lunedì 31 marzo 2008
Razor
You're born, you live and you die. There are no do-overs, no second chances to make things right if you frak 'em up the first time. Not in this life anyway.
Nasci, vivi e muori. Non si torna indietro, non ci sono seconde possibilità se commetti un errore. Non in questa vita, comunque.
La serie di Battlestar Galactica, pur non essendo di mio gusto al cento per cento, è la realizzazione di qualcosa cui non speravo quasi più. Una fantascienza pensata per un vasto pubblico ma senza rinunciare ad alcune rivisitazioni e con una ventata creativa come non si vedeva da tempo. Perfino qualche pretesa di realismo scientifico, non si sentono i suoni nello spazio... beh qualche volta si sentono, ma è comunque encomiabile. Godiamocela, perché quando sarà terminata, mi sa che di fantascienza così valida non ne vedremo per un bel pezzo.
Questo film si colloca tra la terza e la quarta stagione (attenzione agli SPOILER...). In verità sarebbe difficile capirci qualcosa per chi non abbia già una conoscenza dell'universo di Galactica, perciò va considerato più come un episodio particolarmente elaborato (in effetti è un insieme di miniepisodi). Vi compare di nuovo la Pegasus, la nave che è andata persa in un episodio precedente. Come immagino saprete, nella trama di Battlestar Galactica, che riprende una vecchia serie di telefilm, si narrano le avventure di una nave spaziale (Galactica, appunto) che va in cerca di una nuova casa per gli umani, dopo che i Cylon (robot e androidi ribelli) hanno invaso tutti i mondi abitati, compiendo una strage. Tra le sue vicissitudini, scortando una flotta di navi civili che contiene qualche decina di migliaia di superstiti, la Galactica incontra un'altra astronave da combattimento, la Pegasus appunto.
Tra il vecchio Adama che comanda la Galactica e l'Ammiraglio Cain (interpretata da Michelle Forbes), comandante della Pegasus, ci saranno subito scintille. Ed apparirà evidente che questa nave, l'unica unità da combattimento oltre la Galactica ad essere sfuggita all'assalto iniziale delle macchine ribelli, non ha seguito la condotta morale "decente" che si è tenuta sotto il comando di Adama e della Presidente Roslin.
L'Ammiraglio Cain morirà, e dopo la perdita dei suoi due successori la nave finirà agli ordini di Lee Adama, figlio dell'ammiraglio che comanda l'intera flotta.
Dopo aver ricordato gli antefatti passiamo al film, che è tutto un flashback su più livelli, almeno per chi ha visto la terza serie. Da una parte tutta la storia è al passato, perché sappiamo che la Pegasus non c'è più. Dall'altra si richiameranno perfino eventi della prima guerra contro i Cylon (quella della vecchia serie di telefilm). Inoltre le scene "al presente" della storia si mescoleranno ai ricordi della protagonista più significativa del film, il Maggiore Kendra Shaw, interpretata da Stephanie Chaves-Jacobsen (seconda foto).
Dalla prima guerra verranno i ricordi del vecchio ammiraglio Adama, che ha visto come il nemico compia immondi esperimenti con prigionieri umani. Non potrà liberare questi prigionieri perché l'armistizio e la ritirata del nemico glielo rendono impossibile. D'altra parte vediamo la storia della più giovane Cain, la sua fuga da una località distrutta, dove perde la famiglia, e acquisisce la spietata durezza di carattere che non l'abbandonerà più.
Quando Lee Adama (nuovo comandante della Pegasus) va in cerca di un ufficiale esecutivo riscopre Kendra Shaw, che sappiamo tossicodipendente e assegnata ad un incarico punitivo. Sapendo che la Shaw era una preferita dell'Ammiraglio Cain (ora scomparsa), ed è stata esautorata dai successivi comandanti, il giovane Adama la chiama perché ha bisogno di un appoggio per conquistare l'equipaggio della Pegasus, gente che oltre a tributare una fedeltà antica alla comandante scomparsa, lo vede certamente come il raccomandato del papà ammiraglio.
Nel passato, Kendra Shaw arriva spensierata sulla Pegasus: è una carrierista giovane e ambiziosa. E potendo avvalersi di influenti appoggi familiari, intende passare solo un breve periodo in una nave da guerra, prima di introdursi negli alti comandi. La comandante Cain le dimostra una certa antipatia fin dal primo istante. Ma cambierà presto, perché nell'attacco dei Cylon (seconda guerra) Kendra saprà fare il suo dovere. La Cain, che uccide civili per rubar loro i materiali che servono alla Pegasus, che ricorre alla tortura sulla spia Cylon che cattura a bordo, che abbatte sul posto chi non obbedisce agli ordini, insegnerà a Kendra ad essere come un rasoio, ad abbandonare l'umanità per immedesimarsi nell'arma. Kendra Shaw imparerà dalla durissima maestra. Sparerà su dei civili per derubare la loro astronave e deportare gli specialisti che servono alla Pegasus, ma non riuscirà a rimanere indenne dal gesto che ha compiuto.
