismo orwelliano, e ho visto che l'opinione è diventata diffusa (tra chi si fila i libri ovviamente) dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Forse, adesso che ci dirigiamo verso un futuro apparentemente meno democratico e assai più povero potremmo riscoprire le delize di questa distopia ma continuo ad avere i miei dubbi: il totalitarismo duro e militarista del libro è una faccenda costosa e come sistema per poter controllare la gente lo ritengo piuttosto sorpassato, e messo in crisi dalla tecnologia moderna in vari paesi, perciò sotto questo aspetto 1984 non lo ritengo profetico.
Invece un aspetto del mondo orwelliano che in parte si è verificato è quello delle telecamere di sorveglianza, per quanto il loro corrente uso di controllare i delinquenti non mi veda molto contrario. La degenerazione del linguaggio, l'uso furbo di certe parole per far passare le peggiori porcherie mi ha fatto anche ricordare la "neolingua" di Orwell, e certe facce che parlano di valori e virtù mentre fanno discorsi che coprono le peggiori porcherie di certi governi possono farci davvero pensare al bispensiero, ovvero alla possibilità di sostenere con gli altri e perfino con sé stessi opinioni contrastanti e in contraddizione (e di deformare la visione della realtà). Il condizionamento del mondo dei media, la povertà di linguaggio e di pensiero del cinema dove si fanno per lo più remake di storie famose, tante cose del mondo di oggi fanno pensare alla distopia orwelliana.
Anche il programma televisivo atroce che prende il nome dal Grande Fratello orwelliano ha molto a che vedere con il controllo del pensiero e della personalità, ma il gioco è praticamente scoperto, perché la gente oggi fa un gioco di consapevole complicità con quelli che la condizionano.
Di fatto l'influenza culturale di 1984 è stata immensa, che la "profezia" sia azzeccata o no.
Winston. Il protagonista e la sua disperazione sono quello che fa grande questo libro. L'odio di Winston per il Grande Fratello e la sua ostinata speranza di potersi opporre, la relazione con Julia che gli permette di uscire dalla repressione sessuale del mondo che lo circonda, la volontà di capire e combattere. Per quanto sia un protagonista tutt'altro che eroico, Winston è capace di coinvolgere profondamente il lettore. Con la scomparsa finale della sua personalità, la storia finisce.
Curiosità. Le mie consuete preoccupazioni sulla credibilità e il funzionamento dei meccanismi nei mondi immaginari mi hanno portato a chiedermi se sia veramente possibile andare a riesaminare tutta la produzione culturale (giornali, libri ecc...) per far sparire i riferimenti a una persona quando cade in disgrazia, che è uno dei lavori svolti da Winston al Ministero della Verità. Credo che sia impossibile in un mondo come il nostro, per quanto fin dai tempi degli antichi Romani la pratica sia esistita (damnatio memoriae).
Il mondo di 1984 perciò dovrebbe avere una produzione di libri, riviste, film ecc... relativamente limitata. La guerra vista come mezzo per distruggere il surplus industriale e mantenere "stabile" il mondo potrebbe sembrare un artificio meno realistico, perché una situazione di stallo ininterrotto tra stati moderni è piuttosto improbabile e non si è mai vista in una guerra "calda." Sarebbe bello poter sapere come Orwell avrebbe interpretato questo equilibrio dei blocchi se avesse visto nascere il mondo della guerra fredda e i suoi giochi di spie, frontiere fortificate stile "cortina di ferro," incidenti di confine ecc... uno scenario che era solo agli inizi quando lui morì
Non sono uno che fa la lista dei cento libri che dovete leggere assolutamente (o che portereste con voi sull'isola deserta) però1984, che per me è un libro di fantascienza a tutti gli effetti pur avendo ovviamente tutte le altre implicazione che abbiamo esaminato, è un classico che qualsiasi lettore dovrebbe conoscere.
venerdì 28 ottobre 2011
I diktat della SIAE
Lo sapevate? adesso se fate apparire il trailer di un film su un sito internet (immagino anche un blog) sia pure semplicemente linkandolo da youtube, dovete pagare i diritti d'autore. Quei mattacchioni della SIAE hanno deciso di partire all'offensiva e di raggranellare un po' di quattrini (bisogna comprare una licenza per usare i video, e non costa nemmeno pochissimo). Il problema si pone anche per qualsiasi video che contenga materiale "protetto" dalla SIAE.
Potete saperne di più leggendo qui.
Ora, io non sono uno di quei guerriglieri che considerano insensato il copyright, la tutela della proprietà intellettuale e così via, però credo che sia importante sapere come funziona questo ente, come prende il denaro e come lo distribuisce (e a chi).
Vi invito a consultare un vecchio ma interessante servizio di Report, che trovate in trascrizione e in audio (audio che purtroppo io non sono riuscito ad ascoltare). Report è una celebre trasmissione della Rai, non un delirio di qualche attivista arrabbiato o pesantemente schierato, quindi il materiale è senz'altro degno di una riflessione: anche perché non mi risulta che le regole del gioco siano cambiate un gran che dalla data di questa inchiesta.
Ci sono molte cose da cambiare in questo paese prima che ricominci a funzionare, penso proprio che la Siae sia una di queste.
Potete saperne di più leggendo qui.
Ora, io non sono uno di quei guerriglieri che considerano insensato il copyright, la tutela della proprietà intellettuale e così via, però credo che sia importante sapere come funziona questo ente, come prende il denaro e come lo distribuisce (e a chi).
Vi invito a consultare un vecchio ma interessante servizio di Report, che trovate in trascrizione e in audio (audio che purtroppo io non sono riuscito ad ascoltare). Report è una celebre trasmissione della Rai, non un delirio di qualche attivista arrabbiato o pesantemente schierato, quindi il materiale è senz'altro degno di una riflessione: anche perché non mi risulta che le regole del gioco siano cambiate un gran che dalla data di questa inchiesta.
Ci sono molte cose da cambiare in questo paese prima che ricominci a funzionare, penso proprio che la Siae sia una di queste.
giovedì 27 ottobre 2011
Novità Fantascienza
Nel prossimo futuro la fantascienza dovrebbe proporci delle novità interessanti. A parte il prequel di Alien (possibile titolo: Prometheus?) dovremmo avere il film di Battlestar Galactica, il che farà piacere a quanti hanno apprezzato la serie TV: come me per esempio. Non è certo però se l'influenza principale del film verrà dalla serie originale di fine anni '70 o se ci sarà una fedeltà stretta alla serie "reimmaginata". Se vogliono usare gli attori già conosciuti al pubblico, sarà la seconda. John Orloff, che sta scrivendo la sceneggiatura, non si sbilancia, sembra tuttavia che sia appassionato alla prima delle due serie e credo che portare sul grande schermo la vecchia abbia una sua logica, perché la serie più recente ha detto e stradetto tutto quel che aveva da dire, nonostante abbia "perso una stagione" che si sperava di poter fare. Il pochissimo successo del prequel Caprica potrebbe anche significare che il Galattica reimmaginato sia logoro. Fare adesso un film prendendo attori, scenari e così via dalla serie recente sarebbe una bella sfida: raccontare una nuova storia con un cast e un'ambientazione già viste, creando una linea narrativa diversa? O fare il semplice riassunto di quello che è stato già visto da tutti coloro che volevano vederlo? Senza contare che i set sarebbero da rifare daccapo perché a quanto ne so ormai è stato smontato e venduto tutto il materiale. Ovviamente c'è anche la possibilità che questo film prenda le premesse della guerra con i Cylon e vada per una strada del tutto nuova.
I fratelli Wachowski, autori del poco amato (da me) Matrix e più recentemente del floppissimo Speed Racer, sono all'opera assieme ad un altro regista su Cloud Atlas, trasposizione di un romanzo di David Mitchell dove abbiamo sei protagonisti e sei storie ambientate in periodi diversi, dal passato (diciannovesimo secolo) al futuro. Storie diverse ma concatenate, unite dal tema dell'avidità umana. I Wachowski sono in ballo anche con un altro progetto di fantascienza: Jupiter Ascending, che dovrebbe essere il loro nuovo grosso progetto.
Insomma se la fantascienza nei libri non vende gran che, mentre i libri fantasy vanno a pancali nelle librerie (e ora anche come ebook) bisogna dire che sul grande schermo la situazione è abbastanza equilibrata. E se non vi piace vedere storie di maghetti e vampiri, la fantascienza è praticamente l'unica che vi resta. A meno che non vi sia piaciuto il nuovo Conan...
Tra l'altro, si parlava di un remake per Excalibur, ma il progetto è naufragato. Peccato.
I fratelli Wachowski, autori del poco amato (da me) Matrix e più recentemente del floppissimo Speed Racer, sono all'opera assieme ad un altro regista su Cloud Atlas, trasposizione di un romanzo di David Mitchell dove abbiamo sei protagonisti e sei storie ambientate in periodi diversi, dal passato (diciannovesimo secolo) al futuro. Storie diverse ma concatenate, unite dal tema dell'avidità umana. I Wachowski sono in ballo anche con un altro progetto di fantascienza: Jupiter Ascending, che dovrebbe essere il loro nuovo grosso progetto.
