martedì 29 gennaio 2008
Kingsburg
Ho avuto occasione di provare questo gioco da tavolo della Stratelibri (un gioco che ha vinto dei premi, e certamente dotato di componenti dalla grafica eccezionale) scoprendo di trovarmi di fronte a elementi collaudati ma che non sono il massimo della novità: devi sviluppare una città, perciò prendi le risorse, pietra, legname ecc... costruisci edifici, mura, chiese, caserme, ottieni i benefici (di vario genere) da questi edifici e così via, sviluppando edifici più complessi.
Ciascun giocatore ha dei dadi del proprio colore con cui otterrà numeri da... giocare saggiamente, per arrivare al consigliere che gli serve. Infatti, il centro nevralgico del tabellone di gioco è proprio una serie di personaggi che sembrano affacciati sulla mappa: essi forniscono le materie prime, i soldati e l'oro che serviranno a compiere l'impresa di dimostrarsi il miglior governatore e venire quindi premiato dal Re. Ogni anno arrivano dei nemici (via via sempre più cattivi) che cercheranno di distruggere quello che hai costruito.
Nella partita che ho giocato una delusione l'ho avuta proprio dagli invasori, che non erano abbastanza forti da impensierirci veramente (anche se qualche soldatino per difenderci ce lo siamo procurato tutti, che non si sa mai...).
La scelta del consigliere giusto si fa coi dadi, combinandoli per arrivare al numero di quello che ti interessa (e se tiri basso, c'è poco da fare!): qui un punto un po' dolente, devi avere una certa dose di fondoschiena per poter ottenere quello che veramente cercavi.
La scelta strategica di costruire un edificio anziché un altro è quindi condizionata dal poter mettere le mani (oppure no) sulle materie prime desiderate. Tuttavia ho notato che, magari con il ritardo di una fase, riuscivo sempre a fare più o meno quello che volevo, ma non mi sembrava che fra le varie mosse possibili (tutte desiderabili per un motivo o per l'altro) ce ne fosse qualcuna che potesse garantirmi una svolta decisiva.
La scelta più ovvia è andare verso gli edifici che danno direttamente parecchi punti di vittoria, ma anche altri hanno effetti non trascurabili, tra cui quello di render sicura la propria posizione (assicurando bonus difensivi). Poiché le mosse a disposizione non sono numerosissime, finivo per scegliere comunque di edificare subito quello che potevo con i materiali a portata di mano: non mi pare che una strategia più lenta e lungimirante avrebbe pagato. (Per la cronaca: sono arrivato secondo su quattro).
L'interazione con gli altri giocatori si limita al gioco delle combinazioni di dadi per ottenere i consiglieri (quelli che prendo io, li nego agli altri, per quanto c'è anche una eccezione a questa regola...).
Per il resto ognuno fa corsa a sé, in un gioco che va su un binario privo di grandi alternative. Peraltro, Kingsburg è rapido e divertente, ci si muove velocemente, ciascuno fa le sue cosine e la partita è finita in un'oretta e mezza o due. Del resto oggi la maggior parte dei giochi da tavolo di questo tipo ha dei meccanismi che "tarano" la durata della partita sulla serata. Ho passato la mia giovinezza ludica a rantolare fino alle 3 e mezza del mattino su partite che non finivano più, in effetti è incredibile quanto tempo ci sia voluto prima che i progettisti di giochi tenessero conto di questo fattore.
Conclusione: per chi vuole il gioco dalle scelte strategiche raffinate, dalle mosse pregne di conseguenze, e magari è abituato a una certa complessità, Kingsburg potrebbe essere, credo, un po' deludente.
Per chi vuole un passatempo scorrevole e divertente o un gioco per la famiglia, con un regolamento non intimidatorio, penso che sia una delle scelte più adatte.
lunedì 28 gennaio 2008
Il Gioco di Ruolo può aiutare uno scrittore?
Ovviamente parlo di uno scrittore del fantastico ma non sarebbe impossibile parlare di altri generi. Ma innanzitutto: se non sapete cosa è un Gioco di Ruolo (GDR) consultate questa risorsa.
Un amico a cui avevo fatto leggere il mio libro (Magia e Sangue) diceva che "il fantasy ha bisogno di scrittori che conoscono il gioco di ruolo." Forse amava il feeling di realismo che necessariamente si crea quando si è costretti a seguire delle regole ed una ambientazione coerente.
