domenica 28 dicembre 2008
Riflessioni di fine anno
Questo blog ha avuto un'esplosione di popolarità (tutto in proporzione, beninteso) nella seconda metà del 2008. Incremento reso possibile dal fatto che ho deciso di smetterla con il contatore gratuito che mi dava informazioni sulle visite ricevute.
Questo trabiccolo veniva sfruttato dai soliti pirati per cercare di rifilare virus e trojan a chi visitava il blog: io non capivo la dinamica della cosa, dal basso delle mie inesistenti capacità tecniche, perciò ringrazio chi me lo ha fatto capire, anche se non ricordo chi sia.
Ovviamente fino all'inizio dell'estate non si superavano le 800 visite al mese. Chiaro, no? Perché uno dovrebbe tornare dove il suo software di sicurezza segnala pericolo?.
Comunque con il programmino troppo infiltrabile e pericoloso avevo imparato alcune cose: che la maggior parte delle visite dura assai poco, non corrisponde quindi alla lettura completa di un articolo. Molte arrivano dai motori di ricerca, e spesso è evidente che si cercava tutt'altro.
Adesso, con gli stringati report di google adsense, seguo più che altro il numero complessivo di visite (e cari lettori, se cliccate i banner pubblicitari sono ben contento, e può darsi che mi arrivino i 50 dollari che non ho ancora visto, ma in effetti per me è più uno strumento per fare statistiche).
Ci sono state oltre 1.200 visite a ottobre, oltre 1.800 a novembre, e per dicembre dovrebbero essere ancora di più.
Restano ovviamente numeri modesti, posso estrapolare a spanne che solo una metà circa (magari meno) siano visite di persone che hanno veramente letto qualcosa, e siccome ci sono visitatori che ritornano più volte nel mese, a occhio dubito di essere seguito consapevolmente da più di cento persone.
Io sono contento, comunque. Sono tanti, per un blog dove ci sono contenuti di solito non proprio leggerissimi, articoli lunghi ecc...
Per quanto riguarda le mie prospettive letterarie, il resoconto del 2008 è il seguente: il mio contributo a Un esordiente per Sanctuary della casa editrice Asengard non ha passato la selezione.
Il mio assalto al Premio Odissea della Delos Books rimane in bilico: sono uno dei finalisti, e questo di per sé lo reputo un grosso successo, ma il vincitore, il cui libro sarà pubblicato, è ancora da annunciare.
Speriamo in un buon 2009.
domenica 21 dicembre 2008
Il Premio Immaginario 2008
Finalmente viene proclamato il vincitore del Premio Immaginario 2008, destinato agli esordienti del fantasy italiano. Un premio che da una parte ha un valore inestimabile (qualsiasi cosa il vincitore possa immaginare!) dall'altra è incorporeo, essendo del tutto... immaginario. Questo permette al blog di mantenere un premio dal nome altisonante e immaginifico, e al tempo stesso di risparmiare sulle finanze.
A parte lo scherzo, qui scrivo il mio personalissimo giudizio sugli esordienti italiani di cui ho letto qualcosa nell'anno che sta per concludersi. Esordienti lo intendo in senso lato (posso includere chi ha già pubblicato qualcosina, chi ha esordito ormai diversi anni fa, ecc...). C'è però un limite importante: qui mi occupo soltanto di fantasy per adulti. Non mi ritengo in grado di valutare obiettivamente nella stessa categoria un libro destinato ai giovanissimi, in effetti: probabilmente il libro per ragazzi non vincerebbe mai.
Chi mi credo di essere per valutare questi scrittori? Nessuno in effetti, sono soltanto un lettore come tanti: il fatto che sia un aspirante scrittore anch'io non c'entra. Anche se, nel caso passassi da aspirante a esordiente a mia volta, probabilmente smetterei di indire Premi Immaginari, perché a quel punto vincerei sempre io.
Sono cattivo e criticone o sono buonista? Nessuna delle due cose, o se vogliamo, tutt'e due. Gli amici degli scrittori di solito inondano posti come i forum di valutazione di IBS o aNobii con recensioni esaltanti e voti a tutte stelle: questo è un fenomeno che mi annoia un poco... preferisco dire le cose come le ho viste, e se c'è qualcosa che non va, ne parlo. D'altra parte, nei libri che ho letto finora ho sempre trovato qualche spunto interessante e delle parti eccellenti, e il fatto di essere scritti da esordienti non è un male, anzi dà qualche freschezza di prospettiva e sensazione di novità in più.
Quindi alla fine le mie valutazioni sono equilibrate se non favorevoli: ritengo in effetti che gli esordienti italiani vadano incoraggiati (anche perché sono svantaggiati in partenza da un diffuso pregiudizio dei lettori contro di loro), ma certo se mi capiterà tra le mani qualcosa di impossibilmente brutto lo dirò. C'è da dire che se sento odor di ciofeca evito la lettura... impormi di leggere qualcosa di brutto per avere poi il piacere maligno della stroncatura non rientra tra i miei divertimenti. Precisazione: incoraggiare gli esordienti si intenda come invito a COMPRARE i loro libri.
Detto ciò, passiamo ai libri di quest'anno.
L'Abbraccio delle Ombre di Ester Manzini (Asengard) Un libro un po' acerbo, ma non privo di spunti originali.
Il Sigillo del Vento di Uberto Ceretoli (Asengard) Alcune tematiche e certe parti mi sono piaciute anche parecchio, altri aspetti magari mi hanno fatto storcere il naso, ma in generale devo dire che il libro mi ha "preso".
Chariza. Il Drago Bianco di Francesca Angelinelli (Runde Taarn) Non è in concorso perché è la seconda parte del libro che ha già vinto il Premio Immaginario 2007.
Il Risveglio dell'Ombra di Luca Trugenberger (Fanucci) Non è un fantasy per adulti quindi non è in concorso.
La Lama del Dolore di Marco Davide (Armando Curcio Editore) Presenta un personaggio interessante con una trama debole. E' comunque parte di una serie: la trama probabilmente andrebbe vista anche in prospettiva.
Il Segreto dell'Alchimista di Antonia Romagnoli (Edizioni L'Età dell'acquario) Un po' al contrario del precedente, ha valida ambientazione e buona trama ma i personaggi mi sono piaciuti di meno. L'autrice mostra di avere il mestiere ben in pugno, comunque.
Kami di Alberto Cola (Delos Books) Una storia che avrebbe potuto svilupparsi in una trama di ampio respiro, ma costretta ad adattarsi ad un formato "mini". Un piccolo capolavoro, ma alla fine ho deciso di considerarlo un libro per ragazzi e quindi fuori concorso, anche se credo che sia un bel gioiellino, comunque.
L'Acchiapparatti di Tilos di Francesco Barbi (Editrice Campanila) un libro low fantasy scritto con solido mestiere, un bello stile, personaggi interessanti, una storia avvincente.
Complimenti a Francesco Barbi, vincitore del Premio Immaginario 2008!
Questa volta non ho avuto dubbi nell'attribuire la mia preferenza: L'Acchiapparatti di Tilos è proprio un bel libro.
Gli altri in concorso sono più o meno sullo stesso piano, buone letture con qualcosa che a mio modesto parere migliorerei, facendo comunque i complimenti a Uberto Ceretoli per una storia trascinante e ad Antonia Romagnoli per la capacità di districarsi in una trama di una certa complessità.
Appuntamento al Premio Immaginario dell'anno prossimo, se esisterà.
Uno degli infiniti Premi Immaginabili: Mano di Troll in fase di ricrescita
A parte lo scherzo, qui scrivo il mio personalissimo giudizio sugli esordienti italiani di cui ho letto qualcosa nell'anno che sta per concludersi. Esordienti lo intendo in senso lato (posso includere chi ha già pubblicato qualcosina, chi ha esordito ormai diversi anni fa, ecc...). C'è però un limite importante: qui mi occupo soltanto di fantasy per adulti. Non mi ritengo in grado di valutare obiettivamente nella stessa categoria un libro destinato ai giovanissimi, in effetti: probabilmente il libro per ragazzi non vincerebbe mai.
Chi mi credo di essere per valutare questi scrittori? Nessuno in effetti, sono soltanto un lettore come tanti: il fatto che sia un aspirante scrittore anch'io non c'entra. Anche se, nel caso passassi da aspirante a esordiente a mia volta, probabilmente smetterei di indire Premi Immaginari, perché a quel punto vincerei sempre io.
Sono cattivo e criticone o sono buonista? Nessuna delle due cose, o se vogliamo, tutt'e due. Gli amici degli scrittori di solito inondano posti come i forum di valutazione di IBS o aNobii con recensioni esaltanti e voti a tutte stelle: questo è un fenomeno che mi annoia un poco... preferisco dire le cose come le ho viste, e se c'è qualcosa che non va, ne parlo. D'altra parte, nei libri che ho letto finora ho sempre trovato qualche spunto interessante e delle parti eccellenti, e il fatto di essere scritti da esordienti non è un male, anzi dà qualche freschezza di prospettiva e sensazione di novità in più.
Quindi alla fine le mie valutazioni sono equilibrate se non favorevoli: ritengo in effetti che gli esordienti italiani vadano incoraggiati (anche perché sono svantaggiati in partenza da un diffuso pregiudizio dei lettori contro di loro), ma certo se mi capiterà tra le mani qualcosa di impossibilmente brutto lo dirò. C'è da dire che se sento odor di ciofeca evito la lettura... impormi di leggere qualcosa di brutto per avere poi il piacere maligno della stroncatura non rientra tra i miei divertimenti. Precisazione: incoraggiare gli esordienti si intenda come invito a COMPRARE i loro libri.
Detto ciò, passiamo ai libri di quest'anno.
L'Abbraccio delle Ombre di Ester Manzini (Asengard) Un libro un po' acerbo, ma non privo di spunti originali.
Il Sigillo del Vento di Uberto Ceretoli (Asengard) Alcune tematiche e certe parti mi sono piaciute anche parecchio, altri aspetti magari mi hanno fatto storcere il naso, ma in generale devo dire che il libro mi ha "preso".
Chariza. Il Drago Bianco di Francesca Angelinelli (Runde Taarn) Non è in concorso perché è la seconda parte del libro che ha già vinto il Premio Immaginario 2007.
Il Risveglio dell'Ombra di Luca Trugenberger (Fanucci) Non è un fantasy per adulti quindi non è in concorso.
La Lama del Dolore di Marco Davide (Armando Curcio Editore) Presenta un personaggio interessante con una trama debole. E' comunque parte di una serie: la trama probabilmente andrebbe vista anche in prospettiva.
Il Segreto dell'Alchimista di Antonia Romagnoli (Edizioni L'Età dell'acquario) Un po' al contrario del precedente, ha valida ambientazione e buona trama ma i personaggi mi sono piaciuti di meno. L'autrice mostra di avere il mestiere ben in pugno, comunque.
Kami di Alberto Cola (Delos Books) Una storia che avrebbe potuto svilupparsi in una trama di ampio respiro, ma costretta ad adattarsi ad un formato "mini". Un piccolo capolavoro, ma alla fine ho deciso di considerarlo un libro per ragazzi e quindi fuori concorso, anche se credo che sia un bel gioiellino, comunque.
L'Acchiapparatti di Tilos di Francesco Barbi (Editrice Campanila) un libro low fantasy scritto con solido mestiere, un bello stile, personaggi interessanti, una storia avvincente.
Complimenti a Francesco Barbi, vincitore del Premio Immaginario 2008!
Questa volta non ho avuto dubbi nell'attribuire la mia preferenza: L'Acchiapparatti di Tilos è proprio un bel libro.
Gli altri in concorso sono più o meno sullo stesso piano, buone letture con qualcosa che a mio modesto parere migliorerei, facendo comunque i complimenti a Uberto Ceretoli per una storia trascinante e ad Antonia Romagnoli per la capacità di districarsi in una trama di una certa complessità.
Appuntamento al Premio Immaginario dell'anno prossimo, se esisterà.
mercoledì 17 dicembre 2008
Il fantasy italiano esiste come genere?
Copio quasi fedelmente un mio intervento in una discussione sorta nei forum di Anobii.
Il Fantasy italiano forse starebbe meglio senza aggettivi, perché i lettori hanno pregiudizi contro gli autori nostrani. E dovrebbe poter crescere, perdere per strada gli autori meno validi e dar modo di farsi le ossa agli altri.
Per poterlo fare avrebbe bisogno di:
- abbastanza mercato, in modo da decretare successi e insuccessi che consistano nell'aver venduto più di 500 o 1000 copie, ora come ora la differenza potrebbe dipendere anche solo dall'autopromozione dell'autore o dalla pubblicità.
- corollario della precedente: almeno che i lettori italiani non lo schifassero a priori, come certi ancora fanno.
- case editrici disposte a investire qualcosa sugli autori del fantasy per adulti, e non di pompare solo i fenomeni di cassetta (autori di massa tipo Troisi o gli autori-ragazzini).
Per il momento siamo messi maluccio su tutti i fronti. Figuriamoci che bisogno c'è di quei sapientoni e critici autoproclamati che pensano di poter valutare un insieme di autori così magmatico a quel modo, in blocco tutti insieme. Per poi dire che fa tutto schifo, magari.
Sarei per il diritto di ogni scrittore di essere valutato per se stesso.
Fin qui la mia auto-citazione.
In effetti è piuttosto deprimente come situazione, e vedo che non è cambiato molto da quasi un anno fa a questa parte, quando ne parlavo in toni speranzosi ma non proprio ottimistici... forse in verità avrebbero dovuto essere ancor meno ottimistici!
Per tornare alla domanda che fa da titolo al post: la risposta per me è scontata, nel senso che è evidente (se li si legge) che gli autori italiani si stiano muovendo un po' in ordine sparso, ed è comunque no.
Il fatto che siano in molti a provare a scrivere del fantasy per adulti può significare che c'è un interesse in Italia verso questo genere, che è "di moda", ma queste non sono connotazioni che diano una specificità al fantasy italiano. Il fantasy per ragazzi e bambini prodotto da autori italiani è abbastanza sulla falsariga di quello estero, senza alcuna proposta originale, quindi anche se vende e magari vende anche benino non crea un genere o un movimento con una sua specificità e originalità sue.
L'unica tendenza intenzionale che vedo è quella a sviluppare un'ambientazione italiana o che abbia richiami al nostro paese o a zone vicine: per esteso, chiamiamolo fantasy mediterraneo.
Questa tendenza non la mettono in pratica tutti, comunque. E per quello che si è visto fino ad adesso si tratta più che altro di sostituire le ambientazioni nordiche con situazioni più vicine a casa nostra, almeno a livello superficiale. Per carità, è sacrosanto, ma non mi pare abbastanza per definire un genere letterario.
Ci sono degli spunti interessanti nel nostro fantasy per adulti, in verità. Ma ogni autore (e nel mio piccolo un po' ne ho letti) praticamente fa storia a sé.
