Eccoci di nuovo al tema pericolosissimo della predazione di organi incrociato con la fantascienza. Pericolosissimo non perché vi sia il presagio che queste cose si verifichino: sono già realtà, c'è poco da presagire. Ma perché spesso è stato sviluppato male e in maniera banale, portando a flop di portata mostruosa (vedi The Island).
Non Lasciarmi, tratto dall'omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, ha un piglio originale rinunciando a qualsiasi pretesa di spettacolarità, quindi si tenga ben lontano chi lo avesse immaginato come una sorta di film di fantascienza ricco di effetti speciali. E comunque fantascienza non è, se vogliamo essere precisi: si tratta piuttosto di una ucronia dove l'ipotesi è che attorno agli anni '50 l'ingegneria genetica e la tecnica dei trapianti abbiano raggiunto uno sviluppo tale da permettere l'allevamento di cloni a scopo di fornire organi. Tali cloni, in una premessa difficile da digerire ma necessaria per lo svolgimento della storia, non sono considerati come delle vere persone ma come esseri senz'anima, di cui non è necessario preoccuparsi, proprio in quanto cloni. Non so se il libro cercasse di mantenere una suspence riguardo al destino dei "donatori," il film mette le cose in chiaro fin dall'inizio.
La storia parte da una specie di collegio dove i donatori vengono educati, e segue il percorso di tre ragazzini, la narratrice Kathy H, Ruth e Tommy. La scuola è piuttosto severa, i donatori non possono mai uscire, e non sanno niente del mondo; inoltre vengono sottoposti a esami e scoraggiati dal fumare o dal rovinare in alcun modo i loro preziosi corpi. La realtà si viene comunque a sapere, ma i donatori non si ribellano: crescono, vanno a vivere in dei cottage di campagna, si innamorano, conoscono anche un poco il mondo esterno. Ma attendono come bestiame al macello il momento di cominciare le donazioni.
Una due, forse si arriva fino a quattro, poi si "completa," si muore sul tavolo operatorio. I ragazzi cercano nelle persone che vedono in giro il loro "originale," ovvero la persona da cui sono stati clonati, vivono le loro gelosie e i loro affetti, e si illudono che almeno qualcuno di loro possa ottenere dei rinvii, raccontandosi delle pazze dicerie. Lo sperano perché nella scuola la loro creatività è stata sviluppata e una misteriosa madame ogni tanto prendeva i loro disegni per una sua galleria; pertanto ci deve essere qualche considerazione umana nei loro riguardi. Non anticipo se la questione verrà risolta.
Le mie considerazioni innanzitutto partono dalla coerenza della trama. Ci sono ovviamente delle premesse che non sono accettabili e secondo me rovinano il film in maniera non indifferente (cosa pensano i religiosi della questione dei cloni? come è arrivata la società ad accettare tutto questo?) anche se, a questo punto direi per fortuna, la storia procede senza cercare di dare spiegazioni impossibili.
Vi sono anche delle illogicità minori che ingrippano un po' la trama: c'è un accenno alla possibilità che i donatori siano clonati da barboni e prostitute, ma se invece ammettiamo che siano al servizio di una persona specifica, non si capisce perché Kathy H diventi "badante" ovvero assistente degli altri, e la sua donazione venga rinviata di diversi anni. Non dovrebbe essere disponibile quando necessario?
Anche il fatto che gli assistenti siano selezionati tra i donatori stessi mi pare piuttosto improbabile, e fra l'altro non si vede una lotta tra i ragazzi per diventare assistenti e vivere qualche anno in più, ma è un artificio probabilmente inevitabile, serve a separare la sorte di Kathy dagli altri due e a farla diventare la cronista di quello che succede.
