sabato 28 novembre 2009
Lanfeust, seconda parte
Le avventure di Lanfeust di Troy, il nostro fabbro diventato signore della magia, continuano nel secondo volume della raccolta. La storia si ravviva con degli scossoni violenti: Thanos, rivale acerrimo di Lanfeust, si scatena e conquista Eckmul, la città dei savi, ponendo fine al loro potere (per sempre?). Deve affrontare però una resistenza accanita, tra cui milita una misteriosa eroina capace di farsi beffe dei suoi soldati.
La comitiva dei nostri eroi (Lanfeust in primis) continua la ricerca della fonte assoluta da cui proviene tutto il potenziale magico del mondo, un viaggio interminabile che segue il ritmo delle trasformazioni e metamorfosi di un misterioso animale guida; e infine anche l'amore di C'ian per Lanfeust sembra dover essere messo in dubbio. Insomma una serie che per via della sua grande lunghezza ha bisogno di riprendere vitalità con qualche trovata spettacolare in più.
Fantasia a briglia sciolta, accurati disegni di architetture improbabili e creature impossibili, avventure mozzafiato che spaziano per le terre più diverse, con la curiosità dell'esplorazione e qualche tocco di comicità. Un fumetto "low fantasy," diciamo, forse avrei piacere di vedere qualche soggetto più serio svolto con la stessa qualità grafica e cura dei particolari, tuttavia con questo Lanfeust di Troy mi sono divertito molto.
Qui potete trovare il portale dedicato al nostro eroe, con informazioni sui fumetti, sul videogame, sul gioco di carte collezionabili e perfino sul Gioco di Ruolo di Lanfeust, e un sacco di altri utili o inutili gadgets dedicati al bravo eroe di carta stampata. Attenzione: il sito è in francese.
lunedì 23 novembre 2009
Enorme e prevedibile successo per New Moon
Prevedibile, sì, anche se forse si superano anche le più ottimistiche previsioni. Per quanto riguarda gli USA, il paese in cui si fanno tutte le valutazioni che contano, il seguito di Twilight ha agguantato il terzo miglior weekend d'apertura nella storia, per record d'incassi.
Del resto guardando la folla di ragazzine agitate e/o starnazzanti che si erano messe in fila davanti al cinema alle due del pomeriggio il giorno della prima non avevo molti dubbi. Una cosa mi rovinava un po' la pausa pranzo vedendo quella fila, il fatto che il pubblico femminile detti sempre di più i gusti delle produzioni di grande richiamo. Temo molto per le riproposizioni cinematografiche dei vecchi gloriosi autori fantasy. Ho paura che, se il buon Conan (nella nuova versione) farà fiasco, il fantastico viri verso il fumettone rosa (e quanto al film su Elric purtroppo sembra che sia svanito nel nulla ancora una volta).
Del resto se gli uomini non leggono libri e non vanno al cinema, è normale che sia così... ma qualcuno mi spiega cosa stanno facendo? Tutti a giocare con la Playstation?
Del resto guardando la folla di ragazzine agitate e/o starnazzanti che si erano messe in fila davanti al cinema alle due del pomeriggio il giorno della prima non avevo molti dubbi. Una cosa mi rovinava un po' la pausa pranzo vedendo quella fila, il fatto che il pubblico femminile detti sempre di più i gusti delle produzioni di grande richiamo. Temo molto per le riproposizioni cinematografiche dei vecchi gloriosi autori fantasy. Ho paura che, se il buon Conan (nella nuova versione) farà fiasco, il fantastico viri verso il fumettone rosa (e quanto al film su Elric purtroppo sembra che sia svanito nel nulla ancora una volta).
Del resto se gli uomini non leggono libri e non vanno al cinema, è normale che sia così... ma qualcuno mi spiega cosa stanno facendo? Tutti a giocare con la Playstation?
sabato 21 novembre 2009
Tempo di streghe?
