Speriamo che l'anno prossimo sia buono, visto che il 2012, a parte l'apocalisse che è mancata, non è andato proprio per il meglio, anche per ragioni familiari e personali. Buoni propositi? Per quanto mi riguarda spero di riuscire a dedicare più tempo alla lettura e a scrivere. Devo ammettere che le cose negli ultimi tempi non sono andate come speravo. E sono stato dispersivo.
Avevo diversi progetti in ballo, ma alcuni come il "famoso" romanzo Magia e Sangue sono fermi per sfiducia (dopo aver proposto ad alcune case editrici, e partecipato a qualche concorso andando in finale ma mancando la pubblicazione che era il premio, mi son stufato). E poi non mi soddisfa più, penso che vada riscritto (per l'ennesima volta...).
Nel frattempo ho messo altra carne al fuoco. Gli articoli che ogni tanto scrivo nel blog su donne al potere, donne guerriere, ecc... si stanno evolvendo in un progetto grosso, che però necessita di tempo per realizzarsi.
Un altra delle mie idee, raccogliere le critiche a Tolkien e discuterle (per critiche intendo quelle assolutamente negative sul grande scrittore inglese) l'ho portata avanti con entusiasmo per un certo periodo ma non è stato semplice procurarsi il materiale (alcuni sono saggi comparsi 20 anni fa e mai ristampati, altre critiche sono cmoparse in riviste e pubblicazioni minori e via dicendo). Nella mia tabella di marcia era una cosa che dovevo far fuori mesi fa, ma non è andata così. Insomma vorrei portare a termine il lavoro, ma non sarà semplice.
Poi m'è venuta l'idea di ripescare Khaibit, il racconto che aveva partecipato (non passando la selezione) al concorso per l'antologia Sanctuary, e di trasformarlo in un libro. Obiettivo riuscito, diciamo, nel senso che il testo è scritto, e ora c'è il lungo lavoro di revisione. Sono in ballo.
Poi c'è il mio gioco, che un sacco di tempo fa diedi come cosa fatta e pubblicazione pronta, visto che era perfino pronta la scatola. Oh gaudio, niente da fare, per una serie di vicissitudini non si potrà farne nulla. Ebbene, il mio proposito per il 2013 è di rendere disponibile al pubblico (non necessariamente a pagamento, che farsi pagare è fatica improba di questi tempi) ALMENO uno dei miei progetti. Ci riuscirò?
domenica 30 dicembre 2012
giovedì 27 dicembre 2012
E' morto Gerry Anderson
Gerry Anderson, da tempo malato, non c'è più. Per chi ha seguito con passione la serie UFO tanti anni fa, un produttore leggendario, anche considerando che non era certo un'epoca in cui si potesse fare gran che al cinema o alla TV, con i mezzi tecnici di allora.
Per questo molti non potranno contestualizzare, e capire che ruolo da precursore egli abbia avuto.
Per questo molti non potranno contestualizzare, e capire che ruolo da precursore egli abbia avuto.
Looper
Joe Simmons (interpretato da Joseph Gordon-Levitt) è un killer che si troverà a dover affrontare se stesso più vecchio di 30 anni (nei panni di Bruce Willis), in un bizzarro e paradossale film di fantascienza.
Looper è un film che inizia con un po' di scene che devono spiegare le premesse: in futuro verrà inventato il viaggio nel tempo ma sarà strettamente proibito. I criminali lo useranno per eliminare le vittime, poiché sarà un mondo in cui per qualche motivo eliminare un cadavere è diventato impossibile; esiste inoltre un limitato potere di telecinesi; e infine i killer, che appartengono al passato, si chiamano "looper," essi uccidono in certi orari le vittime e le fanno sparire: queste compaiono a un orario determinato in un posto deserto, si beccano una bella fucilata prima di poter reagire (sono legate) e vengono bruciate. Fino a che i killer uccidono sé stessi, perché dopo una trentina di anni il looper viene eliminato (e quindi si chiude il cerchio, ovvero si chiude il loop: da qui il nome). C'è anche un boss mandato dal futuro, Abe (Jeff Daniels) a controllare che le cose vadano liscie. Ma cosa succede se uno di questi auto-ammazzamenti non va a buon fine? Il vecchio killer che deve essere eliminato non potrebe avere da ridire sul passato che lo ha condotto fino a quel punto? E cosa fa il "se stesso" di 30 anni più giovane, che ha mancato la missione?
Infodump? Ma va bene lo stesso, viene presentato in maniera accettabile con un po' di sequenze iniziali dove abbiamo una voce fuori campo. Ma perché la mafia deve eliminare i suoi killer? Perché creare un elemento così distruttivo e un ovvio motivo di ribellione? Nessuna spiegazione e io sono di vecchia generazione, faccio fatica a godermi un film quando c'è una sciocchezza nelle premesse. Tanto più che vi è un limite ben preciso, questi killer sanno che dopo 30 anni verranno eliminati a loro volta, mi vien proprio da pensare che all'avvicinarsi della data non vorranno farsi eliminare. Insomma, un'ambientazione che mi lascia dei dubbi.
Si possono immaginare mille situazioni strane e in effetti qualcuna che ne sarà. Ad esempio Joe incontrerà se stesso. Però il film sarà incentrato su una missione relativamente semplice per il vecchio Joe e la sua versione giovane, non anticipo, ma la presenza di Bruce Willis nel cast e il tipo di trama mi fanno pensare a una "versione diversa" di L'Esercito delle Dodici Scimmie, una dove l'eroe può veramente cambiare il futuro con le proprie azioni.
Ovviamente questo rende la trama anche più incasinata perché ciò che si fa nel passato può modificare il futuro (e la prospettiva di chi è tornato indietro). Uno degli artifici introdotti in Looper è la memoria difettosa di Joe versione vecchia che può ricordare con certezza le cose solo dopo che sono avvenute: prima sono solo delle "possibilità" che non si svelano chiaramente a lui.
Un film di difficili scelte, di atmosfere tristi in un mondo che va a pezzi, di crudeltà ma anche di vite da salvare, d'azione ma con momenti riflessivi e situazioni paradossali. Un colpo di scena finale che va a corteggiare i classici paradossi sui viaggi nel tempo. Degna di menzione l'interpretazione di Emily Blunt nei panni di una donna che vive isolata in una fattoria ed è coinvolta nel destino dei due Joe; di Rian Johnson, che è regista e anche sceneggiatore, direi che ha sviluppato male un'idea potenzialmente buona. C'è anche Paul Dano, quello di Ruby Sparks (recensito qualche giorno fa qui su Mondi Immaginari).
Non ce la faccio a dire che Looper sia un gran film ma si fa guardare e ha qualche momento interessante, nonostante le premesse facciano un po' a pugni con la logica.
Looper è un film che inizia con un po' di scene che devono spiegare le premesse: in futuro verrà inventato il viaggio nel tempo ma sarà strettamente proibito. I criminali lo useranno per eliminare le vittime, poiché sarà un mondo in cui per qualche motivo eliminare un cadavere è diventato impossibile; esiste inoltre un limitato potere di telecinesi; e infine i killer, che appartengono al passato, si chiamano "looper," essi uccidono in certi orari le vittime e le fanno sparire: queste compaiono a un orario determinato in un posto deserto, si beccano una bella fucilata prima di poter reagire (sono legate) e vengono bruciate. Fino a che i killer uccidono sé stessi, perché dopo una trentina di anni il looper viene eliminato (e quindi si chiude il cerchio, ovvero si chiude il loop: da qui il nome). C'è anche un boss mandato dal futuro, Abe (Jeff Daniels) a controllare che le cose vadano liscie. Ma cosa succede se uno di questi auto-ammazzamenti non va a buon fine? Il vecchio killer che deve essere eliminato non potrebe avere da ridire sul passato che lo ha condotto fino a quel punto? E cosa fa il "se stesso" di 30 anni più giovane, che ha mancato la missione?