Di fatto un GDR, purché non abbia un regolamento sballatissimo, può insegnare qualcosa sulle armi dell'epoca di riferimento, nozioni utili se il conflitto armato è un elemento di cui si vuole scrivere. E quasi tutti i GDR ormai propongono ambientazioni studiate con una certa accuratezza, spesso tratte proprio da libri di argomento fantastico. E' già una scoperta interessante vedere un'opera che abbiamo letto con piacere, analizzata e scomposta in elementi che la rendono spiegabile e giocabile.
Quindi una prima possibile utilità del GDR la possiamo vedere nella costruzione dettagliata di una realtà alternativa. E qui esiste anche una prima differenza di possibilità creative: chi decide di arbitrare un GDR può limitarsi ad acquistare le ambientazioni che esistono (moduli, espansioni ecc...) oppure usare la fantasia al posto del portafoglio e crearsi le proprie. In tal caso può tramutare libri in ambientazioni di gioco (per due volte così ho potuto giocare nel mondo di Zothique di Clark Ashton Smith...). Oppure può dedicarsi a quello svago che amo molto e che può essere così utile alla creazione di una ambientazione fantastica valida anche per un libro: la creazione di mondi.
Dal disegnare una cartina, immaginare terre e mari e una geografia, può già nascere molto. C'è chi pensa che un mondo immaginario debba essere descritto con estremo rigore scientifico (ci vorrebbe quindi un geologo, un botanico, uno zoologo ecc... per creare una ambientazione). Può darsi, ma bisogna anche chiedersi se ne vale la pena. Sia nello scrivere un libro o un racconto, sia nel creare una ambientazione per il GDR, mantenere quello che in inglese si definisce il "sense of wonder" può essere più importante dell'esattezza scientifica di ogni particolare.
Ma una certa attenzione permette già di individuare ed eliminare incongruenze e assurdità che altrimenti potrebbero farsi strada nel nostro lavoro creativo. Si sa, del resto, che le basi devono essere solide per far muovere con sicurezza chi deve narrare: agli spettatori (o giocatori) non è indispensabile far vedere tutto.
(continua)
domenica 20 gennaio 2008
(Off topic) L'Assedio
Un libro ambientato su uno sfondo che, in buona parte, conoscevo già... ma romanzato in maniera convincente. L'Assedio di Helen Dunmore è un romanzo storico dove la guerra si vede poco, direttamente, ma è una presenza micidiale che spezza le vite nella città assediata di Leningrado (oggi San Pietroburgo), non con le armi ma con la fame e il freddo. Il terribile assedio dei 900 giorni fu particolarmente micidiale il primo anno, ed è in quel periodo che la scrittrice ambienta la storia di Anna, che deve salvare un padre e un fratellino mentre cerca di far sbocciare un amore nella città martoriata. Nello sfondo, le terribili persecuzioni politiche di quell'epoca. Sempre in primo piano, il popolo russo con la sua straordinaria capacità di soffrire e di battersi.
mercoledì 16 gennaio 2008
Fantasy Italiano: grande autore cercasi?
Questo è stato, con qualche minima differenza, un mio intervento su un gruppo di lettura di aNobii
Il sottoscritto ha conosciuto il fantasy molti anni fa quando praticamente l'unico italiano facilmente reperibile in libreria era Gianluigi Zuddas (e le uniche case editrici, praticamente, erano Fanucci e la Nord). Il mio secondo tentativo, in uno slancio patriottico, fu quello di comprare "Nel Segno della Luna Bianca" di Aldani e Piegai. Un libro che più brutto di così non si può: da allora per molto tempo ho evitato gli scrittori italiani come la peste... Pregiudizio che estesi in qualche modo perfino a me stesso, tenendo il mio manoscritto nel cassetto per oltre dieci anni prima di vedere che il clima era cambiato, e decidermi a rivederlo per cercare di pubblicarlo (attualmente partecipa ad un concorso). Scherzi a parte, ero convinto che fosse praticamente impossibile pubblicare.
Adesso vedo che esiste un certo fermento, segno che ci sono italiani che scrivono e italiani che li vogliono leggere.