A quanto pare la nuova urban fantasy potrebbe presto occuparsi di streghe oltre che di vampiri. A detta di Gianfranco Viviani (l'intervista è uscita da poco) le storie di streghe stanno cogliendo sempre più l'interesse degli editori.
Le streghe sono in effetti personaggi affascinanti (e appaiono nei miei sforzi di scrivere qualcosa, tra l'altro). Mentre un mago, al maschile, fa pensare a un noioso vecchio saggio che conserva la tradizione dell'ordine costituito, e in certi casi è un po' l'equivalente dello scienziato, la strega evoca (giustamente o no) una carica di imprevedibilità, di sovversione e di ribellione.
In effetti per strega si possono intendere vari tipi di personaggio. Per gli inquisitori, una seguace di Satana. Ma anche la conservatrice di una religiosità pagana dura a morire nel mondo dominato dal cristianesimo. Streghe sono state chiamate anche le donne provenienti da mondi esotici e lontani, portatrici di terribili poteri, come Medea, sposa di Giasone (e qui ci rechiamo nel mondo ellenistico più che in quello medievale). Nella realtà spesso capitava che le streghe fossero delle donne che usavano rimedi popolari magari intrisi di superstizione: e magari perseguitate per antipatie personali, per l'ignoranza di coloro che si ritenevano vittime di malocchio o maledizioni, ecc...
Mentre lo stregone o mago (maschio) è visto spesso come un uomo saggio (un certo tipo di ricerca magica è esistito durante il medioevo senza subire persecuzioni: ad esempio quella degli alchimisti) la strega (femmina) è quasi sempre giudicata negativamente. Intrigante, malvagia, sovversiva e omicida. Giudizi e situazioni dettate probabilmente dall'atteggiamento culturale che all'epoca si teneva verso le donne. Nello stesso periodo in cui l'inquisizione massacrava streghe a migliaia il famoso mago Cornelio Agrippa si poteva permettere di scrivere trattati sulla magia e di criticare l'atteggiamento misogino dell'inquisizione.
C'è da sperare ovviamente che il tema abbia nell'editoria di domani un trattamento migliore di quello che è stato con le storie di vampiri. E che non si abbia l'invasione delle scrittrici-streghette di quattordici anni, o altre simili mode immonde.
domenica 15 novembre 2009
Esordi, conferme e lupi mannari
La mia recensione di Caverne è comparsa su Fantasy Magazine e potete leggerla qui.
E' un libro di esordio piuttosto semplice, evita di impantanarsi nell'eccessiva complessità; ha qualche elemento stereotipato o qualche ingenuità, tuttavia parte da un'idea stimolante che da sola crea la voglia di approfondire. Rinnovo quindi i miei complimenti all'autore Stefano Bianchi con cui condivisi il corso di scrittura creativa ormai un anno e mezzo fa (come passa il tempo!).
Ho letto anche Werewolf di Francesca Angelinelli (bella la copertina di Francesca Resta). Mi ero fatto un po' l'abitudine di non leggere un secondo libro degli esordienti italiani, preferendo magari passare ogni volta a un autore nuovo: ho fatto un'eccezione in questo caso ma devo dire che è stata una lettura un po' inutile, e lo prevedevo.
Perché? Perché qui l'autrice ha scritto una storia molto convenzionale introducendosi in un filone che va alla grande: mossa di carriera del tutto legittima visto che per essere pubblicati bisogna scrivere quello che le case editrici vogliono pubblicare, ma che sospetto non essere delle più ispirate. Passiamo al motivo, con l'avvertenza di saltare al prossimo paragrafo se non volete che vi venga svelata la trama. Tra situazioni già viste e parecchio canoniche (un po' da storia dell'orrore e un po' da romanzo rosa) con un bello e impossibile che si è recluso nel maniero lugubre che cade a pezzi, e una protagonista che a ogni emozione si sente arrivare un colpo al cuore, non c'è praticamente nessun momento della storia che non sia previsto e scontato. Lui è un lupo mannaro fin dal cognome e quando finalmente si vede la trasformazione non c'è ovviamente una gran sorpresa. Quanto a lei, mentre non avevo apprezzato certi aspetti della protagonista ammazzasette di Chariza. Il soffio del Vento eravamo comunque di fronte a un personaggio vivo e vibrante, con Kateleen in Werewolf stavolta abbiamo la classica donna fragile o fragilissima, anche se sa dire le cose giuste al momento giusto e alla fine tutto finisce in gloria.