Della credibilità come persone di questi miti vitelli portati al macello dubitavo molto, pensavo che il tutto fosse solo un pretesto non plausibile per raccontare delle storie strappalacrime. Dopo aver visto il film posso dire che la premessa è irrazionale, ma se la accettiamo la situazione non è irrealistica come si potrebbe pensare. Giovani senza esperienza indottirnati al sacrificio, che non potrebbero trovare un posto nel mondo moderno (sono privi di identità, il loro cognome è una sola lettera, sicuramente non hanno documenti, ecc...). Trattati gentilmente purché vadano al loro destino, in fondo non possono che rassegnarsi. Sotto certi aspetti mi hanno ricordato i soldati dei corpi di attacco speciale giapponese della seconda Guerra Mondiale (kamikaze e simili), gente che spesso era molto meno convinta di quello che si crede comunemente.
Sarebbe più credibile comunque se qualche donatore andasse ogni tanto fuori di testa, o rovinasse (con alcool o droga) il prezioso corpo destinato alla vita di un altro. L'unica scena di ribellione al sistema non ha come protagonista uno dei donatori, ma vi lascio il piacere, eventualmente, di trovarla nel film.
A parte queste perplessità Non Lasciarmi riesce a creare una situazione di normalità pazzesca che mi ha colpito.
Il rapporto tra Ruth, Kathy e Tommy è importante ai fini della storia e delle atmosfere, ma non faccio anticipazioni. La recitazione a mio parere è buona, soprattutto da parte dell'attrice (a me ignota) Carey Mulligan nella parte di Kathy; da menzionare in seconda battuta Keira Knightley, che ricordo da King Arthur e dai vari Pirati dei Caraibi, e Andrew Garfield, che dovrebbe essere il prossimo Uomo Ragno. La celeberrima Charlotte Rampling interpreta la preside della scuola. Quanto alla regia (di Mark Romanek), avendo parecchi temi da trattare tiene un passo narrativo talvolta affrettato, mentre per alcune scene intimiste si prende tutto il tempo necessario, forse anche qualcosina di più.
Lo stile riservato e "inglese" di questi poveri ragazzi destinati al macello può sembrare freddo, io credo tuttavia che le sensazioni arrivino. Film depressivo, dolcemente malinconico, disperato.
mercoledì 31 agosto 2011
sabato 27 agosto 2011
Off Topic: Mentre tutto va in malora
Due anni e mezzo fa mi sono permesso uno svarione socio-politico-economico quando ho esaminato (con la curiosità del lettore di fantascienza e dell'analizzatore di mondi) la crisi che stava minacciando il mondo occidentale (questo l'articolo).
Oggi ho la sgradevole sensazione che si ha quando si è previsto che le cose si stiano mettendo male e si constata di aver avuto ragione. La crisi prosegue e la globalizzazione è in buona parte realizzata, anche se forse il peggio deve ancora venire, diciamo che le conseguenze sono ormai ovvie: ora bisogna pagare il conto. Bisogna pagarlo in termini di impoverimento che per qualcuno sarà relativo, per altri arriverà a livelli più o meno terzomondiali, e che dovrebbe spaventarvi tutti, a meno che non facciate parte della categoria di quelli che (sulla pelle degli altri?) riescono a stare a galla. Come dicono gli yankee, you know who you are.
Se pensate che sia esagerato quello che dico, riflettete sul fatto che dopo le ultime generazioni di 55-60enni che in questo periodo vanno in quiescenza col vecchio sistema, le pensioni saranno sempre più da fame (e del "secondo pilastro" che bisognava creare con le forme di previdenza private s'è visto poco o niente perché anche chi lavora ha a malapena il denaro per vivere e pagare il mutuo casa). Considerando la disoccupazione che non sarà facilmente riassorbita e la stretta ai pubblici servizi, oltre al fatto che il calo dei consumi può solo portare ancora altra disoccupazione, credo che se anche non ci fosse una nuova crisi nel giro di pochi anni il nostro paese presenterà un panorama che non avremmo sospettato all'inizio di questo sventurato millennio.
Del resto ora non si parla più di recessione, ma di contrazione, che ha un senso molto più definitivo.
Quindi di una cosa possiamo stare sicuri: avremo una società con molti meno quattrini in circolazione, che sarà anche una società dove gli sconfitti diventeranno probabilmente "invisibili," gente la cui realtà e i cui problemi non interesseranno a quelli che stanno ancora a galla. Perché, se continua così, un sacco di gente scivolerà pian piano nella merda in maniera definitiva, e questo non farà notizia. D'altra parte i media ormai sono controllati praticamente solo da miliardari.