Comunque il problema è sempre che la diffusione dei libri rimane molto bassa, perciò non si può parlare di un genere letterario se non c'è tangibile interesse dei lettori. Non si può parlare di niente finché l'ambiente è così ridotto, litigioso e fanzinaro: sempre più mi rendo conto che nei vari forum e blog io, che aspiro a pubblicare, parlo per lo più con altri aspiranti autori, autori magari mancati e non più aspiranti che si sono riciclati in rosiconi, e anche autori già pubblicati. Ma pubblicati, talvolta a pagamento, da minuscole case editrici, fermo restando il rispetto per la buona volontà di tutti e la speranza che questi siano passi verso un migliore domani. Nel frattempo, sarebbe bello se ci risparmiassimo almeno le riflessioni pseudo intellettuali che non portano da nessuna parte, o i criticoni arguti e spietati che si divertono a schizzare sterco in tutte le direzioni. Il fantasy italiano, purtroppo, è ancora un fenomeno assolutamente marginale.
Il Fantasy italiano forse starebbe meglio senza aggettivi, perché i lettori hanno pregiudizi contro gli autori nostrani. E dovrebbe poter crescere, perdere per strada gli autori meno validi e dar modo di farsi le ossa agli altri.
Per poterlo fare avrebbe bisogno di:
- abbastanza mercato, in modo da decretare successi e insuccessi che consistano nell'aver venduto più di 500 o 1000 copie, ora come ora la differenza potrebbe dipendere anche solo dall'autopromozione dell'autore o dalla pubblicità.
- corollario della precedente: almeno che i lettori italiani non lo schifassero a priori, come certi ancora fanno.
- case editrici disposte a investire qualcosa sugli autori del fantasy per adulti, e non di pompare solo i fenomeni di cassetta (autori di massa tipo Troisi o gli autori-ragazzini).
Per il momento siamo messi maluccio su tutti i fronti. Figuriamoci che bisogno c'è di quei sapientoni e critici autoproclamati che pensano di poter valutare un insieme di autori così magmatico a quel modo, in blocco tutti insieme. Per poi dire che fa tutto schifo, magari.
Sarei per il diritto di ogni scrittore di essere valutato per se stesso.
Fin qui la mia auto-citazione.
In effetti è piuttosto deprimente come situazione, e vedo che non è cambiato molto da quasi un anno fa a questa parte, quando ne parlavo in toni speranzosi ma non proprio ottimistici... forse in verità avrebbero dovuto essere ancor meno ottimistici!
Per tornare alla domanda che fa da titolo al post: la risposta per me è scontata, nel senso che è evidente (se li si legge) che gli autori italiani si stiano muovendo un po' in ordine sparso, ed è comunque no.
Il fatto che siano in molti a provare a scrivere del fantasy per adulti può significare che c'è un interesse in Italia verso questo genere, che è "di moda", ma queste non sono connotazioni che diano una specificità al fantasy italiano. Il fantasy per ragazzi e bambini prodotto da autori italiani è abbastanza sulla falsariga di quello estero, senza alcuna proposta originale, quindi anche se vende e magari vende anche benino non crea un genere o un movimento con una sua specificità e originalità sue.
L'unica tendenza intenzionale che vedo è quella a sviluppare un'ambientazione italiana o che abbia richiami al nostro paese o a zone vicine: per esteso, chiamiamolo fantasy mediterraneo.
Questa tendenza non la mettono in pratica tutti, comunque. E per quello che si è visto fino ad adesso si tratta più che altro di sostituire le ambientazioni nordiche con situazioni più vicine a casa nostra, almeno a livello superficiale. Per carità, è sacrosanto, ma non mi pare abbastanza per definire un genere letterario.
Ci sono degli spunti interessanti nel nostro fantasy per adulti, in verità. Ma ogni autore (e nel mio piccolo un po' ne ho letti) praticamente fa storia a sé.
Comunque il problema è sempre che la diffusione dei libri rimane molto bassa, perciò non si può parlare di un genere letterario se non c'è tangibile interesse dei lettori. Non si può parlare di niente finché l'ambiente è così ridotto, litigioso e fanzinaro: sempre più mi rendo conto che nei vari forum e blog io, che aspiro a pubblicare, parlo per lo più con altri aspiranti autori, autori magari mancati e non più aspiranti che si sono riciclati in rosiconi, e anche autori già pubblicati. Ma pubblicati, talvolta a pagamento, da minuscole case editrici, fermo restando il rispetto per la buona volontà di tutti e la speranza che questi siano passi verso un migliore domani. Nel frattempo, sarebbe bello se ci risparmiassimo almeno le riflessioni pseudo intellettuali che non portano da nessuna parte, o i criticoni arguti e spietati che si divertono a schizzare sterco in tutte le direzioni. Il fantasy italiano, purtroppo, è ancora un fenomeno assolutamente marginale.
venerdì 12 dicembre 2008
Il Seme della Follia
Dopo Velissa parliamo di un altro fumetto fantasy. Un fumetto dalla qualità grafica incredibile.
Le avventure dell'elfo Igguk (più che altro sembra un folletto) che deve salvare un regno fatato con l'aiuto di alcuni compagni di viaggio. Tavole stupende, ognuna è un'opera d'arte. Tratti realistici per delineare personaggi fantastici, grande attenzione al colore e alla luminosità, tonalità fiabesche incredibilmente evocative.
L'autore è Civiello (casa editrice: Magic Press), fumettista francese dal nome un po' italianeggiante (chissà?). Oltre a disegnare ha scritto le storie e questo è un problema, perché sono praticamente incomprensibili, perciò i primi due libri che sono usciti in Italia mi hanno lasciato perplesso: più facili da ammirare che da leggere. Terzo e quarto volume si avvalgono però di uno sceneggiatore. Speriamo bene, e speriamo di vederli presto in italiano.
giovedì 11 dicembre 2008
L'Acchiapparatti di Tilos
Questo è un libro "low fantasy" con un'enfasi sul low, perché i protagonisti sono veramente messi male: il gobbo e storpio Ghescik, che vive di espedienti non sempre pulitissimi, e il matto Zaccaria, che si è inventato il mestiere di acchiapparatti. Scopriremo che Zaccaria qualche dote nascosta ce l'ha, ma inizialmente viene completamente manovrato dal gobbo Ghescik, che lo trascina in una pericolosa avventura.
Francesco Barbi ha delineato un'ambientazione che richiama un'Italia povera e medievale per il suo L'Acchiapparatti di Tilos (edito da Campanila), e l'ha denominata Terre di Confine. Vi è una Chiesa della Luce che ricalca apparentemente il cristianesimo. Si tratta di territori contesi, ai margini di un impero che, fra le altre cose, ha bandito la magia e soppresso violentemente quelli che ne facevano uso.
Anticipando il meno possibile: la storia verte su un mostro (il boia di Giloc, così chiamato perché è imprigionato in quel paese, e usato per uccidere i condannati a morte) che di magia è nato, e che può essere capito solo studiando la sua magica natura. I due squinternati protagonisti hanno un interesse per gli argomenti misteriosi della magia, e così il loro destino si intreccerà con quello della creatura.
A Ghescik e Zaccaria si unisce per un certo tempo una prostituta, Teclisotta, che partecipa ai loro viaggi scalognati e picareschi, poi però questo personaggio nonostante fosse ben caratterizzato scompare dalla trama e non viene più usato (mi aspettavo di rivederlo nel finale, ma niente).
Il mondo delle Terre di Confine è anarchico, pericoloso e misero, e questo l'autore ce lo ricorda con inserti all'inizio dei primi capitoli, approfondendo l'ambientazione. Da una parte sono utili, ma li ho trovati un po' ripetitivi e soprattutto sono intrusioni dell'autore che distolgono il lettore dall'immersione nella storia.
E' un mondo di poveri paesi, di contadini che stentano a campare, di mercanti che se la passano poco meglio e di feudatari che hanno ben poco potere e ancor meno soldati.
Uno fra tutti, Gamara il cacciatore di taglie, è il classico personaggio fantasy capace di grandi imprese: già impressionante per la fredda determinazione, coi suoi abiti in pelle, le balestre e la grande spada, si distingue anche per il volto sfregiato. Tra le sue armi, che porta in un baule, un arco composito smontato e riposto in una cassetta, come se fosse il fucile di precisione di un killer dei giorni nostri... qui mi sono posto una domanda, ovvero: gli archi antichi erano smontabili? Credevo che gli unici archi smontabili (impugnatura e flettenti) fossero solo certi archi moderni, ma mi rimetto agli esperti di oplologia per un'opinione. Fermo restando che Gamara può avere l'arco che vuole...
In definitiva abbiamo uno stile scorrevole, dialoghi piacevoli. Qualche spunto divertente e grottesco nei dialoghi, anche se questo non è un libro comico, generalmente una storia ingegnosa e ben scritta.
Un esordio impressionante per il fantasy italiano. Complimenti a Francesco Barbi.
sabato 6 dicembre 2008
Hyperion Cantos
Dan Simmons è uno scrittore abituato a mescolare generi diversi, e non fanno eccezione i suoi Hyperion Cantos, una tetralogia di fantascienza che include diversi elementi sovrannaturali e pochi aspetti tecnologici, così da essere definibile più una "space opera" (tipo Guerre Stellari, per intenderci) o una serie di science fantasy che fantascienza vera e propria.
I primi due libri (Hyperion e La Caduta di Hyperion) traboccano di inventiva, di potenza letteraria, di riferimenti filosofici e religiosi. Andrebbero letti di seguito poiché in origine erano un libro solo, diviso in due per esigenze editoriali. Meno bella la seconda metà dei Cantos: Endymion e Il Risveglio di Endymion hanno tutta l'aria di poter essere invece condensati, volendo, in un unico volume. La soluzione ai molti interrogativi della trama prende corpo in una ragazzina che assume il ruolo di messia e redentrice, e la trovata ha l'aria di essere un po' loffia.
Hyperion si apre con un pellegrinaggio suicida, un viaggio cui partecipano diversi postulanti nella speranza di avere le proprie richieste accolte da un essere mostruoso e semidivino, lo Shrike, che custodisce le Tombe del Tempo. Una richiesta verrà accolta, gli altri postulanti verranno impalati sulle spine dell'Albero del Dolore: nei racconti dei viaggiatori vediamo perché essi vogliono rischiare così tanto per avere le proprie richieste accolte.
Da questo bizzarro pellegrinaggio in poi, la storia si evolve e ci mostra un ricco universo con molti poteri sacri e secolari, e dei barbari che dall'esterno cercano di invaderlo (sono chiamati Ousters).
I personaggi e le loro storie, le entità (umane e non) in lotta in questo mondo immaginario sono così complessi che sarebbe difficile renderne conto in uno spazio limitato. Mi limito a dire che questa tetralogia è estremamente interessante, esplosiva, nonostante il finale vada in calando e mi abbia un po' deluso.
domenica 30 novembre 2008
The Graveyard Book
Neil Gaiman riesce sempre a mischiare la favola con l'orrore in una maniera sopraffina, e non fa eccezione l'ultimo libro, che ho letto in inglese, The Graveyard Book.
Questa volta la storia inizia addirittura con il massacro di una intera famiglia, cui sfugge solo un bambino piccolo, che si ritrova ad essere accolto dai fantasmi del vicino cimitero.
Da questo evento nasce tutta una serie di appassionanti episodi che segnano le tappe della crescita di Bod (il soprannome del bambino). Il nostro piccolo eroe ha una predilezione per cacciarsi nei guai, ma tra i suoi tutori per fortuna ce ne sono alcuni che possono avventurarsi fuori dal cimitero per salvarlo: il misterioso Silas e la severa insegnante Miss Lupescu. A poco a poco Bod conoscerà anche il mondo reale, dove sa che incombe la minaccia del misterioso assassino della sua famiglia. Ma in un libro come questo non può mancare il lieto fine, anche se è un finale allo stesso tempo felice, malinconico e triste: leggere per credere.
Libro per ragazzi, sicuramente, eppure non mi è quasi sembrato tale mentre lo leggevo, segno di una grande maestria da parte dell'autore. E per quanto riguarda le parti violente, non è peggio della maggior parte delle... favole.
mercoledì 26 novembre 2008
Fumetti meravigliosi
Il fantasy avrebbe potuto trovare enormi possibilità espressive nel fumetto. Se non altro, le elaborate scenografie, le creature immaginarie, gli effetti della magia possono essere raffigurati visivamente più a buon mercato dalla matita del disegnatore che non dagli effetti speciali del cinema.
Spesso però i lavori che ho visto non mi hanno soddisfatto, non dico che non ce ne siano di buoni, però si tratta comunque di un argomento che impone una certa qualità di stile e di disegno, e l'arte della striscia disegnata non è sempre stata all'altezza perché, nei suoi difficili anni dell'oblio, può offrirci poche matite valide e soffre per il poco pubblico pagante.
Fra tutti direi che il fumetto di ambientazione fantasy che amo di più è la serie di Velissa: questi fumetti sono usciti in quattro volumi a partire dagli anni '80 e la storia continua ancora adesso (è uscito il primo volume di una nuova serie). Serge Le Tendre è lo sceneggiatore mentre il tratto è quello di Regis Loisel (tra i suoi altri lavori Peter Pan e alcune collaborazioni con la Disney).
Velissa è la procace e conturbante figlia di Mara, una maga che ha avuto in passato una relazione con un celebre guerriero, Bragon. Questo eroe invecchia pacificamente nella sua fattoria quando la ragazza gli si presenta portando delle notizie del tutto inaspettate: Bragon viene a sapere di essere probabilmente il padre della stessa Velissa, che è venuta a chiedere il suo aiuto per una missione della più grande importanza: il dio ribelle Ramor si sta risvegliando e per evitare il catastrofico evento bisognerà subito compiere una pericolosa cerca in terre lontane.
Per chi non teme lo spoiler dirò che Bragon e Velissa partono, e altri li accompagneranno. La storia ci porta attraverso avventure e misteri, paesaggi meravigliosi e selvaggi, mostri pericolosi da affrontare e incontri con umanoidi di tutte le razze; agli eroi si aggiunge Messer Sconosciuto, uno stupidotto che, tanto per cambiare, sarà fondamentale nella risoluzione della crisi; i destini di tutti quanti cambieranno in maniera indelebile e per qualcuno non ci sarà ritorno.
Il disegno è lineare, chiaro, fumettoso eppure semi realistico salvo alcuni sovraccarichi caricaturali (il primo volume comunque ha un tratto un po' meno disinvolto), i paesaggi e i miti del Regno delle Sette Marche creano un'ambientazione immaginaria delle più potenti, i temi dell'avventura e dell'amore, della lotta per il potere e della scoperta di sé vengono esplorati con una sorprendente sagacia in un fumetto che a prima vista potrebbe sembrare perfino semplice o superficiale.