Insomma se la fantascienza nei libri non vende gran che, mentre i libri fantasy vanno a pancali nelle librerie (e ora anche come ebook) bisogna dire che sul grande schermo la situazione è abbastanza equilibrata. E se non vi piace vedere storie di maghetti e vampiri, la fantascienza è praticamente l'unica che vi resta. A meno che non vi sia piaciuto il nuovo Conan...
Tra l'altro, si parlava di un remake per Excalibur, ma il progetto è naufragato. Peccato.
domenica 23 ottobre 2011
Il Colore della Magia
Confesso: non avevo letto nulla di Terry Pratchett a parte spizzichi e bocconi. Il prolifico autore inglese, noto per esser stato nominato cavaliere dalla corona e (purtroppo) per la battaglia contro l'Alzheimer che salvo miracoli lo vedrà presto soccombente (probabilmente con un'uscita di scena dignitosa e volontaria in anticipo sul decorso della malattia), sarebbe uno dei pochi a esser riuscito a coniugare comicità e fantasy, due ingredienti difficili da conciliare.
Sul successo di pubblico non c'è alcun dubbio, quanto a me volevo verificare se davvero è così divertente. Così ho letto (dall'inglese) il primo libro della serie del Mondo Disco. Un mondo piuttosto particolare, a forma di disco come dice il nome, sostenuto da quattro (mi sembra) elefanti che a loro volta poggiano sul dorso di una tartaruga gigantesca che nuota nel cosmo. Con questo immagino che l'autore abbia voluto ridicolizzare le leggende sull'origine o sulla natura del mondo dei popoli primitivi, ma qui il tutto è inteso in maniera concreta e letterale, tanto che l'acqua degli oceani cade giù dal bordo.
Il Colore della Magia ci porta, avrei potuto scommetterlo, in una metropoli decadente, fetida e corrotta dal nome di Ankh Morpork, dove si presenta uno strano turista ricchissimo, Twoflower, che nella versione italiana diventa Duefiori. Questo ingenuo personaggio, che mostra subito di possedere troppi soldi e di non aver compreso la pericolosità del posto, si fa seguire da un baule di bagagli, dotato di piedi e molto pugnace quando necessario. Si incaricherà di far da guida a Twoflower il cinico Rincewind (Scuotivento), mago incompetente e poco coraggioso.
Il problema è che l'umorismo di questo libro spesso è del tipo britannico. Più arguzia e ironia che risate vere e proprie. Lo stesso ho verificato nella Guida Galattica per gli Autostoppisti, che ho amato di più molto probabilmente per aver letto i primi tre libri nella traduzione italiana, truce e sguaiata al punto giusto, e che m'è scesa di tono quando ho letto Addio, e Grazie per Tutto il Pesce in lingua originale.
Ad esempio, quando Rincewind osserva dei pesci che vivono vicino al bordo del disco nutrendosi di tutto ciò di commestibile che viene trascinato verso il bordo per cadere, si chiede come dev'essere vivere nuotando faticosamente per restare sempre nello stesso posto (ed evitare di cadere nel nulla), e conclude che la vita di quei pesci è molto simile ai suoi travagli personali. Arguta, simpatica osservazione, ma non mi fa ridere.
Comunque la lettura è stata ugualmente piacevole e deliziosa in alcuni punti. Continuo a pensare che il fantasy sia nato per essere un po' più solenne, e se fa ridere lo fa soprattutto in modo involontario, ma Pratchett è riuscito in un'impresa difficile.
Sul successo di pubblico non c'è alcun dubbio, quanto a me volevo verificare se davvero è così divertente. Così ho letto (dall'inglese) il primo libro della serie del Mondo Disco. Un mondo piuttosto particolare, a forma di disco come dice il nome, sostenuto da quattro (mi sembra) elefanti che a loro volta poggiano sul dorso di una tartaruga gigantesca che nuota nel cosmo. Con questo immagino che l'autore abbia voluto ridicolizzare le leggende sull'origine o sulla natura del mondo dei popoli primitivi, ma qui il tutto è inteso in maniera concreta e letterale, tanto che l'acqua degli oceani cade giù dal bordo.
Il Colore della Magia ci porta, avrei potuto scommetterlo, in una metropoli decadente, fetida e corrotta dal nome di Ankh Morpork, dove si presenta uno strano turista ricchissimo, Twoflower, che nella versione italiana diventa Duefiori. Questo ingenuo personaggio, che mostra subito di possedere troppi soldi e di non aver compreso la pericolosità del posto, si fa seguire da un baule di bagagli, dotato di piedi e molto pugnace quando necessario. Si incaricherà di far da guida a Twoflower il cinico Rincewind (Scuotivento), mago incompetente e poco coraggioso.
Il problema è che l'umorismo di questo libro spesso è del tipo britannico. Più arguzia e ironia che risate vere e proprie. Lo stesso ho verificato nella Guida Galattica per gli Autostoppisti, che ho amato di più molto probabilmente per aver letto i primi tre libri nella traduzione italiana, truce e sguaiata al punto giusto, e che m'è scesa di tono quando ho letto Addio, e Grazie per Tutto il Pesce in lingua originale.
Ad esempio, quando Rincewind osserva dei pesci che vivono vicino al bordo del disco nutrendosi di tutto ciò di commestibile che viene trascinato verso il bordo per cadere, si chiede come dev'essere vivere nuotando faticosamente per restare sempre nello stesso posto (ed evitare di cadere nel nulla), e conclude che la vita di quei pesci è molto simile ai suoi travagli personali. Arguta, simpatica osservazione, ma non mi fa ridere.
Comunque la lettura è stata ugualmente piacevole e deliziosa in alcuni punti. Continuo a pensare che il fantasy sia nato per essere un po' più solenne, e se fa ridere lo fa soprattutto in modo involontario, ma Pratchett è riuscito in un'impresa difficile.
domenica 16 ottobre 2011
I Tre Moschettieri
Qualsiasi film che si rifaccia al piacevole romanzo di Dumas difficilmente potrà sorprenderci con una trama insolita, anche se in questo caso ci sono delle deviazioni abbastanza robuste rispetto al libro. Si può però riproporre una vecchia simpatica storia con un formato moderno e accattivante, facendo l'occhiolino alla moda steampunk che ha tornato a furoreggiare, e prendendo qualche scena a prestito dai film d'azione ispirati ai videogame, con Milla Jojovich che, nei panni di Milady, si cimenta in acrobazie da action chick. Stile cinematografico che a me può non piacere gran che, ma volevo comunque verificare il risultato.
Ho cercato di vedere questo I Tre Moschettieri in 2D ma c'era un guasto (?) al primo giorno di programmazione, per cui ho dovuto rimandare di un paio di giorni e ripiegare sul 3D, di cui farei a meno; in ogni caso, stavolta, penso che la tridimensionalità abbia contribuito a far scena.
Assolutamente da non perdere le scene di combattimento tra i vascelli-dirigibili, gli scenari favolosi, i costumi rutilanti. I personaggi sono interpretati passabilmente, ma i tre moschettieri del titolo non hanno abbastanza spazio e scompaiono di fronte a D'Artagnan (Logan Lerman) e ai due principali antagonisti maschili: Buckingham (Orlando Bloom) e il perfido cardinale Richelieu (Christoph Waltz).
I volti femminili: oltre alla già citata Milla Jojovich, abbiamo l'inglese Juno Temple (nei panni della regina), mentre una giovane damigella d'onore (di cui s'invaghirà D'Artagnan) è interpretata da un'attrice (e modella) britannica dai nobili natali e dal nome impossibile: Gabriella Zanna Vanessa Anstruther-Gough-Calthorpe (per gli amici e per il pubblico, Gabriella Wilde).
Ha diretto il tutto Paul Anderson, regista da videoclip.
Direi che non c'è molto altro da aggiungere. Giudizio finale: ho qualche dubbio sulla trama (che presenta scorciatoie logiche), ma il film si fa gradevolmente vedere.
Ho cercato di vedere questo I Tre Moschettieri in 2D ma c'era un guasto (?) al primo giorno di programmazione, per cui ho dovuto rimandare di un paio di giorni e ripiegare sul 3D, di cui farei a meno; in ogni caso, stavolta, penso che la tridimensionalità abbia contribuito a far scena.
Assolutamente da non perdere le scene di combattimento tra i vascelli-dirigibili, gli scenari favolosi, i costumi rutilanti. I personaggi sono interpretati passabilmente, ma i tre moschettieri del titolo non hanno abbastanza spazio e scompaiono di fronte a D'Artagnan (Logan Lerman) e ai due principali antagonisti maschili: Buckingham (Orlando Bloom) e il perfido cardinale Richelieu (Christoph Waltz).