Infodump? Ma va bene lo stesso, viene presentato in maniera accettabile con un po' di sequenze iniziali dove abbiamo una voce fuori campo. Ma perché la mafia deve eliminare i suoi killer? Perché creare un elemento così distruttivo e un ovvio motivo di ribellione? Nessuna spiegazione e io sono di vecchia generazione, faccio fatica a godermi un film quando c'è una sciocchezza nelle premesse. Tanto più che vi è un limite ben preciso, questi killer sanno che dopo 30 anni verranno eliminati a loro volta, mi vien proprio da pensare che all'avvicinarsi della data non vorranno farsi eliminare. Insomma, un'ambientazione che mi lascia dei dubbi.
Si possono immaginare mille situazioni strane e in effetti qualcuna che ne sarà. Ad esempio Joe incontrerà se stesso. Però il film sarà incentrato su una missione relativamente semplice per il vecchio Joe e la sua versione giovane, non anticipo, ma la presenza di Bruce Willis nel cast e il tipo di trama mi fanno pensare a una "versione diversa" di L'Esercito delle Dodici Scimmie, una dove l'eroe può veramente cambiare il futuro con le proprie azioni.
Ovviamente questo rende la trama anche più incasinata perché ciò che si fa nel passato può modificare il futuro (e la prospettiva di chi è tornato indietro). Uno degli artifici introdotti in Looper è la memoria difettosa di Joe versione vecchia che può ricordare con certezza le cose solo dopo che sono avvenute: prima sono solo delle "possibilità" che non si svelano chiaramente a lui.
Un film di difficili scelte, di atmosfere tristi in un mondo che va a pezzi, di crudeltà ma anche di vite da salvare, d'azione ma con momenti riflessivi e situazioni paradossali. Un colpo di scena finale che va a corteggiare i classici paradossi sui viaggi nel tempo. Degna di menzione l'interpretazione di Emily Blunt nei panni di una donna che vive isolata in una fattoria ed è coinvolta nel destino dei due Joe; di Rian Johnson, che è regista e anche sceneggiatore, direi che ha sviluppato male un'idea potenzialmente buona. C'è anche Paul Dano, quello di Ruby Sparks (recensito qualche giorno fa qui su Mondi Immaginari).
Non ce la faccio a dire che Looper sia un gran film ma si fa guardare e ha qualche momento interessante, nonostante le premesse facciano un po' a pugni con la logica.
sabato 22 dicembre 2012
Safety not Guaranteed
Safety not Guaranteed è uno strano film di fantascienza che parla di viaggi nel tempo. Un film fatto con pochissimi soldi ma una certa originalità. Parte dalla storia di Darius, ragazza solitaria e un po' triste, che vive col padre dopo la morte della madre e (dopo gli studi) lavora come stagista malpagata presso un giornale di Seattle. In una riunione di redazione il giornalista Jeff coglie una possibile notizia da sviluppare in un annuncio di giornale dove uno sconosciuto cerca un accompagnatore per un viaggio nel tempo, specificando che il candidato dovrà portarsi le proprie armi e che, poiché in passato il viaggio è stato fatto una volta sola, "la sicurezza non è garantita."
Per Jeff c'è la possibilità di indagare sul personaggio che ha messo l'annuncio e fare un articolo divertente, una piccola indagine. Ottiene l'incarico e si porta dietro due stagisti, Darius e l'indiano Arnau, studente timido e impacciato.
In verità Jeff è interessato all'articolo solo in parte: vuole anche ritrovare una vecchia fiamma che vive nella località in cui ha origine l'annuncio, e farsi una vacanza pagata dal giornale. Presto, anche con l'aiuto di Darius, si scopre che il personaggio dell'annuncio, Kenneth, è un commesso di negozio forse poco stimato dai suoi colleghi e capi, e apparentemente un po' strano. Non un rincretinito, ma qualcuno con convinzioni tutte sue per la testa. Jeff lo incontra e fallisce l'approccio miseramente, ma Darius riesce a conquistare la fiducia di Kenneth e a candidarsi per il viaggio nel tempo.
Kenneth comincia a preparare l'avventura, e Darius scopre che nutre forti apprensioni su spie e agenti governativi che lo terrebbero d'occhio, mentre Jeff cerca la ragazza dei tempi che furono. Riesce a vederla da lontano, dapprima la trova invecchiata male ma fa in modo di incontrarla. Quanto ad Arnau, la sua evidente timidezza è l'argomento di continue prese in giro da parte di Jeff, che però cerca anche di aiutarlo a uscirne fuori.
Tutti i personaggi hanno dei rimpianti in un avvenimento del passato o nel tempo perduto, o nella gioventù che non durerà in eterno, ed è questa, senza anticipare altro, la vera tematica del film, che avrà qualche svolta imprevista nel seguito (Kenneth ha davvero le conoscenze per creare una macchina capace di fare il viaggio nel tempo? E riuscirà a usarla? Davvero ci sono spie che lo tengono d'occhio?).
Due parole sul cast. Il regista, Colin Trevorrow, mi è completamente ignoto, gli attori pure, ma hanno un minimo di curriculum alle spalle: Jake Johnson è protagonista della serie TV New Girl con Zooey Deschanel e qui interpreta Jeff, il giornalista; Aubrey Plaza (Darius, la stagista) ha avuto un certo successo in una serie TV, Mark Duplass (Kenneth) è attore, produttore e sceneggiatore. E poi c'è Karan Soni nel ruolo di Arnau, lo stagista indiano. Tutti bravi e ben calati nei ruoli.
Giudizio finale? Carino, accattivante e curioso, davvero ben realizzato (con una somma che, per gli standard USA è praticamente ridicola). Una sorpresa di film.
Per Jeff c'è la possibilità di indagare sul personaggio che ha messo l'annuncio e fare un articolo divertente, una piccola indagine. Ottiene l'incarico e si porta dietro due stagisti, Darius e l'indiano Arnau, studente timido e impacciato.
In verità Jeff è interessato all'articolo solo in parte: vuole anche ritrovare una vecchia fiamma che vive nella località in cui ha origine l'annuncio, e farsi una vacanza pagata dal giornale. Presto, anche con l'aiuto di Darius, si scopre che il personaggio dell'annuncio, Kenneth, è un commesso di negozio forse poco stimato dai suoi colleghi e capi, e apparentemente un po' strano. Non un rincretinito, ma qualcuno con convinzioni tutte sue per la testa. Jeff lo incontra e fallisce l'approccio miseramente, ma Darius riesce a conquistare la fiducia di Kenneth e a candidarsi per il viaggio nel tempo.
Kenneth comincia a preparare l'avventura, e Darius scopre che nutre forti apprensioni su spie e agenti governativi che lo terrebbero d'occhio, mentre Jeff cerca la ragazza dei tempi che furono. Riesce a vederla da lontano, dapprima la trova invecchiata male ma fa in modo di incontrarla. Quanto ad Arnau, la sua evidente timidezza è l'argomento di continue prese in giro da parte di Jeff, che però cerca anche di aiutarlo a uscirne fuori.