Al contrario Adama padre insisterà per salvare dalla tortura un gruppo di esploratori catturati: sospetta infatti di essere alle prese con lo stesso gruppo di nemici che, anni prima, aveva visto usare prigionieri umani per i propri esperimenti. E questo porta agli scontri militari che sono oggetto di parte del film.
Kendra Shaw (che ha una relazione difficile con la noiosissima Starbuck, una delle protagoniste della serie) partirà con un drappello di incursori per penetrare in una nave nemica, e i prigionieri verranno librati, ma è ferita e per distruggere il nemico rimane a farsi saltare con una carica atomica: anzi, si prende a forza quel ruolo, lasciando come ricordo a Starbuck il rasoio con cui la comandante Cain amava giocherellare.
Una delle migliori storie di questa serie. Il montaggio, con i continui flashback, mi ricorda un altro episodio (Scar) in cui la stessa tecnica è stata adottata con successo. Una particolarità di Battlestar Galactica è che i personaggi a cui toccano le vicende da "uomini veri" sono... donne. Vale per Kat e Starbuck, per l'Ammiraglio Cain e adesso anche per Kendra Shaw, questo personaggio la cui parabola nasce e si conclude in un solo film.
Parabola di innocenza perduta, di senso del dovere, di colpa e morte. Una storia dura, una condanna senza possibilità di redenzione: il passato maledetto che porta ad una conclusione logica e inevitabile come in una tragedia.
Sito in italiano su questa serie
giovedì 27 marzo 2008
Il Sigillo del Vento
Mi sono perso la presentazione di questo libro, fatta a distanza ragionevole da casa mia, l'anno scorso, e mi sono ripromesso di leggerlo: finalmente l'ho terminato e posso dire la mia.
Uberto Ceretoli non è al suo esordio (ha all'attivo una precedente uscita come co-autore, mi sembra) tuttavia è al suo primo libro fantasy: Il Sigillo del Vento è edito dalla Asengard di cui avevo già letto L'Abbraccio delle Ombre di Ester Manzini. In comune con quel libro il Sigillo ha due cose: una copertina accattivante (nei libri fantasy un fattore sempre importante, perché non ammetterlo...) e un'ambientazione che si richiama ai canoni tradizionali del fantasy e al gioco di ruolo.
Quindi abbiamo nani, elfi, goblin e addirittura accenni alle "classi" stile Dungeons & Dragons (ranger, chierico...), tutta roba che non mi attira particolarmente (per quanto al gioco di ruolo riconosca anch'io di aver influenzato la mia ispirazione), d'altra parte lo sapevo prima di cominciare la lettura: l'ambientazione ha la sua importanza ma se una storia è valida, non sarà questo particolare a rovinarmela. Pertanto il mio parere non sarà condizionato dalla stanchezza che provo verso il fantasy fatto di nani, elfi e compagnia.
Il protagonista è un elfo di incredibili poteri, che porta lo strano nome di Gwyllywm (da intendersi scritto in uno stile che richiama il gallese, dove la W si legge come una U); la storia inizia con alle spalle già una serie di antefatti per cui Gwyllywm deve cercare la verità su sé stesso ed ha una missione di vitale importanza da compiere, per impedire che gli Elfi Oscuri si impadroniscano di un incredibile potere. Tuttavia Gwyllywm è parzialmente privato dei suoi ricordi e sa di esser stato parte, nel passato, proprio della fazione che ora combatte: la ragione gli dice di proseguire a combatterla, ma nel suo animo teme di essere contaminato dalle tenebre. Il protagonista si trova quindi alle prese con una identità lacerata e con il dovere di combattere non solo il proprio stesso popolo, ma addirittura la propria famiglia. Incontrerà per strada altri compagni d'avventura e dovrà affrontare decisioni terribili, nemici quasi imbattibili, verità poco piacevoli.
Un libro ricco di spunti e di trame secondarie, rivela una fantasia che controbilancia abbondantemente gli elementi troppo scontati dell'ambientazione (che peraltro sono almeno in parte rivisitati con uno stile personale). Certo ha anche le sue ingenuità, ma è infinitamente superiore rispetto a certe saghe di successo che sono in realtà aria fritta (da qui cominciano le anticipazioni sulla trama perciò chi è interessato al libro smetta di leggere questo commento e... corra a comprarlo).
Molto sentito il tema dell'ecologia, e un'esposizione del "credo" del culto di Reivon nella prima metà del libro è praticamente una contestazione ben poco mimetica contro lo sfruttamento dell'ambiente e il capitalismo sfrenato; critica che potrei anche sottoscrivere, ma che spinta a questi livelli mi risulta un po' indigesta ed eccessiva nel contesto di un libro fantasy. Questione di gusti, peraltro.