I volti femminili: oltre alla già citata Milla Jojovich, abbiamo l'inglese Juno Temple (nei panni della regina), mentre una giovane damigella d'onore (di cui s'invaghirà D'Artagnan) è interpretata da un'attrice (e modella) britannica dai nobili natali e dal nome impossibile: Gabriella Zanna Vanessa Anstruther-Gough-Calthorpe (per gli amici e per il pubblico, Gabriella Wilde).
Ha diretto il tutto Paul Anderson, regista da videoclip.
Direi che non c'è molto altro da aggiungere. Giudizio finale: ho qualche dubbio sulla trama (che presenta scorciatoie logiche), ma il film si fa gradevolmente vedere.
martedì 11 ottobre 2011
Perdite numerose ed eccellenti
Nel recente periodo sono venuti a mancare diversi personaggi importanti. Non mi metterò a fare un off topic su Steve Jobs (anche se un po' la voglia l'avrei), desidero invece ricordare che l'ambiente della fantascienza ha perso Vittorio Curtoni, direttore di Robot. Un nome importante, noto anche a me che, pur essendo appassionato di fantascienza, non ho mai seguito particolarmente quella italiana.
Mi ha colpito enormemente anche la scomparsa di Sergio Bonelli, che probabilmente sarà ricordato come l'ultimo grande impresario del fumetto italiano (giudizio pessimista il mio, forse?).
Nonostante abbia bazzicato prodotti più sofisticati, i fumetti popolari e semplici di Bonelli non li ho disprezzati, magari di alcuni (Zagor?) non ho proprio un ottimo ricordo, ma sono stato sempre appassionato (e incostante compratore) di Tex e Dylan Dog. Di Bonelli ho sentito spesso parlare con ammirazione ma anche con una punta di risentimento, per il suo professato pessimismo sul futuro di quest'arte che io amo ancora moltissimo. Devo dire che il suo atteggiamento era piuttosto realista, e che lui comunque ha saputo innovare, tentare esperimenti, affrontare questo lento declino.
Ammetto che quasi non sapevo cosa scrivere, in fondo non ho nulla di particolare da riferire su di lui, nulla che non sia stato detto in cento luoghi della rete e non. Dico solo che mi spiace di avere perso questo personaggio: era un pezzo di storia.
Mi ha colpito enormemente anche la scomparsa di Sergio Bonelli, che probabilmente sarà ricordato come l'ultimo grande impresario del fumetto italiano (giudizio pessimista il mio, forse?).
Nonostante abbia bazzicato prodotti più sofisticati, i fumetti popolari e semplici di Bonelli non li ho disprezzati, magari di alcuni (Zagor?) non ho proprio un ottimo ricordo, ma sono stato sempre appassionato (e incostante compratore) di Tex e Dylan Dog. Di Bonelli ho sentito spesso parlare con ammirazione ma anche con una punta di risentimento, per il suo professato pessimismo sul futuro di quest'arte che io amo ancora moltissimo. Devo dire che il suo atteggiamento era piuttosto realista, e che lui comunque ha saputo innovare, tentare esperimenti, affrontare questo lento declino.
Ammetto che quasi non sapevo cosa scrivere, in fondo non ho nulla di particolare da riferire su di lui, nulla che non sia stato detto in cento luoghi della rete e non. Dico solo che mi spiace di avere perso questo personaggio: era un pezzo di storia.
martedì 4 ottobre 2011
Scrivere Fantasy e arte della guerra
Argomento fonte di tante polemiche: gli scrittori di fantasy non sanno descrivere una battaglia, non sanno nulla di questioni militari e le descrizioni che scrivono sono ridicole.
Forte di letture pluriennali sull'argomento, provo a dire la mia sulla Vetrina di Mondi Immaginari. Spero che i due articoli sull'argomento (uno sulle questioni più "strategiche" e uno che esamina alcune battaglie storiche) siano graditi: nel caso, fatemelo sapere commentando su questo post.
Sempre sperando che gli spammer mi lascino in pace.
Forte di letture pluriennali sull'argomento, provo a dire la mia sulla Vetrina di Mondi Immaginari. Spero che i due articoli sull'argomento (uno sulle questioni più "strategiche" e uno che esamina alcune battaglie storiche) siano graditi: nel caso, fatemelo sapere commentando su questo post.
Sempre sperando che gli spammer mi lascino in pace.
domenica 25 settembre 2011
Fantasy & Hobby
Sono stato alla mostra mercato (la definirei così) Fantasy & Hobby ad Assago (nella foto, l'orrendo palazzone del Forum): la manifestazione chiude oggi per cui non faccio in tempo a dare indicazioni pratiche ai Milanesi (e al popolo fantasy dei dintorni), ma siccome l'esposizione si ripete a Genova e a Roma nei prossimi mesi, già che ci sono vi avverto che il settore fantasy, che immaginavo molto ben rappresentato tra miniature, pupazzetti, armi medievali in copia di tolla e figurini vari, è invece piuttosto poco presente, a dispetto del nome della manifestazione.
Non è che sia stata una visita con pochi spunti, però. Quello che abbonda è il materiale (e anche i corsi pratici da fare lì, sul posto) relativo al bricolage e all'artigianato del tipo più creativo e sfizioso. Tutto ciò che ha a che fare con tessuti, bigiotteria fai da te, cere modellabili, candele e saponette strane, colori e pennelli di ogni tipo, decorazioni, decoupage, presepi e stranezze varie. In molti casi devo dire che il materiale era così bello che cercavo il pretesto per comprare qualcosa, ma le mie abilità artigianali sono assai modeste (praticamente se tocco una cosa la rompo).
Me la sono cavata acquistando per una modica cifra la statuetta di una vecchia strega prodotta da La Terra di Mezzo di Iseo (www.magicopopolo.it). C'era anche una stupenda fatina alata, protesa in un bacio a occhi chiusi, ma costava un botto. La potete trovare (in foto e, credo, disponibile per acquisto online) sul loro sito.
Non è che sia stata una visita con pochi spunti, però. Quello che abbonda è il materiale (e anche i corsi pratici da fare lì, sul posto) relativo al bricolage e all'artigianato del tipo più creativo e sfizioso. Tutto ciò che ha a che fare con tessuti, bigiotteria fai da te, cere modellabili, candele e saponette strane, colori e pennelli di ogni tipo, decorazioni, decoupage, presepi e stranezze varie. In molti casi devo dire che il materiale era così bello che cercavo il pretesto per comprare qualcosa, ma le mie abilità artigianali sono assai modeste (praticamente se tocco una cosa la rompo).
Me la sono cavata acquistando per una modica cifra la statuetta di una vecchia strega prodotta da La Terra di Mezzo di Iseo (www.magicopopolo.it). C'era anche una stupenda fatina alata, protesa in un bacio a occhi chiusi, ma costava un botto. La potete trovare (in foto e, credo, disponibile per acquisto online) sul loro sito.
lunedì 19 settembre 2011
Tolkien. La Luce e l'Ombra
Una raccolta di saggi a cura (e traduzione dove necessario) di Giovanni Agnoloni, Tolkien. La Luce e L'Ombra analizza in verità diversi aspetti dello scrivere di questo grande autore, ed è per questo che è molto interessante. Una lettura che consiglio, anche se non mi pare che sia disponibile nelle librerie online (purtroppo), quindi non saprei cosa dire a chi vuole trovarlo.
Agnoloni fa un discorso filosofico che parla del percorso umano, a partire dalla contrapposizione di Luce e Ombra, tra desideri, impulsi, conoscenza e realizzazione della verità, fino alla spiritualità e alla fede nel divino. Ho letto con interesse ma pur riconoscendo che in Tolkien c'è anche questo, non è l'aspetto che mi interessa di più dell'autore, né dal punto di vista dell'intrattenimento (quando leggo qualcosa di Tolkien come un romanzo fantasy "qualsiasi") né dal punto di vista dei contenuti, che a mio parere possono essere fruiti anche al di fuori di un discorso religioso in senso stretto (pur ammettendo che esso esiste, ovviamente). D'altra parte Tolkien stesso ha evitato qualsiasi contatto diretto del divino con la sua opera. Se ben ricordo le sue parole, ha creato una "religione naturale" che è evidentemente cristiana ma, forse anche per rispetto, ne ha tenuto fuori qualsiasi riferimento esplicito. E ha fatto bene, perché non penso che la gerarchia cattolica avrebbe apprezzato, nonostante le buone intenzioni.