Tutti i personaggi hanno dei rimpianti in un avvenimento del passato o nel tempo perduto, o nella gioventù che non durerà in eterno, ed è questa, senza anticipare altro, la vera tematica del film, che avrà qualche svolta imprevista nel seguito (Kenneth ha davvero le conoscenze per creare una macchina capace di fare il viaggio nel tempo? E riuscirà a usarla? Davvero ci sono spie che lo tengono d'occhio?).
Due parole sul cast. Il regista, Colin Trevorrow, mi è completamente ignoto, gli attori pure, ma hanno un minimo di curriculum alle spalle: Jake Johnson è protagonista della serie TV New Girl con Zooey Deschanel e qui interpreta Jeff, il giornalista; Aubrey Plaza (Darius, la stagista) ha avuto un certo successo in una serie TV, Mark Duplass (Kenneth) è attore, produttore e sceneggiatore. E poi c'è Karan Soni nel ruolo di Arnau, lo stagista indiano. Tutti bravi e ben calati nei ruoli.
Giudizio finale? Carino, accattivante e curioso, davvero ben realizzato (con una somma che, per gli standard USA è praticamente ridicola). Una sorpresa di film.
mercoledì 19 dicembre 2012
Le Città nelle Nuvole
Geoffrey A. Landis è uno scrittore di fantascienza di quelli con solidissime basi scientifiche, essendo come principale mestiere un ricercatore della NASA. Questo The Sultan of the Clouds, in italiano Le Città nelle Nuvole, edito da Delos Books, è un romanzo fin troppo breve che s'incentra sull'idea di colonizzare il pianeta Venere in una maniera assolutamente originale.
L'idea mi aveva fatto sorridere all'inizio: pensando a Venere viene subito in mente un pianeta bollente, ricco di gas velenosi e irrespirabili, insomma un posto inevitabilmente precluso alla presenza umana. L'idea di Landis è di enormi città dirigibile, per così dire, città gallegganti negli strati più alti dell'atmosfera, dove la vita (secondo lui... io non mi pronuncio) può svolgersi relativamente senza problemi. Ovviamente, però, l'atmosfera resta velenosa. Non si tratta di un libro scritto quando si sapeva poco o nulla dell'universo, anzi è recentisse, perciò se lo dice Landis che è un addetto ai lavori magari c'è qualcosa di praticabile nell'idea. Ma perché si debba andare su un pianeta dove sfruttare il suolo sarebbe improponibile e per coltivare il proprio giardino volante si dovrebbe portare la terra fertile da un altro luogo? Questi restano dubbi che il libro non risolve.
Ad ogni modo nell'ambientazione di questo libro la colonizzazione dello spazio, pur costosissima e fallimentare per molti di quelli che ci hanno provato, è in atto da parecchio tempo, ma solo alcune grandi famiglie ne hanno tratto beneficio.
In questo scenario abbiamo un tecnico che viaggia assieme a una scienziata verso il pianeta: lei ha ricevuto un invito da un giovanissimo rampollo di una di queste famiglie possidenti... così i due scoprono questo meraviglioso mondo di città sospese nell'aria. Tra le curiose scoperte che ci sono da fare su Venere abbiamo anche il matrimonio a treccia, una specie di cerniera generazionale dove ci si sposa due volte: la prima da ragazzini, con una persona matura, la seconda nella maturità, con una persona assai giovane. In questo modo (salvo incidenti!) una matrimonio dura in eterno. Il protagonista comunque ha poco da divertirsi: scopre presto che esiste una minaccia assai seria...
Il libro è brevissimo, più un racconto leggermente gonfiato che un romanzo. Perciò c'è poca sostanza per dare spessore alle idee, come se a Landis interessasse più che altro mettere una cornice di umanità in movimento attorno alla sua idea di città più leggere dell'aria. Comunque è una lettura piacevole: se questo breve esempio può esser preso a prova, Landis si rivela più abile come scrittore di certi mostri sacri che se la cavavano più con l'arido linguaggio scientifico che con personaggi e trama.
L'idea mi aveva fatto sorridere all'inizio: pensando a Venere viene subito in mente un pianeta bollente, ricco di gas velenosi e irrespirabili, insomma un posto inevitabilmente precluso alla presenza umana. L'idea di Landis è di enormi città dirigibile, per così dire, città gallegganti negli strati più alti dell'atmosfera, dove la vita (secondo lui... io non mi pronuncio) può svolgersi relativamente senza problemi. Ovviamente, però, l'atmosfera resta velenosa. Non si tratta di un libro scritto quando si sapeva poco o nulla dell'universo, anzi è recentisse, perciò se lo dice Landis che è un addetto ai lavori magari c'è qualcosa di praticabile nell'idea. Ma perché si debba andare su un pianeta dove sfruttare il suolo sarebbe improponibile e per coltivare il proprio giardino volante si dovrebbe portare la terra fertile da un altro luogo? Questi restano dubbi che il libro non risolve.
Ad ogni modo nell'ambientazione di questo libro la colonizzazione dello spazio, pur costosissima e fallimentare per molti di quelli che ci hanno provato, è in atto da parecchio tempo, ma solo alcune grandi famiglie ne hanno tratto beneficio.
In questo scenario abbiamo un tecnico che viaggia assieme a una scienziata verso il pianeta: lei ha ricevuto un invito da un giovanissimo rampollo di una di queste famiglie possidenti... così i due scoprono questo meraviglioso mondo di città sospese nell'aria. Tra le curiose scoperte che ci sono da fare su Venere abbiamo anche il matrimonio a treccia, una specie di cerniera generazionale dove ci si sposa due volte: la prima da ragazzini, con una persona matura, la seconda nella maturità, con una persona assai giovane. In questo modo (salvo incidenti!) una matrimonio dura in eterno. Il protagonista comunque ha poco da divertirsi: scopre presto che esiste una minaccia assai seria...
Il libro è brevissimo, più un racconto leggermente gonfiato che un romanzo. Perciò c'è poca sostanza per dare spessore alle idee, come se a Landis interessasse più che altro mettere una cornice di umanità in movimento attorno alla sua idea di città più leggere dell'aria. Comunque è una lettura piacevole: se questo breve esempio può esser preso a prova, Landis si rivela più abile come scrittore di certi mostri sacri che se la cavavano più con l'arido linguaggio scientifico che con personaggi e trama.
sabato 15 dicembre 2012
China Miéville parla di Fantascienza e Fantasy
Segnalo questo video dove parla lo scrittore China Miéville riguardo al fantastico, e critica l'opinione di alcuni riguardo alla fantascienza, che sarebbe "più intelligente" del fantasy.
L'inglese leggo e lo scrivo (male) ma non sono molto anglofono quindi non ci capirò un gran che. Mi consola che, pare, questa strana malattia (gli appassionati di fantascienza duri-e-puri che si sentono in dovere di disprezzare il fantasy) non esista solo da noi. Se siete anglofoni, guardate un po'...
Io personalmente trovo certe divisioni veramente ridicole. E ovviamente amo sia la fantascienza che il fantasy.
L'inglese leggo e lo scrivo (male) ma non sono molto anglofono quindi non ci capirò un gran che. Mi consola che, pare, questa strana malattia (gli appassionati di fantascienza duri-e-puri che si sentono in dovere di disprezzare il fantasy) non esista solo da noi. Se siete anglofoni, guardate un po'...
