lunedì 10 giugno 2013

Il Sangue degli Elfi

Come ho scritto di recente, sono rimasto impressionato favorevolmente dal lavoro di Andrzej Sapkowski con le raccolte di racconti (Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino). Nel mentre che affrontavo questi lavori iniziavo anche la lettura del Sangue degli Elfi, primo romanzo di una serie che avrebbe raggiunto già cinque titoli (nella Wikipipedia in inglese c'è una breve bibliografia) di cui due tradotti in italiano (Il Sangue degli Elfi, appunto, e Il Tempo della Guerra).

La storia prende il via dall'invasione Nilgaardiana contro il regno di Cintra. La regina Calanthe, come si è già visto nei racconti, è stata sconfitta in una grande battaglia, assediata nel suo castello e alla fine costretta al suicidio per non essere catturata. Un crudele invasore devasta il territorio di Cintra, e questa volta non è una guera come le altre, in cui il contadino corre a nascondersi mentre passano le truppe e poi riprende la propria vita. E' arrivato un nemico che devasta tutto e uccide indiscriminatamente.



Ciri, la "Leoncina di Cintra" e nipote della regina Calanthe, tuttavia è sopravvissuta. Un drappello di cavalieri l'ha portata via a rischio della vita. Geralt di Rivia lo strigo, il cui destino è legato indissolubilmente a quello della bambina, provvederà a metterla al riparo e a darle una educazione, per quanto le sue scelte vengano poi criticate dalla maga Yennefer, altra vecchia conoscenza delle storie di Sapkowski.

Ciri ha un notevole potenziale magico, oltre ad essere in qualche modo destinata a diventare un personaggio decisivo. Ma queste possibilità, che potrebbero far presagire qualche nuova speranza per il devastato regno di Cintra, sono ovviamente una minaccia per Nilfgaard. Pertanto c'è chi trama contro la principessa...

Non traggo conclusioni da questo primo libro, ma non posso dire di essere convinto al cento per cento. I personaggi collaudati e lo stile di Sapkowski funzionano sempre, e apprezzo il personaggio di Ciri che viene pennellato abbastanza bene (cosa rara tra i mocciosi infilati nei libri) ma la storia percorre un solco già fin troppe volte calcato con estrema prevedibilità. Sarò contento di essere smentito eventualmente nel prosieguo, per carità, ma adesso la mia impressione non è del tutto favorevole.

Non voglio nemmeno cadere in esagerazioni talebane, ma la presenza dei cattivi che più cattivi non si può, classica del fantasy scritto con lo stampino, fa capolino in questo libro mentre non s'era vista nei racconti, e lo fa con i terribili Nilfgaardiani che sono il classico Male di stampo manicheo. Anche questo elemento, temo, rischia di spingere la trama in uno schema abusato all'infinito. Sperando di sbagliare, leggerò il seguito, purche non raggiunga la mole delle saghe infinite alla Robert Jordan...


6 commenti:

  1. Come ti dicevo, questo libro non mi ha fatto la stessa buona impressione rispetto alle due antologie precedenti

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  2. Curiosamente, io oggi ho parlato proprio di Jordan!

    Quanto a Sapkowski, ammetto di aver letto solo il primo libro. Il suo stile mi piace molto, anche se in un primo momento sono rimasto disorientato dai suoi dialoghi duellanti (il primo racconto che ho letto è stato "Una questione di prezzo"). Mi piace molto anche il modo in cui utilizza il folklore nelle sue storie, che spero non vada calando. Anzi, mi è proprio venuta voglia di riprendere la seconda raccolta, che ho già da parte. Comunque è vero, il cattivo nei racconti non è certo il Tenebroso riproposto fino all'esasperazione dalla fantasy convenzionale post-tolkieniana. Anzi, raramente è il mostro - spesso vittima di pregiudizi e soggetto a un capovolgimento di prospettiva.

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  3. @ Salomon: temo di doverti dire che, sebbene il libro si faccia leggere, i racconti sono meglio

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  4. Metto le mani avanti: la mia è più una domanda che una critica, dato che non ho gli strumenti per analizzare lo stile di un autore e non mi piace sparare a zero tanto per fare, però... io Sapkowski l'ho letto e fino a un certo punto me lo sono goduto, ma, racconti o romanzi, alla fine mi lascia con una strana insoddisfazione. Ha delle belle idee, lo stile è piacevole, ma in qualche modo sembra uno che ha scoperto adesso l'acqua calda. A dire il vero questa sensazione me la danno anche altri autori, tipo Lukianenko. Sembrano quei gruppi russi che nel decennio scorso facevano rock 'n roll. Bravi, ma è come se vivessero in un mondo parallelo in cui queste cose erano ancora attuali. Non avevano niente di sbagliato, solo una strana forma di ingenuità, ma al tempo stesso una profondità derivante dalla diversa estrazione culturale e probabilmente dalla spinta motivazionale.
    Ecco, magari il paragone è fuorviante, ma la sensazione è quella. Qualcuno mi sa spiegare se lo stile o i contenuti di Sapkowski giustificano in qualche modo questa impressione o se è del tutto personale e campata in aria?

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  5. @ Enrico Penaglia: forse gli slavi che erano nel il blocco sovietico fino a un po' di tempo fa non sapevano nulla del fantasy "alla occidentale," non sapevano di Conan o di Elric o dei vampiri, e hanno quindi con meraviglia e con piacere seguito il solco di autori che per noi sono magari anche un po' scontati?

    Diciamo la verità, non ne ho idea. Luk'janenko e Sapkowski mi piacciono entrambi e se forse imitano degli stili per noi ben conosciuti, non mi sembrano scimmiottare le tematiche, piuttosto se le ricreano a modo loro e magari con una certa profondità inaspettata. Vedi ad esempio il discorso sul bene e il male di Luk'janenko coi suoi "guardiani."


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