Colin Duriez, scrittore inglese, parla del rapporto tra bene e male. La visione del male sarebbe agostiniana, in Tolkien: ovvero il male non avrebbe una ragion d'essere di per sé, ma esiste solo come cattivo uso del libero arbitrio (questa, molto abbreviata, la concezione di Sant'Agostino del male come assenza di bene). Fa anche un parallelo con Voldemort, il cattivo di Harry Potter; non posso commentare perché i libri del maghetto non li ho letti. Ci tengo a precisare una cosa: che quando parlo del manicheismo nel fantasy, ovvero della netta contrapposizione buoni-cattivi in personaggi archetipali tagliati con l'accetta, non sto a fare distinzioni così sofisticate. Pertanto, se anche Duriez avesse tutte le ragioni, per me l'opera di Tolkien resta a tutti gli effetti pratici il classico fantasy manicheo. Ma non intendo fare discorsi tagliati con l'accetta a mia volta: libri in cui predomina la fiaba, il manicheismo, l'uso degli archetipi (Gandalf Vecchio Saggio, Aragorn Cavaliere Senza Macchia ecc...) anche se non sono il mio modello di fantasy possono senz'altro essere belli, così come reputo Il Signore degli Anelli un libro bellissimo. Peccato che Tolkien, che di suo ha scritto dei bei libri, abbia dato il via a degli imitatori (finti imitatori, perché ne prendono solo gli aspetti più esteriori) che hanno dato al fantasy quell'impronta di scontro buoni contro cattivi che tocca la maggioranza delle uscite moderne.
John Garth (scrittore e giornalista) ha parlato delle scene di guerra e della precisa corrispondenza di certe visioni (ad esempio i cadaveri nella Paludi Morte) con le atrocità della Prima Guerra Mondiale che Tolkien vide con i suoi occhi: tanto per non dimenticare che Tolkien non è sempre stato in università a fare il dotto professore, ma se l'è giocata nelle trincee come i suoi contemporanei, sebbene forse non troppo volentieri.
Gino Scatasta (professore universitario e traduttore dall'inglese) espone una tesi che reputo molto azzeccata. Non espongo tutto il ragionamento e la prospettiva, ma solo la conclusione, peraltro abbastanza chiara: Tolkien con tutto il suo conservatorismo è comunque figlio del suo tempo e moderno a tutti gli effetti, e la contrapposizione Luce-Ombra (Bene e Male) in lui è vista con il filtro del '900 (il "Secolo delle Idee Assassine," aggiungo io) e ne risulta una lotta dove il male va completamente eliminato dentro e fuori di sé, e con l'avversario non può esserci nessun compromesso. Personalmente ritengo questo un aspetto sgradevole di quel manicheismo tanto imperante nel fantasy.
Michael Drout (studioso di letteratura medievale) parla del senso di perdita con un riferimento alla sua esperienza personale: quando da bambino lesse il Silmarillion in un periodo molto triste per lui e la famiglia. Il Silmarillion è l'opera in cui Tolkien lascia da parte o minimizza i suoi discorsi sul lieto fine (concetto su cui dovrò tornare) per mostrare una serie di lutti e distruzioni senza rimedio. Esprime la consapevolezza che tutti gli uomini, e tutte le loro opere, presto o tardi, dovranno morire. Nel saggio di Drout esaminiamo come l'arte possa dare una bellezza anche al dolore, alla nostalgia e al senso di perdita. Questa è la trattazione che ho preferito nella raccolta.
Colin Duriez, scrittore inglese, parla del rapporto tra bene e male. La visione del male sarebbe agostiniana, in Tolkien: ovvero il male non avrebbe una ragion d'essere di per sé, ma esiste solo come cattivo uso del libero arbitrio (questa, molto abbreviata, la concezione di Sant'Agostino del male come assenza di bene). Fa anche un parallelo con Voldemort, il cattivo di Harry Potter; non posso commentare perché i libri del maghetto non li ho letti. Ci tengo a precisare una cosa: che quando parlo del manicheismo nel fantasy, ovvero della netta contrapposizione buoni-cattivi in personaggi archetipali tagliati con l'accetta, non sto a fare distinzioni così sofisticate. Pertanto, se anche Duriez avesse tutte le ragioni, per me l'opera di Tolkien resta a tutti gli effetti pratici il classico fantasy manicheo. Ma non intendo fare discorsi tagliati con l'accetta a mia volta: libri in cui predomina la fiaba, il manicheismo, l'uso degli archetipi (Gandalf Vecchio Saggio, Aragorn Cavaliere Senza Macchia ecc...) anche se non sono il mio modello di fantasy possono senz'altro essere belli, così come reputo Il Signore degli Anelli un libro bellissimo. Peccato che Tolkien, che di suo ha scritto dei bei libri, abbia dato il via a degli imitatori (finti imitatori, perché ne prendono solo gli aspetti più esteriori) che hanno dato al fantasy quell'impronta di scontro buoni contro cattivi che tocca la maggioranza delle uscite moderne.
John Garth (scrittore e giornalista) ha parlato delle scene di guerra e della precisa corrispondenza di certe visioni (ad esempio i cadaveri nella Paludi Morte) con le atrocità della Prima Guerra Mondiale che Tolkien vide con i suoi occhi: tanto per non dimenticare che Tolkien non è sempre stato in università a fare il dotto professore, ma se l'è giocata nelle trincee come i suoi contemporanei, sebbene forse non troppo volentieri.
Gino Scatasta (professore universitario e traduttore dall'inglese) espone una tesi che reputo molto azzeccata. Non espongo tutto il ragionamento e la prospettiva, ma solo la conclusione, peraltro abbastanza chiara: Tolkien con tutto il suo conservatorismo è comunque figlio del suo tempo e moderno a tutti gli effetti, e la contrapposizione Luce-Ombra (Bene e Male) in lui è vista con il filtro del '900 (il "Secolo delle Idee Assassine," aggiungo io) e ne risulta una lotta dove il male va completamente eliminato dentro e fuori di sé, e con l'avversario non può esserci nessun compromesso. Personalmente ritengo questo un aspetto sgradevole di quel manicheismo tanto imperante nel fantasy.
Michael Drout (studioso di letteratura medievale) parla del senso di perdita con un riferimento alla sua esperienza personale: quando da bambino lesse il Silmarillion in un periodo molto triste per lui e la famiglia. Il Silmarillion è l'opera in cui Tolkien lascia da parte o minimizza i suoi discorsi sul lieto fine (concetto su cui dovrò tornare) per mostrare una serie di lutti e distruzioni senza rimedio. Esprime la consapevolezza che tutti gli uomini, e tutte le loro opere, presto o tardi, dovranno morire. Nel saggio di Drout esaminiamo come l'arte possa dare una bellezza anche al dolore, alla nostalgia e al senso di perdita. Questa è la trattazione che ho preferito nella raccolta.
sabato 17 settembre 2011
Civilization, speriamo nella prossima puntata
Ho seguito TUTTE le edizioni di Civilization (videogame del glorioso Sid Meier) tranne Civilization Revolution che era pensato principalmente per le console. Purtroppo il quinto Civilization l'ho lasciato lì perché si impallava spesso e mi piaceva assai poco. Ogni tanto studio per vedere se c'è qualche patch, qualche novità per rimettere le cose un po' a posto.
Nulla di buono. L'unica cosa che ho trovato stavolta è questo articolo che spiega (in inglese) quello che NON va con Civ V.
Che ci posso fare? Aspetterò il VI...
Nulla di buono. L'unica cosa che ho trovato stavolta è questo articolo che spiega (in inglese) quello che NON va con Civ V.
Che ci posso fare? Aspetterò il VI...
domenica 11 settembre 2011
Skyline
L'inizio di questo Skyline mi ha messo a dura prova. Diciamolo: un gruppo di cretini che fanno i festaioli, come modo di presentare i protagonisti, può generare qualche scena che dà sui nervi. Ad ogni modo, c'è questo gruppo di tizi con fidanzate più o meno incinte, amanti ecc... che dopo la notte brava si risveglia una mattina in un appartamento di lusso in quel di Los Angeles, in un grattacielo residenziale (a quanto pare sarebbe il posto in cui abita Greg Strause, che col fratello Colin firma la regia del film). Una luce blu accecante proveniente dall'esterno, luce che ipnotizza e lascia segni sulla pelle, e li spaventa. Presto vedono che sono arrivati gli alieni e stanno prendendo il controllo della città, uccidendo e portando via le persone. I nostri cercano di organizzarsi, litigano fra loro, discutono se lasciare il palazzo e tentare di arrivare al porto... senza fare troppe anticipazioni, c'è molto spettacolo compreso l'arrivo della cavalleria (per modo di dire).
Il film si è accavallato con Battle: Los Angeles per la tematica praticamente identica e le date di uscita molto vicine, tanto per dire quanto sia originale la tematica degli alieni cattivi che invadono gli USA (e/o il mondo). Ha anche avuto un'accoglienza fredda sia dal pubblico che dalla critica, fredda come la luce blu di questi extraterrestri nel paesaggio di vetro, acciaio e cemento della zona in cui si svolge la storia. Devo dire che gli alieni, per fattezze, movimenti e sensazione di... alienità, sono fatti molto bene, e questo è particolarmente lodevole visto che il budget del film è relativamente basso, fatto che ha permesso a Skyline di essere un piccolo successo economico nonostante l'incasso, in termini USA, non sia stato propriamente eccelso. Forse sarebbe stato meglio spendere del denaro in più per ingaggiare qualche attore valido, perché in un film ricco di tensione e dialoghi l'interpretazione senza infamia e senza lode di un gruppo di sconosciuti è un serio limite. Anche sulla qualità dei dialoghi e sulla scarsa caratterizzazione dei personaggi ci sarebbe da dire.