In definitiva rispetto l'esigenza di lavorare per la pubblicazione ma non posso che notare, in questa storia, l'adesione ai canoni di genere senza la presenza di una ispirazione o rivisitazione personale. Mi è parso un lavoro professionale, senza magari qualche strafalcione che c'era stato nel libro di esordio, ma temo che sia stato scritto "per dovere," con una certa freddezza.
mercoledì 11 novembre 2009
Lupi e felini mannari
Dal momento che le mie attuali letture vertono sul tema del lupo mannaro, mi sono interessato anche ai film in tema di trasformazioni animalesche e "dannate". Ce n'è uno sproposito, ma qui ho deciso di focalizzarmi su tre vecchie (o vecchissime) glorie del genere.
Un film che molti avranno visto: Un Lupo Mannaro Americano a Londra. Ci ho messo una vita, ammetto, a vedermelo tutto, e così la visione recente che ne ho avuto è l'unica completa. Devo dire che questo film, che aveva effetti speciali eccellenti per l'epoca in cui era stato girato (1981), oggi ha proprio lì un punto debole vistoso. E' chiaro: dopo un quarto di secolo (ebbene sì, ne è passato di tempo) ciò che una volta era un effetto ben riuscito ora sembra un tentativo patetico.
La storia del lupo mannaro è virata in chiave moderna, e il contagio del protagonista americano avviene in Europa durante una vacanza. Il regista John Landis mescola senza remore i momenti drammatici con quelli decisamente comici (e con una certa quantità di scene di nudo e di sesso): l'effetto mi è sembrato strano e anche qua e là sgradevole, sebbene in altre occasioni abbia apprezzato parecchio la mano di Landis (che ha avuto all'epoca parecchio successo anche se adesso sembra scivolato un po' dietro le quinte). Anche il finale sembra piazzato lì tanto per troncare in qualche modo la storia: non motivato da uno sviluppo del personaggio o della trama, e in qualche modo inaspettato (almeno in quel modo e in quel momento). Non nego comunque che ci siano un certo numero di scene divertenti, soprattutto quelle in cui il protagonista si confronta con il fantasma del suo amico che viene ammazzato dal lupo mannaro all'inizio del film. Se pensate che io mi sbagli a sminuire un film che ha riscosso un indubbio successo provate a vederlo o rivederlo oggi... ma attenzione: probabilmente alla gioventù dark e "gotica" che si è sciroppata i film e i libri di vampiri che circolano ora, questo lupo yankee non può piacere.
E ai gatti nessuno ci pensa? Intendo dire ai gatti di grandi dimensioni. Anche loro hanno avuto il loro momento cinematografico, e la loro razza dannata di mutantropi. Un grande film di felini mannari è l'antichissimo Cat People del 1942 (tradotto come Il Bacio della Pantera). La dannazione qui colpisce una bella donna, Irena, interpretata da Simone Simon (carismatica, e per i suoi tempi scandalosa, attrice e modella francese, era in realtà mezza italiana). Su Irena pende una maledizione che la vuole discendente di una maledetta razza di satanisti slavi: si trasformerà in una pantera se lascerà che la passione o la rabbia la travolga. Cercherà di non consumare il matrimonio, ma sarà travolta dalla gelosia quando un'altra donna si accosterà al marito. Doveva essere un film di serie B ma fu un successo. Ben riuscite le scene evocative dove l'elemento terrorizzante non viene mai visto direttamente, forte la tematica per l'epoca, ma restando nei limiti, brava la protagonista che allo stesso tempo suscita compassione e terrore.