Tanti poveri. Come quelli che a Londra e nelle altre città inglesi si sono concessi una vacanza rubando nei negozi, che tanto nella loro vita, fatta di sussidii minimi e zero prospettive, probabilmente rischiare la galera non cambia molto. Due anni fa nel mio post ipotizzavo un risorgere delle ideologie, di fronte all'egoismo immorale degli sfruttatori e alla violenza della crisi. Questo tipo di capitalismo in effetti è quello che ci vuole per fare una cura ringiovanente al buon vecchio Carlo Marx, che potrebbe tornare in gran voga, magari in qualche forma nuova (che non nascerà da noi perché escludo che i nostri politici di sinistra riescano ancora a pensare). O forse la novità verrà dall'ultradestra. O forse no, avremo solo la feccia rabbiosa stile ghetto degli Stati Uniti, che sa solo creare esplosioni di violenza per qualche giorno, feccia priva di idee, di programmi, e della forma mentis necessaria per entrambi.
Oppure qualche potere forte deciderà di bloccare questo processo da qualche parte, magari con una bella guerra.
Link per riflettere:
Recensione di un libro sull'eredità del marxismo. In italiano.
Un articolo in inglese, un po' sul satirico, riguardo alla necessità di fare una bella guerra per far finire la recessione (ma i paragoni con la Seconda Guerra Mondiale sono sballati, ora il contesto è ben diverso). In termini più seri si è espresso anche Paul Krugman, economista USA.
Nella foto, la prima portaerei cinese. Alla domanda (impertinente?) da parte degli USA sul perché sentissero di aver bisogno di una portaerei, i Cinesi (legittimamente?) hanno risposto slo che devono "fare addestramento ed esperimenti."
Oggi ho la sgradevole sensazione che si ha quando si è previsto che le cose si stiano mettendo male e si constata di aver avuto ragione. La crisi prosegue e la globalizzazione è in buona parte realizzata, anche se forse il peggio deve ancora venire, diciamo che le conseguenze sono ormai ovvie: ora bisogna pagare il conto. Bisogna pagarlo in termini di impoverimento che per qualcuno sarà relativo, per altri arriverà a livelli più o meno terzomondiali, e che dovrebbe spaventarvi tutti, a meno che non facciate parte della categoria di quelli che (sulla pelle degli altri?) riescono a stare a galla. Come dicono gli yankee, you know who you are.
Se pensate che sia esagerato quello che dico, riflettete sul fatto che dopo le ultime generazioni di 55-60enni che in questo periodo vanno in quiescenza col vecchio sistema, le pensioni saranno sempre più da fame (e del "secondo pilastro" che bisognava creare con le forme di previdenza private s'è visto poco o niente perché anche chi lavora ha a malapena il denaro per vivere e pagare il mutuo casa). Considerando la disoccupazione che non sarà facilmente riassorbita e la stretta ai pubblici servizi, oltre al fatto che il calo dei consumi può solo portare ancora altra disoccupazione, credo che se anche non ci fosse una nuova crisi nel giro di pochi anni il nostro paese presenterà un panorama che non avremmo sospettato all'inizio di questo sventurato millennio.
Del resto ora non si parla più di recessione, ma di contrazione, che ha un senso molto più definitivo.
Quindi di una cosa possiamo stare sicuri: avremo una società con molti meno quattrini in circolazione, che sarà anche una società dove gli sconfitti diventeranno probabilmente "invisibili," gente la cui realtà e i cui problemi non interesseranno a quelli che stanno ancora a galla. Perché, se continua così, un sacco di gente scivolerà pian piano nella merda in maniera definitiva, e questo non farà notizia. D'altra parte i media ormai sono controllati praticamente solo da miliardari.