L'autore cerca di mantenere un tono solenne, e non mancano, più o meno riusciti, inserti con preghiere, evocazioni, incantesimi. Non sono un valido commentatore di poesia, mi limito a dire che trovo il tentativo parzialmente riuscito, ma ad un prezzo. Ovvero: Il Sigillo del Vento riesce ad avere una sua solennità, tuttavia è stata una lettura poco scorrevole, con uno stile a volte difficile.
Francamente indigeste molte descrizioni di combattimenti: assai dettagliati, lunghi, ma che mi davano poca immedesimazione. Il motivo è presto detto: elfi demoni, eroi vari ecc... hanno sia capacità fisiche eccezionali sia poteri magici. Un elfo o due (di quelli in gamba, beninteso) possono sbaragliare una unità militare di uomini. Gwyllywm si diverte a massacrare di spada avversari che potrebbe sbrigativamente eliminare con la magia, in più di una occasione quando la situazione finalmente sembra un po' problematica, certi personaggi la risolvono tirando fuori l'incantesimo spaccatutto che avrebbero potuto anche usare prima... insomma le battaglie sono molto magniloquenti ma le ho viste con un certo distacco, come quando si assiste a una partita di uno sport di cui non si capiscono le regole. Certe soluzioni "Deus ex Machina" con cui i compagni di viaggio di Gwyllywm vengono tramutati in guerrieri provetti mi sono piaciute assai poco, come anche il passato del protagonista come "genetista" al servizio degli Elfi Oscuri (nonché creatore di una razza di guerrieri detti berserker, tramite una specie di alterazione genetica delle potenzialità magiche). Sempre questione di gusti, a mio parere bisogna stare molto attenti a come si fanno incontrare le atmosfere magiche e i concetti (o i termini) della tecnologia.
D'altra parte, gustato con calma al giusto passo, questo libro ha mille sfaccettature piacevoli. Intermezzi filosofici, riflessioni, brani introduttivi ai capitoli che spiegano il passato di un personaggio o introducono gli avvenimenti che stanno per svilupparsi, sono elementi piacevoli da leggere e che danno spessore al libro. I personaggi principali sono ben delineati, gli Elfi protagonisti della sfida hanno un indubbio spessore: bello lo scontro finale con Raylyn, mi spiace solo che invece l'uccisione freudiana del padre di Gwyllywm non abbia avuto tutta l'importanza che forse avrebbe meritato. Trovo comunque valido lo svilupparsi delle mosse di entrambi i contendenti: Raylyn crea il suo piano e lo porta avanti reagendo alle mosse del fratello antagonista, e questo mostra che l'autore non si accontenta di limitarsi a un intreccio semplicistico.
Una delle scene che ho amato di più? Direi il mercante goblin alle prese coi ricordi del suo amore impossibile.
Come giudicare questo libro? Sicuramente un punto forte del nuovo fantasy italiano, ma con un'altalena di aspetti validi e di errori di gioventù, ci sono qua e là delle contraddizioni e delle ingenuità, e termini "poco fantastici" che stonano, lo stile non è fluido come preferirei. Comunque rimane un'opera notevole: la storia e l'atmosfera sono avvincenti, il protagonista è abbastanza grandioso per l'avventura eccezionale che deve affrontare, non mancano le emozioni. Credo che nel proseguire la serie delle avventure di Gwyllywm l'autore saprà raggiungere una maturità completa: e già ora, per quanto io non ami fare classifiche, potrei dire che ha mostrato più capacità di molti altri.
giovedì 20 marzo 2008
Il Nome del Vento
La recensione del libro è su Fantasy Magazine, qui volevo fare un paio di considerazioni. Prima: lo stile e la profondità di uno scrittore, incredibilmente, possono fare davvero tutta la differenza del mondo. Quando ho letto la copertina di questo libro mi stava prendendo un colpo: avevo speso 22 euro per un libro che parla di un ragazzo che cresce fra musici e artisti girovaghi e approda nell'Accademia, dove imparerà la sottile arte della magia nonostante alcuni maestri gli siano ostili e alcuni studenti invidiosi cerchino di rovinarlo. Mi trovavo in mano, dunque, 800 e passa pagine di stereotipi e scopiazzatura di cose già ritrite? No davvero: il Nome del Vento di Patrick Rothfuss (edito da Fanucci) è uno dei libri fantasy più belli che mi siano capitati di recente, e sfata almeno un po' la mia convinzione che il genere stia perdendo irrimediabilmente qualità.
Spero che nel seguito la storia mantenga il medesimo interesse.