Oltre a resuscitare il mio sforzo personale, questa atmosfera mi ha spinto a cercare di leggere gli esordienti: proprio qui ho commentato gli sforzi di diversi autori della nuova leva e spero che molti altri lettori comprino i loro libri, facendo emergere (prima o poi) qualche nuovo, valido scrittore.
Autore italiano a caccia di una casa editrice
L'importante non è che riescano a pubblicare in centomila, ma che si formi un giudizio nel pubblico, un'opinione condivisa che faccia emergere qualche scrittore veramente bravo e convinca magari qualcun altro a trovarsi una strada diversa.
In questo periodo (l'opinione è personalissima e l'approfondirò magari in un altro momento) il fantasy è popolare ma non escono molti libri di grande qualità. Perciò all'estero non stanno necessariamente meglio che da noi. Impera il bestseller, il libro adatto solo ai ragazzi, il clone di Tolkien un tanto al chilo. C'è però una cosa che all'estero abbonda e da noi, secondo me, è carente: la preparazione tecnica. Forse mi sbaglio, magari ho questa impressione perché i libri degli esordienti stranieri non arrivano da noi, a meno che non siano dei successi al primo colpo? gradirei l'opinione di chi abbia potuto osservare più da vicino come vanno le cose all'estero.
Non so se le opinioni che si trovano in un forum o su un blog contino per aiutare un libro ad avere successo (termine molto relativo in Italia); al massimo contribuiscono a fare “opinione pubblica.” Personalmente quei libri che ho commentato li ho trattati con un minimo di simpatia e senza strafare né nell'esagerare dei difetti né nel dare inutili lodi sperticate quando ci sono evidenti problemi.
Temo comunque che gli esordienti di casa nostra (all'estero, ripeto, non so se siano più bravi...) siano relativamente poco preparati e compiano parecchie ingenuità. E certe case editrici non li aiutano, dal momento che pubblicano testi con evidenti errori di ortografia, fanno brutte copertine, rovinano i loro sforzi. Non ho trovato ancora un libro su cui dire senza mezzi termini che è da buttare dalla finestra, ma neanche un ottimo autore già maturo per il successo. Non mi metto su un piedistallo, la mia è la valutazione di un lettore qualunque. Magari lo stesso giudizio varrebbe anche per me, se finalmente pubblicassi...
Il sottoscritto ha conosciuto il fantasy molti anni fa quando praticamente l'unico italiano facilmente reperibile in libreria era Gianluigi Zuddas (e le uniche case editrici, praticamente, erano Fanucci e la Nord). Il mio secondo tentativo, in uno slancio patriottico, fu quello di comprare "Nel Segno della Luna Bianca" di Aldani e Piegai. Un libro che più brutto di così non si può: da allora per molto tempo ho evitato gli scrittori italiani come la peste... Pregiudizio che estesi in qualche modo perfino a me stesso, tenendo il mio manoscritto nel cassetto per oltre dieci anni prima di vedere che il clima era cambiato, e decidermi a rivederlo per cercare di pubblicarlo (attualmente partecipa ad un concorso). Scherzi a parte, ero convinto che fosse praticamente impossibile pubblicare.
Adesso vedo che esiste un certo fermento, segno che ci sono italiani che scrivono e italiani che li vogliono leggere.
Oltre a resuscitare il mio sforzo personale, questa atmosfera mi ha spinto a cercare di leggere gli esordienti: proprio qui ho commentato gli sforzi di diversi autori della nuova leva e spero che molti altri lettori comprino i loro libri, facendo emergere (prima o poi) qualche nuovo, valido scrittore.
Autore italiano a caccia di una casa editrice
L'importante non è che riescano a pubblicare in centomila, ma che si formi un giudizio nel pubblico, un'opinione condivisa che faccia emergere qualche scrittore veramente bravo e convinca magari qualcun altro a trovarsi una strada diversa.
In questo periodo (l'opinione è personalissima e l'approfondirò magari in un altro momento) il fantasy è popolare ma non escono molti libri di grande qualità. Perciò all'estero non stanno necessariamente meglio che da noi. Impera il bestseller, il libro adatto solo ai ragazzi, il clone di Tolkien un tanto al chilo. C'è però una cosa che all'estero abbonda e da noi, secondo me, è carente: la preparazione tecnica. Forse mi sbaglio, magari ho questa impressione perché i libri degli esordienti stranieri non arrivano da noi, a meno che non siano dei successi al primo colpo? gradirei l'opinione di chi abbia potuto osservare più da vicino come vanno le cose all'estero.