Tanti poveri. Come quelli che a Londra e nelle altre città inglesi si sono concessi una vacanza rubando nei negozi, che tanto nella loro vita, fatta di sussidii minimi e zero prospettive, probabilmente rischiare la galera non cambia molto. Due anni fa nel mio post ipotizzavo un risorgere delle ideologie, di fronte all'egoismo immorale degli sfruttatori e alla violenza della crisi. Questo tipo di capitalismo in effetti è quello che ci vuole per fare una cura ringiovanente al buon vecchio Carlo Marx, che potrebbe tornare in gran voga, magari in qualche forma nuova (che non nascerà da noi perché escludo che i nostri politici di sinistra riescano ancora a pensare). O forse la novità verrà dall'ultradestra. O forse no, avremo solo la feccia rabbiosa stile ghetto degli Stati Uniti, che sa solo creare esplosioni di violenza per qualche giorno, feccia priva di idee, di programmi, e della forma mentis necessaria per entrambi.
Oppure qualche potere forte deciderà di bloccare questo processo da qualche parte, magari con una bella guerra.
Link per riflettere:
Recensione di un libro sull'eredità del marxismo. In italiano.
Un articolo in inglese, un po' sul satirico, riguardo alla necessità di fare una bella guerra per far finire la recessione (ma i paragoni con la Seconda Guerra Mondiale sono sballati, ora il contesto è ben diverso). In termini più seri si è espresso anche Paul Krugman, economista USA.
Nella foto, la prima portaerei cinese. Alla domanda (impertinente?) da parte degli USA sul perché sentissero di aver bisogno di una portaerei, i Cinesi (legittimamente?) hanno risposto slo che devono "fare addestramento ed esperimenti."
giovedì 18 agosto 2011
Conan the Barbarian
Rantolando nel caldo mostruoso, mi sono trascinato a vedere il nuovo Conan the Barbarian. Che è un discreto film d'azione pur non avendo nulla dell'originale di cui sarebbe il remake, ovvero il Conan di John Milius. Non c'è l'ispirazione, la potenza, la solennità, il pathos. La banalità di certe situazioni e battute delude, e uccide il confronto fin dall'inizio. Con i paragoni quindi la finiamo qui, e anziché lamentarci per un miracolo che tanto non ci aspettavamo proviamo a dire cosa c'è di buono. (Con qualche piccolo anticipo sulla trama, ma nulla di micidiale).
Il film ha un passo abbastanza dinamico anche se talvolta visivamente è un po' troppo scuro e monocolore; forse ci sono troppe scene di combattimento. O forse sono troppo prolungate e banali, copia incolla di spezzoni già visti mille volte: talvolta però il regista ha dei guizzi di fantasia validi, anche se spesso si esagera col sanguinolento a tutti i costi. Bei costumi, belle scenografie, almeno la maggior parte di esse, anche se qualche volta l'effetto "blocco di polistirolo" l'ho percepito. Generalmente begli effetti speciali, qualche buona trovata nelle scene e nelle battute dei dialoghi. Jason Momoa (simpatico) non riesce a essere un grande protagonista, ma ce la mette tutta e nella parte del barbaro è quasi convincente, del resto ogni tanto spara battute howardiane proprio per farci vedere che è truzzo come da contratto: "Vivo, amo, uccido, questo mi basta," e il bello è che vince l'amore di una donna con questa perla di saggezza. Chi lo sa? Potrebbe anche starci...
Ci sono due personaggi femminili importanti, la strega Marique figlia del cattivo guerriero-mago Khalar che vuol dominare il mondo (è interpretata da Rose McGowan, quanto al mago cattivo sarà mica uno spoiler, no?) e la monaca Tamara (Rachel Nichols).
Più espressiva la seconda, molto "dark" la prima, brave tutt'e due. Di Tamara m'ha fatto star male, a metà film, la immediata (seppur temporanea) trasformazione da monaca a spadaccina, comunque. E le schermaglie tra lei e Conan, stile Prince of Persia.