Questo film ha avuto un remake nel 1982 ad opera di Paul Schrader (famoso sia come regista che come sceneggiatore). Nel ruolo di Irena abbiamo Nastassja Kinski, un'attrice dalla forte carica sensuale che si era trovata in ruoli scabrosi fin dalla più tenera età, creandosi una fama equivoca. A farle da contraltare abbiamo un altro appartenente alla razza del popolo degli uomini-pantera, suo fratello Paul (interpretato da un attore formidabile, Malcolm McDowell, che qui però appare piuttosto invecchiato).
Alla maledizione che impedisce la passione ai due (pena la trasformazione in pantera: e per ridiventare umani devono uccidere) si unisce la tematica incestuosa. Possono avere rapporti fra loro senza trasformarsi, infatti, ed è ciò che Paul desidera ma Irena non vuole. La ragazza cerca di fuggire l'interesse del fratello e di mantenere una relazione platonica con Oliver (il nome è quello del marito nel primo film). Ovviamente finirà male, ma il finale non lo rivelo.
Tensione e terrore che si svela a poco a poco, malinconia di un destino maledetto e inevitabile, passione repressa che vuole sfogo. Questi elementi concorrono a creare un film di grandissima potenza, con l'aiuto della colonna sonora di Giorgio Moroder; uno dei brani (intitolato appunto Cat People) è interpretato da David Bowie e per quanto le parole in parte non combacino con la storia del film, la canzone ha certamente contribuito al suo successo. Decisamente un remake meglio dell'originale (ma del resto erano passati 40 anni). Il Cat People dell'82 è il migliore film dei tre di cui ho parlato qui, e supera di gran lunga tutti i film su lupi, felini o altre bestie mannare che abbia mai visto.
sabato 7 novembre 2009
Russian Campaign
Di solito per giochi da tavolo intendo cosine semplici, fatte per durare possibilmente poche ore e divertire con intelligenza. Ma, per metterla sul melodrammatico, le mie radici sono assai più profonde e vengono da molto lontano: ho vissuto l'epopea delle simulazioni militari complicate (e piuttosto pesanti) che precedettero l'era del computer. I giochi di guerra detti anche boardgames o wargames ebbero un boom che durò una quindicina d'anni, a cavallo degli anni '70 (del secolo scorso) fino all'arrivo dei personal computer che prima trasferirono i giochi di strategia a un formato elettronico e poi li ammazzarono virando verso gli sparatutto, le avventure in prima persona, i giochi multiplayer e via dicendo (ovviamente i giochi di strategia militare rimangono e ne vengono prodotti anche di nuovi, ma sono decisamente in secondo piano).
La simulazione militare è stata usata in varie epoche dai veri eserciti per ipotizzare gli esiti dei conflitti: ricordiamo ad esempio i Kriegspiel prussiani dell'800. I giochi di guerra ricreativi nati negli anni '50 presentarono la novità delle pedine rappresentate non più con miniature ma con umili quadratini di cartoncino, e la mappa generalmente suddivisa in esagoni per non dover gestire il movimento delle truppe con sistemi noiosi tipo il righello. La trovata fu della ormai scomparsa Avalon Hill (una ditta americana produttrice di giochi). I complicati regolamenti rendevano questo hobby abbastanza elitario eppure prima dell'avvento del pc si contavano numerosi praticanti, mentre oggi questo tipo di giochi ha vissuto un lungo declino e gode di un seguito piuttosto modesto (e con pochi giovani fra le proprie file).