[Da qui in poi, anticipazioni sulla trama]. Tuttavia non mi viene da liquidare Skyline come la solita vaccata. Ci sono i soliti punti criticabili (se una razza aliena è riuscita a viaggiare nello spazio, dovrebbe far fuori qualsiasi opposizione senza colpo ferire e senza subire grossi danni a propria volta: ma in questo film come negli altri del genere l'esercito a stelle e strisce picchia di brutto) ma è interessante il fatto che qui vediamo tutto dal punto di vista di un gruppo di persone normali, che messe tutte insieme dispongono di una pistola come unica arma, e si ritrovano assediate in casa senza altre informazioni che quello che si vede dalla finestra o dal tetto, senza notiziari o contatto telefonico, e dopo un po' senza luce e acqua corrente.
Questo ovviamente fa sì che si venga a scoprire proprio poco sulla natura degli alieni, ma dà un tocco di verosimiglianza alla storia, assieme al fatto che non c'è alcun grande eroe nel gruppo e i personaggi, anche quelli che vengono stabiliti come evidenti protagonisti all'inizio del film, muoiono a uno a uno. L'umanità viene sconfitta (non solo a Los Angeles: ci sono scorci di altre città invase) e l'unica speranza è quella di una ragazza incinta che vede il fidanzato, trasformato in alieno, mantenere la propria identità e ribellarsi agli altri alieni per difenderla. Non c'è da gridare al capolavoro ma, nel piattume dei film di questo tipo, almeno Skyline dà una rimescolata alle carte. Comunque leggendo qualche critica in giro sembra che il punto di vista limitato "da poveri cristi" coinvolti in un gran casino sia molto dispiaciuto ad alcuni commentatori; io dico che il cinema può essere anche questo, sebbene in un film di fantascienza con i soliti alieni messi lì tanto per fare potrebbe magari sembrare una scusa per non dare un sacco di spiegazioni.
Il film si è accavallato con Battle: Los Angeles per la tematica praticamente identica e le date di uscita molto vicine, tanto per dire quanto sia originale la tematica degli alieni cattivi che invadono gli USA (e/o il mondo). Ha anche avuto un'accoglienza fredda sia dal pubblico che dalla critica, fredda come la luce blu di questi extraterrestri nel paesaggio di vetro, acciaio e cemento della zona in cui si svolge la storia. Devo dire che gli alieni, per fattezze, movimenti e sensazione di... alienità, sono fatti molto bene, e questo è particolarmente lodevole visto che il budget del film è relativamente basso, fatto che ha permesso a Skyline di essere un piccolo successo economico nonostante l'incasso, in termini USA, non sia stato propriamente eccelso. Forse sarebbe stato meglio spendere del denaro in più per ingaggiare qualche attore valido, perché in un film ricco di tensione e dialoghi l'interpretazione senza infamia e senza lode di un gruppo di sconosciuti è un serio limite. Anche sulla qualità dei dialoghi e sulla scarsa caratterizzazione dei personaggi ci sarebbe da dire.
[Da qui in poi, anticipazioni sulla trama]. Tuttavia non mi viene da liquidare Skyline come la solita vaccata. Ci sono i soliti punti criticabili (se una razza aliena è riuscita a viaggiare nello spazio, dovrebbe far fuori qualsiasi opposizione senza colpo ferire e senza subire grossi danni a propria volta: ma in questo film come negli altri del genere l'esercito a stelle e strisce picchia di brutto) ma è interessante il fatto che qui vediamo tutto dal punto di vista di un gruppo di persone normali, che messe tutte insieme dispongono di una pistola come unica arma, e si ritrovano assediate in casa senza altre informazioni che quello che si vede dalla finestra o dal tetto, senza notiziari o contatto telefonico, e dopo un po' senza luce e acqua corrente.
Questo ovviamente fa sì che si venga a scoprire proprio poco sulla natura degli alieni, ma dà un tocco di verosimiglianza alla storia, assieme al fatto che non c'è alcun grande eroe nel gruppo e i personaggi, anche quelli che vengono stabiliti come evidenti protagonisti all'inizio del film, muoiono a uno a uno. L'umanità viene sconfitta (non solo a Los Angeles: ci sono scorci di altre città invase) e l'unica speranza è quella di una ragazza incinta che vede il fidanzato, trasformato in alieno, mantenere la propria identità e ribellarsi agli altri alieni per difenderla. Non c'è da gridare al capolavoro ma, nel piattume dei film di questo tipo, almeno Skyline dà una rimescolata alle carte. Comunque leggendo qualche critica in giro sembra che il punto di vista limitato "da poveri cristi" coinvolti in un gran casino sia molto dispiaciuto ad alcuni commentatori; io dico che il cinema può essere anche questo, sebbene in un film di fantascienza con i soliti alieni messi lì tanto per fare potrebbe magari sembrare una scusa per non dare un sacco di spiegazioni.
sabato 10 settembre 2011
Un Galactica porno?
Sembra che abbiano realizzato un film di fantascienza porno, Horizon. Non è la prima volta (personalmente avevo visto Flesh Gordon, parecchio tempo fa) ma qui non sembra una satira, ci sono effetti speciali sia pure un po' modesti e gli attori cercano veramente di recitare; la trama per certi versi ricalca la situazione di fuga disperata di Battlestar Galactica, dopo la "classica" invasione aliena. Nel trailer comunque non ci sono scene piccanti. Sarà mica una bufala per fare pubblicità?
La Psicostoria di Asimov sta arrivando
Ebbene sì, c'è chi dice che i supercomputer stanno ottenendo tali successi da poter prevedere gli eventi, come nella psicostoria, la scienza immaginata da Asimov nella serie della Fondazione.
Per chi non avesse letto il libro, c'era questa grande mente scientifica, Hari Seldon, che aveva trovato un sistema per prevedere gli avvenimenti mescolando elaborazioni matematiche e statistiche a concetti di psicologia, sociologia e storia. Certe previsioni di Seldon erano, se ricordo bene, di assoluta precisione e secondo me poco credibili.
Oggi comunque si sta cercando di realizzare la psicostoria.
Secondo l'articolo (in inglese) dando informazioni a un computer dalla grande potenza di calcolo si è arrivati a prevedere la rivolta libica e a determinare approssimativamente dove fosse nascosto Bin Laden, anche se solo una volta (tra varie risposte) era stata nominata la località di Abbottabad.
Personalmente credo che saranno necessarie parecchie conferme prima che io ci creda.
Per chi non avesse letto il libro, c'era questa grande mente scientifica, Hari Seldon, che aveva trovato un sistema per prevedere gli avvenimenti mescolando elaborazioni matematiche e statistiche a concetti di psicologia, sociologia e storia. Certe previsioni di Seldon erano, se ricordo bene, di assoluta precisione e secondo me poco credibili.
Oggi comunque si sta cercando di realizzare la psicostoria.
Secondo l'articolo (in inglese) dando informazioni a un computer dalla grande potenza di calcolo si è arrivati a prevedere la rivolta libica e a determinare approssimativamente dove fosse nascosto Bin Laden, anche se solo una volta (tra varie risposte) era stata nominata la località di Abbottabad.
Personalmente credo che saranno necessarie parecchie conferme prima che io ci creda.
martedì 6 settembre 2011
Nirvana
Questo è uno dei film dove mi trovo ad esprimere un gradimento diametralmente opposto a quello della maggior parte delle opinioni che sento o leggo in giro. Di solito questa sensazione ce l'ho verso certe vaccate da popcorn o realizzazioni che io trovo semplicistiche o sceme mentre sono amate da tutti, ma nel caso di Nirvana si tratta di un film che molti hanno criticato, che non ha avuto successo commerciale, e su cui gli appassionati di fantascienza sono divisi, ma che io amo molto pur sapendo poco o niente del regista (Salvatores). Degli altri suoi film ho visto solo un pezzo di Mediterraneo, senza apprezzarlo particolarmente.
Cominciamo a dire che una delle premesse su cui si basa il film purtroppo è incredibilmente debole, cosa che i registi frequentemente si auto-perdonano senza però domandarsi se il pubblico sia altrettanto disposto a perdonar loro. Sto parlando del personaggio del videogame (interpretato da un grandissimo Abatantuomo) ideato dal protagonista Jimi Dini (Christopher Lambert). Prende vita per via di un virus e gliene succedono di tutti i colori. Mentre è su dischetto. Ok, vabbè. Facciamo finta che sia installato su un server e che Salvatores si sia sforzato di più (anziché prenderci in giro), se no basterebbe questa per non vedere il film.