Seconda considerazione: l'ambientazione certe volte non è tutto. Il sapore del mondo in cui si muove il protagonista di questa narrazione arriva piuttosto attenuato, in realtà se ne sa poco, i personaggi parlando si fanno scappare qualche dettaglio ma nessun infodump che ci venga a spiegare cosa succede nel grande schema dei fatti che contano. Certi dettagli comunque mi lasciano perplesso. Nel libro si parla di gravità, percentuali, psicologia... tutte cose che sarebbero sconsigliate nel manuale del perfetto scrittore fantasy, eppure non danno nemmeno l'impressione di stonare troppo. Forse perché l'ambientazione è così poco dettagliata... ma per quanto poco dettagliata è pur sempre, da quel che si vede, a tecnologia piuttosto bassa. Tuttavia il protagonista e quelli del suo ambiente hanno conoscenze scientifiche diverse dalla maggior parte della gente, perché frequentano l'Accademia... a me, in fin dei conti, questi problemi sul linguaggio non hanno dato alcun fastidio, e me ne stupisco perché di solito sono abbastanza suscettibile al problema. Penso di essere di fronte a un valido autore, e probabilmente ad un ottimo traduttore.
venerdì 14 marzo 2008
La Fantascienza retrò di UFO
Come si diceva nel post precedente, ognuno ama i divertimenti e gli spettacoli della sua giovinezza... o anche dell'infanzia. Credo che la serie di UFO, ridistribuita in DVD alcuni anni fa, abbia attratto la generazione che la amò a suo tempo e se l'è voluta rivedere... ma penso che abbia fatto pochissima presa su chi è nato più tardi. Mi sbaglierò?
Non avrebbe molto senso dilungarsi sulla genesi di questa serie e sugli episodi, dal momento che esistono ottime risorse in rete (risorse da cui ho tratto le immagini di questo articolo) con tutte le informazioni desiderabili, anche in italiano. Per cogliere gli aspetti più caratteristici di questa serie mi limiterò ad accennare che...
... era l'epoca delle esplorazioni spaziali e dell'uomo sulla Luna. La fantascienza era al suo massimo splendore. Che lo spazio sia un posto freddo e vuoto in cui possiamo muoverci solo con eccessiva lentezza, si sarebbe capito un po' più tardi (e la fantascienza classica sarebbe entrata in crisi).
... gli effetti speciali che oggi fanno probabilmente sghignazzare dallo schifo i ragazzi cui capiti di vedere un episodio della serie, erano all'avanguardia per l'epoca, alcuni parecchio innovativi, per quanto il budget non fosse enorme. Figuratevi, la TV era in bianco e nero e sono passati più di vent'anni prima che vedessi quella specie di fanale verde sulla parte superiore degli UFO. Il fatto che Gerry e Sylvia Anderson provenissero da alcune serie di successo fatte con pupazzi animati (Stingray, ecc...) fece sì, purtroppo, che anche qui utilizzassero oltre il lecito modellini e anche pupazzi (i sommozzatori attorno alla base UFO subacquea). Tuttavia quello che adesso è a dir poco imbarazzante all'epoca era accettabile. O forse mi bevevo tutto perché ero bambino?
... era l'epoca della rivoluzione! Perciò non mancano hippy, uso di droghe, sbornie ecc... e parecchi stimoli sessuali, per quanto più che un inno alla sessualità liberata, UFO mi sembra un trionfo dell'oggettificazione della donna, tra stivaletti, parrucche viola e divise aderenti fra le addette della base lunare (gadget con qualche scopo militare? vedere la foto e giudicare...), e procaci ragazzotte in vari ruoli qua e là durante la serie. C'è un importante ufficiale donna, comunque. E poiché spesso è molto evidente, il feeling anni '60 contribuisce a dare uno strano fascino a questa fantascienza così datata.
Gli alieni catturano una ragazza hippy
...i finali dei telefilm erano spesso cupi, angoscianti, terribili. Era un'epoca più positiva, rispetto al pessimismo del mondo occidentale di oggi, ma in questa serie c'era una sensazione di "dura realtà," per quanto fosse fantascienza. Persone che non si riescono a salvare, errori cui non si riesce a porre rimedio, battaglie che non si possono vincere, e occasioni in cui "non si riesce a fare in tempo"...
... gli alieni erano avversari irriducibili e dovevano crepare. Più tardi è venuto E.T. e tante storielle buoniste, ma, forse perché si era in tempo di guerra fredda, gli autori di questa serie avevano le idee molto chiare su cosa si dovesse fare al nemico (anche se, per poterlo studiare, i difensori della Terra avrebbero volentieri preso vivo qualche esemplare di alieno). Solo nella tetra (e molto valida) serie contemporanea di Battlestar Galactica c'è una faida così mortale.
... UFO vantava spesso trame con intrighi sottili (gli alieni non disdegnavano la manipolazione e l'inganno) ma aveva anche delle scene di guerra da mozzare il fiato. Non solo la forma così aliena delle astronavi nemiche e il loro sibilo così sinistro... Dall'uomo che affronta la navicella spaziale aliena, solo con un lanciarazzi, e muore per la tuta strappata mentre il mezzo di soccorso arriva troppo lentamente, ai duelli aerei nel vuoto dove i tre disperati di turno fanno miracoli con dei trespoli armati di un solo missile, ai mezzi cingolati che si muovono lenti come pachidermi sotto il fuoco dei raggi degli alieni, io ricordo di aver visto certi episodi mangiandomi le unghie.