Io personalmente trovo certe divisioni veramente ridicole. E ovviamente amo sia la fantascienza che il fantasy.
giovedì 13 dicembre 2012
Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato
Me lo sono visto a due dimensioni perché quasi 3 ore di occhialini mi preoccupavano un po'. Magari ho perso qualcosa a livello di profondità delle visuali... Il problema principale però è stato che il film a tratti diventa noioso. Lo stile e le immagini che mi avevano sicuramente suggestionato a suo tempo con la trilogia del Signore degli Anelli adesso non riescono ad accendere in me lo stesso interesse, e la storia procede a un passo terribilmente lento.
Ho paura che l'avidità di trarre una trilogia di sicuro successo (prevedibilmente...) da un materiale piuttosto scarno all'origine abbia tirato qualche brutto scherzo alla produzione. Del resto se coloro che vanno al cinema sperando solo in un bel film possono essere un po' delusi, non è che gli appassionati di Tokien saranno entusiasti di certe licenze di Peter Jackson con la storia e con l'apparenza dei suoi nani (alcuni decisamente troppo bellocci e qualcuno troppo "umano," per quanto ci siano anche qui i momenti in cui vengono fatti bersagli del ridicolo, come era successo a Gimli nella trilogia del SdA).
Martin Freeman nei panni di Bilbo Baggins e Ian McKellen in quelli di Gandalf aiutano a rendere questo primo Hobbit abbastanza piacevole; ho gradito che, per varie parti non principali, siano stati ripresi gli attori della vecchia trilogia (Elrond interpretato ancora da Hugo Weaving, Galadriel da Cate Blanchett, Saruman da Christopher Lee).
Orchi, lupi mannari e Troll sono ben riusciti, gli orchi in particolare più convincenti che nella precedente trilogia. Paesaggi neozelandesi... tutta roba che già sapete.
Stranissimo, ma non ho molto da dire su questo film.
Alla fine, dopo tanta attesa, la visione è stata abbastanza anticlimatica. Forse era il caso di stringere The Hobbit in un solo film? Chi lo sa. Penso comunque che fra un annetto, quando uscirà il secondo della serie, non oserò mancare.
Ho paura che l'avidità di trarre una trilogia di sicuro successo (prevedibilmente...) da un materiale piuttosto scarno all'origine abbia tirato qualche brutto scherzo alla produzione. Del resto se coloro che vanno al cinema sperando solo in un bel film possono essere un po' delusi, non è che gli appassionati di Tokien saranno entusiasti di certe licenze di Peter Jackson con la storia e con l'apparenza dei suoi nani (alcuni decisamente troppo bellocci e qualcuno troppo "umano," per quanto ci siano anche qui i momenti in cui vengono fatti bersagli del ridicolo, come era successo a Gimli nella trilogia del SdA).
Martin Freeman nei panni di Bilbo Baggins e Ian McKellen in quelli di Gandalf aiutano a rendere questo primo Hobbit abbastanza piacevole; ho gradito che, per varie parti non principali, siano stati ripresi gli attori della vecchia trilogia (Elrond interpretato ancora da Hugo Weaving, Galadriel da Cate Blanchett, Saruman da Christopher Lee).
Orchi, lupi mannari e Troll sono ben riusciti, gli orchi in particolare più convincenti che nella precedente trilogia. Paesaggi neozelandesi... tutta roba che già sapete.
Stranissimo, ma non ho molto da dire su questo film.
Alla fine, dopo tanta attesa, la visione è stata abbastanza anticlimatica. Forse era il caso di stringere The Hobbit in un solo film? Chi lo sa. Penso comunque che fra un annetto, quando uscirà il secondo della serie, non oserò mancare.
lunedì 10 dicembre 2012
Ruby Sparks
Una commediola romantica su uno scrittore giovane,
di successo, ma solitario e insoddisfatto. Bene, mi chiederete, cosa c’è di attinente al
fantastico? Il fatto che questo scrittore, Calvin (Paul Dano), in un
momento di crisi d’ispirazione ed esistenziale comincia a scrivere della ragazza dei
suoi sogni (non una bellona, ma una tipa simpatica, eccentrica e piena
di vita) e questa un bel giorno compare in carne e ossa. Il nostro
scrittore cerca di ignorarla, cerca aiuto dallo psicanalista perché
crede di essere diventato pazzo, ma si accorge che anche gli altri
la vedono. Solo il fratello, Harry (Chris Messina), sa della
vera natura di Ruby, ovvero che questa misteriosa ragazza (che è interpretata da
Zoe Kazan, nella vita reale legata sentimentalmente a Paul Dano) è nata dalla fantasia di Calvin. La sceneggiatura è sempre di Zoe. Insomma, lei ha immaginato che il suo fidanzato nella vita reale fosse uno scrittore intento a immaginare la ragazza delle proprie fantasie, che poi sarebbe proprio lei, fino a farle prendere vita, e a quel punto l'ha interpretata sullo schermo: bizzarro, eh?
Sembra comunque che sia risolto ogni problema esistenziale del nostro Calvin. Si
rende conto che ogni volta che scrive di lei può influenzare il suo
comportamento, il fratello vorrebbe che lo facesse, ma per Calvin va tutto bene e preferisce non farlo.
Cominciano
i guai quando Calvin va a visitare sua madre che convive con un nuovo
partner (interpretato da Antonio Banderas): si vede quanto lui sia
impacciato e non voglia rapportarsi alla sua famiglia, mentre Ruby cerca
di fare tutto il possibile per andare d’accordo e farlo ritornare in sintonia con sua madre.
Presto Calvin si accorge che la ragazza ha in effetti una
propria mente e prende delle decisioni di testa propria: non necessariamente con lui
all’epicentro di tutto. Alla fine è chiaro che Ruby vuole altre esperienze, non vuole sempre dormire a casa sua, insomma Calvin sta per perderla: quindi
deciderà di tornare al misterioso manoscritto per aggiungere una riga e
cambiare la situazione. Ma è giusto farlo? E quali saranno le
conseguenze?
Commedia leggera con un
finale ottimista (che preferisco non rivelare qui), con momenti
piacevoli, e qualche spunto interessante e degno di riflessione (ad
esempio: quanto sforzo è giusto mettere nella creazione di un
personaggio o di un mondo immaginario?).
Il richiamo al mito di Pigmalione, ovviamente, non è casuale. Ma qui è diverso: non è detto che, se un uomo può creare la donna dei propri sogni, lui sia... l'uomo dei sogni di lei.
venerdì 7 dicembre 2012
Off Topic: Cross of Iron
(a broken english translation will follow)
Questo libro "dovevo" prima o poi leggerlo perché ha ispirato un grande film di guerra (Cross of Iron) diretto da un grandissimo regista (Sam Peckinpah).
L'autore è Willi Heinrich, un ufficiale tedesco divenuto scrittore dopo l'ultimo conflitto mondiale (è morto alcuni anni fa). Le sue esperienze belliche sono alla base della storia narrata, e alcuni dei fatti e dei protagonisti del libro sono basati su situazioni e personaggi veramente esistiti.