Mi è capitato di rigiocare un vecchio classico, The Russian Campaign (prodotto dalla summenzionata Avalon Hill). Fu un gioco di successo anche perché pone una sfida appassionante ricostruendo il mostruoso conflitto del fronte orientale tra la Germania nazista e l'Unione Sovietica: il tedesco deve cercare di eliminare il gigante russo prima che la sua industria si mobiliti (non senza un cospicuo aiuto inglese e americano) e crei la spaventosa macchina bellica che (storicamente) ha travolto le speranze di Hitler. E' una corsa contro il tempo per il giocatore tedesco (mentre quello russo al contrario spera che i tempi grami passino, e arrivino i rinforzi che gli permetteranno il contrattacco). L'arrivo dell'inverno termina l'offensiva del 1941, la marea di rinforzi russi rende il nuovo attacco del '42 più difficile, poi al giocatore tedesco (se non ha colto il successo) tocca stare sulla difensiva, alle prese con una superiorità militare nemica terrificante. Il russo ovviamente deve farcela a passare il primo periodo di guerra senza essere sconfitto e senza cedere troppo territorio, e ricostruire il proprio esercito per passare alla controffensiva.
Russian Campaign è un wargame piuttosto antico, ancora dominato da una delle regole più nefaste in voga nel primo periodo: la ZOC ovvero Zone Of Control (se proprio ve lo devo tradurre in italiano: zona di controllo). Quando le unità a spasso per la mappa esagonata arrivano adiacenti al nemico si devono fermare, e il contatto deve per forza portare al combattimento, con calcolo dei fattori di forza e lancio del dado su una tabella. I risultati portano all'eliminazione di unità militari, a ritirate eccetera.
Insomma un gioco piuttosto scacchistico con una certa quantità di calcoli da fare a mente. Nella immagine che ho preso dal sito Boardgamegeek.com possiamo vedere che un abile giocatore tedesco ha conquistato la città di Leningrado.
Le unità russe (pedine marroni, che vediamo al contrario) hanno in buona parte i numeri 4-3 stampati e un simbolo rettangolare con le diagonali. Cosa vuol dire? Il simbolo rettangolare è il simbolo NATO che identifica le unità di fanteria (ha minori possibilità di movimento rispetto ai mezzi motorizzati, in questo gioco) mentre il 4 è la forza di combattimento e il 3 i "punti di movimento" che l'unità può spendere per spostarsi. Nel turno di gioco, che rappresenta un bimestre, può quindi muovere di tre esagoni salvo incontrare del territorio difficile che obbliga a fermarsi appena vi si entra (come parecchi degli esagoni di Leningrado e dintorni). Nella mappa potete vedere anche le linee scure della ferrovia: un sistema molto conveniente per spostamenti illimitati, ma non arriva fino alle linee nemiche! Per quanto riguarda il fattore di combattimento: lo si somma con quello delle altre unità all'attacco e si compara con il difensore per ottenere un rapporto (bisogna saper fare le divisioni, gente!). In Russian Campaign si possono avere sorprese molto brutte anche se si è in superiorità di 2 a 1, e comunque è facile che anche con enorme superiorità si subiscano delle perdite.
Tra le unità verdoline tedesche potete intravvedere unità con fattori di combattimento di 6 e 8, e 7 punti movimento. Questi sono i corpi corazzati, i famosi panzer: picchiano forte e muovono rapidi, e per giunta nei turni in cui il tempo è bello possono effettuare un secondo movimento di 4 punti per sfruttare gli sfondamenti che hanno procurato nel fronte nemico. La fanteria tedesca (e quella finlandese che vedete sulla sinistra, di colore chiaro) invece non è qualitativamente molto diversa da quella russa.
La versione che ho sperimentato di recente è quella ripubblicata dalla L2 Design Group con qualche variante rispetto al vecchio gioco che avevo giocato decine di volte da ragazzo. Eravamo in quattro giocatori di cui 3 per i tre gruppi di armate tedeschi (nord, centro e sud) e uno che muoveva tutti i russi. Com'è andata? Be', non abbiamo finito la partita. Non sono certo giochi che si risolvono facilmente in una serata e infatti arrivati al primo inverno ci siamo arenati e siamo andati a dormire. Eravamo già sconfitti, nel fronte meridionale non avevamo mosso praticamente un passo dalla frontiera tra URSS e Romania, che è il punto di partenza. Non sono un asso in questo tipo di giochi, che ormai affronto sporadicamente: ma devo dire che la mia parte stavolta l'ho fatta, portando il gruppo di armate nord fino alle porte di Leningrado.
