I Supereroi in qualsiasi media appaiano li considero fondamentalmente una delle peggiori americanate. Però molti quattrini, menti e risorse si spendono (generalmente oltreoceano) per dar vita a queste storie fantastiche e col tempo ho finito, in definitiva, per consumare una gran quantità di film e fumetti di questo genere. Alcuni gustati con piacere, altri meno, quindi il mio interesse verso i supereroi è sempre rimasto a singhiozzo.
Non mi ha deluso il film del regista Christopher Nolan: al di là dell'enfasi creata intorno al Cavaliere Oscuro dai media (soprattutto speculando sulla morte di quel povero Cristo di Heath Ledger che non potrà godere la giusta fama guadagnata con una grande performance) il film si è rivelato emozionante, cupo, a tratti profondo. Una delle osservazioni più scontate che si potrebbero fare è sulle somiglianze ai problemi di oggi: insicurezza e terrorismo prima di tutto, visti dalla prospettiva americana. Anche, bisogna dire, il problema morale che nelle varie guerre contro il "male" gli USA hanno dovuto porsi: fino a che punto ci si può spingere, dov'è che bisognerebbe tracciare la linea da non superare, cosa succede quando la si supera.
E' proprio il dilemma che il personaggio del Joker, un protagonista negativo di proporzioni colossali, vuol risolvere facendo cadere la facciata dell'ipocrisia, che lo infastidisce tanto.
La sua collaborazione con la mafia all'inizio del film genera il pretesto per sfidare le due figure che vuole abbattere: Batman (interpretato da Christian Bale), il nemico che gli assomiglia nell'essere a sua volta un fuorilegge e ricorrere a sistemi poco ortodossi, e Harvey Dent, un eroe senza macchia interpretato dall'attore Aaron Eckhart, ammirato da Bruce Wayne nonostante gli abbia... soffiato la fidanzata (interpretata da Maggie Gyllenhaal). Joker riuscirà a corrompere Dent, con Batman inizierà una lotta in cui l'uno sembra il contraltare dell'altro, ma non riuscirà a far saltare le regole che il Cavaliere Oscuro ha saputo imporsi; coinvolgerà però tutta la città in un gioco sanguinoso dove si sforzerà addirittura di far saltare le convenzioni della gente normale e di portarla al suo stesso livello.
Un mostro, ma con la pretesa di dimostrare che tutti sono come lui, anarchico e disinteressato al denaro (che brucia), desideroso di uccidere, ancora rabbioso per un passato che riaffiora da dei flashback che racconta lui stesso.
In conclusione, un film valido al di là del genere cui appartiene, e una bella interpretazione di Heath Ledger, il vero protagonista che purtroppo non reciterà mai più.
venerdì 25 luglio 2008
mercoledì 23 luglio 2008
Il film tratto dal libro
Ovvero, riflessioni su cosa succede quando si cerca di tradurre un libro di successo in un film di successo.
Mi sono chiesto: che scelte ha un regista, quando deve compiere questa operazione?
La prima considerazione da fare è sulla diversità dei due mezzi di comunicazione. Il libro è un enorme contenitore di concetti e descrizioni, può racchiudere trame complesse con moltissimi personaggi. Il mezzo cinematografico non può minimamente sperare di raggiungere tale mole di dati e complessità; d'altra parte ha altri vantaggi: la forza espressiva dell'immagine, il magnetismo degli attori.
Qualcuno non lo capisce oppure sfida questa realtà. I risultati a volte sono disastrosi, a volte controversi. Qualcuno sa inventare qualcosa di simile e allo stesso tempo diverso... altri cambiano proprio tutta la storia.
Nel 1984 di Radford la scelta è stata di contenere la durata nei limiti del ragionevole (dura un po' meno di due ore) ma senza rinunciare a toccare gli argomenti principali del libro, e a mantenersi fedeli alla trama. Risultato: troppo poche spiegazioni, quelli che hanno visto il film senza conoscere il libro non hanno apprezzato. Fare il film comprensibile solo per chi ha letto il libro è a mio parere peggio che fare un film troppo lungo e noioso per non volere "tradire" il libro.