La dinamica fra i cattivi ha qualche momento interessante: le motivazioni, i rapporti fra loro. C'è tutta una banda di personaggi alleati del mago che, per quel poco che si vede, sono abbastanza saporiti: ma non c'è tempo di approfondirli. Khalar, interpretato da Stephen Lang (che era il capo dei marines brutti e cattivi di Avatar), non è quel misero stereotipo che temevo all'inizio, ma nella posizione di antagonista avrei preferito un attore più navigato ed espressivo.
Alla fine però, pur mancando grandi nomi nel cast, oso dire che ci sono dei momenti di decente recitazione, per quel che c'è da recitare; direi invece che è troppo intermittente la regia, nelle mani di Marcus Nispel.
Vedere il film in 3D è abbastanza inutile, la tridimensionalità aggiunge poco, e qualche volta dà addirittura fastidio.
In conclusione, la spettacolarità e qualche guizzo interessante rende questo Conan un film da vedere per l'appassionato del fantasy, ma tutto sommato il risultato è così-così, come me lo aspettavo.
Il film ha un passo abbastanza dinamico anche se talvolta visivamente è un po' troppo scuro e monocolore; forse ci sono troppe scene di combattimento. O forse sono troppo prolungate e banali, copia incolla di spezzoni già visti mille volte: talvolta però il regista ha dei guizzi di fantasia validi, anche se spesso si esagera col sanguinolento a tutti i costi. Bei costumi, belle scenografie, almeno la maggior parte di esse, anche se qualche volta l'effetto "blocco di polistirolo" l'ho percepito. Generalmente begli effetti speciali, qualche buona trovata nelle scene e nelle battute dei dialoghi. Jason Momoa (simpatico) non riesce a essere un grande protagonista, ma ce la mette tutta e nella parte del barbaro è quasi convincente, del resto ogni tanto spara battute howardiane proprio per farci vedere che è truzzo come da contratto: "Vivo, amo, uccido, questo mi basta," e il bello è che vince l'amore di una donna con questa perla di saggezza. Chi lo sa? Potrebbe anche starci...
Ci sono due personaggi femminili importanti, la strega Marique figlia del cattivo guerriero-mago Khalar che vuol dominare il mondo (è interpretata da Rose McGowan, quanto al mago cattivo sarà mica uno spoiler, no?) e la monaca Tamara (Rachel Nichols).
Più espressiva la seconda, molto "dark" la prima, brave tutt'e due. Di Tamara m'ha fatto star male, a metà film, la immediata (seppur temporanea) trasformazione da monaca a spadaccina, comunque. E le schermaglie tra lei e Conan, stile Prince of Persia.
La dinamica fra i cattivi ha qualche momento interessante: le motivazioni, i rapporti fra loro. C'è tutta una banda di personaggi alleati del mago che, per quel poco che si vede, sono abbastanza saporiti: ma non c'è tempo di approfondirli. Khalar, interpretato da Stephen Lang (che era il capo dei marines brutti e cattivi di Avatar), non è quel misero stereotipo che temevo all'inizio, ma nella posizione di antagonista avrei preferito un attore più navigato ed espressivo.
Alla fine però, pur mancando grandi nomi nel cast, oso dire che ci sono dei momenti di decente recitazione, per quel che c'è da recitare; direi invece che è troppo intermittente la regia, nelle mani di Marcus Nispel.
Vedere il film in 3D è abbastanza inutile, la tridimensionalità aggiunge poco, e qualche volta dà addirittura fastidio.
In conclusione, la spettacolarità e qualche guizzo interessante rende questo Conan un film da vedere per l'appassionato del fantasy, ma tutto sommato il risultato è così-così, come me lo aspettavo.
mercoledì 17 agosto 2011
Il fantastico rincretinisce le persone?