Il titolo del libro è diventato Cross of Iron nelle ristampe dopo il successo del film, il titolo in origine era Das Geduldige Fleisch ovvero "La carne paziente" e in effetti in italiano esiste un'edizione con quel titolo. Io ho letto dall'inglese il moderno Cross of Iron (ed. Cassell) dove so che i nomi di alcuni protagonisti differiscono dall'originale libro tedesco. L'articolo italiano nella Wikipedia consultato oggi afferma nelle note che nel libro, diversamente dal film, il principale protagonista (Rolf Steiner) fosse stato degradato per essersi rifiutato di sparare su dei civili: non è così nella versione che ho letto io e mi domando se l'edizione italiana sia stata a suo tempo rimaneggiata, o se magari fosse fedele all'originale tedesco più della versione inglese che ho letto.
A parte questi dubbi, il libro è meno fitto di combattimenti rispetto al film, e certamente meno spettacolare nelle scene di scontri che descrive: a volte i combattimenti si risolvono in maniera piuttosto sbrigativa, anche se non mancano scene di battaglia estremamente vivide e situazioni drammatiche piuttosto prolungate. E' descrittivo, talvolta intimista, denso e abbastanza lungo: 478 pagine in inglese, sarebbero oltre 500 in italiano. La storia ha una certa coralità perché passa dal punto di vista di tutti i personaggi, ma è un coro che si spegne piano piano, a mano a mano che gli uomini muoiono in battaglia. La trama narra le vicissitudini di un battaglione di fanteria tedesco, coinvolto nella ritirata seguita alla sconfitta di Stalingrado. Una lotta senza quartiere dove i tedeschi, consapevoli del disastro che hanno subito e ormai demoralizzati, sono spinti dal nemico baldanzoso in una sacca, la penisola del Kuban (parte occidentale del Caucaso, che vedete tratteggiata nella mappa in giallo) e rimangono isolati dal resto dell'esercito tedesco, con il mare alle spalle. (Particolare storico: Hitler decise di tenere quella testa di ponte nel Caucaso nell'illusione di contrattaccare in seguito, in verità sarebbe stato possibile ritirare le truppe). Mentre il disastro si svolge, abbiamo il plotone del sottufficiale Steiner intento in varie imprese (sia per salvare la pelle sia per tenere la linea, che per compiere contrattacchi folli), mentre i comandanti si macerano nel senso di colpa di protrarre un'agonia che non può portare a nessun risultato e altri personaggi disonesti cercano medaglie e gloria, ma senza avere le capacità o il coraggio per procurarsele, oppure tramano per ottenere trasferimenti nella gaia Parigi.
Tra idiosincrasie personali, pericoli micidiali, destino comunque segnato, seguiremo la lotta per la vita del plotone di Steiner e le vicissitudini di altri personaggi. Il film certamente è più emozionante e meglio riuscito (almeno secondo me), tuttavia questo libro è un classico della narrativa di ambientazione militare.
Il film e il libro.
Da qui in avanti parlerò delle similitudini e differenze tra libro e film, facendo necessariamente anticipazioni sulla trama di entrambi (se non avete visto il film tanto vale che interrompiate qui la vostra lettura).
Per prima cosa c'è da notare che i personaggi principali nel film ci sono tutti, ma non necessariamente fedeli al libro. La storia ricalca le medesime tematiche ma è in parte differene, in parte "montata" in un ordine diverso nel film. Il colonnello Brandt nel film ha un aspetto rassicurante ed è paterno e umano, per quanto possibile, mentre nel libro è un uomo teso e tirato, estremamente cinico e disincantato, consapevole di svolgere un ruolo che condanna degli uomini a morire inutilmente e lucido nel vedere la propria esistenza priva di senso. Il suo aiutante, il capitano Kiesel, che nel film è completamente disfattista, sempre intento a bere o a fumare, e dall'aspetto sciatto e stropicciato, al contrario nel libro viene presentato come un personaggio più controllato, efficiente, che condivide alcuni dei sentimenti del suo capo ma non li vuole portare fino alle estreme conseguenze: anzi talvolta lo schietto disfattismo di Brandt lo mette un po' a disagio. Il capitano Stransky, l'avversario di Steiner, nel film ha una certa dimensione che riscatta la sua inettitudine, mentre è assai più debole e forse meno riuscito nel libro. Non anticipo la maniera in cui esce di scena, limitandomi a dire che il finale del film, per quanto confusionario, è molto meglio riuscito del finale di questo libro.
Steiner (più giovane di James Coburn quando lo ha portato sullo schermo) è meno infallibile e i suoi uomini sono meno efficaci (nel film sembrano quasi un commando). In alcune azioni Steiner si rivela poco zelante e le porta a termine solo per non fare brutta figura, commette errori, e soprattutto verso i suoi uomini è piuttosto duro e aggressivo, molto più che nel film, anche se con alcuni di loro sviluppa comunque un'amicizia profonda. Ne fa fuori uno, però, colpevole di aver messo tutti gli altri nei guai, e lo fa in maniera piuttosto cinica.
La sua idiosincrasia è in parte dovuta a un incidente dal sapore piuttosto... letterario (la fidanzata che prima della guerra muore in montagna per un incidente, e lui che la vede morire senza poter fare niente). L'ostilità di Steiner verso gli ufficiali (e la famosa scena in cui evita di rovinare Stransky perché vuol vedersela personalmente coi suoi nemici senza approfittare della benevolenza del comando di battaglione) nel libro non mancano, ma il sergente ha paura delle parole che ha pronunciato, e in seguito è tentato di chiedere scusa. Tutto sommato un personaggio meno mitico, molto più umano: comunque mantiene un aspetto enigmatico come nel film. La sfida con Stransky è il filo conduttore principale, ma si svolge (e termina) in modo molto diverso. Personalmente il libro mi è piaciuto ma il film... molto di più.
Cross of Iron
I had to read this book sooner or later, because it inspired a great war movie (Cross of Iron) directed by the great Sam Peckinpah.
The author is Willi Heinrich, a German officer who became a writer after the Second World War (he died a few years ago). His war experiences are the basis of the story, and some of the events and characters of the book are based on real situations and people.
The title of the book became Cross of Iron in reprints after the film's success, the title was originally Das Fleisch Geduldige or "The Willing Flesh" in the first editions. I have read the modern English Cross of Iron (Cassell) where as far as I know the names of some characters differ from the original German book. Notes in the italian Wikipedia article I read today say that the main protagonist (Rolf Steiner) was demoted, in the book, for refusing to fire on civilians: this fact doesn't appear in the version I read: I wonder if the Italian edition was edited, or maybe if it was more faithful to the original German than the English version I read.
Apart from these considerations, the book devotes less space to the combat compared to the film, and certainly is less spectacular in the battle scenes it describes: sometimes the fights are resolved in a quick dismissive way. But there are a couple of battle scenes extremely vivid, and tension and drama. The book is descriptive, sometimes intimate, pregnant and quite long: 478 pages in the English version. The story has a certain choral feel as it passes from the point of view of all the characters, but it's a chorus that goes off slowly, gradually, as men die in battle. The plot tells the vicissitudes of a German infantry battalion involved in the retreat after the defeat at Stalingrad. A terrible struggle where the Germans, saddened by the disaster they have suffered and demoralized, are driven by a bold enemy in a pocket, the Kuban peninsula (western part of the Caucasus, which you see on the map in yellow) where they remain isolated from the rest the German army, with the sea behind them. (Historical hint: Hitler decided to keep the bridgehead in the Caucasus dreaming of a later counteroffensive, whereas he could have managed to withdraw the troops). While the disaster takes place, we have sergeant Steiner' platoon intent in various actions (to save their own skins, to defend the front line, to make insane counterattacks), while the commanders macerate in guilt because they have to prolong agony that can not lead to any result; other dishonest people are in seek of medals and glory, lacking the ability and the courage to deserve them, or plotting to get transfers in quiet Paris.