La simulazione militare è stata usata in varie epoche dai veri eserciti per ipotizzare gli esiti dei conflitti: ricordiamo ad esempio i Kriegspiel prussiani dell'800. I giochi di guerra ricreativi nati negli anni '50 presentarono la novità delle pedine rappresentate non più con miniature ma con umili quadratini di cartoncino, e la mappa generalmente suddivisa in esagoni per non dover gestire il movimento delle truppe con sistemi noiosi tipo il righello. La trovata fu della ormai scomparsa Avalon Hill (una ditta americana produttrice di giochi). I complicati regolamenti rendevano questo hobby abbastanza elitario eppure prima dell'avvento del pc si contavano numerosi praticanti, mentre oggi questo tipo di giochi ha vissuto un lungo declino e gode di un seguito piuttosto modesto (e con pochi giovani fra le proprie file).
Mi è capitato di rigiocare un vecchio classico, The Russian Campaign (prodotto dalla summenzionata Avalon Hill). Fu un gioco di successo anche perché pone una sfida appassionante ricostruendo il mostruoso conflitto del fronte orientale tra la Germania nazista e l'Unione Sovietica: il tedesco deve cercare di eliminare il gigante russo prima che la sua industria si mobiliti (non senza un cospicuo aiuto inglese e americano) e crei la spaventosa macchina bellica che (storicamente) ha travolto le speranze di Hitler. E' una corsa contro il tempo per il giocatore tedesco (mentre quello russo al contrario spera che i tempi grami passino, e arrivino i rinforzi che gli permetteranno il contrattacco). L'arrivo dell'inverno termina l'offensiva del 1941, la marea di rinforzi russi rende il nuovo attacco del '42 più difficile, poi al giocatore tedesco (se non ha colto il successo) tocca stare sulla difensiva, alle prese con una superiorità militare nemica terrificante. Il russo ovviamente deve farcela a passare il primo periodo di guerra senza essere sconfitto e senza cedere troppo territorio, e ricostruire il proprio esercito per passare alla controffensiva.
Russian Campaign è un wargame piuttosto antico, ancora dominato da una delle regole più nefaste in voga nel primo periodo: la ZOC ovvero Zone Of Control (se proprio ve lo devo tradurre in italiano: zona di controllo). Quando le unità a spasso per la mappa esagonata arrivano adiacenti al nemico si devono fermare, e il contatto deve per forza portare al combattimento, con calcolo dei fattori di forza e lancio del dado su una tabella. I risultati portano all'eliminazione di unità militari, a ritirate eccetera.
Insomma un gioco piuttosto scacchistico con una certa quantità di calcoli da fare a mente. Nella immagine che ho preso dal sito Boardgamegeek.com possiamo vedere che un abile giocatore tedesco ha conquistato la città di Leningrado.
Le unità russe (pedine marroni, che vediamo al contrario) hanno in buona parte i numeri 4-3 stampati e un simbolo rettangolare con le diagonali. Cosa vuol dire? Il simbolo rettangolare è il simbolo NATO che identifica le unità di fanteria (ha minori possibilità di movimento rispetto ai mezzi motorizzati, in questo gioco) mentre il 4 è la forza di combattimento e il 3 i "punti di movimento" che l'unità può spendere per spostarsi. Nel turno di gioco, che rappresenta un bimestre, può quindi muovere di tre esagoni salvo incontrare del territorio difficile che obbliga a fermarsi appena vi si entra (come parecchi degli esagoni di Leningrado e dintorni). Nella mappa potete vedere anche le linee scure della ferrovia: un sistema molto conveniente per spostamenti illimitati, ma non arriva fino alle linee nemiche! Per quanto riguarda il fattore di combattimento: lo si somma con quello delle altre unità all'attacco e si compara con il difensore per ottenere un rapporto (bisogna saper fare le divisioni, gente!). In Russian Campaign si possono avere sorprese molto brutte anche se si è in superiorità di 2 a 1, e comunque è facile che anche con enorme superiorità si subiscano delle perdite.