Il Signore degli Anelli di Peter Jackson ha mantenuto una ragionevole aderenza alla trama del libro a costo di produrre un'enorme mole di materiale, da cui è nata una trilogia di film nessuno dei quali particolarmente breve (e in effetti per comprenderli bene bisogna prendere i DVD con la versione estesa!). Essendo le torme affamate di seguaci di Tolkien disposte a tutto pur di vedere il film del SdA, è andata bene. A me non è affatto dispiaciuta la serie (bello soprattutto il primo) ma penso che non passerà alla storia come un adattamento esemplare per il grande schermo.
Un altro che non ha rinunciato al film interminabile è sicuramente Terrence Malick. Un esempio lampante è La Sottile Linea Rossa. Completamente stravolto per poterlo effettivamente proiettare in sala. Molto bello, a mio modesto parere, la versione estesa non l'ho vista (non che fosse breve la visione cinematografica, comunque!) ma mi interesserebbe. Dal film tagliato si capisce che tanti personaggi del libro avevano in effetti una parte importante e poi sono diventati poco più di comparse per esigenza di brevità. Però non si capisce come mai il regista si sia inizialmente sforzato di essere fedele al libro quando poi ne ha completamente stravolto il senso, usando come protagonista una specie di soldato filosofo (Witt) completamente diverso dal pugile rissoso che era nella carta stampata.
Un bel film tratto da un bel libro è Il Tredicesimo Guerriero, film dalle pretese storiche ma che ritengo abbia il feeling di un (bellissimo) film fantasy. Purtroppo non ha incassato molto, ma sono certo che abbia lasciato il segno. L'autore del libro, Michael Crichton, partecipò alla regia: vorrà dire qualcosa?
Qual è il migliore modo di trasformare un libro in film, insomma? Penso che la risposta giusta, se c'è, sia rinunciare alla fedeltà assoluta alla trama, a meno che non si tratti di una storia semplice, che si possa veramente tramutare in una sceneggiatura.
Sarà bene salvare le idee forti del libro ma rinunciare a qualsiasi formulazione troppo complessa. Sarà meglio creare con il film qualche suggestione che richiami una sensazione simile (facile a dirsi, eh?).
Insomma il regista deve fare il suo mestiere e inventare la sua storia, ma senza arrivare al punto in cui lo spettatore-lettore si chieda: ma l'ispirazione al libro che fine ha fatto?
Quali esempi potrei portare di film che hanno saputo catturare il libro e andare oltre? A mio parere Arancia Meccanica di Kubrick perché ha rispettato la storia del libro però è anche "tutta un'altra cosa" come potenza espressiva (laddove il libro approfondiva soprattutto dei giochi linguistici e temi filosofici che nel film hanno peso minore), Blade Runner di Ridley Scott, che ha creato qualcosa di molto superiore al libro (i fan di Philip Dick non saranno d'accordo, immagino...). Lo stesso Ridley Scott è notevole a mio avviso in un altro film, Black Hawk Down, preso da un racconto-verità su un'azione militare realmente avvenuta, perché ne ha ricavato una rappresentazione cinematografica da mozzare il fiato. Ma su un film puramente di guerra è difficile fare ragionamenti.
Quanto alla lunghezza, in tempi recenti sono diventati comuni film di tre ore e anche più. A me va bene, come spettatore, se il film riesce a tenermi "incollato alla sedia," diventa però un difetto in più se non ci riesce.
Mi sono chiesto: che scelte ha un regista, quando deve compiere questa operazione?
La prima considerazione da fare è sulla diversità dei due mezzi di comunicazione. Il libro è un enorme contenitore di concetti e descrizioni, può racchiudere trame complesse con moltissimi personaggi. Il mezzo cinematografico non può minimamente sperare di raggiungere tale mole di dati e complessità; d'altra parte ha altri vantaggi: la forza espressiva dell'immagine, il magnetismo degli attori.
Qualcuno non lo capisce oppure sfida questa realtà. I risultati a volte sono disastrosi, a volte controversi. Qualcuno sa inventare qualcosa di simile e allo stesso tempo diverso... altri cambiano proprio tutta la storia.
Nel 1984 di Radford la scelta è stata di contenere la durata nei limiti del ragionevole (dura un po' meno di due ore) ma senza rinunciare a toccare gli argomenti principali del libro, e a mantenersi fedeli alla trama. Risultato: troppo poche spiegazioni, quelli che hanno visto il film senza conoscere il libro non hanno apprezzato. Fare il film comprensibile solo per chi ha letto il libro è a mio parere peggio che fare un film troppo lungo e noioso per non volere "tradire" il libro.