Il tutto si combina in una avventura eccezionale, dal respiro epico nonostante non manchino i toni ridanciani. Da leggere assolutamente. Comprate una schifezza di manga in meno e concedetevi questa meraviglia.
domenica 23 novembre 2008
Kami
Per un certo tempo mi sono baloccato con l'idea, poi ho deciso di leggere un libro di questa serie (Storie di Draghi, Maghi e Guerrieri) della Delos Books. Non è stato un grosso impegno né di tempo né economico, visto che la collana è, intenzionalmente, a basso costo e tutti i libri rispettano un massimo di 120.000 caratteri spazi inclusi (con una certa flessibilità, credo, le cose sono meglio spiegate nel forum di Writer's Magazine).
Tra breve a quanto pare il nome dell'autore (italiano) apparirà sulla copertina terminando l'abitudine di riportare l'autore come traduttore e di indicare sulla copertina uno pseudonimo (Kay Pendragon, Yon Kasarai...) per non infastidire lo sciovinismo alla rovescia di quei lettori italiani che, poverini, hanno tanta poca fiducia negli scrittori di casa nostra.
Kami è ambientato nel Giappone medievale, trae spunto dal periodo in cui i Mongoli tentarono l'invasione del paese (era la dinastia mongola che governava la Cina, in effetti, quindi era una minaccia molto grave).
L'autore, Alberto Cola, ha fatto le sue brave ricerche sullo spiritualismo giapponese e su questi spiriti della natura (i Kami, appunto), ha introdotto come elemento fantastico uno stregone fra gli antagonisti, capace di portenti nel campo della magia nera, e un ragazzo di nome Toshi, che ha un rapporto speciale con i Kami: può facilmente entrarvi in comunicazione.
La storia non è proprio semplicissima. Con un capolavoro di sintesi ci troviamo una grande battaglia, una breve ma abbastanza colorita presentazione dei personaggi principali, intrigo e tradimenti, l'elemento sovrannaturale e un colpo di scena finale. Al termine i cattivi sono puniti e il Giappone è salvo.
La mia impressione è di trovarmi di fronte a un libro che avrebbe dovuto occupare il doppio dello spazio per dispiegare pienamente i suoi elementi, ma che è riuscito a condensarsi in maniera ancora leggibile e godibile negli angusti spazi della collana. Pertanto non so nemmeno se definirlo a tutti gli effetti un libro per ragazzi, per certi versi sembra più la versione zippata di un fantasy per adulti.
Personalmente ho scritto (a quattro mani) una storia che ho proposto alla casa editrice per questa collana, in quanto rispetta la lunghezza. Non è certo di questa complessità, non ci avrei mai provato, a dire il vero. Si tratta della storia in prima persona di un partecipante a una missione pericolosa contro un avversario dai poteri magici. Trama limitata nella prospettiva, dalla intrinseca semplicità e linearità di svolgimento (il protagonista non può fare molto per influenzare gli eventi). Non avrei pensato di cercare di rappresentare un'avventura della portata di Kami in un numero così limitato di pagine. Perciò, visto che il risultato finale in questo caso è piuttosto godibile, tanto di cappello ad Alberto Cola per questo gioiellino.
venerdì 14 novembre 2008
Il fantasy è conservatore?
Questione che ritengo noiosissima, in realtà. Perché se anche il fantasy conservatore lo fosse davvero, è un genere così vasto (e se inteso come fantastico in generale, anche più vasto) che gli si può dare volta per volta il significato che si vuole.
E perché si confonde facilmente la volontà di alcune ideologie di farlo proprio con la natura del fantasy in sé.
La questione si fa ancora più noiosa quando la prendono in mano quelli che conoscono solo il fantasy medievaleggiante alla Tolkien e ritengono che da lì si possano trarre conclusioni su tutto quanto. Pensando che ci sia sempre una lotta del bene contro il male, che ci siano sempre forti valori di riferimento, grandi eroi, razze come quella degli elfi, portatrici di valori "inerentemente" positivi o al contrario gli orchi "cattivi" ecc...
Diciamo che se il fantasy coincidesse con l'immaginario di stile tolkieniano attribuirgli una natura conservatrice non sarebbe affatto fuori luogo. Facendo attenzione al significato che vogliamo dare a conservatore. In Tolkien esiste un antimodernismo (piuttosto velleitario?) che a molti "conservatori" non piacerebbe affatto. Non mi va comunque di far coincidere il pensiero sul fantasy che va per la maggiore con l'opinione su tutto il genere. La troverei una semplificazione imbecille.
Così come si ragiona (?) in Italia, c'è poi il grosso pericolo che conservatore diventi sinonimo per merda, o qualcosa di simile. Non sono necessariamente d'accordo.
Cerco di buttare lì una ipotesi. Che parte dall'osservazione delle... copertine dei libri. Nel fantasy ci sono generalmente persone, in copertina. E ciò che fanno o decidono le persone nel fantasy ritorna ad essere la fabbrica del futuro e del destino. Anche se non sempre nel fantasy ci sono enormi destini in ballo, c'è sempre almeno quello del protagonista, lì, in bilico magari, ma che si può riprendere in mano.
Nel mondo moderno l'arte classica è stata violentemente ammazzata, non c'è più spazio per la grazia delle proporzioni e l'ammirazione della bellezza. Non c'è più spazio per gli eroi sul cavallo con la sciabola sguainata. E' arrivato un modo di esprimersi molto più astratto e ha spazzato via tutto quello che c'era prima. E la macchina può riprodurre in un secondo ciò che una volta richiedeva tempo, e una infinita bravura artigianale (vedi ad es. la fotografia). Nel mondo moderno, la figura umana non è più al centro della rappresentazione. E anche la decisione del destino diventa un fattore di masse e di processi sociali studiati scientificamente.
Addirittura con il pensiero psicanalitico l'uomo non è più nemmeno, come si diceva, padrone a casa propria. Scopre di agire in nome di pulsioni che non controlla e generalmente nemmeno conosce.
Fermo restando che è una generalizzazione anche questa, il mondo fantastico che mi presenta fin dalla copertina l'eroe con al spada in pugno o padrone di arcani poteri, torna a presentarmi la persona al centro delle cose.
La persona che torna a battersi, ad essere protagonista, a plasmare il destino con le sue virtù individuali, a essere padrona di vivere di scelte nette.
Non vedo il punto nel cercare una ideologia nel fantasy e nel fantastico, con la pretesa di appiopparla a tutto il genere. E trovo penosamente ridicolo il targarlo di destra o di sinistra. Ma nel ritorno del fantasy all'individuo mi sento di sospettare che ci sia un nucleo che accomuna, estremamente diffuso nel genere e difficilmente confutabile.
Un sentire non moderno, forse, ancora più che conservatore. Un volersi riprendere quello che la modernità e un mondo anonimo e senza più misteri ci hanno portato via.
Ma non so se questa sia una ulteriore, eccessiva semplificazione. Voi che ne pensate?
E perché si confonde facilmente la volontà di alcune ideologie di farlo proprio con la natura del fantasy in sé.
La questione si fa ancora più noiosa quando la prendono in mano quelli che conoscono solo il fantasy medievaleggiante alla Tolkien e ritengono che da lì si possano trarre conclusioni su tutto quanto. Pensando che ci sia sempre una lotta del bene contro il male, che ci siano sempre forti valori di riferimento, grandi eroi, razze come quella degli elfi, portatrici di valori "inerentemente" positivi o al contrario gli orchi "cattivi" ecc...
Diciamo che se il fantasy coincidesse con l'immaginario di stile tolkieniano attribuirgli una natura conservatrice non sarebbe affatto fuori luogo. Facendo attenzione al significato che vogliamo dare a conservatore. In Tolkien esiste un antimodernismo (piuttosto velleitario?) che a molti "conservatori" non piacerebbe affatto. Non mi va comunque di far coincidere il pensiero sul fantasy che va per la maggiore con l'opinione su tutto il genere. La troverei una semplificazione imbecille.
Così come si ragiona (?) in Italia, c'è poi il grosso pericolo che conservatore diventi sinonimo per merda, o qualcosa di simile. Non sono necessariamente d'accordo.
Cerco di buttare lì una ipotesi. Che parte dall'osservazione delle... copertine dei libri. Nel fantasy ci sono generalmente persone, in copertina. E ciò che fanno o decidono le persone nel fantasy ritorna ad essere la fabbrica del futuro e del destino. Anche se non sempre nel fantasy ci sono enormi destini in ballo, c'è sempre almeno quello del protagonista, lì, in bilico magari, ma che si può riprendere in mano.
Nel mondo moderno l'arte classica è stata violentemente ammazzata, non c'è più spazio per la grazia delle proporzioni e l'ammirazione della bellezza. Non c'è più spazio per gli eroi sul cavallo con la sciabola sguainata. E' arrivato un modo di esprimersi molto più astratto e ha spazzato via tutto quello che c'era prima. E la macchina può riprodurre in un secondo ciò che una volta richiedeva tempo, e una infinita bravura artigianale (vedi ad es. la fotografia). Nel mondo moderno, la figura umana non è più al centro della rappresentazione. E anche la decisione del destino diventa un fattore di masse e di processi sociali studiati scientificamente.
Addirittura con il pensiero psicanalitico l'uomo non è più nemmeno, come si diceva, padrone a casa propria. Scopre di agire in nome di pulsioni che non controlla e generalmente nemmeno conosce.
Fermo restando che è una generalizzazione anche questa, il mondo fantastico che mi presenta fin dalla copertina l'eroe con al spada in pugno o padrone di arcani poteri, torna a presentarmi la persona al centro delle cose.
La persona che torna a battersi, ad essere protagonista, a plasmare il destino con le sue virtù individuali, a essere padrona di vivere di scelte nette.
Non vedo il punto nel cercare una ideologia nel fantasy e nel fantastico, con la pretesa di appiopparla a tutto il genere. E trovo penosamente ridicolo il targarlo di destra o di sinistra. Ma nel ritorno del fantasy all'individuo mi sento di sospettare che ci sia un nucleo che accomuna, estremamente diffuso nel genere e difficilmente confutabile.
Un sentire non moderno, forse, ancora più che conservatore. Un volersi riprendere quello che la modernità e un mondo anonimo e senza più misteri ci hanno portato via.
Ma non so se questa sia una ulteriore, eccessiva semplificazione. Voi che ne pensate?
martedì 11 novembre 2008
Vendesi montagna di libri
La mia biblioteca ormai trabocca e i libri hanno raggiunto ogni angolo della casa. Devo fare spazio (per altri libri, ovviamente).
Una volta ero un paziente venditore su e-bay (i libri non tirano moltissimo eppure devo averne venduti un centinaio!) ma adesso non ho il tempo per seguire transazioni e spedizioni così frazionate e dettagliate. Anzi, diciamo la verità, non mi va molto di usare e-bay perché quest'azienda è un po' troppo esosa e ha preso ultimamente delle decisioni discutibili (non c'è più lo scambio di feedback al termine della transazione, il consumatore è diventato re anche qui ed è il solo a poter giudicare: e magari sarebbe anche giusto, se non che esiste tutta una manica di furbacchioni che ne approfitta).
Perciò se qualcuno fosse interessato propongo un'offerta FOLLE:
sette libri (del fantastico italiano) in blocco a quindici euro!
Preferisco il ritiro diretto a Milano per non fare bonifici, spedizioni, ecc... ma se necessario spedire, il pacco (paccocelere3) costa ulteriori € 9,10.
I libri in questione:
La Lama del Dolore di Marco Davide
Il Segreto di Krune di Michele Giannone
Le Metamorfosi di Ghinta di Fabrizio Casa
Il Segreto dell'Alchimista di Antonia Romagnoli
Il Risveglio dell'Ombra di Luca Trugenberger
Nicholas Eymerich, Inquisitore di Valerio Evangelisti
Il Sigillo del Vento di Uberto Ceretoli
Tutti in condizioni decenti quando non addirittura buone.
Chi fosse interessato può mandarmi un messaggio in posta elettronica (l'indirizzo è qui a destra, nella barra laterale).
mercoledì 5 novembre 2008
The Ten Thousand
Ebbene sì, ogni tanto eroicamente mi leggo qualche libro in inglese, anche per tenermi allenato. Questo The Ten Thousand di Paul Kearney l'ho scelto perché si tratta di una storia di ambientazione per lo più militare e perché riecheggia volutamente un classico, l'Anabasi di Senofonte.
L'ambientazione fantastica ci porta una storia di mercenari che altro non sono (sotto diverso nome) che i soldati greci che combattevano nelle falangi, quelle formazioni irte di lance che abbattevano senza scampo qualsiasi avversario si parasse loro davanti (ma gli antichi romani impararono presto ad averne ragione).
Lo scrittore ci descrive una vita brutale e sanguinosa, dettata dalla furia dei combattimenti, dall'alcol, dalla lussuria e dalla morte. Come nell'antica Grecia questi mercenari vengono da una regione divisa in piccole città stato, ma sono ancor più sfortunati dei loro colleghi realmente esistiti perché il loro mestiere li rende degli esuli senza patria. Diversamente dagli antichi greci non venerano un dio della guerra ma Antimone, la dea della morte che vola sopra la battaglia portata da grandi ali nere, e piange pietose lacrime per i soldati che moriranno: il suo Velo divide la terra dei vivi da quella dei morti, e molti dei protagonisti del libro avranno modo di vedere cosa c'è al di là.
Ma prima di proseguire vediamo un attimo il classico di Senofonte: l'Anabasi, scritta per raccontare una spedizione del 401 avanti Cristo. Erano diecimila circa, i mercenari greci. Erano figli di un periodo di disordine, seguito alla Guerra del Peloponneso dove Atene aveva perso il ruolo di potenza ellenica egemone. Vennero assoldati da Ciro il Giovane, rivale del fratello Artaserse II per il controllo dell'Impero Persiano, e dopo una lunghissima marcia combatterono in Mesopotamia (odierno Iraq) la battaglia di Cunassa (Cunaxa). I mercenari sbaragliarono i Persiani che avevano davanti ma Ciro si spinse troppo audacemente a caccia del fratello e fu ucciso. Finito quindi l'oggetto del contendere, i mercenari si trovarono lontanissimi dalla Grecia, e per peggiorare le cose un Satrapo (ovvero un governatore locale) di nome Tissaferne, desideroso di eliminare questi scomodi invasori, invitò i loro comandanti per trattare e li uccise a tradimento. La massa di mercenari seppe però darsi nuovi comandanti, uno dei quali fu lo stesso Senofonte che scrisse le loro imprese, e dopo una marcia interminabile questi uomini guadagnarono finalmente il ritorno a casa. Quelli che la fecero, ovviamente.
Ho tratteggiato lo svolgimento di questo testo classico qui perché il libro di Kearney non se ne distacca in maniera sensibile, e questo è stato per me motivo di disappunto. Nemmeno per la battaglia di Cunassa l'autore ha inventato un nome diverso!
Ovviamente ci sono dei dettagli nell'ambientazione, i mercenari vengono dal popolo dei Macht che si ritengono diversi da tutti gli altri popoli del mondo, che chiamano indistintamente Kufr. L'Impero del Grande Re, dove i mercenari saranno chiamati per dirimere la questione dinastica, è composto di diversi popoli stravaganti (tutti Kufr, quindi), ma mentre Senofonte nella sua opera ci descriveva usi e costumi strabilianti dei vari popoli soggetti ai Persiani qui c'è un accenno di diversificazione fantasy, con la creazione di razze umane differenti unite sotto un unico sovrano.