Tra le unità verdoline tedesche potete intravvedere unità con fattori di combattimento di 6 e 8, e 7 punti movimento. Questi sono i corpi corazzati, i famosi panzer: picchiano forte e muovono rapidi, e per giunta nei turni in cui il tempo è bello possono effettuare un secondo movimento di 4 punti per sfruttare gli sfondamenti che hanno procurato nel fronte nemico. La fanteria tedesca (e quella finlandese che vedete sulla sinistra, di colore chiaro) invece non è qualitativamente molto diversa da quella russa.
La versione che ho sperimentato di recente è quella ripubblicata dalla L2 Design Group con qualche variante rispetto al vecchio gioco che avevo giocato decine di volte da ragazzo. Eravamo in quattro giocatori di cui 3 per i tre gruppi di armate tedeschi (nord, centro e sud) e uno che muoveva tutti i russi. Com'è andata? Be', non abbiamo finito la partita. Non sono certo giochi che si risolvono facilmente in una serata e infatti arrivati al primo inverno ci siamo arenati e siamo andati a dormire. Eravamo già sconfitti, nel fronte meridionale non avevamo mosso praticamente un passo dalla frontiera tra URSS e Romania, che è il punto di partenza. Non sono un asso in questo tipo di giochi, che ormai affronto sporadicamente: ma devo dire che la mia parte stavolta l'ho fatta, portando il gruppo di armate nord fino alle porte di Leningrado.
domenica 1 novembre 2009
Watchmen, il fumetto
Il film questa volta mi ha convinto a risalire alla fonte, mentre spesso avviene il contrario: per fonte intendo ovviamente il fumetto creato da Alan Moore. Moore è uno strano personaggio con una gran barba e una zazzera ancor più imponente, che oltre a Watchmen ha creato altri validi lavori come, per citarne uno recente e famoso, V per Vendetta. La storia con la sua complessità è tutto in Moore
e del resto il tratto di questo crepuscolo dei supereroi non si segnala, a mio parere, per un tratto molto accattivante: del resto vista la dimensione dell'opera non sarebbe stato molto facile. Diciamo che il fumetto ha un disegno onesto, abbastanza realistico, né meglio né peggio dei fumetti bonelliani che sopravvivono nel nostro mercato. Non è comunque un fumetto come tanti, visto che ci sono veri e propri inserti scritti che spiegano molto sull'ambientazione e sui personaggi, e anche le vignette stesse sono spesso verbose, complesse discussioni, con parecchio testo. Una serie divertente ma anche decisamente intellettuale e complessa, molto al di là delle tendenze attuali dei supereroi americani.
Perciò per me vanno abbastanza in secondo piano Dave Gibbon e John Higgins, rispettivamente china e colori di quest'opera. Quanto alla fedeltà del film, a parte alcune trame collaterali che sono andare perse (meno di quanto mi immaginavo, fra l'altro) e qualche differenza non sostanziale verso il finale, è incredibile come spirito e sostanza del fumetto siano stati rispettati nella pellicola. Notevole anche il realismo con cui i giustizieri in maschera sono trattati, come interagiscono con il vivere quotidiano e la società. E' la prima volta in cui i supereroi non mi sembrano una sciocchezza ridicola da accettare a forza per godermi una storia magari semplicistica, ma diventano uomini in carne ed ossa inseriti con realismo nel contesto di una trama. Anche nell'ultimo Batman il maggior realismo si raggiungeva facendo assumere al supereroe un ruolo da comprimario, qui invece sebbene nessuno sia veramente impressionante come presenza (eccetto il Dr Manhattan, che è l'unico ad avere veramente dei poteri speciali), la storia verte sempre su di essi.
Finalmente posso smettere di chiedermi perché quelli che hanno letto Watchmen sono così presi dall'eccezionalità di questo fumetto. Adesso lo so anche io e concordo: è davvero qualcosa di speciale. Leggetevelo.