In between personal idiosyncrasies and dire perils, we follow the struggle for life of Steiner' platoon and the vicissitudes of other characters. The film certainly is more exciting (at least in my opinion) and more successful, still this book is a classic of military fiction.
The film and the book.
From here on, I will discuss the similarities and differences between book and film: spoilers ahead! (if you didn't see the movie yet, you might as well stop here).
First, it should be noted that all the main characters in the film are there as well, but they are not necessarily portrayed in the same way. The plot is similar, but many scenes are arranged in a different order than in the movie. Colonel Brandt is a reassuring, paternal and human, figure in the film, whereas in the book he's a man strained and bleak, extremely cynical and disillusioned, aware of playing a role that condemns his men to die needlessly; he doesn't find no more sense in his own life. His adjutant, Captain Kiesel, which in the film is a complete defeatist, intent on drinking or smoking and looking sloppy and wrinkled, here in the book is a character more self centered, sober, efficient. He shares some of the feelings of his chief but he does not want to develop them to their ultimate consequences: he's a little uncomfortable in front of the outspoken Brandt. Captain Stransky, the adversary of Steiner, in the movie maintains a certain stature that redeems his ineptitude, while he's much weaker and perhaps less successful as a character in the book. I wont anticipate the way he disappears from the story, I'll simply say that the ending of the film, as confusing as it is, it is much more satisfying than the finale of the book.
Steiner (younger than James Coburn was when he brought him to the screen) is not infallible and his men are less effective (in the film they almost look like a commando). In some fights Steiner reveals himself to be not so zealous and goes on just not to look bad; he make mistakes sometimes, and to his men is rather harsh and aggressive, more so than in the film, even though with some of them, however, he develops a deep friendship. He's not above eliminating one of them, though: Steiner decides that Zoll, guilty of putting everyone else in trouble, has to disappear from the platoon, and he causes his death in a rather cynical way.
His idiosyncrasy is partly due to an accident that tastes like... a literary handle (his girlfriend died before the war in the mountains in an accident, and hewatched her die without being able to do anything). Steiner's hostility toward the officers (and the famous scene where he chooses not damage Stransky because he wants to deal personally with his enemies without taking advantage of the goodwill of the battalion commanders) is in the book, but there the sergeant repents about being too much outspoken, and later even thinks to apologize (he does not). All in all Stainer is a less legendary character, more human, but he still retains an enigmatic face like in the movie. The duel between him and Stransky is the main thread, but goes on (and ends) in a very different way. I liked the book but the movie in my opinion... is much better.
Questo libro "dovevo" prima o poi leggerlo perché ha ispirato un grande film di guerra (Cross of Iron) diretto da un grandissimo regista (Sam Peckinpah).
L'autore è Willi Heinrich, un ufficiale tedesco divenuto scrittore dopo l'ultimo conflitto mondiale (è morto alcuni anni fa). Le sue esperienze belliche sono alla base della storia narrata, e alcuni dei fatti e dei protagonisti del libro sono basati su situazioni e personaggi veramente esistiti.
Il titolo del libro è diventato Cross of Iron nelle ristampe dopo il successo del film, il titolo in origine era Das Geduldige Fleisch ovvero "La carne paziente" e in effetti in italiano esiste un'edizione con quel titolo. Io ho letto dall'inglese il moderno Cross of Iron (ed. Cassell) dove so che i nomi di alcuni protagonisti differiscono dall'originale libro tedesco. L'articolo italiano nella Wikipedia consultato oggi afferma nelle note che nel libro, diversamente dal film, il principale protagonista (Rolf Steiner) fosse stato degradato per essersi rifiutato di sparare su dei civili: non è così nella versione che ho letto io e mi domando se l'edizione italiana sia stata a suo tempo rimaneggiata, o se magari fosse fedele all'originale tedesco più della versione inglese che ho letto.
A parte questi dubbi, il libro è meno fitto di combattimenti rispetto al film, e certamente meno spettacolare nelle scene di scontri che descrive: a volte i combattimenti si risolvono in maniera piuttosto sbrigativa, anche se non mancano scene di battaglia estremamente vivide e situazioni drammatiche piuttosto prolungate. E' descrittivo, talvolta intimista, denso e abbastanza lungo: 478 pagine in inglese, sarebbero oltre 500 in italiano. La storia ha una certa coralità perché passa dal punto di vista di tutti i personaggi, ma è un coro che si spegne piano piano, a mano a mano che gli uomini muoiono in battaglia. La trama narra le vicissitudini di un battaglione di fanteria tedesco, coinvolto nella ritirata seguita alla sconfitta di Stalingrado. Una lotta senza quartiere dove i tedeschi, consapevoli del disastro che hanno subito e ormai demoralizzati, sono spinti dal nemico baldanzoso in una sacca, la penisola del Kuban (parte occidentale del Caucaso, che vedete tratteggiata nella mappa in giallo) e rimangono isolati dal resto dell'esercito tedesco, con il mare alle spalle. (Particolare storico: Hitler decise di tenere quella testa di ponte nel Caucaso nell'illusione di contrattaccare in seguito, in verità sarebbe stato possibile ritirare le truppe). Mentre il disastro si svolge, abbiamo il plotone del sottufficiale Steiner intento in varie imprese (sia per salvare la pelle sia per tenere la linea, che per compiere contrattacchi folli), mentre i comandanti si macerano nel senso di colpa di protrarre un'agonia che non può portare a nessun risultato e altri personaggi disonesti cercano medaglie e gloria, ma senza avere le capacità o il coraggio per procurarsele, oppure tramano per ottenere trasferimenti nella gaia Parigi.
Tra idiosincrasie personali, pericoli micidiali, destino comunque segnato, seguiremo la lotta per la vita del plotone di Steiner e le vicissitudini di altri personaggi. Il film certamente è più emozionante e meglio riuscito (almeno secondo me), tuttavia questo libro è un classico della narrativa di ambientazione militare.
Il film e il libro.
Da qui in avanti parlerò delle similitudini e differenze tra libro e film, facendo necessariamente anticipazioni sulla trama di entrambi (se non avete visto il film tanto vale che interrompiate qui la vostra lettura).
Per prima cosa c'è da notare che i personaggi principali nel film ci sono tutti, ma non necessariamente fedeli al libro. La storia ricalca le medesime tematiche ma è in parte differene, in parte "montata" in un ordine diverso nel film. Il colonnello Brandt nel film ha un aspetto rassicurante ed è paterno e umano, per quanto possibile, mentre nel libro è un uomo teso e tirato, estremamente cinico e disincantato, consapevole di svolgere un ruolo che condanna degli uomini a morire inutilmente e lucido nel vedere la propria esistenza priva di senso. Il suo aiutante, il capitano Kiesel, che nel film è completamente disfattista, sempre intento a bere o a fumare, e dall'aspetto sciatto e stropicciato, al contrario nel libro viene presentato come un personaggio più controllato, efficiente, che condivide alcuni dei sentimenti del suo capo ma non li vuole portare fino alle estreme conseguenze: anzi talvolta lo schietto disfattismo di Brandt lo mette un po' a disagio. Il capitano Stransky, l'avversario di Steiner, nel film ha una certa dimensione che riscatta la sua inettitudine, mentre è assai più debole e forse meno riuscito nel libro. Non anticipo la maniera in cui esce di scena, limitandomi a dire che il finale del film, per quanto confusionario, è molto meglio riuscito del finale di questo libro.