Insomma la storia ricalca il classico con una fedeltà e una mancanza di originalità che mi ha colpito un po' negativamente. Quanto alle atmosfere che questo libro crea, soprattutto si distingue il duro mondo dei combattenti, un mondo di sangue, budella ed escrementi condito da odori rivoltanti, urla e frasi oscene di ogni genere. Il tutto con la morte sempre pronta a segnare la fine del percorso.
Non un capolavoro, e anche meno creativo di quel poco che si può permettere l'opera che riprende una storia già detta, ma direi che The Ten Thousand è un libro con una sua personalità, e una leggibilità scorrevole.
L'ambientazione fantastica ci porta una storia di mercenari che altro non sono (sotto diverso nome) che i soldati greci che combattevano nelle falangi, quelle formazioni irte di lance che abbattevano senza scampo qualsiasi avversario si parasse loro davanti (ma gli antichi romani impararono presto ad averne ragione).
Lo scrittore ci descrive una vita brutale e sanguinosa, dettata dalla furia dei combattimenti, dall'alcol, dalla lussuria e dalla morte. Come nell'antica Grecia questi mercenari vengono da una regione divisa in piccole città stato, ma sono ancor più sfortunati dei loro colleghi realmente esistiti perché il loro mestiere li rende degli esuli senza patria. Diversamente dagli antichi greci non venerano un dio della guerra ma Antimone, la dea della morte che vola sopra la battaglia portata da grandi ali nere, e piange pietose lacrime per i soldati che moriranno: il suo Velo divide la terra dei vivi da quella dei morti, e molti dei protagonisti del libro avranno modo di vedere cosa c'è al di là.
Ma prima di proseguire vediamo un attimo il classico di Senofonte: l'Anabasi, scritta per raccontare una spedizione del 401 avanti Cristo. Erano diecimila circa, i mercenari greci. Erano figli di un periodo di disordine, seguito alla Guerra del Peloponneso dove Atene aveva perso il ruolo di potenza ellenica egemone. Vennero assoldati da Ciro il Giovane, rivale del fratello Artaserse II per il controllo dell'Impero Persiano, e dopo una lunghissima marcia combatterono in Mesopotamia (odierno Iraq) la battaglia di Cunassa (Cunaxa). I mercenari sbaragliarono i Persiani che avevano davanti ma Ciro si spinse troppo audacemente a caccia del fratello e fu ucciso. Finito quindi l'oggetto del contendere, i mercenari si trovarono lontanissimi dalla Grecia, e per peggiorare le cose un Satrapo (ovvero un governatore locale) di nome Tissaferne, desideroso di eliminare questi scomodi invasori, invitò i loro comandanti per trattare e li uccise a tradimento. La massa di mercenari seppe però darsi nuovi comandanti, uno dei quali fu lo stesso Senofonte che scrisse le loro imprese, e dopo una marcia interminabile questi uomini guadagnarono finalmente il ritorno a casa. Quelli che la fecero, ovviamente.
Ho tratteggiato lo svolgimento di questo testo classico qui perché il libro di Kearney non se ne distacca in maniera sensibile, e questo è stato per me motivo di disappunto. Nemmeno per la battaglia di Cunassa l'autore ha inventato un nome diverso!
Ovviamente ci sono dei dettagli nell'ambientazione, i mercenari vengono dal popolo dei Macht che si ritengono diversi da tutti gli altri popoli del mondo, che chiamano indistintamente Kufr. L'Impero del Grande Re, dove i mercenari saranno chiamati per dirimere la questione dinastica, è composto di diversi popoli stravaganti (tutti Kufr, quindi), ma mentre Senofonte nella sua opera ci descriveva usi e costumi strabilianti dei vari popoli soggetti ai Persiani qui c'è un accenno di diversificazione fantasy, con la creazione di razze umane differenti unite sotto un unico sovrano.
Insomma la storia ricalca il classico con una fedeltà e una mancanza di originalità che mi ha colpito un po' negativamente. Quanto alle atmosfere che questo libro crea, soprattutto si distingue il duro mondo dei combattenti, un mondo di sangue, budella ed escrementi condito da odori rivoltanti, urla e frasi oscene di ogni genere. Il tutto con la morte sempre pronta a segnare la fine del percorso.
Non un capolavoro, e anche meno creativo di quel poco che si può permettere l'opera che riprende una storia già detta, ma direi che The Ten Thousand è un libro con una sua personalità, e una leggibilità scorrevole.
mercoledì 29 ottobre 2008
Nessun Dove
Le favole di Neil Gaiman non mancano di aspetti cupi e brutali, ma questa si muove tra ammazzamenti e tradimenti con una tale leggerezza da far sembrare (a volte) quasi simpatici due assassini come quei mattacchioni di Mr Croup e Mr Vandemar: due spietati esecutori che seminano terrore e morte finché... occhio alle anticipazioni da qui in poi... finché una bella fregatura arriva anche per loro.
Alcune caratteristiche di Nessun Dove (che era una serie televisiva prima di diventare libro) mi ricordano qualcosa di visto altrove, come l'origine del personaggio di Richard, che vive una vita noiosa in una banca, con fidanzata arrivista e un po' odiosa e un bel tran tran regolare, e che si ritrova in una realtà alternativa dove non ha cibo, non ha lavoro, e tutti se ne fregano, facendo con agghiacciante indifferenza commenti da cui si capisce che si aspettano che egli muoia di stenti (o peggio) in breve tempo. Ma quando riuscirà a combinare qualcosa di buono nel mondo della Londra di Sotto e tornerà finalmente indietro (dopo aver salvato Porta, la vittima designata dei due assassini), scoprirà che gli è impossibile ricominciare con la vecchia carriera (e fidanzata). E tornerà alla dimensione alternativa che dopo tanta fatica aveva lasciato.
Devo ammettere che l'urban fantasy non mi aveva particolarmente attirato fino a tempi recenti. L'illuminazione l'ho avuta senz'altro con Sergej Luk'janenko, Gaiman l'ho letto con molto più sospetto. Riesce con fin troppa naturalezza a muoversi nei mondi paralleli, a creare dimensioni fatate e a immergervi il lettore.
A volte mi sono ribellato, cercando di capire il meccanismo, perché non riuscivo a farmi una ragione dell'incredibile leggerezza con cui questo autore sa prendere il lettore per mano.
Il meccanismo che separa le due città di Londra (quella fatata e quella reale) è l'indifferenza, e a volte le dimensioni separate. I personaggi della Londra di Sotto a volte si muovono per passaggi strani in posti reali ma inaccessibili alla gente della Londra di Sopra. A volte si muovono in mezzo alla gente ma non ne vengono notati, le persone del mondo vero non riescono a prestare loro attenzione. Qui ho riflettuto se si potesse veramente accettare questo meccanismo. Richard affronta direttamente la fidanzata (anzi, già ex fidanzata) che non lo riconosce: possiamo immaginare che, tra diari, regali o mille altri dettagli della vita Jessica forse riceve cento volte al giorno il campanello d'allarme che le dovrebbe far capire che qualcosa della sua vita passata è ora scomparso dalla sua memoria. Ma anche se qualcosa di lampante, come un'annotazione nel suo diario (diario la cui esistenza ipotizzo io, non c'è nel libro) le facesse capire inequivocabilmente di essere stata fidanzata con un tizio ora scomparso dalla circolazione, il meccanismo dell'indifferenza farebbe sì che, dopo magari un momento di curiosità e dubbio, non farebbe seguito nessuna azione e la scoperta stessa andrebbe dimenticata, ogni volta che avvenisse.
Gli amici e i parenti, per via dello stesso meccanismo, non potrebbero ricordare a Jessica che aveva un fidanzato, perché non se lo ricorderebbero nemmeno loro. Insomma, lo stratagemma letterario per far finire il povero Richard in un'altra dimensione è semplice, brillante e funziona!
E a parte questo, con il suo mescolare toni cupi e favolistici Nessun Dove è una bellissima lettura.
Tanto di cappello al sig. Gaiman...
Alcune caratteristiche di Nessun Dove (che era una serie televisiva prima di diventare libro) mi ricordano qualcosa di visto altrove, come l'origine del personaggio di Richard, che vive una vita noiosa in una banca, con fidanzata arrivista e un po' odiosa e un bel tran tran regolare, e che si ritrova in una realtà alternativa dove non ha cibo, non ha lavoro, e tutti se ne fregano, facendo con agghiacciante indifferenza commenti da cui si capisce che si aspettano che egli muoia di stenti (o peggio) in breve tempo. Ma quando riuscirà a combinare qualcosa di buono nel mondo della Londra di Sotto e tornerà finalmente indietro (dopo aver salvato Porta, la vittima designata dei due assassini), scoprirà che gli è impossibile ricominciare con la vecchia carriera (e fidanzata). E tornerà alla dimensione alternativa che dopo tanta fatica aveva lasciato.
Devo ammettere che l'urban fantasy non mi aveva particolarmente attirato fino a tempi recenti. L'illuminazione l'ho avuta senz'altro con Sergej Luk'janenko, Gaiman l'ho letto con molto più sospetto. Riesce con fin troppa naturalezza a muoversi nei mondi paralleli, a creare dimensioni fatate e a immergervi il lettore.
A volte mi sono ribellato, cercando di capire il meccanismo, perché non riuscivo a farmi una ragione dell'incredibile leggerezza con cui questo autore sa prendere il lettore per mano.
"Sei Jessica Bartram. Sei la responsabile marketing della Stockton. Hai ventisei anni... (taglio) ... Oh, e negli ultimi diciotto mesi siamo stati fidanzati."
Jessica sorrise nervosamente. Forse si trattava davvero di uno scherzo, di una di quelle spiritosaggini che tutti gli altri sembravano capire e che lei non riusciva mai ad afferrare.
"Credo che lo saprei se fossi stata fidanzata con qualcuno per diciotto mesi, signor hmm."
Il meccanismo che separa le due città di Londra (quella fatata e quella reale) è l'indifferenza, e a volte le dimensioni separate. I personaggi della Londra di Sotto a volte si muovono per passaggi strani in posti reali ma inaccessibili alla gente della Londra di Sopra. A volte si muovono in mezzo alla gente ma non ne vengono notati, le persone del mondo vero non riescono a prestare loro attenzione. Qui ho riflettuto se si potesse veramente accettare questo meccanismo. Richard affronta direttamente la fidanzata (anzi, già ex fidanzata) che non lo riconosce: possiamo immaginare che, tra diari, regali o mille altri dettagli della vita Jessica forse riceve cento volte al giorno il campanello d'allarme che le dovrebbe far capire che qualcosa della sua vita passata è ora scomparso dalla sua memoria. Ma anche se qualcosa di lampante, come un'annotazione nel suo diario (diario la cui esistenza ipotizzo io, non c'è nel libro) le facesse capire inequivocabilmente di essere stata fidanzata con un tizio ora scomparso dalla circolazione, il meccanismo dell'indifferenza farebbe sì che, dopo magari un momento di curiosità e dubbio, non farebbe seguito nessuna azione e la scoperta stessa andrebbe dimenticata, ogni volta che avvenisse.
Gli amici e i parenti, per via dello stesso meccanismo, non potrebbero ricordare a Jessica che aveva un fidanzato, perché non se lo ricorderebbero nemmeno loro. Insomma, lo stratagemma letterario per far finire il povero Richard in un'altra dimensione è semplice, brillante e funziona!
E a parte questo, con il suo mescolare toni cupi e favolistici Nessun Dove è una bellissima lettura.
Tanto di cappello al sig. Gaiman...
sabato 25 ottobre 2008
Riflessioni inumane
Nella fantascienza gli alieni sono alieni perché... sono alieni. E che diamine, non sarà mica possibile che si siano evoluti uguali a noi a centinaia di anni luce di distanza. Ovviamente possono avere delle qualità che servono alla trama del film o del libro che li rappresenta.
Ad esempio Alien è una specie di bestiaccia da preda quasi impossibile da sconfiggere. La Cosa del film di Carpenter può assumere l'identità e il modo di fare di chiunque (il che diffonde una certa paranoia tra i suoi avversari). E così via.
Nel fantasy le specie non umane cosa ci stanno a fare? Innanzitutto sono mostri dotati di intelligenza. Orchi, Troll eccetera, presi dal folklore o inventati e reinventati dagli autori, servono a creare la minaccia, e ad essere ammazzati in quantità industriali. L'orco è feroce, infido, puzzolente... e così via. I vari zombi, scheletri, vampiri non sono neanche non umani: sono trasformazioni di esseri umani.
I non umani che non siano nemmeno mostri invece tendono a rispecchiare qualche qualità particolare o a esprimere il sovrannaturale.
Il nano tolkieniano è avido di ricchezza, è coraggioso, talvolta attaccabrighe. L'elfo è un custode della natura, incarna la saggezza, è un essere magico e quasi semidivino. Gli hobbit... insomma avete capito no?
Ben poco se ne fa il fantasy, in genere, di esseri intelligenti non umanoidi, salvo qualche mostro particolarmente cattivo (ovvio che ci sarà qualche eccezione). Ma direi che l'essere senziente non umano, nel fantasy, se non è un misterioso nemico da eliminare deriva strettamente dall'umano.
E' un aspetto che andrebbe ulteriormente esplorato?
Non so. Se qualcuno scrivesse un libro con delle scolopendre intelligenti che interagiscono con gli uomini, a chi verrebbe voglia di leggerlo?
mercoledì 22 ottobre 2008
Immaginare Mondi
Chi scrive mainstream deve conoscere l'ambiente in cui colloca la sua storia. Se lo scrittore non è stato negli Stati Uniti o in India, farà bene a non scegliere quei luoghi come ambientazione principale (ovviamente si potrà documentare in merito e i suoi personaggi potranno fare una rapida capatina a New Delhi o a Las Vegas, se necessario...).
Chi scrive fantasy o fantascienza, horror ecc... dovrà inventare i suoi mondi o immaginare un cambiamento intervenuto nel mondo reale (e tutte le conseguenze di tale cambiamento). Dovrà lavorare di fantasia, insomma, introdurre l'elemento immaginario.
Inventare un mondo di sana pianta è un lavoro che spesso fa chi gioca di ruolo, e può essere una buona palestra (ne ho già parlato) ma nel gioco di ruolo è necessario un livello di dettaglio che non necessariamente va raggiunto da chi scrive un libro.
Lasciamo da parte il GDR quindi.
Si può scrivere una storia partendo dal voler raccontare i mondi che abbiamo immaginato, ma una storia è soprattutto fatta di avvenimenti, pertanto chi scrive dovrà per prima cosa avere un'idea portante. Ovvero dovrà chiedersi: che storia sto raccontando?
Facciamo un esempio: ci siamo svegliati una mattina decidendo di scrivere un racconto senza voler uscire troppo dai canoni consolidati del fantasy ma aggiungendo qualche elemento nuovo.
