Una donna si sveglia in una caverna sotto a un vulcano. Non è una donna comune e nemmeno una donna nel vero senso della parola: appartiene a una Antica Razza dotata di grandissimi poteri, superiore ai comuni uomini, e nonostante ciò estinta ormai da molto tempo, e semi dimenticata. Un antico demone maledice questa sua resurrezione annunciandole che dovrà andare alla ricerca della sua identità e dei suoi poteri, e che soffrirà per una maledizione di grande bruttezza: sarà costretta a portare una maschera.
Inoltre non potrà morire, se viene uccisa rinascerà ogni volta. E porterà sempre l'infelicità con sé. Tuttavia avrà la scelta, sempre disponibile, di darsi la morte con una lama che le viene indicata.
Così inizia The Birthgrave di Tanith Lee, tradotto in italiano come Nata dal Vulcano.
La nostra eroina affronta così il mondo, infelice e insoddisfatta, incontrando vari popoli, varie civiltà e inevitabilmente vari uomini. Conosceremo un gruppo di predoni e assassini che terrorizzano e saccheggiano le carovane di mercanti, città opulente e decadenti dove si tengono grandi mercati, ci si diverte con corse di cavalli con il cocchio in stile antica Roma, e la perfidia dei potenti si muove nei corridoi di grandi palazzi. E poi ancora le civiltà tribali, con poche leggi e regole, e una razza che vorrebbe imitare gli Antichi ma (ovviamente) non vi riesce salvo qualche aspetto superficiale.
La protagonista si muove in questo panorama a volte accettando le situazioni in cui si trova, a volte manipolando abilmente le persone per avere un ruolo importante.
Nelle sue traversie la donna cercherà di comprendere i suoi poteri e capire qualcosa di più del suo destino, seguendo un'unica traccia che le è stata fornita dal demone.
Questo libro è stato catalogato come un fantasy femminista ma il lettore dovrà stare attento, perché la protagonista non è certo un personaggio usuale o che risponda ai canoni del politicamente corretto. La sua narrazione è a tratti ambigua, i suoi rapporti con gli uomini sono sempre filtrati da questioni di potere; a volte è come un ostaggio nonostante sia trattata da divinità, a volte si trova ad amare chi le si è imposto con la forza, a volte si lascia trascinare dagli eventi o è vittima, a volte è cinica e agisce in maniera strumentale. Quanto al suo sentimento verso la maternità, non ve lo anticipo, ma non è proprio positivo.
Non mancano passioni e riflessioni sui vari popoli che si incontrano, sui rapporti tra uomini e donne. Di avanzamenti nella ricerca della verità ce ne sono molto pochi anche se in alcune situazioni il lettore avrà dei sospetti e non vedrà le cose (forse) nella stessa maniera in cui le vede lei.
Essendo The Birthgrave il libro che ha consacrato il successo di Tanith Lee, l'ho letto con grandi aspettative. Per dire la verità, l'inizio mi è sembrato molto lungo e piuttosto noioso; il seguito diventa avvincente, diciamo da metà in poi, sebbene la trama non ci porti ancora a nessun avanzamento. La protagonista si muove in lungo e in largo per il mondo, le descrizioni sono belle, non mancano situazioni e personaggi interessanti, ma di lei sappiamo più o meno quello che sapevamo all'inizio.
Il finale m'ha lasciato un po' spiazzato. Da una parte mi è piaciuto il modo in cui, alla fine, tutte le tessere vanno a posto, dall'altra la soluzione m'è parsa molto "deus ex machina."
Giudizio finale? Da leggere. Nonostante non sia un capolavoro privo di imperfezioni, è un buon esempio dell'inventiva e dello stile insolito di Tanith Lee. Quanto al fatto che la protagonista sia una donna, la cosa potrà aver fatto impressione un tempo (il libro è del 1975) ma è presentata con grandissima naturalezza anche perché, e questo a mio parere è un grosso pregio, a muoversi nella storia è appunto una donna, sia pure parzialmente aliena al nostro sentire, e non una specie di manifesto politico come in certi libri di altre autrici (prima fra tutte Marion Zimmer Bradley, che non digerisco proprio). Motivo in più, quindi, per leggere The Birthgrave.
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