Il Signore degli Anelli di Peter Jackson ha mantenuto una ragionevole aderenza alla trama del libro a costo di produrre un'enorme mole di materiale, da cui è nata una trilogia di film nessuno dei quali particolarmente breve (e in effetti per comprenderli bene bisogna prendere i DVD con la versione estesa!). Essendo le torme affamate di seguaci di Tolkien disposte a tutto pur di vedere il film del SdA, è andata bene. A me non è affatto dispiaciuta la serie (bello soprattutto il primo) ma penso che non passerà alla storia come un adattamento esemplare per il grande schermo.
Un altro che non ha rinunciato al film interminabile è sicuramente Terrence Malick. Un esempio lampante è La Sottile Linea Rossa. Completamente stravolto per poterlo effettivamente proiettare in sala. Molto bello, a mio modesto parere, la versione estesa non l'ho vista (non che fosse breve la visione cinematografica, comunque!) ma mi interesserebbe. Dal film tagliato si capisce che tanti personaggi del libro avevano in effetti una parte importante e poi sono diventati poco più di comparse per esigenza di brevità. Però non si capisce come mai il regista si sia inizialmente sforzato di essere fedele al libro quando poi ne ha completamente stravolto il senso, usando come protagonista una specie di soldato filosofo (Witt) completamente diverso dal pugile rissoso che era nella carta stampata.
Un bel film tratto da un bel libro è Il Tredicesimo Guerriero, film dalle pretese storiche ma che ritengo abbia il feeling di un (bellissimo) film fantasy. Purtroppo non ha incassato molto, ma sono certo che abbia lasciato il segno. L'autore del libro, Michael Crichton, partecipò alla regia: vorrà dire qualcosa?
Qual è il migliore modo di trasformare un libro in film, insomma? Penso che la risposta giusta, se c'è, sia rinunciare alla fedeltà assoluta alla trama, a meno che non si tratti di una storia semplice, che si possa veramente tramutare in una sceneggiatura.
Sarà bene salvare le idee forti del libro ma rinunciare a qualsiasi formulazione troppo complessa. Sarà meglio creare con il film qualche suggestione che richiami una sensazione simile (facile a dirsi, eh?).
Insomma il regista deve fare il suo mestiere e inventare la sua storia, ma senza arrivare al punto in cui lo spettatore-lettore si chieda: ma l'ispirazione al libro che fine ha fatto?
Quali esempi potrei portare di film che hanno saputo catturare il libro e andare oltre? A mio parere Arancia Meccanica di Kubrick perché ha rispettato la storia del libro però è anche "tutta un'altra cosa" come potenza espressiva (laddove il libro approfondiva soprattutto dei giochi linguistici e temi filosofici che nel film hanno peso minore), Blade Runner di Ridley Scott, che ha creato qualcosa di molto superiore al libro (i fan di Philip Dick non saranno d'accordo, immagino...). Lo stesso Ridley Scott è notevole a mio avviso in un altro film, Black Hawk Down, preso da un racconto-verità su un'azione militare realmente avvenuta, perché ne ha ricavato una rappresentazione cinematografica da mozzare il fiato. Ma su un film puramente di guerra è difficile fare ragionamenti.
Quanto alla lunghezza, in tempi recenti sono diventati comuni film di tre ore e anche più. A me va bene, come spettatore, se il film riesce a tenermi "incollato alla sedia," diventa però un difetto in più se non ci riesce.
mercoledì 16 luglio 2008
Diritto d'autore
Leggo che il diritto d'autore cambia. Si tratta di una estensione che riguarda non gli scritti (che, suppongo, ne avevano già goduto) ma la musica (artisti ed esecutori). In pratica i diritti vengono estesi da 50 a 95 anni.
La decisione della Commissione Europea segue in parte una tendenza che avevo notato (sia pur distrattamente, ammetto), di estensione del diritto a vantaggio, spesso, dell'editoria. Tendenza che esiste anche oltre oceano.
L'estensione dei diritti può avvantaggiare più che altro i discendenti degli autori (perché dopo 50 anni probabilmente l'autore è già nel mondo dei più, o in procinto di andarvi) oppure, più facilmente, l'industria dell'editoria e dell'intrattenimento. In effetti case come la Walt Disney sarebbero ben liete di allontanare, possibilmente in eterno, il momento in cui chiunque potrebbe riprodurre paperi e cenerentole varie, tanto per fare un esempio.