(Chiariamo subito qui un altro equivoco: in letteratura, nuovo è una parola grossa. Ci sarà sempre il sapientone che dirà: hai copiato l'idea dal libro dell'autore Tizio, che non hai mai sentito nominare. E' così, può succedere. Ma se ti sei sforzato comunque è già un po' diverso dallo scrivere storie con gli elfi dalle orecchie a punta e i nani che brandiscono l'ascia e si incazzano, no?).
Insomma ci siamo svegliati e abbiamo creato una trama...
Un'idea (come un'altra)
Mettiamo che siamo rimasti estasiati dalle imprese di Elric di Melnibone con la sua spadona che divora le anime, e la sua razza di raffinati decadenti tiranni che più cool di così non si può.
Non volendo proprio scopiazzare di brutto, decidiamo che parleremo di un eroe che non è il sovrano della sua gente. Cominciamo a inventarci un po' di nomi. Il protagonista è Primus, il fratello cadetto del principe Caius erede al trono. Caius è il legale detentore della spada maledetta Omega, che ha sempre servito il popolo dei Tarais.
I Tarais sono sempre stati forti e temuti. Hanno sempre compiuto ingiustizie e stragi, ma nella loro morale andava bene così. Caius è uno che ha girato il mondo e ha conosciuto varie culture e religioni: ha deciso che lo stile di vita del suo popolo è malsano. Quando sale al trono convince Primus a portare via la spada: se la caverà senza i poteri malvagi di questo artefatto.
Le prime considerazioni che si devono fare a questo punto
La lingua. Abbiamo preso un paio di nomi che "suonano" latini, per coerenza dovremo rispettare questa tendenza quando creiamo altri personaggi del popolo dei Tarais. Oppure a questo punto ci prendiamo un anno sabbatico, studiamo le antiche o moderne lingue di qualche angolo del mondo e traiamo ispirazione per inventare un nuovo linguaggio e dei nomi del tutto nostri, con un vocabolario, una grammatica ecc... questo per me è un po' eccessivo, ma c'è chi lo ha fatto.
Queste decisioni che abbiamo preso per i Tarais le dovremo prendere per gli altri popoli. Non sono decisioni da poco perché si riflettono sulla cultura del mondo che andiamo a creare. Lo vedremo dopo.
L'artefatto. La spada maledetta è quello che nel cinema anglosassone si chiamerebbe un plot device, un pretesto per creare la storia. Però se è solo questo l'artefatto diventa come la valigetta in Pulp Fiction, un oggetto che non significa niente di suo ma che è introdotto nella trama solo perché le azioni dei personaggi muovano intorno ad esso.
In un libro fantasy faremo meglio a non ridurci così. Decidiamo allora cosa fa questa spada incantata e come farlo sapere al lettore.
La Spada Omega è legata alla nascita e alla morte del popolo dei Tarais per via di un patto fatto dal leggendario progenitore del popolo, Kotalos, con la divinità protettrice Tanatos. Tanatos è divinità della vita per i Tarais, ma è il dio della morte per i popoli circostanti. La fortuna dei Tarais dipende dalla rovina dei popoli circostanti, quindi.
I Tarais perciò non devono perdere la spada. Questo in qualche modo lo sanno già, infatti Primus viene incaricato dal fratello di tenere la spada lontano dalla patria e non di liberarsene. Lo scopo è di non portare danno né agli altri popoli né ai Tarais stessi.
Quello che non sanno ancora è che Tanatos si rivolterà contro i suoi protetti se si sentirà tradito, e che la capitale dei Tarais, la città di Tarag, sorge su un vulcano quiescente che potrebbe cancellarla in qualsiasi momento. I cittadini di Tarag hanno molti benefici portati dalla divinità Tanatos: sorgenti di calde acque sulfuree, getti di oro fuso e di metallo miracoloso con cui forgiano armi di qualità eccelsa. Non capiscono che questo è legato alla natura vulcanica del luogo.
Il Mondo
A questo punto dobbiamo visualizzare il mondo. Poiché Melnibone (la patria di Elric) è un'isola e noi vogliamo fare gli originaloni, di isole non ne avremo. Disegniamo un continente, o parte di esso, e il mare che lo circonda: verrà una cosa più o meno così:
La scala cui ci atteniamo è, diciamo, un centimetro = 300 chilometri perciò ci rendiamo conto di non aver bisogno di tutto questo territorio. Una parte la descriveremo in dettaglio, un'altra la lasceremo, più o meno, in bianco, limitandoci a dire per adesso che è abitata da razze non umane o da barbari. Se le peregrinazioni di Primus lo porteranno là, entreremo maggiormente nello specifico.
Decidiamo quindi di dettagliare un po' di più la zona occidentale e disegniamo monti, fiumi, città, foreste ecc... dopo avere deciso che ci troviamo in un mondo più o meno simile alla Terra, e che siamo nell'emisfero settentrionale: perciò il nord avrà un clima più freddo del sud, ma le distanze nella mappa non sono così grandi da determinare differenze estreme. Quindi se non vogliamo distese di ghiacci eterni o deserti, non siamo tenuti a metterne nella nostra mappa.
Due cose da sapere se non eravate attenti alle lezioni di geografia (ma se eravate attenti mi scuserete qualche semplificazione che userò). I monti si formano per attrito tra delle grandi zone chiamate placche, che sono libere di muoversi fluttuando sullo strato inferiore del nostro pianeta che è semifluido. Laddove queste grandi placche si scontrano si possono formare le catene montuose, e per inciso le zone collinari o montuose più antiche saranno quelle in cui è più facile trovare giacimenti minerari. L'Italia guarda caso è di formazione geologica piuttosto giovane e questo è il motivo per cui, mentre altre potenze europee scattavano avanti nella rivoluzione industriale sfruttando i propri giacimenti di carbone, ferro e altri metalli, noi praticamente non avevamo nulla di tutto questo (e non ce l'abbiamo nemmeno ora, peraltro).
La forma delle catene montuose determinerà la direzione in cui scorrono i fiumi, che di solito partono dalle montagne (o dalle colline al di sotto di esse) per dirigersi verso il mare (o verso qualche lago chiuso se il mare è troppo lontano o se c'è qualche ostacolo che impedisce di giungervi). L'acqua non scorre soltanto nei fiumi, in realtà nella falde sotterranee ci sono dei flussi altrettanto importanti, ma questo in realtà ora non ci interessa.
Le foreste coprono una buona parte delle montagne alle basse quote, sempre che gli uomini (o altre razze!) non abbiano tagliato le piante per usare la legna. Con l'aumentare della quota, in un clima di tipo europeo troveremo solo alberi sempreverdi (abeti ecc...) ma alle quote elevate le montagne sono generalmente spoglie.
Le pianure oggi sono disboscate quasi ovunque. Ma l'Europa era ancora per lo più boscosa ancora ai tempi del medioevo (posti come la Grecia o l'Italia avevano già subito un forte disboscamento nell'antichità, però). Nei climi temperati adatti all'agricoltura la foresta è stata eliminata a mano a mano che la popolazione aumentava, salvo le zone meno fertili o di difficile sfruttamento per un motivo o per l'altro. Col tempo le foreste ricrescono là dove cessa l'opera dell'uomo, ma possono essere necessari vari decenni. Le pianure di clima temperato (se sono fertili e irrigate) sono le regioni in cui si produce più cibo, grazie all'agricoltura.
Le paludi possono occupare grandi estensioni di terreno se l'opera dell'uomo non interviene per regolare il corso delle acque.
I fiumi navigabili e il mare sono stati fino a tempi recenti indispensabili per il trasporto delle merci. Il trasporto via terra (con carri, ecc...) era molto più costoso e lento.
Per via degli ovvi vantaggi che il mare e i fiumi possono offrire, è raro che grandi città sorgano molto lontano da un corso d'acqua o dalla costa. La maggior parte della popolazione mondiale anche oggi vive a qualche decina di chilometri dalla costa. L'interno dei grandi continenti, se ci avete mai fatto caso, è spesso arido o comunque poco abitabile: così vale per il Nord America fra il Mississipi e le Montagne Rocciose, per l'Africa (dove abbiamo giungla e deserti), per il Sud America con giungla, zone aride e montagne, per l'Australia (deserto) e per l'Asia Centrale, che ha le sue zone interne fertili ma è in buona parte una grande pietraia arida.
L'Europa, piovosa e piena di grandi fiumi, è un po' l'eccezione a questa regola.
Tenuto conto di tutti questi aspetti disegniamo la nostra cartina e ne viene fuori qualcosa più o meno così:
Il tratteggio azzurro è la palude, le righe blu scuro i fiumi, le montagne sono profilate in marrone scuro, le città sono rosse e le foreste sono verdi (qui indichiamo solo quelle veramente enormi). Non ho messo i nomi a tutte le città e a nessun fiume o montagna (e nemmeno alla regione!): lascio ai volontari l'incombenza.
La città di Tarag, che siede su un vulcano, si trova in una zona montuosa. Domina sulla regione circostante e importa molto del cibo di cui necessita (perché non ha una bella pianura coltivabile nelle immediate vicinanze). Questo può significare che se i Tarais perdessero i loro tributari, non potrebbero più mantenere la loro ricca e popolosa capitale. Potrebbe anche implicare che qualche nobile, a corte, non sia così contento se il sovrano decide di rinunciare a una politica di prepotenza, che potrebbe essere indispensabile a sopravvivere.
La città di Goi appartiene a un altro popolo. Li chiamiamo Kreuzne e decidiamo che la loro lingua è differente da quella dei Tarais, e usiamo nomi che "suonano" germanico. I Kreuzne sono coraggiosi anche se poco raffinati, bevono tanta birra, coltivano patate e odiano a morte i Tarais... ma non lo dicono, perché ne hanno paura. Pagano regolarmente un tributo.
Pitna invece è una città pacifica, appartenente al Popolo delle Pianure e governata da una nobiltà locale che si ispira ai Tarais e obbedisce ai loro voleri. Una cultura quindi che per usi e linguaggio sarà simile a quella dei Tarais, anche se non umana: infatti il Popolo delle Pianure è una razza di miti umanoidi un po' simili a scimmie, poco abili nelle arti manuali e poco aggressivi. A Pitna il nostro Primus è andato con la Spada Omega ad amministrare qualche affare commerciale di Tarag. Primus cerca più che altro di stare lontano dai guai.
Religioni, Magia e Mitologia
Sono importanti come la geografia, in un libro fantasy. La mitologia aiuta a definire il carattere di un popolo e fornisce abbondanti possibilità per arricchire il mondo nella narrazione, con santuari, leggende, monaci, santuari ecc... Un consiglio può essere quello di farsi un minimo di cultura leggendo qualche libro: se non avete le basi della mitologia classica potreste cominciare da lì, se almeno quelle le avete vi consiglio di spostarvi allora molto lontano per aprirvi a una dimensione esotica. Potreste sfogliarvi la "garzantina" sulle religioni, per esempio.
Per i nostri scopi, dobbiamo stabilire che i Kreuzne adorano diverse divinità della guerra ma i Tarais hanno loro imposto Tanatos come padre degli dei. Esiste però una profezia: dice che i loro dei messi in inferiorità e prigionieri si ribelleranno.
Tanatos impone che i popoli sottomessi gli portino vittime sacrificali, ma sono esentati dall'obbligo i suoi prediletti Tarais.
Per quanto riguarda il Popolo di Pitna, è pacifico e le sue credenze, formate in realtà dai sacerdoti Tarais, dicono che da Tanatos viene ogni saggezza e che deve essere obbedito anche se richiede che delle vite gli vengano sacrificate. Esiste anche un antichissimo Oracolo della Verità, a Pitna, vicino al grande tempio di Tanatos. I sacerdoti di Tanatos vorrebbero distruggerlo ma non osano per timore della reazione popolare. Però in oltre mille anni l'Oracolo non ha parlato.
La Magia può essere un dono divino o arrivare per altre, recondite strade. Noi diremo che alcune conoscenze perdute, ora accessibili solo ad alcuni esseri semi-divini o a studiosi di scienze arcane, possono compiere prodigi che ai sacerdoti sono impossibili: essi si limitano a conoscere qualche piccolo incantesimo per incoraggiare la fertilità della terra e la guarigione delle ferite. Da notare che una presenza diffusa e "a buon mercato" della magia è molto destabilizzante per un'ambientazione fantastica. Lo scrittore dovrà valutare con attenzione quali ne saranno le conseguenze.
Razze non umane
Da trattare con cautela valutando le conseguenze della loro presenza. Soprattutto in termini di possibilità di espandersi o al contrario di essere schiacciati da razze rivali. Ad esempio: nel mondo fatato di Tolkien gli Hobbit hanno un senso. In molte altre ambientazioni ci sarebbe solo da chiedersi, se l'autore li inserisse, perché non sono stati già fatti fuori tutti. Capito il problema?
Qui il Popolo delle Pianure è un'utile razza sottomessa ai cinici uomini di Tarag. Sono fedeli come tributari, e certamente buoni acquirenti per molti oggetti che non sanno costruire in proprio (armi, artigianato, stoffe pregiate ecc...) nonché grandi lavoratori che si spaccano la schiena. La loro simbiosi con i padroni è così perfetta che i Tarais li lasciano governarsi da soli. Certamente li difendono se necessario, perché sono utili, e magari al contrario li usano in guerra per i propri scopi, spendendoli come carne da macello. Possono comparire fuori dal loro territorio in qualche ruolo caratteristico (giullari, giocolieri, cantastorie, atleti...) per via della loro agilità e perché sono reputati buffi. Lo scrittore deve però inventarsi qualche manierismo, qualche modo di fare caratteristico ecc... altrimenti non li renderà abbastanza veri.
Sulla loro origine potrà costruire un'altra leggenda.
Come inneschiamo la trama?
Quando la spada Omega viene portata via da Tarag, Tanatos smette di consumare le sue vittime e sia i Kreuzne che il Popolo delle Pianure vengono sollevati dall'obbligo del sacrificio. Questo fa contento re Caius, che voleva un dominio più misericordioso sui popoli circostanti. Ma i Kreuzne non si accontentano di questo inatteso beneficio: vogliono liberarsi del tutto.
Hilde, una furba maga del popolo di Kreuzne si trasforma in vezzosa fanciulla con l'aiuto delle sue arti magiche, e fa la conoscenza del nostro Primus che se ne sta tranquillo in mezzo al Popolo delle Pianure. Lo fa invaghire di lei, poi scompare, ma presto lo avverte che è tenuta prigioniera in una grotta custodita da un orrendo mostro.