Steiner (più giovane di James Coburn quando lo ha portato sullo schermo) è meno infallibile e i suoi uomini sono meno efficaci (nel film sembrano quasi un commando). In alcune azioni Steiner si rivela poco zelante e le porta a termine solo per non fare brutta figura, commette errori, e soprattutto verso i suoi uomini è piuttosto duro e aggressivo, molto più che nel film, anche se con alcuni di loro sviluppa comunque un'amicizia profonda. Ne fa fuori uno, però, colpevole di aver messo tutti gli altri nei guai, e lo fa in maniera piuttosto cinica.
La sua idiosincrasia è in parte dovuta a un incidente dal sapore piuttosto... letterario (la fidanzata che prima della guerra muore in montagna per un incidente, e lui che la vede morire senza poter fare niente). L'ostilità di Steiner verso gli ufficiali (e la famosa scena in cui evita di rovinare Stransky perché vuol vedersela personalmente coi suoi nemici senza approfittare della benevolenza del comando di battaglione) nel libro non mancano, ma il sergente ha paura delle parole che ha pronunciato, e in seguito è tentato di chiedere scusa. Tutto sommato un personaggio meno mitico, molto più umano: comunque mantiene un aspetto enigmatico come nel film. La sfida con Stransky è il filo conduttore principale, ma si svolge (e termina) in modo molto diverso. Personalmente il libro mi è piaciuto ma il film... molto di più.
Cross of Iron
I had to read this book sooner or later, because it inspired a great war movie (Cross of Iron) directed by the great Sam Peckinpah.
The author is Willi Heinrich, a German officer who became a writer after the Second World War (he died a few years ago). His war experiences are the basis of the story, and some of the events and characters of the book are based on real situations and people.
The title of the book became Cross of Iron in reprints after the film's success, the title was originally Das Fleisch Geduldige or "The Willing Flesh" in the first editions. I have read the modern English Cross of Iron (Cassell) where as far as I know the names of some characters differ from the original German book. Notes in the italian Wikipedia article I read today say that the main protagonist (Rolf Steiner) was demoted, in the book, for refusing to fire on civilians: this fact doesn't appear in the version I read: I wonder if the Italian edition was edited, or maybe if it was more faithful to the original German than the English version I read.
Apart from these considerations, the book devotes less space to the combat compared to the film, and certainly is less spectacular in the battle scenes it describes: sometimes the fights are resolved in a quick dismissive way. But there are a couple of battle scenes extremely vivid, and tension and drama. The book is descriptive, sometimes intimate, pregnant and quite long: 478 pages in the English version. The story has a certain choral feel as it passes from the point of view of all the characters, but it's a chorus that goes off slowly, gradually, as men die in battle. The plot tells the vicissitudes of a German infantry battalion involved in the retreat after the defeat at Stalingrad. A terrible struggle where the Germans, saddened by the disaster they have suffered and demoralized, are driven by a bold enemy in a pocket, the Kuban peninsula (western part of the Caucasus, which you see on the map in yellow) where they remain isolated from the rest the German army, with the sea behind them. (Historical hint: Hitler decided to keep the bridgehead in the Caucasus dreaming of a later counteroffensive, whereas he could have managed to withdraw the troops). While the disaster takes place, we have sergeant Steiner' platoon intent in various actions (to save their own skins, to defend the front line, to make insane counterattacks), while the commanders macerate in guilt because they have to prolong agony that can not lead to any result; other dishonest people are in seek of medals and glory, lacking the ability and the courage to deserve them, or plotting to get transfers in quiet Paris.
In between personal idiosyncrasies and dire perils, we follow the struggle for life of Steiner' platoon and the vicissitudes of other characters. The film certainly is more exciting (at least in my opinion) and more successful, still this book is a classic of military fiction.
The film and the book.
From here on, I will discuss the similarities and differences between book and film: spoilers ahead! (if you didn't see the movie yet, you might as well stop here).
First, it should be noted that all the main characters in the film are there as well, but they are not necessarily portrayed in the same way. The plot is similar, but many scenes are arranged in a different order than in the movie. Colonel Brandt is a reassuring, paternal and human, figure in the film, whereas in the book he's a man strained and bleak, extremely cynical and disillusioned, aware of playing a role that condemns his men to die needlessly; he doesn't find no more sense in his own life. His adjutant, Captain Kiesel, which in the film is a complete defeatist, intent on drinking or smoking and looking sloppy and wrinkled, here in the book is a character more self centered, sober, efficient. He shares some of the feelings of his chief but he does not want to develop them to their ultimate consequences: he's a little uncomfortable in front of the outspoken Brandt. Captain Stransky, the adversary of Steiner, in the movie maintains a certain stature that redeems his ineptitude, while he's much weaker and perhaps less successful as a character in the book. I wont anticipate the way he disappears from the story, I'll simply say that the ending of the film, as confusing as it is, it is much more satisfying than the finale of the book.
Steiner (younger than James Coburn was when he brought him to the screen) is not infallible and his men are less effective (in the film they almost look like a commando). In some fights Steiner reveals himself to be not so zealous and goes on just not to look bad; he make mistakes sometimes, and to his men is rather harsh and aggressive, more so than in the film, even though with some of them, however, he develops a deep friendship. He's not above eliminating one of them, though: Steiner decides that Zoll, guilty of putting everyone else in trouble, has to disappear from the platoon, and he causes his death in a rather cynical way.
His idiosyncrasy is partly due to an accident that tastes like... a literary handle (his girlfriend died before the war in the mountains in an accident, and hewatched her die without being able to do anything). Steiner's hostility toward the officers (and the famous scene where he chooses not damage Stransky because he wants to deal personally with his enemies without taking advantage of the goodwill of the battalion commanders) is in the book, but there the sergeant repents about being too much outspoken, and later even thinks to apologize (he does not). All in all Stainer is a less legendary character, more human, but he still retains an enigmatic face like in the movie. The duel between him and Stransky is the main thread, but goes on (and ends) in a very different way. I liked the book but the movie in my opinion... is much better.
lunedì 3 dicembre 2012
Vogliamo l'Apocalisse! Ma davvero?
Ho affermato poco tempo fa che alle pandemie, invasioni di zombi e altre catastrofi che spazzano via l'umanità, lasciando pochi superstiti a vedersela come possono o creando un futuro di povertà con passatempi scemi e crudeli alla Hunger Games. Ora arriva (in inglese) sulla pagina di io9 questa riflessione sul perché le visioni apocalittiche siano così di moda (come quasi sempre su quel sito, vi è poi il link a un articolo più esteso: sempre in inglese).