Per me l'importante è che la legge assicuri all'ideatore di un'opera (libro, canzone, ecc...) i giusti diritti: non ho una posizione sulla misura più opportuna dell'estensione di tali diritti ai discendenti o a un'azienda che ne abbia preso possesso. Però c'è l'altra metà della notizia: si spezzerebbe anche il monopolio delle società di gestione che assicurano il godimento dei diritti d'autore. Un artista potrebbe rivolgersi a chi gli offre le condizioni migliori. Insomma anche l'italiana Siae, su cui ho molte volte letto e sentito opinioni molto irritate (riguardo ai criteri con cui cura gli interessi dei musicisti, ad esempio) sarebbe attaccabile dalla concorrenza?
Forse questa è una liberalizzazione che ci voleva!
La decisione della Commissione Europea segue in parte una tendenza che avevo notato (sia pur distrattamente, ammetto), di estensione del diritto a vantaggio, spesso, dell'editoria. Tendenza che esiste anche oltre oceano.
L'estensione dei diritti può avvantaggiare più che altro i discendenti degli autori (perché dopo 50 anni probabilmente l'autore è già nel mondo dei più, o in procinto di andarvi) oppure, più facilmente, l'industria dell'editoria e dell'intrattenimento. In effetti case come la Walt Disney sarebbero ben liete di allontanare, possibilmente in eterno, il momento in cui chiunque potrebbe riprodurre paperi e cenerentole varie, tanto per fare un esempio.
Per me l'importante è che la legge assicuri all'ideatore di un'opera (libro, canzone, ecc...) i giusti diritti: non ho una posizione sulla misura più opportuna dell'estensione di tali diritti ai discendenti o a un'azienda che ne abbia preso possesso. Però c'è l'altra metà della notizia: si spezzerebbe anche il monopolio delle società di gestione che assicurano il godimento dei diritti d'autore. Un artista potrebbe rivolgersi a chi gli offre le condizioni migliori. Insomma anche l'italiana Siae, su cui ho molte volte letto e sentito opinioni molto irritate (riguardo ai criteri con cui cura gli interessi dei musicisti, ad esempio) sarebbe attaccabile dalla concorrenza?
Forse questa è una liberalizzazione che ci voleva!
venerdì 11 luglio 2008
Il Prigioniero tornerà?
Sembra che questa serie misteriosa ed enigmatica avrà finalmente un remake. Il Prigioniero era un agente segreto dimissionario conosciuto soltanto come numero sei, segregato in un... villaggio turistico. La serie britannica aveva riscosso un certo successo ma il finale era stato molto criticato per essere inconcludente e incomprensibile. E poiché l'ho visto, direi che le critiche erano più che giustificate.
La serie in sé mi era comunque piaciuta e sono contento che venga riproposta. A quanto pare il numero sei sarà James Cazeviel, che ricordo dai tempi della Sottile Linea Rossa.
Il capo dei carcerieri, il numero due, sarà invece Ian McKellen, il Gandalf cinematografico. Ovviamente il numero due presuppone che esista anche un numero uno... chissà se sapremo chi è?
Ma soprattutto, ora che hanno avuto 40 anni per pensarci, speriamo che facciano un finale decente.
martedì 8 luglio 2008
Fesso chi legge?
Mi sono andato a ripescare quella statistica che rimbalza tra siti web e blog. Quella sulla scarsità dei lettori nel nostro paese, intendo.
Il dato non è il massimo della vita (il 62% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno) ed è triste ancor di più perché il trend sarebbe in peggioramento, qui però mi auguro che ci sia qualche imprecisione nella statistica. Se penso alla ridente caserma dove passai il servizio militare assieme a tanti ignoranti autocompiaciuti (nonché aggressivi verso chiunque cercasse di leggere qualcosa che non fosse una rivista porno), devo ammettere che pensavo anche peggio.
Mi son letto anche qualche fonte in giro (nessuna pretesa di aver azzeccato dati corretti, per carità: ma ci ho provato). Questo è un dato carino: il 55% degli Inglesi (o Britannici, più precisamente) non compra libri o li compra per decorare i mobili che ha in salotto. Quindi il confronto con una delle brillanti nazioni con cui andiamo a paragonarci quando vogliamo deprimerci ci vede perdenti, ma tutto sommato di stretta misura. Se poi andiamo a vedere dove vivono le persone che leggono (e quelle che non leggono) scopriamo che nel Nord Italia il 48% delle persone legge (ovvero: almeno un libro all'anno se lo compra o lo prende a prestito), mentre nel Sud sono solo il 24% (o poco più secondo altre statistiche), quindi lì i non lettori supererebbero uno spaventoso 70%. Ma allora nel Nord Italia ci sarebbero (in percentuale) meno non lettori che nella perfida Albione.