Primus decide di portare la spada Omega con sé nella missione di salvataggio della donzella. Scende nella Grotta del Destino dove trova scheletri, armi e armature di mille eroi morti prima di lui. Incontra il Custode, un mostro orripilante con un discreto numero di teste e tentacoli, ma viene da lui avvisato che la vittoria gli porterà solo danno. La maga Hilde infatti non è imprigionata affatto: sa che il Custode tiene schiavi gli dei del suo popolo e sa che saranno liberi se Primus lo ucciderà: privi di un'arma potente come la spada Omega, gli eroi del popolo Kreuzne avevano sempre fallito nell'impresa. Senza dar retta all'avviso del Custode quindi Primus lo sconfigge usando la spada Omega e vede, come scie luminose, gli dei del popolo Kreuzne che sfuggono dall'abisso cui Tanatos li aveva condannati, e risalgono nei cieli. Quando trova finalmente Hilde capisce di essere stato ingannato, e quando la maga cerca di portargli via la spada Omega glielo impedisce. Ma non ha il coraggio di ucciderla.
Il popolo dei Kreuzne comincia quindi una micidiale guerra contro i Tarais. I nobili impongono che la spada venga riportata a Tarag, in modo che il favore divino torni sulla città dominatrice del mondo. Caius si oppone e viene ucciso. Un usurpatore sale al trono.
Primus sarebbe ora l'erede legittimo ma non riporta la spada Omega a Tarag, perché sa che l'usurpatore lo ucciderebbe. E poi? cosa succede dopo?
L'eroe Primus potrebbe cercare di recuperare il trono costi quello che costi (e del resto ha la spada magica al suo fianco). Ma potrebbe rimandare i pensieri di guerra civile e lottare invece per difendere Tarag dai nemici, cercando di mantenere una tregua instabile con l'usurpatore.
Potrebbe essere ancora invaghito di Hilde e cercare di trovare il modo di conciliare la fedeltà al suo popolo con questo amore.
Il dio Tanatos, nel suo rancore per il tradimento di Caius che ha mandato via la spada dalla capitale (e del fratello Primus che ha ucciso il Custode), potrebbe lasciare che l'Oracolo della Verità a Pitna torni a parlare: questa volta contro il dominio di Tarag, spezzando l'alleanza del Popolo delle Pianure. E più avanti potrebbe lasciare che il vulcano si svegli e distrugga la città!
Trovandosi con un grande potere individuale datogli dalla spada Omega, ma con tutto il mondo che gli crolla intorno, cosa farà Primus? Si batterà fino all'ultimo? Si rivolterà anche lui contro la sua società? Cercherà di rifondarla su altre basi e allo stesso tempo di difenderla contro i popoli servi che si sono ribellati? Vorrà ammazzare l'usurpatore e vendicare il fratello? Cercherà un obiettivo personale abbandonando questa regione? Chi lo sa... le basi per un eroe dannato, che vede tutto andare a pezzi qualsiasi cosa faccia, le abbiamo ormai poste.
Ovviamente questo "worldbuilding" è decisamente scarso, i nomi spesso sono ridicoli, in certi punti sa più che altro di satira. E attenzione, quella che è la mia raccomandazione in termini di ambientazione la ritengo sempre valida: se volete mostrare 10 nella vostra storia, è bene che voi abbiate in mente 100, perché vi aiuterà a capire quello che state facendo.
La mia intenzione qui era dare un'idea per quanto semplificata (e nella mia versione, ovviamente) dei processi che servono ad arrivare al risultato. Se poi uno è un grande scrittore può fare un egregio lavoro anche con le avventure del povero Primus. Chi manca del talento e del mestiere non combinerà molto nemmeno con l'ambientazione più dettagliata di questo mondo.
Chi scrive fantasy o fantascienza, horror ecc... dovrà inventare i suoi mondi o immaginare un cambiamento intervenuto nel mondo reale (e tutte le conseguenze di tale cambiamento). Dovrà lavorare di fantasia, insomma, introdurre l'elemento immaginario.
Inventare un mondo di sana pianta è un lavoro che spesso fa chi gioca di ruolo, e può essere una buona palestra (ne ho già parlato) ma nel gioco di ruolo è necessario un livello di dettaglio che non necessariamente va raggiunto da chi scrive un libro.
Lasciamo da parte il GDR quindi.
Si può scrivere una storia partendo dal voler raccontare i mondi che abbiamo immaginato, ma una storia è soprattutto fatta di avvenimenti, pertanto chi scrive dovrà per prima cosa avere un'idea portante. Ovvero dovrà chiedersi: che storia sto raccontando?
Facciamo un esempio: ci siamo svegliati una mattina decidendo di scrivere un racconto senza voler uscire troppo dai canoni consolidati del fantasy ma aggiungendo qualche elemento nuovo.
(Chiariamo subito qui un altro equivoco: in letteratura, nuovo è una parola grossa. Ci sarà sempre il sapientone che dirà: hai copiato l'idea dal libro dell'autore Tizio, che non hai mai sentito nominare. E' così, può succedere. Ma se ti sei sforzato comunque è già un po' diverso dallo scrivere storie con gli elfi dalle orecchie a punta e i nani che brandiscono l'ascia e si incazzano, no?).
Insomma ci siamo svegliati e abbiamo creato una trama...
Un'idea (come un'altra)
Mettiamo che siamo rimasti estasiati dalle imprese di Elric di Melnibone con la sua spadona che divora le anime, e la sua razza di raffinati decadenti tiranni che più cool di così non si può.
Non volendo proprio scopiazzare di brutto, decidiamo che parleremo di un eroe che non è il sovrano della sua gente. Cominciamo a inventarci un po' di nomi. Il protagonista è Primus, il fratello cadetto del principe Caius erede al trono. Caius è il legale detentore della spada maledetta Omega, che ha sempre servito il popolo dei Tarais.
I Tarais sono sempre stati forti e temuti. Hanno sempre compiuto ingiustizie e stragi, ma nella loro morale andava bene così. Caius è uno che ha girato il mondo e ha conosciuto varie culture e religioni: ha deciso che lo stile di vita del suo popolo è malsano. Quando sale al trono convince Primus a portare via la spada: se la caverà senza i poteri malvagi di questo artefatto.
Le prime considerazioni che si devono fare a questo punto
La lingua. Abbiamo preso un paio di nomi che "suonano" latini, per coerenza dovremo rispettare questa tendenza quando creiamo altri personaggi del popolo dei Tarais. Oppure a questo punto ci prendiamo un anno sabbatico, studiamo le antiche o moderne lingue di qualche angolo del mondo e traiamo ispirazione per inventare un nuovo linguaggio e dei nomi del tutto nostri, con un vocabolario, una grammatica ecc... questo per me è un po' eccessivo, ma c'è chi lo ha fatto.
Queste decisioni che abbiamo preso per i Tarais le dovremo prendere per gli altri popoli. Non sono decisioni da poco perché si riflettono sulla cultura del mondo che andiamo a creare. Lo vedremo dopo.
L'artefatto. La spada maledetta è quello che nel cinema anglosassone si chiamerebbe un plot device, un pretesto per creare la storia. Però se è solo questo l'artefatto diventa come la valigetta in Pulp Fiction, un oggetto che non significa niente di suo ma che è introdotto nella trama solo perché le azioni dei personaggi muovano intorno ad esso.
In un libro fantasy faremo meglio a non ridurci così. Decidiamo allora cosa fa questa spada incantata e come farlo sapere al lettore.
La Spada Omega è legata alla nascita e alla morte del popolo dei Tarais per via di un patto fatto dal leggendario progenitore del popolo, Kotalos, con la divinità protettrice Tanatos. Tanatos è divinità della vita per i Tarais, ma è il dio della morte per i popoli circostanti. La fortuna dei Tarais dipende dalla rovina dei popoli circostanti, quindi.
I Tarais perciò non devono perdere la spada. Questo in qualche modo lo sanno già, infatti Primus viene incaricato dal fratello di tenere la spada lontano dalla patria e non di liberarsene. Lo scopo è di non portare danno né agli altri popoli né ai Tarais stessi.
Quello che non sanno ancora è che Tanatos si rivolterà contro i suoi protetti se si sentirà tradito, e che la capitale dei Tarais, la città di Tarag, sorge su un vulcano quiescente che potrebbe cancellarla in qualsiasi momento. I cittadini di Tarag hanno molti benefici portati dalla divinità Tanatos: sorgenti di calde acque sulfuree, getti di oro fuso e di metallo miracoloso con cui forgiano armi di qualità eccelsa. Non capiscono che questo è legato alla natura vulcanica del luogo.
Il Mondo
A questo punto dobbiamo visualizzare il mondo. Poiché Melnibone (la patria di Elric) è un'isola e noi vogliamo fare gli originaloni, di isole non ne avremo. Disegniamo un continente, o parte di esso, e il mare che lo circonda: verrà una cosa più o meno così:
La scala cui ci atteniamo è, diciamo, un centimetro = 300 chilometri perciò ci rendiamo conto di non aver bisogno di tutto questo territorio. Una parte la descriveremo in dettaglio, un'altra la lasceremo, più o meno, in bianco, limitandoci a dire per adesso che è abitata da razze non umane o da barbari. Se le peregrinazioni di Primus lo porteranno là, entreremo maggiormente nello specifico.
Decidiamo quindi di dettagliare un po' di più la zona occidentale e disegniamo monti, fiumi, città, foreste ecc... dopo avere deciso che ci troviamo in un mondo più o meno simile alla Terra, e che siamo nell'emisfero settentrionale: perciò il nord avrà un clima più freddo del sud, ma le distanze nella mappa non sono così grandi da determinare differenze estreme. Quindi se non vogliamo distese di ghiacci eterni o deserti, non siamo tenuti a metterne nella nostra mappa.
Due cose da sapere se non eravate attenti alle lezioni di geografia (ma se eravate attenti mi scuserete qualche semplificazione che userò). I monti si formano per attrito tra delle grandi zone chiamate placche, che sono libere di muoversi fluttuando sullo strato inferiore del nostro pianeta che è semifluido. Laddove queste grandi placche si scontrano si possono formare le catene montuose, e per inciso le zone collinari o montuose più antiche saranno quelle in cui è più facile trovare giacimenti minerari. L'Italia guarda caso è di formazione geologica piuttosto giovane e questo è il motivo per cui, mentre altre potenze europee scattavano avanti nella rivoluzione industriale sfruttando i propri giacimenti di carbone, ferro e altri metalli, noi praticamente non avevamo nulla di tutto questo (e non ce l'abbiamo nemmeno ora, peraltro).
La forma delle catene montuose determinerà la direzione in cui scorrono i fiumi, che di solito partono dalle montagne (o dalle colline al di sotto di esse) per dirigersi verso il mare (o verso qualche lago chiuso se il mare è troppo lontano o se c'è qualche ostacolo che impedisce di giungervi). L'acqua non scorre soltanto nei fiumi, in realtà nella falde sotterranee ci sono dei flussi altrettanto importanti, ma questo in realtà ora non ci interessa.
Le foreste coprono una buona parte delle montagne alle basse quote, sempre che gli uomini (o altre razze!) non abbiano tagliato le piante per usare la legna. Con l'aumentare della quota, in un clima di tipo europeo troveremo solo alberi sempreverdi (abeti ecc...) ma alle quote elevate le montagne sono generalmente spoglie.
Le pianure oggi sono disboscate quasi ovunque. Ma l'Europa era ancora per lo più boscosa ancora ai tempi del medioevo (posti come la Grecia o l'Italia avevano già subito un forte disboscamento nell'antichità, però). Nei climi temperati adatti all'agricoltura la foresta è stata eliminata a mano a mano che la popolazione aumentava, salvo le zone meno fertili o di difficile sfruttamento per un motivo o per l'altro. Col tempo le foreste ricrescono là dove cessa l'opera dell'uomo, ma possono essere necessari vari decenni. Le pianure di clima temperato (se sono fertili e irrigate) sono le regioni in cui si produce più cibo, grazie all'agricoltura.
Le paludi possono occupare grandi estensioni di terreno se l'opera dell'uomo non interviene per regolare il corso delle acque.
I fiumi navigabili e il mare sono stati fino a tempi recenti indispensabili per il trasporto delle merci. Il trasporto via terra (con carri, ecc...) era molto più costoso e lento.
Per via degli ovvi vantaggi che il mare e i fiumi possono offrire, è raro che grandi città sorgano molto lontano da un corso d'acqua o dalla costa. La maggior parte della popolazione mondiale anche oggi vive a qualche decina di chilometri dalla costa. L'interno dei grandi continenti, se ci avete mai fatto caso, è spesso arido o comunque poco abitabile: così vale per il Nord America fra il Mississipi e le Montagne Rocciose, per l'Africa (dove abbiamo giungla e deserti), per il Sud America con giungla, zone aride e montagne, per l'Australia (deserto) e per l'Asia Centrale, che ha le sue zone interne fertili ma è in buona parte una grande pietraia arida.
L'Europa, piovosa e piena di grandi fiumi, è un po' l'eccezione a questa regola.
Tenuto conto di tutti questi aspetti disegniamo la nostra cartina e ne viene fuori qualcosa più o meno così:
Il tratteggio azzurro è la palude, le righe blu scuro i fiumi, le montagne sono profilate in marrone scuro, le città sono rosse e le foreste sono verdi (qui indichiamo solo quelle veramente enormi). Non ho messo i nomi a tutte le città e a nessun fiume o montagna (e nemmeno alla regione!): lascio ai volontari l'incombenza.
La città di Tarag, che siede su un vulcano, si trova in una zona montuosa. Domina sulla regione circostante e importa molto del cibo di cui necessita (perché non ha una bella pianura coltivabile nelle immediate vicinanze). Questo può significare che se i Tarais perdessero i loro tributari, non potrebbero più mantenere la loro ricca e popolosa capitale. Potrebbe anche implicare che qualche nobile, a corte, non sia così contento se il sovrano decide di rinunciare a una politica di prepotenza, che potrebbe essere indispensabile a sopravvivere.
La città di Goi appartiene a un altro popolo. Li chiamiamo Kreuzne e decidiamo che la loro lingua è differente da quella dei Tarais, e usiamo nomi che "suonano" germanico. I Kreuzne sono coraggiosi anche se poco raffinati, bevono tanta birra, coltivano patate e odiano a morte i Tarais... ma non lo dicono, perché ne hanno paura. Pagano regolarmente un tributo.
Pitna invece è una città pacifica, appartenente al Popolo delle Pianure e governata da una nobiltà locale che si ispira ai Tarais e obbedisce ai loro voleri. Una cultura quindi che per usi e linguaggio sarà simile a quella dei Tarais, anche se non umana: infatti il Popolo delle Pianure è una razza di miti umanoidi un po' simili a scimmie, poco abili nelle arti manuali e poco aggressivi. A Pitna il nostro Primus è andato con la Spada Omega ad amministrare qualche affare commerciale di Tarag. Primus cerca più che altro di stare lontano dai guai.
Religioni, Magia e Mitologia
Sono importanti come la geografia, in un libro fantasy. La mitologia aiuta a definire il carattere di un popolo e fornisce abbondanti possibilità per arricchire il mondo nella narrazione, con santuari, leggende, monaci, santuari ecc... Un consiglio può essere quello di farsi un minimo di cultura leggendo qualche libro: se non avete le basi della mitologia classica potreste cominciare da lì, se almeno quelle le avete vi consiglio di spostarvi allora molto lontano per aprirvi a una dimensione esotica. Potreste sfogliarvi la "garzantina" sulle religioni, per esempio.