Non so se le opinioni che si trovano in un forum o su un blog contino per aiutare un libro ad avere successo (termine molto relativo in Italia); al massimo contribuiscono a fare “opinione pubblica.” Personalmente quei libri che ho commentato li ho trattati con un minimo di simpatia e senza strafare né nell'esagerare dei difetti né nel dare inutili lodi sperticate quando ci sono evidenti problemi.
Temo comunque che gli esordienti di casa nostra (all'estero, ripeto, non so se siano più bravi...) siano relativamente poco preparati e compiano parecchie ingenuità. E certe case editrici non li aiutano, dal momento che pubblicano testi con evidenti errori di ortografia, fanno brutte copertine, rovinano i loro sforzi. Non ho trovato ancora un libro su cui dire senza mezzi termini che è da buttare dalla finestra, ma neanche un ottimo autore già maturo per il successo. Non mi metto su un piedistallo, la mia è la valutazione di un lettore qualunque. Magari lo stesso giudizio varrebbe anche per me, se finalmente pubblicassi...
lunedì 14 gennaio 2008
La Leggenda di Beowulf
Questa è un'altra versione della storia di Beowulf, e rispetto al precedente film di cui ho parlato è a mio parere meno interessante, per quanto godibile. Stiamo parlando di La Leggenda di Beowulf per la regia di Robert Zemeckis, qualsiasi cosa voglia dire regia, quando un film è realizzato per la visione tridimensionale a forza di motion capture e grafica computerizzata. La storia anche in questo caso è umanizzata rispetto alla leggenda originale, con dei cattivi che non sono semplicemente dei mostri, e hanno delle motivazioni. Pur con tutto lo splendore di certe sequenze, e le possibilità sceniche dovute alla particolare tecnica usata, preferisco di gran lunga l'approccio minimalista di Beowulf e Grendel, il film che ho commentato un paio di giorni fa.
Per quanto riguarda l'animazione digitale, lascia perplessi il cast di attori famosi che praticamente... non vediamo quali essi veramente sono.
E non siamo ancora arrivati a una realtà virtuale che possa fare a meno degli attori in carne ed ossa: se ne parla già da anni, fin dai tempi del (credo) primo personaggio sintetico, il famoso Max Headroom, che era però solo un mezzobusto televisivo senza pretesa di realismo.
In questo film la grafica è impressionante, eppure suona finta, con quello stesso aspetto poco gradevole che mi fa preferire un disegno fatto da mano umana piuttosto che un'elaborazione realizzata con Poser. I movimenti non riescono ad essere del tutto naturali, nonostante sia evidente uno sforzo per creare un risultato che si ponga come pietra di paragone. Certo, alla fine i risultati non sono sgradevoli. Ma credo che gli attori in carne ed ossa possano dormire sogni tranquilli ancora per un bel pezzo.
domenica 13 gennaio 2008
Beowulf e Grendel
Le saghe nordiche sono la base principale del "fantasy" come comunemente inteso dai più, oggi come oggi. La loro atmosfera è bellissima, va anzi molto al di là della qualità oggettiva dei testi: se vi siete arrischiati a cercare i versi o le prose originali da cui partono tante leggende, da Re Artù a Rhiannon, da Cu Chulainn allo stesso Beowulf, vi sarete resi conto che, senza una rivisitazione moderna, non si tratta di scritti adatti al nostro gusto. Beowulf e Grendel, una produzione cinematografica internazionale di un paio di anni fa (per la direzione di Sturla Gunnarson), compie una interesante revisione del mito a beneficio del grande schermo.
Questo è un film che non ha avuto grande risonanza, eppure a me è sembrato bellissimo. Usando i paesaggi della selvaggia e aspra Islanda (ma l'azione narrata si svolge in Danimarca), mezzi tecnici non eccelsi ma efficaci e un cast di attori che fanno il loro dovere pur senza eccellere, Beowulf e Grendel ci porta in una avventura con toni di mistero e leggenda, una storia violenta di un mondo duro. Non ci sono lungaggini estreme, ma qua e là il film si prende con alcune scene tutto il tempo necessario, e questo forse non potrà piacere a quelli che non riescono a concentrarsi su un dettaglio più di una manciata di secondi.