[Da qui in avanti si va pesantemente ad anticipare la trama] Jimi e Solo (il protagonista del videogame) si trovano in una situazione per certi aspetti speculare. Solo è intrappolato in una realtà che ha capito essere fasulla, esplora continuamente nuovi modi di morire, rinasce ogni volta ripartendo dal "primo livello" senza riuscire a fare almeno comprendere a Maria, la prostituta che incontra all'inizio della sua "ambientazione" (Amanda Sandrelli, dotata di vestitino che cambia colore continuamente) che quella in cui si trovano è una realtà virtuale. Jimi procede nel suo lavoro senza convinzione: è terribilmente depresso da quando l'amata Lisa (Emanuelle Seigner) lo ha lasciato. Quando Solo lo contatta e lo prega di cancellarlo dal gioco, Jimi vorrebbe accontentare questo essere che nemmeno esiste realmente, ma per riuscirvi deve penetrare la banca dati della potentissima corporazione che produce il programma, la Okosama Star. Nella volontà di comprendere l'abbandono di Lisa e venire a patti con la sua scomparsa, accetta la pericolosissima avventura, anche perché la ragazza era sparita proprio nella stessa zona dove lui può trovare gli hacker in grado di aiutarlo.
Il destino comune di Solo e Jimi è quindi il Nirvana del titolo: pace ma anche annientamento, nel contesto buddista, perché per Jimi si tratta di un viaggio che conclude il senso del suo vivere. Arriverà a contatto con due personaggi ai confini della legge: Joystick (Sergio Rubini), spassoso hacker capellone dalla parlata meridionale e dagli occhi sostituiti con telecamere (se li è venduti), e Naima (Stefania Rocca) potentissima nell'uso di qualsiasi strumento tecnologico e dotata delle entrature giuste, e di un collegamento sulla fronte (una specie di... presa micro USB).
La ricerca del modo per attaccare la potente corporazione procede fra scene di caos, paesaggi urbani orientaleggianti o misteriosi, sparatorie. Il tutto inframmezzato dai ricordi ossessivi di Lisa nella mente di Jimi, e dalle ripetute morti di Solo imprigionato nel videogame. La "cavalcata nella rete," stile cyberpunk alla Gibson, può essere cliché, e criticabile da un punto di vista tecnologico: oggi la rete è una cosa vera e ha lasciato il cyberpunk indietro di anni luce. Tuttavia è estremamente suggestiva.
Il tema del Nirvana porta Jimi, fondamentalmente, a lasciarsi ammazzare dalle guardie alla fine del film, dopo che Solo è cancellato e Naima e Joystick hanno fatto fuori i soldi sporchi della Okosama Star. Si lascia andare perché ha distrutto la sua vita e la sua carriera con l'atto di ribellione ma è in pace con sé stesso, ha capito le sofferenze e le insoddisfazioni di Lisa, ha saputo che lei dopo la fuga ha incontrato il proprio Nirvana ed è morta. Un tema profondo e potente, difficile farlo entrare in mezzo a tutte le trame parallele del film (anche se riverbera dappertutto); obiettivamente Nirvana non è del tutto efficace nel raggiungere l'ambizioso obiettivo, anzi è stato anche accusato di pretenziosità. Resta comunque molto coinvolgente.
Vero che in questo film non tutto fila liscio, compresa la presenza di troppi elementi presi di peso da altri film simili e qualche ruolo minore recitato male, ma il discorso filosofico è suggestivo pure in mezzo a molti elementi autoironici, ed è quello che rende Nirvana originale. A mio parere questo film, tra quelli del genere, se la vede alla pari con Strange Days, ed è superiore a diversi altri come Johnny Mnemonic, Paycheck o anche Matrix, che secondo me ha tratto qualche ispirazione proprio da qui.
Purtroppo Nirvana, unico film italiano di fantascienza di buon livello da... forse da sempre? è piaciuto abbastanza al pubblico di casa nostra ma non ha sfondato altrove.
Cominciamo a dire che una delle premesse su cui si basa il film purtroppo è incredibilmente debole, cosa che i registi frequentemente si auto-perdonano senza però domandarsi se il pubblico sia altrettanto disposto a perdonar loro. Sto parlando del personaggio del videogame (interpretato da un grandissimo Abatantuomo) ideato dal protagonista Jimi Dini (Christopher Lambert). Prende vita per via di un virus e gliene succedono di tutti i colori. Mentre è su dischetto. Ok, vabbè. Facciamo finta che sia installato su un server e che Salvatores si sia sforzato di più (anziché prenderci in giro), se no basterebbe questa per non vedere il film.
[Da qui in avanti si va pesantemente ad anticipare la trama] Jimi e Solo (il protagonista del videogame) si trovano in una situazione per certi aspetti speculare. Solo è intrappolato in una realtà che ha capito essere fasulla, esplora continuamente nuovi modi di morire, rinasce ogni volta ripartendo dal "primo livello" senza riuscire a fare almeno comprendere a Maria, la prostituta che incontra all'inizio della sua "ambientazione" (Amanda Sandrelli, dotata di vestitino che cambia colore continuamente) che quella in cui si trovano è una realtà virtuale. Jimi procede nel suo lavoro senza convinzione: è terribilmente depresso da quando l'amata Lisa (Emanuelle Seigner) lo ha lasciato. Quando Solo lo contatta e lo prega di cancellarlo dal gioco, Jimi vorrebbe accontentare questo essere che nemmeno esiste realmente, ma per riuscirvi deve penetrare la banca dati della potentissima corporazione che produce il programma, la Okosama Star. Nella volontà di comprendere l'abbandono di Lisa e venire a patti con la sua scomparsa, accetta la pericolosissima avventura, anche perché la ragazza era sparita proprio nella stessa zona dove lui può trovare gli hacker in grado di aiutarlo.
Il destino comune di Solo e Jimi è quindi il Nirvana del titolo: pace ma anche annientamento, nel contesto buddista, perché per Jimi si tratta di un viaggio che conclude il senso del suo vivere. Arriverà a contatto con due personaggi ai confini della legge: Joystick (Sergio Rubini), spassoso hacker capellone dalla parlata meridionale e dagli occhi sostituiti con telecamere (se li è venduti), e Naima (Stefania Rocca) potentissima nell'uso di qualsiasi strumento tecnologico e dotata delle entrature giuste, e di un collegamento sulla fronte (una specie di... presa micro USB).
La ricerca del modo per attaccare la potente corporazione procede fra scene di caos, paesaggi urbani orientaleggianti o misteriosi, sparatorie. Il tutto inframmezzato dai ricordi ossessivi di Lisa nella mente di Jimi, e dalle ripetute morti di Solo imprigionato nel videogame. La "cavalcata nella rete," stile cyberpunk alla Gibson, può essere cliché, e criticabile da un punto di vista tecnologico: oggi la rete è una cosa vera e ha lasciato il cyberpunk indietro di anni luce. Tuttavia è estremamente suggestiva.
Il tema del Nirvana porta Jimi, fondamentalmente, a lasciarsi ammazzare dalle guardie alla fine del film, dopo che Solo è cancellato e Naima e Joystick hanno fatto fuori i soldi sporchi della Okosama Star. Si lascia andare perché ha distrutto la sua vita e la sua carriera con l'atto di ribellione ma è in pace con sé stesso, ha capito le sofferenze e le insoddisfazioni di Lisa, ha saputo che lei dopo la fuga ha incontrato il proprio Nirvana ed è morta. Un tema profondo e potente, difficile farlo entrare in mezzo a tutte le trame parallele del film (anche se riverbera dappertutto); obiettivamente Nirvana non è del tutto efficace nel raggiungere l'ambizioso obiettivo, anzi è stato anche accusato di pretenziosità. Resta comunque molto coinvolgente.
Vero che in questo film non tutto fila liscio, compresa la presenza di troppi elementi presi di peso da altri film simili e qualche ruolo minore recitato male, ma il discorso filosofico è suggestivo pure in mezzo a molti elementi autoironici, ed è quello che rende Nirvana originale. A mio parere questo film, tra quelli del genere, se la vede alla pari con Strange Days, ed è superiore a diversi altri come Johnny Mnemonic, Paycheck o anche Matrix, che secondo me ha tratto qualche ispirazione proprio da qui.
Purtroppo Nirvana, unico film italiano di fantascienza di buon livello da... forse da sempre? è piaciuto abbastanza al pubblico di casa nostra ma non ha sfondato altrove.
mercoledì 31 agosto 2011
Non Lasciarmi
Eccoci di nuovo al tema pericolosissimo della predazione di organi incrociato con la fantascienza. Pericolosissimo non perché vi sia il presagio che queste cose si verifichino: sono già realtà, c'è poco da presagire. Ma perché spesso è stato sviluppato male e in maniera banale, portando a flop di portata mostruosa (vedi The Island).
Non Lasciarmi, tratto dall'omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, ha un piglio originale rinunciando a qualsiasi pretesa di spettacolarità, quindi si tenga ben lontano chi lo avesse immaginato come una sorta di film di fantascienza ricco di effetti speciali. E comunque fantascienza non è, se vogliamo essere precisi: si tratta piuttosto di una ucronia dove l'ipotesi è che attorno agli anni '50 l'ingegneria genetica e la tecnica dei trapianti abbiano raggiunto uno sviluppo tale da permettere l'allevamento di cloni a scopo di fornire organi. Tali cloni, in una premessa difficile da digerire ma necessaria per lo svolgimento della storia, non sono considerati come delle vere persone ma come esseri senz'anima, di cui non è necessario preoccuparsi, proprio in quanto cloni. Non so se il libro cercasse di mantenere una suspence riguardo al destino dei "donatori," il film mette le cose in chiaro fin dall'inizio.