Per i nostri scopi, dobbiamo stabilire che i Kreuzne adorano diverse divinità della guerra ma i Tarais hanno loro imposto Tanatos come padre degli dei. Esiste però una profezia: dice che i loro dei messi in inferiorità e prigionieri si ribelleranno.
Tanatos impone che i popoli sottomessi gli portino vittime sacrificali, ma sono esentati dall'obbligo i suoi prediletti Tarais.
Per quanto riguarda il Popolo di Pitna, è pacifico e le sue credenze, formate in realtà dai sacerdoti Tarais, dicono che da Tanatos viene ogni saggezza e che deve essere obbedito anche se richiede che delle vite gli vengano sacrificate. Esiste anche un antichissimo Oracolo della Verità, a Pitna, vicino al grande tempio di Tanatos. I sacerdoti di Tanatos vorrebbero distruggerlo ma non osano per timore della reazione popolare. Però in oltre mille anni l'Oracolo non ha parlato.
La Magia può essere un dono divino o arrivare per altre, recondite strade. Noi diremo che alcune conoscenze perdute, ora accessibili solo ad alcuni esseri semi-divini o a studiosi di scienze arcane, possono compiere prodigi che ai sacerdoti sono impossibili: essi si limitano a conoscere qualche piccolo incantesimo per incoraggiare la fertilità della terra e la guarigione delle ferite. Da notare che una presenza diffusa e "a buon mercato" della magia è molto destabilizzante per un'ambientazione fantastica. Lo scrittore dovrà valutare con attenzione quali ne saranno le conseguenze.
Razze non umane
Da trattare con cautela valutando le conseguenze della loro presenza. Soprattutto in termini di possibilità di espandersi o al contrario di essere schiacciati da razze rivali. Ad esempio: nel mondo fatato di Tolkien gli Hobbit hanno un senso. In molte altre ambientazioni ci sarebbe solo da chiedersi, se l'autore li inserisse, perché non sono stati già fatti fuori tutti. Capito il problema?
Qui il Popolo delle Pianure è un'utile razza sottomessa ai cinici uomini di Tarag. Sono fedeli come tributari, e certamente buoni acquirenti per molti oggetti che non sanno costruire in proprio (armi, artigianato, stoffe pregiate ecc...) nonché grandi lavoratori che si spaccano la schiena. La loro simbiosi con i padroni è così perfetta che i Tarais li lasciano governarsi da soli. Certamente li difendono se necessario, perché sono utili, e magari al contrario li usano in guerra per i propri scopi, spendendoli come carne da macello. Possono comparire fuori dal loro territorio in qualche ruolo caratteristico (giullari, giocolieri, cantastorie, atleti...) per via della loro agilità e perché sono reputati buffi. Lo scrittore deve però inventarsi qualche manierismo, qualche modo di fare caratteristico ecc... altrimenti non li renderà abbastanza veri.
Sulla loro origine potrà costruire un'altra leggenda.
Come inneschiamo la trama?
Quando la spada Omega viene portata via da Tarag, Tanatos smette di consumare le sue vittime e sia i Kreuzne che il Popolo delle Pianure vengono sollevati dall'obbligo del sacrificio. Questo fa contento re Caius, che voleva un dominio più misericordioso sui popoli circostanti. Ma i Kreuzne non si accontentano di questo inatteso beneficio: vogliono liberarsi del tutto.
Hilde, una furba maga del popolo di Kreuzne si trasforma in vezzosa fanciulla con l'aiuto delle sue arti magiche, e fa la conoscenza del nostro Primus che se ne sta tranquillo in mezzo al Popolo delle Pianure. Lo fa invaghire di lei, poi scompare, ma presto lo avverte che è tenuta prigioniera in una grotta custodita da un orrendo mostro.
Primus decide di portare la spada Omega con sé nella missione di salvataggio della donzella. Scende nella Grotta del Destino dove trova scheletri, armi e armature di mille eroi morti prima di lui. Incontra il Custode, un mostro orripilante con un discreto numero di teste e tentacoli, ma viene da lui avvisato che la vittoria gli porterà solo danno. La maga Hilde infatti non è imprigionata affatto: sa che il Custode tiene schiavi gli dei del suo popolo e sa che saranno liberi se Primus lo ucciderà: privi di un'arma potente come la spada Omega, gli eroi del popolo Kreuzne avevano sempre fallito nell'impresa. Senza dar retta all'avviso del Custode quindi Primus lo sconfigge usando la spada Omega e vede, come scie luminose, gli dei del popolo Kreuzne che sfuggono dall'abisso cui Tanatos li aveva condannati, e risalgono nei cieli. Quando trova finalmente Hilde capisce di essere stato ingannato, e quando la maga cerca di portargli via la spada Omega glielo impedisce. Ma non ha il coraggio di ucciderla.
Il popolo dei Kreuzne comincia quindi una micidiale guerra contro i Tarais. I nobili impongono che la spada venga riportata a Tarag, in modo che il favore divino torni sulla città dominatrice del mondo. Caius si oppone e viene ucciso. Un usurpatore sale al trono.
Primus sarebbe ora l'erede legittimo ma non riporta la spada Omega a Tarag, perché sa che l'usurpatore lo ucciderebbe. E poi? cosa succede dopo?
L'eroe Primus potrebbe cercare di recuperare il trono costi quello che costi (e del resto ha la spada magica al suo fianco). Ma potrebbe rimandare i pensieri di guerra civile e lottare invece per difendere Tarag dai nemici, cercando di mantenere una tregua instabile con l'usurpatore.
Potrebbe essere ancora invaghito di Hilde e cercare di trovare il modo di conciliare la fedeltà al suo popolo con questo amore.
Il dio Tanatos, nel suo rancore per il tradimento di Caius che ha mandato via la spada dalla capitale (e del fratello Primus che ha ucciso il Custode), potrebbe lasciare che l'Oracolo della Verità a Pitna torni a parlare: questa volta contro il dominio di Tarag, spezzando l'alleanza del Popolo delle Pianure. E più avanti potrebbe lasciare che il vulcano si svegli e distrugga la città!
Trovandosi con un grande potere individuale datogli dalla spada Omega, ma con tutto il mondo che gli crolla intorno, cosa farà Primus? Si batterà fino all'ultimo? Si rivolterà anche lui contro la sua società? Cercherà di rifondarla su altre basi e allo stesso tempo di difenderla contro i popoli servi che si sono ribellati? Vorrà ammazzare l'usurpatore e vendicare il fratello? Cercherà un obiettivo personale abbandonando questa regione? Chi lo sa... le basi per un eroe dannato, che vede tutto andare a pezzi qualsiasi cosa faccia, le abbiamo ormai poste.
Ovviamente questo "worldbuilding" è decisamente scarso, i nomi spesso sono ridicoli, in certi punti sa più che altro di satira. E attenzione, quella che è la mia raccomandazione in termini di ambientazione la ritengo sempre valida: se volete mostrare 10 nella vostra storia, è bene che voi abbiate in mente 100, perché vi aiuterà a capire quello che state facendo.
La mia intenzione qui era dare un'idea per quanto semplificata (e nella mia versione, ovviamente) dei processi che servono ad arrivare al risultato. Se poi uno è un grande scrittore può fare un egregio lavoro anche con le avventure del povero Primus. Chi manca del talento e del mestiere non combinerà molto nemmeno con l'ambientazione più dettagliata di questo mondo.
domenica 19 ottobre 2008
Scrittura creativa: boom dei corsi
Mi sono già pronunciato in merito: li trovo molto stimolanti e utili. E non creano paraocchi: danno gli strumenti di base.
Non mi ero accorto però che così tanta gente li stesse frequentando. Come dice questo articolo apparso oggi sulla versione online del Corriere.
Corsi da pochi soldi, corsi da molte migliaia di euro (oddio, ne varrà la pena?), corsi per giovani in cerca di una professionalità specifica, corsi per tutte le età.
I corsi di scrittura creativa ovviamente non possono fare una cosa impossibile: creare il talento dove non c'è (o non ce n'è abbastanza).
C'è chi lo ha e chi no, pertanto uno strumento che può aiutare a svilupparlo è utile se in primo luogo esiste la risorsa da sviluppare.
Questo è il vero limite dei corsi di scrittura creativa.
sabato 18 ottobre 2008
Strange Days
Ho una grande ammirazione per la regista Kathryn Bigelow. Delle sue molteplici carriere (artista d'avanguardia, modella, attrice e infine regista nei circuiti indipendenti prima di arrivare alle major) non so praticamente nulla, so che ha creato un paio di film decisamente ispirati, film d'azione ma non privi di qualche invito alla riflessione, e uno di questi, il fantascientifico Strange Days, è uno dei miei preferiti.
Uscì pochi anni dopo il primo (e ultimo!) successo commerciale della Bigelow: Point Break, un film d'azione e adrenalina che fu il primo successo di Keanu Reeves, qui nella parte di un poliziotto contrapposto a Patrick Schwayze che ricopriva il ruolo di un rapinatore-filosofo (sto esagerando, ma solo per dare l'idea di una certa piacevole bizzarria presente in questa pellicola). La capacità della Bigelow di dirigere un film d'azione sorprese, anche se mi domando cosa ne avrebbe fatto il grande Ridley Scott, che era un altro papabile per la regia.
Diciamo per inciso che Strange Days comunque non fu un gran successo commerciale e che K-19, un successivo film ambientato ai tempi della guerra fredda e girato con mezzi ancor più ambiziosi, fu proprio un disastro, ponendo termine (probabilmente) alla carriera della Bigelow come regista di film a grosso budget: peccato! Io non sono uno dai gusti strani per forza, ma a me questi film erano piaciuti entrambi.
Strange Days è ambientato in una Los Angeles violenta e giunta al culmine della tensione per via dell'omicidio di un noto rapper nero, Jeriko One. Il rimando a certi episodi (la rivolta di Los Angeles, il pestaggio di Rodney King ecc...) è evidente. La tensione per la prossima fine del millennio (mancano due giorni all'anno 2000) e per la possibilità di una violenza esplosiva sono una tematica che pervade tutto il film, intriso di un pessimismo che non rimane però senza speranza. La parte fantascientifica la troviamo nel mestiere redditizio di Lenny, un ex poliziotto interpretato da Ralph Fiennes: spaccia una droga particolare, lo Squid, che in realtà è frutto di tecnologia avanzata. E' un sistema per registrare, e far rivivere ad altri, le sensazioni: Lenny lo usa per produrre pornografia ma anche per permettere di vivere vicariamente qualsiasi emozione forte. Il personaggio di Lenny ha un po' del porco corrotto, ma non troppo cattivo, e risulta facilmente simpatico. Lui stesso è schiavo dello Squid: rivive in continuazione i bei momenti vissuti con Faith (interpretata da Juliette Lewis che vediamo nei panni di cantante, la carriera che successivamente ha scelto), una umorale e autodistruttiva ragazza che lo ha lasciato per il manager discografico Philo Gant (interpretato dall'italoamericano Michael Wincott).
Quando la tecnologia dello Squid comincia a venire usata da un omicida per rendersi più piacevole lo stupro della propria vittima, Lenny troverà la forza di indagare, aiutato da Mace (interpretata da Angela Basset), una determinata guidatrice di limousine che fa anche da guardia del corpo. Lenny è minacciato per quello che sa, poiché che ha visto le registrazioni incriminate; l'omicidio inoltre si collega alla morte di Jeriko One e ai disordini che stanno esplodendo in città: il film comincia ad assumere i connotati di una corsa contro il tempo.
A questo punto si dimostra essenziale il ruolo di Mace nel proteggere il nostro corrotto ma simpatico Lenny, costretto a fare l'eroe per salvarsi la pelle. Alla fine Lenny saprà la verità su Faith (al corrente dei crimini, ma ha taciuto), sconfiggerà i cattivi e conquisterà il cuore della sua bella guardia del corpo.
Strange Days è immaginoso, strano, visivamente accattivante. Ricco di emozione e stile. Pone al centro dell'investigazione proprio l'elemento fantascientifico della condivisione delle sensazioni, e lo rappresenta bene, anche se forse nel farlo va troppo avanti rispetto ai suoi tempi. Anche se il lieto fine sembra appiccicato a forza, se la durata probabilmente è eccessiva, la tematica politica può dar fastidio e la trama qua e là è macchinosa, questo è un gran bel film ingiustamente sottovalutato.
Angela Basset è grandiosa in un ruolo di donna forte e coraggiosa, Fiennes interpreta a meraviglia la sua parte di uomo corrotto, debole e sconfitto, Juliet Lewis fa la sua figura cantando le canzoni di PJ Harvey anche se il suo personaggio è decisamente negativo, l'unico che non mi convince molto è Tom Sizemore nella parte del cattivo Max Peltier.
Il maggior problema di Strange Days è che bisogna affaticare un po' il cervello per seguirlo, e i film così hanno una difficoltà in più a sfondare. Non è che io creda che la gente non le possa capire le cose, e che l'unico genio sia il sottoscritto. E' che la gente non vuole pensare, al cinema, e se trova una cosa che la impegna un minimo, allora dice che è brutta.
Nel filmato qua sotto, che necessita di ben poca traduzione, Lenny è lì che muore dietro a Faith mentre la osserva cantare "I can hardly wait" di PJ Harvey, poi le parla, ma viene mandato definitivamente a quel paese...
mercoledì 15 ottobre 2008
Ridley Scott dirigerà una Guerra Eterna
Già, proprio lui che "la fantascienza è morta come il western" porterà sul grande schermo uno dei capolavori del genere. Ma lasciamo stare per un attimo la notiziona e parliamo del libro. La Guerra Eterna di Joe Haldeman è un libro di fantascienza che rispecchia, in parte, le esperienze dello scrittore in Vietnam. E' tuttora, per inciso, il successo di maggior rilievo di Haldeman. Un bel libro che tocca vari temi, soprattutto quello delle falsità e delle menzogne che causano e che prolungano i conflitti.
Si alternano parti di azione a capitoli più riflessivi, con il protagonista che diventa veterano di un conflitto che si combatte su distanze immense alle prese con una razza aliena con cui non si riesce a comunicare.
Le astronavi sono capaci di viaggiare a velocità maggiori di quella della luce, ma la distorsione relativistica fa sì che i soldati, quando tornano alla Terra, la trovino cambiata perché molti anni sono trascorsi, mentre per loro è passata solo qualche settimana o mese. Così dopo ogni azione di combattimento anche lo scopo e la strategia delle missioni potrebbe essere completamente cambiata, e pure gli armamenti, la tecnologia ecc...
Il protagonista si trova disorientato rispetto alla guerra e al suo scopo, alla società, alla natura del nemico. E i suoi rapporti umani sono ovviamente stravolti.