La trama (fermatevi qui se non volete che vi siano svelati dei particolari) differisce dal poema anglosassone in quanto Beowulf (che accorre in aiuto dei Danesi perseguitati dal troll Grendel) si prende la briga di riflettere sulla maniera in cui l'avversario opera, vi vedrà delle motivazioni e alla fine scoprirà la realtà celata dietro la vendetta sanguinaria del mostro. L'eroe sa che non c'è giustizia in quello che deve fare, ma lo farà, ponendo fine alla vita di Grendel. Dopo averlo ucciso sarà capace di onorare con decoro il caduto, terminando così il ciclo di odio e di vendetta.
Un altro tema del film è quello della conversione al cristianesimo dei Danesi, spinti ad abbandonare i propri dei pagani dalla disperazione di una lotta che sembra non lasciare scampo. In molte scene si ha la sensazione di un mondo che muore, di una magia che lentamente svanisce, sia nell'arrivo del prete che converte alla fine perfino il re, sia nella razionalità con cui Beowulf affronterà il problema della lotta contro il troll, a cui darà un finale violento ma con un accenno di giustizia. L'eroe, per molti aspetti, appare sottotono rispetto a certi personaggi esuberanti ed esplosivi cui le leggende ci hanno abituato. Segue il suo "destino" di eroe senza pretendere di fare la scelta giusta, né nei confronti del cristianesimo con le sue promesse di vita eterna che non sceglie ma che evita di osteggiare, né nei confronti del troll cui riconosce delle ragioni, ma che ucciderà lo stesso. In definitiva, a questo film va il merito di aver inventato un Beowulf un po' pessimista e molto più gentile di quello che ci saremmo aspettati.
Sito del film
domenica 6 gennaio 2008
L'Abbraccio delle Ombre
L'Abbraccio delle Ombre di Ester Manzini, edito dalla Asengard, si presenta come una storia di antieroi che si ergono a difesa della città, la ricca Dabria, quando nessun paladino senza macchia si presenta per salvarla da un'improvvisa minaccia. Gli antieroi ci sono, anche se la trama non è proprio esattamente così. Però il loro essere antieroi è confinato alla parte che precede la grande sfida, dopo si trasformano (temporaneamente?) in eroi senza macchia e senza paura.
Il libro, abbellito da una gradevole copertina e con una buona veste grafica, ci presenta una storia decisamente low fantasy; l'autrice, giovanissima, si limita a un'ambientazione molto cliché, con elfi, mezzelfi, ogre e goblin... diciamo che è una ambientazione da videogame. La storia parte con toni decisamente grotteschi: l'autrice sguazza allegramente in un mare di malvagità e strizza l'occhio al lettore offrendo una galleria di personaggi immancabilmente crudeli e ambiziosi, che spesso ricevono la punizione delle loro malefatte proprio mentre gongolano per il successo dei propri sporchi affari o ne progettano di nuovi.
Qualche problema stilistico e di linguaggio (mi viene in mente ad esempio un improvvido uso della parola poco fantasy capolinea) non impedisce a questa parte di divertire, anche se la sfilza di cattiverie potrebbe essere un po' ripetitiva. E' però più interessante della "saga eroica" che rappresenta la seconda parte del libro. Qui non manca qualche spunto divertente ma è storia già sentita molte volte; e personalmente non sono riuscito ad affezionarmi particolarmente ai personaggi tranne, stranamente, al coboldo Obodam. Direi che ce ne sono troppi e sono troppo poco caratterizzati, essendo il libro non particolarmente lungo.
Il mio giudizio: L'Abbraccio delle Ombre non mi ha entusiasmato ma si è fatto leggere, qua e là l'ho trovato divertente, il che mostra nell'autrice delle capacità da sviluppare. Per essere un esordio decisamente giovanile, non è poi male.
Come al solito, mi sono appuntato alcuni particolari: scene che non funzionano, qualche illogicità o problemi con lo stile. Il tutto, beninteso, entro quelli che sono i miei limiti nel vedere e giudicare queste cose. Tuttavia non voglio che queste osservazioni vengano prese come spunti polemici, in un ambiente dove, comincio a vedere, abbondano critici che criticano troppo, e scrittori che se la prendono troppo. Su richiesta, ne parliamo via email (il mio indirizzo è qui sul blog).
L'Abbraccio delle Ombre sul sito di Asengard