La storia parte da una specie di collegio dove i donatori vengono educati, e segue il percorso di tre ragazzini, la narratrice Kathy H, Ruth e Tommy. La scuola è piuttosto severa, i donatori non possono mai uscire, e non sanno niente del mondo; inoltre vengono sottoposti a esami e scoraggiati dal fumare o dal rovinare in alcun modo i loro preziosi corpi. La realtà si viene comunque a sapere, ma i donatori non si ribellano: crescono, vanno a vivere in dei cottage di campagna, si innamorano, conoscono anche un poco il mondo esterno. Ma attendono come bestiame al macello il momento di cominciare le donazioni.
Una due, forse si arriva fino a quattro, poi si "completa," si muore sul tavolo operatorio. I ragazzi cercano nelle persone che vedono in giro il loro "originale," ovvero la persona da cui sono stati clonati, vivono le loro gelosie e i loro affetti, e si illudono che almeno qualcuno di loro possa ottenere dei rinvii, raccontandosi delle pazze dicerie. Lo sperano perché nella scuola la loro creatività è stata sviluppata e una misteriosa madame ogni tanto prendeva i loro disegni per una sua galleria; pertanto ci deve essere qualche considerazione umana nei loro riguardi. Non anticipo se la questione verrà risolta.
Le mie considerazioni innanzitutto partono dalla coerenza della trama. Ci sono ovviamente delle premesse che non sono accettabili e secondo me rovinano il film in maniera non indifferente (cosa pensano i religiosi della questione dei cloni? come è arrivata la società ad accettare tutto questo?) anche se, a questo punto direi per fortuna, la storia procede senza cercare di dare spiegazioni impossibili.
Vi sono anche delle illogicità minori che ingrippano un po' la trama: c'è un accenno alla possibilità che i donatori siano clonati da barboni e prostitute, ma se invece ammettiamo che siano al servizio di una persona specifica, non si capisce perché Kathy H diventi "badante" ovvero assistente degli altri, e la sua donazione venga rinviata di diversi anni. Non dovrebbe essere disponibile quando necessario?
Anche il fatto che gli assistenti siano selezionati tra i donatori stessi mi pare piuttosto improbabile, e fra l'altro non si vede una lotta tra i ragazzi per diventare assistenti e vivere qualche anno in più, ma è un artificio probabilmente inevitabile, serve a separare la sorte di Kathy dagli altri due e a farla diventare la cronista di quello che succede.
Della credibilità come persone di questi miti vitelli portati al macello dubitavo molto, pensavo che il tutto fosse solo un pretesto non plausibile per raccontare delle storie strappalacrime. Dopo aver visto il film posso dire che la premessa è irrazionale, ma se la accettiamo la situazione non è irrealistica come si potrebbe pensare. Giovani senza esperienza indottirnati al sacrificio, che non potrebbero trovare un posto nel mondo moderno (sono privi di identità, il loro cognome è una sola lettera, sicuramente non hanno documenti, ecc...). Trattati gentilmente purché vadano al loro destino, in fondo non possono che rassegnarsi. Sotto certi aspetti mi hanno ricordato i soldati dei corpi di attacco speciale giapponese della seconda Guerra Mondiale (kamikaze e simili), gente che spesso era molto meno convinta di quello che si crede comunemente.
Sarebbe più credibile comunque se qualche donatore andasse ogni tanto fuori di testa, o rovinasse (con alcool o droga) il prezioso corpo destinato alla vita di un altro. L'unica scena di ribellione al sistema non ha come protagonista uno dei donatori, ma vi lascio il piacere, eventualmente, di trovarla nel film.
A parte queste perplessità Non Lasciarmi riesce a creare una situazione di normalità pazzesca che mi ha colpito.
Il rapporto tra Ruth, Kathy e Tommy è importante ai fini della storia e delle atmosfere, ma non faccio anticipazioni. La recitazione a mio parere è buona, soprattutto da parte dell'attrice (a me ignota) Carey Mulligan nella parte di Kathy; da menzionare in seconda battuta Keira Knightley, che ricordo da King Arthur e dai vari Pirati dei Caraibi, e Andrew Garfield, che dovrebbe essere il prossimo Uomo Ragno. La celeberrima Charlotte Rampling interpreta la preside della scuola. Quanto alla regia (di Mark Romanek), avendo parecchi temi da trattare tiene un passo narrativo talvolta affrettato, mentre per alcune scene intimiste si prende tutto il tempo necessario, forse anche qualcosina di più.
Lo stile riservato e "inglese" di questi poveri ragazzi destinati al macello può sembrare freddo, io credo tuttavia che le sensazioni arrivino. Film depressivo, dolcemente malinconico, disperato.
Non Lasciarmi, tratto dall'omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, ha un piglio originale rinunciando a qualsiasi pretesa di spettacolarità, quindi si tenga ben lontano chi lo avesse immaginato come una sorta di film di fantascienza ricco di effetti speciali. E comunque fantascienza non è, se vogliamo essere precisi: si tratta piuttosto di una ucronia dove l'ipotesi è che attorno agli anni '50 l'ingegneria genetica e la tecnica dei trapianti abbiano raggiunto uno sviluppo tale da permettere l'allevamento di cloni a scopo di fornire organi. Tali cloni, in una premessa difficile da digerire ma necessaria per lo svolgimento della storia, non sono considerati come delle vere persone ma come esseri senz'anima, di cui non è necessario preoccuparsi, proprio in quanto cloni. Non so se il libro cercasse di mantenere una suspence riguardo al destino dei "donatori," il film mette le cose in chiaro fin dall'inizio.
La storia parte da una specie di collegio dove i donatori vengono educati, e segue il percorso di tre ragazzini, la narratrice Kathy H, Ruth e Tommy. La scuola è piuttosto severa, i donatori non possono mai uscire, e non sanno niente del mondo; inoltre vengono sottoposti a esami e scoraggiati dal fumare o dal rovinare in alcun modo i loro preziosi corpi. La realtà si viene comunque a sapere, ma i donatori non si ribellano: crescono, vanno a vivere in dei cottage di campagna, si innamorano, conoscono anche un poco il mondo esterno. Ma attendono come bestiame al macello il momento di cominciare le donazioni.
Una due, forse si arriva fino a quattro, poi si "completa," si muore sul tavolo operatorio. I ragazzi cercano nelle persone che vedono in giro il loro "originale," ovvero la persona da cui sono stati clonati, vivono le loro gelosie e i loro affetti, e si illudono che almeno qualcuno di loro possa ottenere dei rinvii, raccontandosi delle pazze dicerie. Lo sperano perché nella scuola la loro creatività è stata sviluppata e una misteriosa madame ogni tanto prendeva i loro disegni per una sua galleria; pertanto ci deve essere qualche considerazione umana nei loro riguardi. Non anticipo se la questione verrà risolta.
Le mie considerazioni innanzitutto partono dalla coerenza della trama. Ci sono ovviamente delle premesse che non sono accettabili e secondo me rovinano il film in maniera non indifferente (cosa pensano i religiosi della questione dei cloni? come è arrivata la società ad accettare tutto questo?) anche se, a questo punto direi per fortuna, la storia procede senza cercare di dare spiegazioni impossibili.
Vi sono anche delle illogicità minori che ingrippano un po' la trama: c'è un accenno alla possibilità che i donatori siano clonati da barboni e prostitute, ma se invece ammettiamo che siano al servizio di una persona specifica, non si capisce perché Kathy H diventi "badante" ovvero assistente degli altri, e la sua donazione venga rinviata di diversi anni. Non dovrebbe essere disponibile quando necessario?
Anche il fatto che gli assistenti siano selezionati tra i donatori stessi mi pare piuttosto improbabile, e fra l'altro non si vede una lotta tra i ragazzi per diventare assistenti e vivere qualche anno in più, ma è un artificio probabilmente inevitabile, serve a separare la sorte di Kathy dagli altri due e a farla diventare la cronista di quello che succede.
Della credibilità come persone di questi miti vitelli portati al macello dubitavo molto, pensavo che il tutto fosse solo un pretesto non plausibile per raccontare delle storie strappalacrime. Dopo aver visto il film posso dire che la premessa è irrazionale, ma se la accettiamo la situazione non è irrealistica come si potrebbe pensare. Giovani senza esperienza indottirnati al sacrificio, che non potrebbero trovare un posto nel mondo moderno (sono privi di identità, il loro cognome è una sola lettera, sicuramente non hanno documenti, ecc...). Trattati gentilmente purché vadano al loro destino, in fondo non possono che rassegnarsi. Sotto certi aspetti mi hanno ricordato i soldati dei corpi di attacco speciale giapponese della seconda Guerra Mondiale (kamikaze e simili), gente che spesso era molto meno convinta di quello che si crede comunemente.