Piomberà nella solitudine e nella disperazione quando le esigenze della guerra lo separeranno dalla donna soldato che ama e con cui ha avuto occasione di condividere le sue esperienze... ma il finale non lo rivelo.
La metafora qui ovviamente riguarda l'accoglienza ricevuta dai soldati che tornavano a casa dal Vietnam. E la riluttanza del protagonista verso la guerra (nonostante raggiunga un grado elevato perché è tra i pochi che sopravvivono a lungo nel conflitto) ribalta i cliché eroici di altri libri famosi all'epoca, come Fanteria dello Spazio di Heinlein.
Fate un favore a voi stessi. Leggetevi qualche schifezza in meno e andate a cercare questo libro.
Stardust: non è così scontato creare una bella favola
Il film l'ho visto dopo aver letto il libro, e devo dire che non mi è dispiaciuto nonostante ci siano molte differenze con la storia scritta da Neil Gaiman.
Sarà stato bravo il regista, Matthew Vaughn, per me del tutto sconosciuto, o eccezionale la recitazione di Robert De Niro? Insomma, se ha preso il Premio Hugo non sarà mica per niente.
C'è una storia carina, con un cast di gran livello che ha fatto più che onestamente il suo lavoro, il successo non poteva mancare. Stardust è solo una favola, ma una che gli adulti possono seguire (e stavolta veramente, mentre di solito a questa promessa seguono dei chiassosi pasticci senza senso). Gaiman si era reso conto che il film sarebbe durato troppo se fosse stato eccessivamente fedele alla trama del libro, e non ha obiettato alle diverse scelte della sceneggiatura. Altro fattore importante, la Pfeiffer e De Niro non si sono comportati da star annoiate che si fanno pagare cifre colossali tanto per prestare il loro nome a un film, ma si sono effettivamente impegnati portandoci due performances credibili e divertenti. E poi nel film ci sono scenografie, bei colori, tutta una valida professionalità.
A me rimane una strana impressione, la stessa che avevo avuto leggendo il libro, qualcosa come: tutto qui?
Basta una favola a fare un successo del genere? A ben pensarci però, quella di Gaiman non era una favola qualunque, e nemmeno questo film lo è. Mescolare fiaba e realismo, toni fatati e umorismo ma anche violenza, il tutto mantenendo un tocco leggero e accattivante, non è mestiere facile.
Insomma, non è così scontato creare una bella favola.
domenica 12 ottobre 2008
Battlestar Galactica, gioco da tavolo
Ho avuto l'occasione di provare il gioco ispirato alla serie TV Battlestar Galactica (attenzione, parlo di gioco da tavolo con pedine e modellini, non di gioco per computer). Per adesso è solo in inglese ma se non vado errato l'Editrice Giochi ne realizzerà una versione italiana.
Da una sola partita (non completata) ne posso avere solo un'impressione parziale, però direi che è stata un'esperienza entusiasmante.
I giocatori interpretano i personaggi principali della serie. Si possono muovere all'interno della Galactica, e quelli che hanno le capacità di pilotaggio possono salire su un Viper e vedersela con i Raider dei Cylon (però rischiano di finire... all'ospedale). Inoltre ci si può spostare sulla Colonial One, la nave presidenziale. Ogni locazione permette di compiere determinate azioni, in più si usano delle carte (rinnovate ogni turno da ulteriori rifornimenti) che daranno a ogni personaggio una possibilità di intervento su determinati settori chiave: leadership militare, leadership politica (Lee Abama potrà giocarsela in entrambi i campi, ad esempio), tattica, ingegneria, pilotaggio ecc...
In più, ogni giocatore ha delle proprietà sue. Io interpretavo il colonnello Tigh, uno con le maniere pesanti: ho usato uno dei suoi poteri per mandare in galera un sospetto Cylon (e qui avevo ragione), in un secondo tempo ho sfruttato pure la possibilità (di cui potevo usufruire una sola volta nella partita) di dichiarare la legge marziale. Ho tolto quindi la presidenza alla Roslyn dandola al vecchio Adama... ma qui ho fatto un errore, col senno di poi. Per la cronaca, il comandante si è scoperto Cylon nella seconda fase del gioco...
Degno di nota, visto che un tema della serie televisiva era quello sulla paranoia dovuta all'estrema difficoltà di distinguere i modelli avanzati di Cylon dagli umani, il fatto che esista un sistema casuale per tramutare in Cylon alcuni dei giocatori. Lo scopo del gioco è arrivare su Kobol, per i terrestri, di non arrivarci mai, per gli infiltrati.
Il progresso verso Kobol è simulato in maniera astratta (ogni "jump" ci si avvicina un po') e quando si è a metà strada c'è una seconda... distribuzione di carte che possono rivelare a un giocatore di essere un Cylon. Infatti non è detto che il personaggio conosca la sua natura fin dall'inizio.
Per arrivare al salto iperspaziale c'è una procedura che richiede tempo: vediamo come funziona. A ogni turno-giocatore si pesca la carta "Crisi" che rappresenta tre cose:
1 - la possibilità che i Cylon (Raider, Basestar, Heavy Raider) arrivino, o che se ne aggiungano altri se ce ne sono già, o che si attivino per sparare o muovere nella mappa se ce ne sono già.
2 - un avvenimento positivo o negativo, che rappresenta generalmente fatti della serie televisiva, e richiede cooperazione e intervento dei giocatori per la risoluzione.
3 - l'eventuale avanzamento del conto alla rovescia per il salto iperspaziale.
Da notare che i Cylon nello spazio si muovono e combattono in base ad alcune semplici regole automatiche. Inoltre, la percezione degli avvenimenti è distorta rispetto agli episodi televisivi: con il sistema delle carte di crisi tante cose succedono nella flotta umana, mentre l'assalto Cylon avviene al "rallentatore," però c'è da dire che se non si riesce a togliersi dai piedi (fare il "jump") in tempo utile si arriva a cose decisamente brutte, come lo sbarco dei Centurioni che arrivano all'arrembaggio sulla Galactica, nonché la mattanza delle navi civili di cui alcune possono comparire, come inette ma preziose prede, nella plancia di gioco. Nella mia esperienza di gioco spesso ero costretto a usare il mio turno per poter muovere lontano dal nemico queste navi disarmate. Pescando le varie carte di crisi è anche accaduto, come in film mozzafiato, che proprio alla fine del conto alla rovescia si guastasse il dispositivo dell'iperspazio: è stato necessario tentare una riparazione proprio mentre diventavano intollerabili i danni subiti sotto l'attacco nemico.
Osserviamo ora l'immagine della plancia di gioco: al centro la Galactica, la vedete chiaramente divisa in vari settori (tra cui per esempio il carcere e l'infermeria sono quelli col bordo giallo e grigio, a destra). Qui si troverà una buona parte dei personaggi, ma se un giocatore sceglie di impersonare la Signora Presidente, comincerà il gioco sulla nave presidenziale che vediamo in alto a sinistra, divisa in tre settori.
Già che ci siamo: subito sopra la nave presidenziale ci sono i settori dove vengono tenuti i Viper disponibili (pronti a partire) e quelli in riparazione, nonché i Raptor (che hanno usi meno militari e più di ricognizione).
I sei settori in cui è diviso lo spazio (con linee celesti) sono quelli in cui si muovono gli assalitori Cylon come Raider, Basestar ecc... nonché Viper e navi civili terrestri.
In alto a destra abbiamo (dischi marroni) i contatori di cibo, carburante, popolazione, nonché l'indicatore del morale della razza umana. Sono fattori importanti, se scendono troppo si può perdere la partita. E le navi civili che sono coinvolte in combattimento causano, se distrutte, la perdita di questi fattori.
Le due sbarrette rosse che vedete sulla Galactica (verso il centro, in basso) sono i ponti di volo. Da qui partono i Viper, qui sbarcano i Centurioni, se ci riescono.
Il gioco non è complesso, gli elementi sono tanti ma governati da regole molto semplici. Un ottimo sistema di gioco crea tante situazioni simili a quelle della serie (ma stavolta non sapete se Sharon Valeri si rivelerà una Cylon, o se sarà un altro personaggio...).
Necessità militari disperatamente urgenti, il timore dei traditori, scelte molto difficili (sacrificare i Viper per difendere i civili? sacrificare i civili e subire danni irreparabili al morale della flotta?), la netta sensazione che le risorse siano tutt'altro che inesauribili e i guai che arrivano uno dietro l'altro... E per giunta qualche groviglio politico per rendere più complicata la vita.
Per gli amanti dei giochi da tavolo (meglio se siano contemporaneamente appassionati di questa serie televisiva) Battlestar Galactica potrebbe essere decisamente divertente.
Notare: quando un Cylon di sembianza umana è rivelato, si reincarna nella flotta aliena e comincia a compiere altre azioni contro i terrestri. Insomma, come nel telefilm, gli umani lo buttano fuori da un portello e danno una festa.
Il Sito dedicato a questo gioco da tavolo (ovviamente in inglese).
Da una sola partita (non completata) ne posso avere solo un'impressione parziale, però direi che è stata un'esperienza entusiasmante.
I giocatori interpretano i personaggi principali della serie. Si possono muovere all'interno della Galactica, e quelli che hanno le capacità di pilotaggio possono salire su un Viper e vedersela con i Raider dei Cylon (però rischiano di finire... all'ospedale). Inoltre ci si può spostare sulla Colonial One, la nave presidenziale. Ogni locazione permette di compiere determinate azioni, in più si usano delle carte (rinnovate ogni turno da ulteriori rifornimenti) che daranno a ogni personaggio una possibilità di intervento su determinati settori chiave: leadership militare, leadership politica (Lee Abama potrà giocarsela in entrambi i campi, ad esempio), tattica, ingegneria, pilotaggio ecc...
In più, ogni giocatore ha delle proprietà sue. Io interpretavo il colonnello Tigh, uno con le maniere pesanti: ho usato uno dei suoi poteri per mandare in galera un sospetto Cylon (e qui avevo ragione), in un secondo tempo ho sfruttato pure la possibilità (di cui potevo usufruire una sola volta nella partita) di dichiarare la legge marziale. Ho tolto quindi la presidenza alla Roslyn dandola al vecchio Adama... ma qui ho fatto un errore, col senno di poi. Per la cronaca, il comandante si è scoperto Cylon nella seconda fase del gioco...
Degno di nota, visto che un tema della serie televisiva era quello sulla paranoia dovuta all'estrema difficoltà di distinguere i modelli avanzati di Cylon dagli umani, il fatto che esista un sistema casuale per tramutare in Cylon alcuni dei giocatori. Lo scopo del gioco è arrivare su Kobol, per i terrestri, di non arrivarci mai, per gli infiltrati.
Il progresso verso Kobol è simulato in maniera astratta (ogni "jump" ci si avvicina un po') e quando si è a metà strada c'è una seconda... distribuzione di carte che possono rivelare a un giocatore di essere un Cylon. Infatti non è detto che il personaggio conosca la sua natura fin dall'inizio.
Per arrivare al salto iperspaziale c'è una procedura che richiede tempo: vediamo come funziona. A ogni turno-giocatore si pesca la carta "Crisi" che rappresenta tre cose:
1 - la possibilità che i Cylon (Raider, Basestar, Heavy Raider) arrivino, o che se ne aggiungano altri se ce ne sono già, o che si attivino per sparare o muovere nella mappa se ce ne sono già.
2 - un avvenimento positivo o negativo, che rappresenta generalmente fatti della serie televisiva, e richiede cooperazione e intervento dei giocatori per la risoluzione.
3 - l'eventuale avanzamento del conto alla rovescia per il salto iperspaziale.
Da notare che i Cylon nello spazio si muovono e combattono in base ad alcune semplici regole automatiche. Inoltre, la percezione degli avvenimenti è distorta rispetto agli episodi televisivi: con il sistema delle carte di crisi tante cose succedono nella flotta umana, mentre l'assalto Cylon avviene al "rallentatore," però c'è da dire che se non si riesce a togliersi dai piedi (fare il "jump") in tempo utile si arriva a cose decisamente brutte, come lo sbarco dei Centurioni che arrivano all'arrembaggio sulla Galactica, nonché la mattanza delle navi civili di cui alcune possono comparire, come inette ma preziose prede, nella plancia di gioco. Nella mia esperienza di gioco spesso ero costretto a usare il mio turno per poter muovere lontano dal nemico queste navi disarmate. Pescando le varie carte di crisi è anche accaduto, come in film mozzafiato, che proprio alla fine del conto alla rovescia si guastasse il dispositivo dell'iperspazio: è stato necessario tentare una riparazione proprio mentre diventavano intollerabili i danni subiti sotto l'attacco nemico.
Osserviamo ora l'immagine della plancia di gioco: al centro la Galactica, la vedete chiaramente divisa in vari settori (tra cui per esempio il carcere e l'infermeria sono quelli col bordo giallo e grigio, a destra). Qui si troverà una buona parte dei personaggi, ma se un giocatore sceglie di impersonare la Signora Presidente, comincerà il gioco sulla nave presidenziale che vediamo in alto a sinistra, divisa in tre settori.
Già che ci siamo: subito sopra la nave presidenziale ci sono i settori dove vengono tenuti i Viper disponibili (pronti a partire) e quelli in riparazione, nonché i Raptor (che hanno usi meno militari e più di ricognizione).
I sei settori in cui è diviso lo spazio (con linee celesti) sono quelli in cui si muovono gli assalitori Cylon come Raider, Basestar ecc... nonché Viper e navi civili terrestri.
In alto a destra abbiamo (dischi marroni) i contatori di cibo, carburante, popolazione, nonché l'indicatore del morale della razza umana. Sono fattori importanti, se scendono troppo si può perdere la partita. E le navi civili che sono coinvolte in combattimento causano, se distrutte, la perdita di questi fattori.
Le due sbarrette rosse che vedete sulla Galactica (verso il centro, in basso) sono i ponti di volo. Da qui partono i Viper, qui sbarcano i Centurioni, se ci riescono.
Il gioco non è complesso, gli elementi sono tanti ma governati da regole molto semplici. Un ottimo sistema di gioco crea tante situazioni simili a quelle della serie (ma stavolta non sapete se Sharon Valeri si rivelerà una Cylon, o se sarà un altro personaggio...).
Necessità militari disperatamente urgenti, il timore dei traditori, scelte molto difficili (sacrificare i Viper per difendere i civili? sacrificare i civili e subire danni irreparabili al morale della flotta?), la netta sensazione che le risorse siano tutt'altro che inesauribili e i guai che arrivano uno dietro l'altro... E per giunta qualche groviglio politico per rendere più complicata la vita.
Per gli amanti dei giochi da tavolo (meglio se siano contemporaneamente appassionati di questa serie televisiva) Battlestar Galactica potrebbe essere decisamente divertente.
Notare: quando un Cylon di sembianza umana è rivelato, si reincarna nella flotta aliena e comincia a compiere altre azioni contro i terrestri. Insomma, come nel telefilm, gli umani lo buttano fuori da un portello e danno una festa.
Il Sito dedicato a questo gioco da tavolo (ovviamente in inglese).