Ammazzateli, quei bastardi!
Ma tutte queste caratteristiche non salveranno UFO dal destino di sembrare una serie troppo datata, brutta e povera di spettacolo alla maggioranza di quelli che sono abituati agli effetti speciali moderni. Normale legge dello spettacolo, inutile soffermarsi...
Cogliamo l'occasione invece per ragionare su come le serie televisive si siano evolute nel tempo. Oggi è naturale che una serie di telefilm abbia una sua coerenza logica, ma al tempo di UFO questa esigenza era meno sentita, anche se c'era chi faceva di meglio dei produttori di UFO da questo punto di vista: ad esempio quelli di Star Trek. In effetti, nell'universo di UFO esistono una quantità di incongruenze piuttosto fastidiose.
Ad esempio, lo scopo degli alieni e la loro natura. La tesi prevalente fin dall'inizio della serie è che abbiano bisogno di rubare organi ai terrestri: sono una razza morente, ma fondamentalmente simile a noi. Pertanto compiono dei raid con le loro sinistre navicelle spaziali e rapiscono delle persone. Tuttavia, in un episodio viene attaccata una nave militare che sta gettando in mare i contenitori di un pericolosissimo gas: nello stile della classica, sbrigativa fantascienza di una volta, adatta a gente poco sofisticata, il gas viene descritto come in grado di spazzare via la vita sulla terra.
Se fosse davvero così pericoloso la decisione di buttarlo in mare chiuso in dei fusti, come l'equipaggio della nave militare sta facendo, sembrerebbe comunque dubbia. Ma a parte questo, perché gli alieni cercano di distruggere la nave? Non hanno bisogno che l'umanità sopravviva per poterla predare?
In altri episodi ci sono simili mire catastrofiche, e in uno si mette addirittura in dubbio che la forma degli alieni sia veramente antropomorfa: potrebbero essere delle menti in grado di controllare qualsiasi essere vivente usandolo come ospite. Ma se è così, l'ipotesi su cui si basa il resto della serie va un po' a farsi benedire...
Altri episodi poco congruenti: l'alieno che aiuta il terrestre a sopravvivere quando sono entrambi isolati sulla superficie lunare: bel cameratismo che supera tutte le frontiere, ma viste le premesse, sembra poco probabile.
Ci sono inoltre due episodi sulla vita privata del comandante Straker (impersonato dal compianto Ed Bishop), che vede il proprio matrimonio fallire e perde anche il figlio, non senza una certa responsabilità nel fare arrivare troppo tardi le cure mediche (qui è complice la sua missione di difensore della Terra). Purtroppo stonano parecchio con il resto della serie... Lo stesso Bishop, pur ricordando come ai tempi fosse compiaciuto di recitare in ruoli più convenzionali, lo riconobbe retrospettivamente.
Ma al di là dei difetti, questa serie è rimasta nel cuore di tanti che l'hanno conosciuta a suo tempo. E con tutte le stranezze che indubbiamente la contraddistinguono, resta una tappa importante della fantascienza.
Una pagina in inglese e una in italiano su UFO.
sabato 8 marzo 2008
Ebbene parliamone...
Mi rendo conto che non ho voglia di discuterne. Eppure è un fenomeno che non si può ignorare, nel panorama del fantasy nostrano. Perciò, parliamone.
Le serie di Licia Troisi non le conosco nel dettaglio, ho solo terminato Nihal della Terra del Vento senza continuare la trilogia, rinunciando al lusso di poter leggere gratis i libri prestati da un amico: come mai? Semplice, non mi diceva un gran che. Certo, c'era avventura, una ambientazione fantastica, una bella cartina, tutte quelle caratteristiche che nei libri attirano per lo meno la mia attenzione. Ma ero stato avvertito che si trattava di una storia molto semplice destinata ai più giovani. Per "i più giovani," qui si intenda anche un 25-30nne con poche letture alle spalle. E infatti, come sospettavo fin dall'inizio, questo libro non era per me. Ho alle spalle molte letture, e tanto tempo per sviluppare i miei gusti, decisamente troppo perché mi piacesse Nihal.
Delle incongruenze, o dei vari problemi stilistici del libro hanno già parlato altri, con più o meno competenza. Della scarsa congruenza di Nihal come eroina guerriera ho già parlato io, in un articolo che appare su Fantasy Magazine. Ma è un argomento che qui non serve: se Nihal fosse stata realistica, credo, il libro non sarebbe venuto incontro ai gusti del suo pubblico. Quello che mi interessa qui infatti è comprendere le ragioni di questo successo.
Perché con tutto quel che si dice di questa autrice e del suo lavoro, alla fine ci si riduce a delle considerazioni superficiali. Non credo che la casa editrice abbia pubblicato una storia qualunque perché tanto con la pubblicità si alterano e modellano a piacere i gusti del pubblico. Non sarebbe stata la prima volta che il successo manca a un libro (o a un film) nonostante la spinta pubblicitaria. Non credo che l'autrice sia priva di capacità, come non credo che sia un genio della letteratura. E non credo nemmeno che basti sempre e comunque scrivere una storia molto digeribile come stile per piacere ai lettori.