Sarebbe più credibile comunque se qualche donatore andasse ogni tanto fuori di testa, o rovinasse (con alcool o droga) il prezioso corpo destinato alla vita di un altro. L'unica scena di ribellione al sistema non ha come protagonista uno dei donatori, ma vi lascio il piacere, eventualmente, di trovarla nel film.
A parte queste perplessità Non Lasciarmi riesce a creare una situazione di normalità pazzesca che mi ha colpito.
Il rapporto tra Ruth, Kathy e Tommy è importante ai fini della storia e delle atmosfere, ma non faccio anticipazioni. La recitazione a mio parere è buona, soprattutto da parte dell'attrice (a me ignota) Carey Mulligan nella parte di Kathy; da menzionare in seconda battuta Keira Knightley, che ricordo da King Arthur e dai vari Pirati dei Caraibi, e Andrew Garfield, che dovrebbe essere il prossimo Uomo Ragno. La celeberrima Charlotte Rampling interpreta la preside della scuola. Quanto alla regia (di Mark Romanek), avendo parecchi temi da trattare tiene un passo narrativo talvolta affrettato, mentre per alcune scene intimiste si prende tutto il tempo necessario, forse anche qualcosina di più.
Lo stile riservato e "inglese" di questi poveri ragazzi destinati al macello può sembrare freddo, io credo tuttavia che le sensazioni arrivino. Film depressivo, dolcemente malinconico, disperato.
sabato 27 agosto 2011
Off Topic: Mentre tutto va in malora
Due anni e mezzo fa mi sono permesso uno svarione socio-politico-economico quando ho esaminato (con la curiosità del lettore di fantascienza e dell'analizzatore di mondi) la crisi che stava minacciando il mondo occidentale (questo l'articolo).
Oggi ho la sgradevole sensazione che si ha quando si è previsto che le cose si stiano mettendo male e si constata di aver avuto ragione. La crisi prosegue e la globalizzazione è in buona parte realizzata, anche se forse il peggio deve ancora venire, diciamo che le conseguenze sono ormai ovvie: ora bisogna pagare il conto. Bisogna pagarlo in termini di impoverimento che per qualcuno sarà relativo, per altri arriverà a livelli più o meno terzomondiali, e che dovrebbe spaventarvi tutti, a meno che non facciate parte della categoria di quelli che (sulla pelle degli altri?) riescono a stare a galla. Come dicono gli yankee, you know who you are.
Se pensate che sia esagerato quello che dico, riflettete sul fatto che dopo le ultime generazioni di 55-60enni che in questo periodo vanno in quiescenza col vecchio sistema, le pensioni saranno sempre più da fame (e del "secondo pilastro" che bisognava creare con le forme di previdenza private s'è visto poco o niente perché anche chi lavora ha a malapena il denaro per vivere e pagare il mutuo casa). Considerando la disoccupazione che non sarà facilmente riassorbita e la stretta ai pubblici servizi, oltre al fatto che il calo dei consumi può solo portare ancora altra disoccupazione, credo che se anche non ci fosse una nuova crisi nel giro di pochi anni il nostro paese presenterà un panorama che non avremmo sospettato all'inizio di questo sventurato millennio.
Del resto ora non si parla più di recessione, ma di contrazione, che ha un senso molto più definitivo.
Quindi di una cosa possiamo stare sicuri: avremo una società con molti meno quattrini in circolazione, che sarà anche una società dove gli sconfitti diventeranno probabilmente "invisibili," gente la cui realtà e i cui problemi non interesseranno a quelli che stanno ancora a galla. Perché, se continua così, un sacco di gente scivolerà pian piano nella merda in maniera definitiva, e questo non farà notizia. D'altra parte i media ormai sono controllati praticamente solo da miliardari.
Tanti poveri. Come quelli che a Londra e nelle altre città inglesi si sono concessi una vacanza rubando nei negozi, che tanto nella loro vita, fatta di sussidii minimi e zero prospettive, probabilmente rischiare la galera non cambia molto. Due anni fa nel mio post ipotizzavo un risorgere delle ideologie, di fronte all'egoismo immorale degli sfruttatori e alla violenza della crisi. Questo tipo di capitalismo in effetti è quello che ci vuole per fare una cura ringiovanente al buon vecchio Carlo Marx, che potrebbe tornare in gran voga, magari in qualche forma nuova (che non nascerà da noi perché escludo che i nostri politici di sinistra riescano ancora a pensare). O forse la novità verrà dall'ultradestra. O forse no, avremo solo la feccia rabbiosa stile ghetto degli Stati Uniti, che sa solo creare esplosioni di violenza per qualche giorno, feccia priva di idee, di programmi, e della forma mentis necessaria per entrambi.
Oppure qualche potere forte deciderà di bloccare questo processo da qualche parte, magari con una bella guerra.
Link per riflettere:
Recensione di un libro sull'eredità del marxismo. In italiano.
Un articolo in inglese, un po' sul satirico, riguardo alla necessità di fare una bella guerra per far finire la recessione (ma i paragoni con la Seconda Guerra Mondiale sono sballati, ora il contesto è ben diverso). In termini più seri si è espresso anche Paul Krugman, economista USA.
Nella foto, la prima portaerei cinese. Alla domanda (impertinente?) da parte degli USA sul perché sentissero di aver bisogno di una portaerei, i Cinesi (legittimamente?) hanno risposto slo che devono "fare addestramento ed esperimenti."
Oggi ho la sgradevole sensazione che si ha quando si è previsto che le cose si stiano mettendo male e si constata di aver avuto ragione. La crisi prosegue e la globalizzazione è in buona parte realizzata, anche se forse il peggio deve ancora venire, diciamo che le conseguenze sono ormai ovvie: ora bisogna pagare il conto. Bisogna pagarlo in termini di impoverimento che per qualcuno sarà relativo, per altri arriverà a livelli più o meno terzomondiali, e che dovrebbe spaventarvi tutti, a meno che non facciate parte della categoria di quelli che (sulla pelle degli altri?) riescono a stare a galla. Come dicono gli yankee, you know who you are.
Se pensate che sia esagerato quello che dico, riflettete sul fatto che dopo le ultime generazioni di 55-60enni che in questo periodo vanno in quiescenza col vecchio sistema, le pensioni saranno sempre più da fame (e del "secondo pilastro" che bisognava creare con le forme di previdenza private s'è visto poco o niente perché anche chi lavora ha a malapena il denaro per vivere e pagare il mutuo casa). Considerando la disoccupazione che non sarà facilmente riassorbita e la stretta ai pubblici servizi, oltre al fatto che il calo dei consumi può solo portare ancora altra disoccupazione, credo che se anche non ci fosse una nuova crisi nel giro di pochi anni il nostro paese presenterà un panorama che non avremmo sospettato all'inizio di questo sventurato millennio.
Del resto ora non si parla più di recessione, ma di contrazione, che ha un senso molto più definitivo.
Quindi di una cosa possiamo stare sicuri: avremo una società con molti meno quattrini in circolazione, che sarà anche una società dove gli sconfitti diventeranno probabilmente "invisibili," gente la cui realtà e i cui problemi non interesseranno a quelli che stanno ancora a galla. Perché, se continua così, un sacco di gente scivolerà pian piano nella merda in maniera definitiva, e questo non farà notizia. D'altra parte i media ormai sono controllati praticamente solo da miliardari.
Tanti poveri. Come quelli che a Londra e nelle altre città inglesi si sono concessi una vacanza rubando nei negozi, che tanto nella loro vita, fatta di sussidii minimi e zero prospettive, probabilmente rischiare la galera non cambia molto. Due anni fa nel mio post ipotizzavo un risorgere delle ideologie, di fronte all'egoismo immorale degli sfruttatori e alla violenza della crisi. Questo tipo di capitalismo in effetti è quello che ci vuole per fare una cura ringiovanente al buon vecchio Carlo Marx, che potrebbe tornare in gran voga, magari in qualche forma nuova (che non nascerà da noi perché escludo che i nostri politici di sinistra riescano ancora a pensare). O forse la novità verrà dall'ultradestra. O forse no, avremo solo la feccia rabbiosa stile ghetto degli Stati Uniti, che sa solo creare esplosioni di violenza per qualche giorno, feccia priva di idee, di programmi, e della forma mentis necessaria per entrambi.
Oppure qualche potere forte deciderà di bloccare questo processo da qualche parte, magari con una bella guerra.
Link per riflettere:
Recensione di un libro sull'eredità del marxismo. In italiano.
Un articolo in inglese, un po' sul satirico, riguardo alla necessità di fare una bella guerra per far finire la recessione (ma i paragoni con la Seconda Guerra Mondiale sono sballati, ora il contesto è ben diverso). In termini più seri si è espresso anche Paul Krugman, economista USA.
Nella foto, la prima portaerei cinese. Alla domanda (impertinente?) da parte degli USA sul perché sentissero di aver bisogno di una portaerei, i Cinesi (legittimamente?) hanno risposto slo che devono "fare addestramento ed esperimenti."