Insomma non siamo messi poi così male, è che amiamo piangerci addosso.
Ovviamente, nella lettura come in tante altre cose ci troviamo di fronte al solito "problema meridionale" con cui conviviamo serenamente da tanto tempo, tra politici che ragliano proclami e "tecnici" che escogitano sporadicamente soluzioni che non concludono un accidente.
La mia modesta opinione: per come si sta mettendo in generale nell'economia e nella società, tra non molto a queste statistiche non faremo più nemmeno caso, perché sta perdendo significato l'idea di una comunità nazionale di cui ci si debba preoccupare (se il cittadino legge, se si ammala, se fuma, se muore giovane o se vive a lungo). Ci sarà dappertutto un sacco di gente che avrà ben altro da pensare che leggere libri.
Ma non buttiamola in politica.
venerdì 4 luglio 2008
Dune
Capita che un libro rimanga per tanto tempo sullo scaffale a prendere polvere. Dune, pensando fosse una lettura "obbligata," l'ho comprato tanti anni fa: il giorno stesso scrissi a matita su un'orecchia del libro il mese e l'anno dell'acquisto. Una cosa che ogni tanto faccio, così, per ricordare. Non so più ovviamente perché non ho iniziato subito la lettura, di fatto è rimasto lì. Per caso mi è capitato in mano un mesetto fa. Ho riletto la data dell'acquisto: ottobre 1999!
Un peccato aver perso tanti anni prima di leggerlo. Questo libro ha una partenza un po' lenta ma è un esempio ammirevole di perfetto intreccio fra ambientazione esotica, temi fantastici, sviluppo dei personaggi e trama. Merita decisamente la fama che ha procurato al suo autore, Frank Herbert, di cui rimane l'opera più acclamata.
Senza rivelare troppo della trama (ma chi non la conosce?), dirò che l'ossessione che gli indigeni Fremen nutrono per l'acqua è resa molto bene, e peraltro la giustifica il clima estremamente ostile del pianeta Arrakis. Bella anche la descrizione dell'entourage del Duca Leto quando prende possesso del pianeta, in un clima vibrante tra i suoi fedelissimi uomini d'armi, la misteriosa consorte Jessica, l'erede Paul e quell'insospettabile traditore che rovinerà tutto.
La qualità del libro si rivela anche in altre due particolarità. La prima, la capacità dell'autore di cambiare continuamente punto di vista dei personaggi, anche in mezzo al dialogo, senza gettare il lettore in confusione. La seconda, l'introduzione dell'ambientazione non intrusiva: avviene in scene dove questi dettagli sono effettivamente parte della storia. Insomma, non c'è il compito in classe del cattivo scrittore che vuol far vedere a tutti i costi che bel mondo si è inventato. Maggiori dettagli sono riservati alle appendici in fondo al libro, ma questi non disturbano chi volesse leggere il romanzo senza caricarsi troppo di tali argomenti.
A parte certi temi "classici" della fantascienza che si occupa di questioni ecologiche e scientifiche, spicca nel libro il mistero dei poteri delle Bene Gesserit, la profezia su Paul, la manipolazione della religione: una serie di temi che scivolano dal fantascientifico al fantasy, potremmo quasi dire. Il mistero dei poteri posseduti dall'ordine delle Bene Gesserit viene maggiormente esplorato nei successivi libri della serie. A dire il vero vedo Dune come un bel libro autoconclusivo, ma un universo così ricco come quello disegnato da Herbert richiede in effetti un successivo sviluppo.
Dune è, a quanto pare, il libro di fantascienza più venduto: in effetti una trattazione così abile di politica, religione, temi fantascientifici e fantastici, argomenti scientifici come ecologia e genetica, crea senza dubbio un affresco potentissimo. Onore al più grande dei classici, dunque.
Il figlio dell'autore sta continuando la serie... ha trovato gli appunti del padre con le indicazioni per i seguiti che intendeva scrivere... dove l'ho già sentita questa cosa? ... ne varrà la pena? boh?
Piuttosto, c'è da visitare un ottimo sito italiano su Dune.