La mia ipotesi è che Licia Troisi sia riuscita molto bene a venire incontro ai gusti del pubblico giovane mescolando abilmente elementi differenti. E questo, indipendentemente dalla qualità tecnica o artistica più o meno buona dei suoi libri. Se avesse seguito alla perfezione la formula del bestseller certi errori non ci sarebbero stati, certe cose sarebbero scritte meglio, ecc... va detto tuttavia che in un dettaglio fondamentale la formula l'ha rispettata: nell'estrema leggibilità e scorrevolezza del libro. E ha centrato il bersaglio più elusivo di tutti: incontrare alla perfezione i gusti del pubblico. Pertanto se non è operazione perfetta, Nihal (coi seguiti vari) è un esempio molto abile di come si costruisce un successo commerciale. Dal momento che in questo blog ogni tanto piango sulle logiche di mercato e sul loro effetto su ciò che ci è dato di leggere (e vedere al cinema), potrei anche dire che la cosa non mi piace, ma da qui a dire che l'autrice è una incapace, come fa chi cede alla tentazione del rosicamento, ce ne vuole. Licia Troisi ha fatto un ottimo lavoro, oppure ha avuto una notevole ispirazione se l'operazione è inconsapevole da parte sua. Certamente chi ha deciso di investire su di lei ha azzeccato la scelta.
Facciamo qualche passo indietro. Ogni generazione ha la sua. Carosello... Alan Ford... Mazinga e Goldrake... Lady Oscar... Duran Duran... Tex Willer... U2... Happy Days... Eccetera. Dall'adolescenza fino a, per alcuni, quella tarda gioventù dei trenta-e-qualcosa, tutte le generazioni hanno le canzoni, gli spettacoli, i fumetti che ricorderanno sempre, perché sono l'immaginario di quando è stato il loro tempo.
Gli altri non capiscono la cavolata del momento ed è normale che sia così (e seguire la moda del momento è quindi il segno di distinzione di cui vanno fieri i giovani di turno). In seguito, la gente inevitabilmente cresce e si distanzia da questi miti, pur ricordandoli con affetto.
Prendiamo ad esempio un personaggio che mi è piaciuto. Dylan Dog è comparso quando avevo vent'anni e qualcosa, ma io l'ho conosciuto un po' dopo. Si fece notare a viva forza! Nonostante il fumetto fosse già in evidente declino, riuscì a sfondare e ad oscurare il "classico" Tex, armato di storie dell'orrore semplici anche se magari non sempre irresistibili, e con il fascino di un protagonista indubbiamente azzeccato (appoggiato da una spalla degna di nota, Groucho). Malinconico e pieno di difetti di cui è consapevole, irrisolto e indeciso su cosa fare di sé stesso, con la sua età congelata sui trenta circa, Dylan poteva in effetti somigliare (e piacere) a un sacco di gente. Le sceneggiature, sia pure con lodevoli eccezioni, generalmente non erano proprio il massimo ma venivano rinforzate con suggestioni tratte da film e canzoni famosi e di sicuro impatto emotivo: un modo astuto per racimolare ispirazione qua e là mantenendo, nella citazione esplicita, la propria innocenza; e per rinforzare il legame con l'immaginario comune dei lettori. Anche la somiglianza dei volti di Dylan e Groucho con quelli di due noti personaggi del cinema segue questo schema; e come in Tex, si cerca a tutti i costi la riconoscibilità del personaggio facendolo vestire sempre allo stesso modo. Con questo formato il nostro eroe tetro e romantico è diventato un personaggio amatissimo. Non lo compravo regolarmente e non avrei potuto definirmi un "fan" ma l'ho sentito molto vicino per un certo periodo. Poi, quando io sono cambiato, a poco a poco Dylan Dog m'è diventato indifferente.
E poi arriva il Giappone! I miti di oggi sono altri. Ha sfondato il fantasy con Tolkien e i film tratti dalla sua opera, e ormai anche da noi molti sanno di cosa si parla quando viene menzionato. Ed è arrivato l'oriente, che per qualche aspetto mi piace, per altri no. Piace alla gioventù, comunque. Strani eroi, quelli che ci propongono gli orientali, con una frequente commistione di antiche tradizioni e tecnologia, e spesso con una specie di superomismo che s'incontra con immaturità, infantilismo e grandi debolezze psicologiche (vi dice qualcosa, riguardo all'eroina Nihal?). Eroi dal giovanilismo caricaturizzato, come rispecchiato nei tratti somatici dei personaggi di Manga e Anime. Ma non mi piace parlare su argomenti di cui poco so e non molto m'interessa (per quanto l'influenza che questa ondata orientale sta avendo sul fantasy mi preoccupa, eccome).