In pratica, noi vogliamo che l'apocalisse avvenga perché le vite frenetiche e la disumanizzazione del giorno d'oggi ci hanno portato a saturazione e vorremmo un futuro "idilliaco" senza tecnologia. Questa è una semplificazione mia, ovviamente, l'articolo è più complesso, e riflette sul successo di certe serie televisive, tipo Revolution (facendo la pungente osservazione che non importa nemmeno più come l'apocalisse avviene, importa solo il dopo). Non posso commentare le serie TV che non seguo. Comunque per l'articolista l'apocalisse sarebbe, come la famosa livella, il correttore delle mille ingiustizie, il carnefice della macchina invisibile che governa spietatamente le nostre vite pur facendo finta di non esserci; creerebbe una nuova giustizia (alla Conan, direi) capace di riportare il potere della forza fisica ad avere la meglio sulle canaglie che sfruttano la gente rimanendo in un grattacielo dietro lo schermo di un computer. Renderebbe anche le relazioni sentimentali molto più semplici (io sono Tarzan, tu sei Jane...). Sempre secondo l'autrice del pezzo (Heather Havrilesky) anche una storia terribile come The Road nasconderebbe il segreto desiderio del suo autore per paesaggi deserti e orizzonti vuoti.
Alla meglio, fronteggiando le prospettive più terribili dell'apocalisse, si ha una scusa per le proprie fantasie morbose. Alla peggio si fantastica su un ritorno a un mondo "vero" e naturale.
La visioni apocalittiche, prima che strabordassero, mi piacevano. Ora stanno diventando come i romanzi fantasy dove l'elfo è raffinato con le orecchie a punta e il nano afferra rudemente la sua ascia, ed è esistita un'epoca d'oro cui vorremmo ritornare. Mi stanno stancando, stanno diventando un cliché. Mi chiedo se davvero nascondano il desiderio del "ritorno a una vita semplice" ma se davvero esistesse (e fosse maggioritario) questo desiderio inconscio, allora fa davvero il paio con un certo fantasy intriso di nostalgia conservatrice.
Chiunque abbia una minima dimestichezza con il funzionamento delle società avanzate dovrebbe sapere che non c'è alcun ritorno a un mondo naturale senza il sacrificio di miliardi di vittime. Senza il complesso sistema che vive di fertilizzanti, utensili, trasporti, elettricità, fabbriche, sale operatorie sterilizzate, su questo pianeta potrebbe sopravvivere solo una piccola parte delle persone che vivono oggi.
Inoltre, fa un po' ridere il fatto che tutti si identificano con l'eroe che ce l'ha fatta. I miliardi di persone che non sono sopravvissute sono stati convenientemente messi alle spalle. Chissà quanti si identificano nell'eroe che vive di cacciagione mangiata cruda e magari prendono quotidianamente qualche farmaco salvavita, e non pensano che nel caso in cui non venisse più prodotto, anche saccheggiando tutte le farmacie, potrebbero cavarsela solo per un po': poi arriverebbe la data di scadenza. O magari non sono giovani e allenati, non si trovano nelle condizioni fisiche migliori per affrontare certe situazioni, eppure tutti sono affascinati da questo futuro apocalittico. Senza contare che tante situazioni di sopraffazione, il ritorno all'homo homini lupus, possono divertire solo... finché il lupo sei tu.
Nello stesso tempo, a quello che sta succedendo nel mondo reale e alle possibili implicazioni sociali, politche e culturali (riflessioni che ho già proposto nell'articolo che ho linkato all'inizio) non se ne vuole interessare nessuno, o quasi. Probabilmente il crollo del nostro stile di vita fa troppa tristezza e troppa paura, è più bello immaginarsi con arco e frecce, a caccia di cervi tra le rovine dei grattacieli.
In pratica, noi vogliamo che l'apocalisse avvenga perché le vite frenetiche e la disumanizzazione del giorno d'oggi ci hanno portato a saturazione e vorremmo un futuro "idilliaco" senza tecnologia. Questa è una semplificazione mia, ovviamente, l'articolo è più complesso, e riflette sul successo di certe serie televisive, tipo Revolution (facendo la pungente osservazione che non importa nemmeno più come l'apocalisse avviene, importa solo il dopo). Non posso commentare le serie TV che non seguo. Comunque per l'articolista l'apocalisse sarebbe, come la famosa livella, il correttore delle mille ingiustizie, il carnefice della macchina invisibile che governa spietatamente le nostre vite pur facendo finta di non esserci; creerebbe una nuova giustizia (alla Conan, direi) capace di riportare il potere della forza fisica ad avere la meglio sulle canaglie che sfruttano la gente rimanendo in un grattacielo dietro lo schermo di un computer. Renderebbe anche le relazioni sentimentali molto più semplici (io sono Tarzan, tu sei Jane...). Sempre secondo l'autrice del pezzo (Heather Havrilesky) anche una storia terribile come The Road nasconderebbe il segreto desiderio del suo autore per paesaggi deserti e orizzonti vuoti.
Alla meglio, fronteggiando le prospettive più terribili dell'apocalisse, si ha una scusa per le proprie fantasie morbose. Alla peggio si fantastica su un ritorno a un mondo "vero" e naturale.
La visioni apocalittiche, prima che strabordassero, mi piacevano. Ora stanno diventando come i romanzi fantasy dove l'elfo è raffinato con le orecchie a punta e il nano afferra rudemente la sua ascia, ed è esistita un'epoca d'oro cui vorremmo ritornare. Mi stanno stancando, stanno diventando un cliché. Mi chiedo se davvero nascondano il desiderio del "ritorno a una vita semplice" ma se davvero esistesse (e fosse maggioritario) questo desiderio inconscio, allora fa davvero il paio con un certo fantasy intriso di nostalgia conservatrice.
Chiunque abbia una minima dimestichezza con il funzionamento delle società avanzate dovrebbe sapere che non c'è alcun ritorno a un mondo naturale senza il sacrificio di miliardi di vittime. Senza il complesso sistema che vive di fertilizzanti, utensili, trasporti, elettricità, fabbriche, sale operatorie sterilizzate, su questo pianeta potrebbe sopravvivere solo una piccola parte delle persone che vivono oggi.
Inoltre, fa un po' ridere il fatto che tutti si identificano con l'eroe che ce l'ha fatta. I miliardi di persone che non sono sopravvissute sono stati convenientemente messi alle spalle. Chissà quanti si identificano nell'eroe che vive di cacciagione mangiata cruda e magari prendono quotidianamente qualche farmaco salvavita, e non pensano che nel caso in cui non venisse più prodotto, anche saccheggiando tutte le farmacie, potrebbero cavarsela solo per un po': poi arriverebbe la data di scadenza. O magari non sono giovani e allenati, non si trovano nelle condizioni fisiche migliori per affrontare certe situazioni, eppure tutti sono affascinati da questo futuro apocalittico. Senza contare che tante situazioni di sopraffazione, il ritorno all'homo homini lupus, possono divertire solo... finché il lupo sei tu.
Nello stesso tempo, a quello che sta succedendo nel mondo reale e alle possibili implicazioni sociali, politche e culturali (riflessioni che ho già proposto nell'articolo che ho linkato all'inizio) non se ne vuole interessare nessuno, o quasi. Probabilmente il crollo del nostro stile di vita fa troppa tristezza e troppa paura, è più bello immaginarsi con arco e frecce, a caccia di cervi tra le rovine dei grattacieli.
sabato 1 dicembre 2012
Segnalazione
"...perlacaritàdiddio, preferisco farmi strappare la lingua con un cavatappi
piuttosto che assistere ancora una volta a un dialogo
intergenerazionale tra un padre e una figlia in un casale in Toscana.
Abbiate pietà di me."
Lucia Patrizi sul cinema italiano. Il resto è qui.
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