Nihal la mezzelfo con influssi culturali orientali è la miscela giusta, piacevole e semplice, di questi elementi. Se vogliamo, anche una sintesi con una certa originalità, per quanto il primo libro era rovinato da una storia veramente troppo approssimativa... gli altri non so. Non amo, come ho già detto, il bestseller studiato per essere tale, ma se io fossi capace di creare un prodotto del genere, lo farei considerandolo, in caso di successo, una sfida ben riuscita.
Riconosco l'abilità dove c'è, quindi, e non mi metterò a pontificare sui "ggiovani" che amano la Troisi. Se gli piace Nihal e la considerano il non plus ultra, bene. Non c'è bisogno di fare nessuna polemica. Chi di loro avrà voglia di leggere qualcos'altro e di allargare i propri orizzonti la metterà, prima o poi, nella giusta prospettiva. Se poi Nihal farà la storia della letteratura fantastica o no, credo di non poterlo prevedere io.
Volevo rendere questo post non commentabile per evitare il rischio che si scateni anche qui una di quelle risse che fanno aumentare gli hit dei blog, ma di cui io faccio volentieri a meno. Eviterò: bloccare la possibilità di parlare sarebbe sbagliato, e poi spero che la voglia di litigare su questo argomento sia finita.
Se siete d'accordo, o se invece credete che mi sbagli, vi prego quindi di intervenire. Con le dovute maniere.
Le serie di Licia Troisi non le conosco nel dettaglio, ho solo terminato Nihal della Terra del Vento senza continuare la trilogia, rinunciando al lusso di poter leggere gratis i libri prestati da un amico: come mai? Semplice, non mi diceva un gran che. Certo, c'era avventura, una ambientazione fantastica, una bella cartina, tutte quelle caratteristiche che nei libri attirano per lo meno la mia attenzione. Ma ero stato avvertito che si trattava di una storia molto semplice destinata ai più giovani. Per "i più giovani," qui si intenda anche un 25-30nne con poche letture alle spalle. E infatti, come sospettavo fin dall'inizio, questo libro non era per me. Ho alle spalle molte letture, e tanto tempo per sviluppare i miei gusti, decisamente troppo perché mi piacesse Nihal.
Delle incongruenze, o dei vari problemi stilistici del libro hanno già parlato altri, con più o meno competenza. Della scarsa congruenza di Nihal come eroina guerriera ho già parlato io, in un articolo che appare su Fantasy Magazine. Ma è un argomento che qui non serve: se Nihal fosse stata realistica, credo, il libro non sarebbe venuto incontro ai gusti del suo pubblico. Quello che mi interessa qui infatti è comprendere le ragioni di questo successo.
Perché con tutto quel che si dice di questa autrice e del suo lavoro, alla fine ci si riduce a delle considerazioni superficiali. Non credo che la casa editrice abbia pubblicato una storia qualunque perché tanto con la pubblicità si alterano e modellano a piacere i gusti del pubblico. Non sarebbe stata la prima volta che il successo manca a un libro (o a un film) nonostante la spinta pubblicitaria. Non credo che l'autrice sia priva di capacità, come non credo che sia un genio della letteratura. E non credo nemmeno che basti sempre e comunque scrivere una storia molto digeribile come stile per piacere ai lettori.
La mia ipotesi è che Licia Troisi sia riuscita molto bene a venire incontro ai gusti del pubblico giovane mescolando abilmente elementi differenti. E questo, indipendentemente dalla qualità tecnica o artistica più o meno buona dei suoi libri. Se avesse seguito alla perfezione la formula del bestseller certi errori non ci sarebbero stati, certe cose sarebbero scritte meglio, ecc... va detto tuttavia che in un dettaglio fondamentale la formula l'ha rispettata: nell'estrema leggibilità e scorrevolezza del libro. E ha centrato il bersaglio più elusivo di tutti: incontrare alla perfezione i gusti del pubblico. Pertanto se non è operazione perfetta, Nihal (coi seguiti vari) è un esempio molto abile di come si costruisce un successo commerciale. Dal momento che in questo blog ogni tanto piango sulle logiche di mercato e sul loro effetto su ciò che ci è dato di leggere (e vedere al cinema), potrei anche dire che la cosa non mi piace, ma da qui a dire che l'autrice è una incapace, come fa chi cede alla tentazione del rosicamento, ce ne vuole. Licia Troisi ha fatto un ottimo lavoro, oppure ha avuto una notevole ispirazione se l'operazione è inconsapevole da parte sua. Certamente chi ha deciso di investire su di lei ha azzeccato la scelta.
Facciamo qualche passo indietro. Ogni generazione ha la sua. Carosello... Alan Ford... Mazinga e Goldrake... Lady Oscar... Duran Duran... Tex Willer... U2... Happy Days... Eccetera. Dall'adolescenza fino a, per alcuni, quella tarda gioventù dei trenta-e-qualcosa, tutte le generazioni hanno le canzoni, gli spettacoli, i fumetti che ricorderanno sempre, perché sono l'immaginario di quando è stato il loro tempo.
Gli altri non capiscono la cavolata del momento ed è normale che sia così (e seguire la moda del momento è quindi il segno di distinzione di cui vanno fieri i giovani di turno). In seguito, la gente inevitabilmente cresce e si distanzia da questi miti, pur ricordandoli con affetto.
Prendiamo ad esempio un personaggio che mi è piaciuto. Dylan Dog è comparso quando avevo vent'anni e qualcosa, ma io l'ho conosciuto un po' dopo. Si fece notare a viva forza! Nonostante il fumetto fosse già in evidente declino, riuscì a sfondare e ad oscurare il "classico" Tex, armato di storie dell'orrore semplici anche se magari non sempre irresistibili, e con il fascino di un protagonista indubbiamente azzeccato (appoggiato da una spalla degna di nota, Groucho). Malinconico e pieno di difetti di cui è consapevole, irrisolto e indeciso su cosa fare di sé stesso, con la sua età congelata sui trenta circa, Dylan poteva in effetti somigliare (e piacere) a un sacco di gente. Le sceneggiature, sia pure con lodevoli eccezioni, generalmente non erano proprio il massimo ma venivano rinforzate con suggestioni tratte da film e canzoni famosi e di sicuro impatto emotivo: un modo astuto per racimolare ispirazione qua e là mantenendo, nella citazione esplicita, la propria innocenza; e per rinforzare il legame con l'immaginario comune dei lettori. Anche la somiglianza dei volti di Dylan e Groucho con quelli di due noti personaggi del cinema segue questo schema; e come in Tex, si cerca a tutti i costi la riconoscibilità del personaggio facendolo vestire sempre allo stesso modo. Con questo formato il nostro eroe tetro e romantico è diventato un personaggio amatissimo. Non lo compravo regolarmente e non avrei potuto definirmi un "fan" ma l'ho sentito molto vicino per un certo periodo. Poi, quando io sono cambiato, a poco a poco Dylan Dog m'è diventato indifferente.
E poi arriva il Giappone! I miti di oggi sono altri. Ha sfondato il fantasy con Tolkien e i film tratti dalla sua opera, e ormai anche da noi molti sanno di cosa si parla quando viene menzionato. Ed è arrivato l'oriente, che per qualche aspetto mi piace, per altri no. Piace alla gioventù, comunque. Strani eroi, quelli che ci propongono gli orientali, con una frequente commistione di antiche tradizioni e tecnologia, e spesso con una specie di superomismo che s'incontra con immaturità, infantilismo e grandi debolezze psicologiche (vi dice qualcosa, riguardo all'eroina Nihal?). Eroi dal giovanilismo caricaturizzato, come rispecchiato nei tratti somatici dei personaggi di Manga e Anime. Ma non mi piace parlare su argomenti di cui poco so e non molto m'interessa (per quanto l'influenza che questa ondata orientale sta avendo sul fantasy mi preoccupa, eccome).
Nihal la mezzelfo con influssi culturali orientali è la miscela giusta, piacevole e semplice, di questi elementi. Se vogliamo, anche una sintesi con una certa originalità, per quanto il primo libro era rovinato da una storia veramente troppo approssimativa... gli altri non so. Non amo, come ho già detto, il bestseller studiato per essere tale, ma se io fossi capace di creare un prodotto del genere, lo farei considerandolo, in caso di successo, una sfida ben riuscita.
Riconosco l'abilità dove c'è, quindi, e non mi metterò a pontificare sui "ggiovani" che amano la Troisi. Se gli piace Nihal e la considerano il non plus ultra, bene. Non c'è bisogno di fare nessuna polemica. Chi di loro avrà voglia di leggere qualcos'altro e di allargare i propri orizzonti la metterà, prima o poi, nella giusta prospettiva. Se poi Nihal farà la storia della letteratura fantastica o no, credo di non poterlo prevedere io.
Volevo rendere questo post non commentabile per evitare il rischio che si scateni anche qui una di quelle risse che fanno aumentare gli hit dei blog, ma di cui io faccio volentieri a meno. Eviterò: bloccare la possibilità di parlare sarebbe sbagliato, e poi spero che la voglia di litigare su questo argomento sia finita.
Se siete d'accordo, o se invece credete che mi sbagli, vi prego quindi di intervenire. Con le dovute maniere.
mercoledì 5 marzo 2008
E' morto Gary Gygax
Il padre del Gioco di Ruolo è morto a 69 anni, dopo aver lungamente sofferto per la sua cattiva salute. L'importanza di questo creatore, il cui primo grande successo, Dungeons & Dragons, domina ancora incontrastato nel settore del Gioco di Ruolo, può essere compresa pienamente solo se pensiamo a quanto ne siano stati influenzati i giochi per computer, la narrativa e l'immaginario fantastico in generale.
Non ho amato D&D, ma sicuramente ringrazio Gygax di aver sviluppato questo genere. Riposi in pace.