Un post su Repubblica mi ha lasciato molto perplesso. Si tratta del blog del matematico italiano Oddifreddi, che stavolta se la prende sulla letteratura che parla di cose leggendarie, magiche o "non vere" e sulle conseguenze che ciò avrebbe sulla gente. Per il rigoroso Oddifreddi un uso massiccio di finzioni ha un effetto deleterio sulla realtà, e nel mucchio di finzioni che vengono inculcate fin dalla scuola mette insieme la religione (che ci dà fin da bambini una visione del mondo distorta, magica, popolata di angeli e demoni), l'epica (Iliade e Odissea), la Divina Commedia, la filosofia con le sue visioni più deliranti, a detta dell'autore Platone, Hegel, Croce. Aggiunge poi il contributo devastante del mondo culturale e dell'intrattenimento, di libri e spettacoli cinematografici o televisivi. E qui ci troviamo il Signore degli Anelli, Guerre Stellari e Harry Potter.
Conseguenza di questo martellamento è che la gente non sa più distinguere la panzana da quello che ha una base scientifica o che comunque è oggettivamente vero. E non gli interessa nemmeno conoscere la realtà.
A parte il fatto che vorrei capire se è mai esistita per Oddifreddi un'epoca in cui la gente non era gonza, e cosa avrebbe creato tale età dell'oro (ammesso che vi sia stata), a parte il fatto che mi pare che il nostro scienziato abbia messo insieme un grande guazzabuglio, a me sembra che il caldo gli abbia fatto un brutto scherzo. Mi piacerebbe confrontarmi con i miei scarsi lettori, se c'è qualcuno che non si trova in vacanza e ha voglia di fare delle considerazioni in merito alle affermazioni del blogger di Repubblica.
Conseguenza di questo martellamento è che la gente non sa più distinguere la panzana da quello che ha una base scientifica o che comunque è oggettivamente vero. E non gli interessa nemmeno conoscere la realtà.
A parte il fatto che vorrei capire se è mai esistita per Oddifreddi un'epoca in cui la gente non era gonza, e cosa avrebbe creato tale età dell'oro (ammesso che vi sia stata), a parte il fatto che mi pare che il nostro scienziato abbia messo insieme un grande guazzabuglio, a me sembra che il caldo gli abbia fatto un brutto scherzo. Mi piacerebbe confrontarmi con i miei scarsi lettori, se c'è qualcuno che non si trova in vacanza e ha voglia di fare delle considerazioni in merito alle affermazioni del blogger di Repubblica.
sabato 13 agosto 2011
Red Sonja
Se esiste un abisso tra il primo film di John Milius su Conan e il seguito, ovvero Conan il Distruttore diretto da Richard Fleischer nel 1984, mi sentirei di dire che il terzo film della produzione De Laurentiis, ovvero Red Sonja (dalle nostre parti lo hanno intitolato Yado), scende così in basso da non farcela nemmeno a guadagnarsi la categoria del "B-Movie," scivolando nel kitsch in una maniera orrenda. I motivi di questo suicidio? non saprei. forse, visto che Fleischer aveva portato comunque un certo successo economico con Conan il Distruttore, si è pensato che si potesse convincere lo spettatore a parcheggiare direttamente il cervello fuori dal cinema e godersi qualsiasi porcheria. Be', il pubblico è bue e bestia, ma fino a un certo punto: questo film non ebbe un buon risultato economico.
La protagonista di questo brutto film girato tra Lazio e Abruzzo è la statuaria Brigitte Nielsen che sembra falsa in qualsiasi scena appaia; le cose verranno peggiorate notevolmente dal classico bambino insopportabile, nella parte di un principe il cui regno è stato devastato da Gedren la Regina Cattiva; peggio ancora, il principino viene accompagnato da una specie di servitore e guardia del corpo, che fa a sua volta da macchietta. Notoriamente, nel film partecipa Arnold Schwarzenegger ma non come Conan bensì nei panni di Lord Kalidor (Yado in Italia); parla poco, salva la situazione quando occorre, ammazza un po' di cattivi, compare misteriosamente quando c'è bisogno di lui e partecipa al gran finale. Il naufragio del film è così totale che la presenza di Schwarzy non cambia le cose. Curiosità: avrebbe dovuto tornare nei panni del Cimmero in una successiva pellicola, che però non si fece (pare che Schwarzenegger avesse terminato i suoi obblighi verso De Laurentiis).
Spezzerei una lancia per Sandahl Bergman, la ladra Valeria del primo Conan, che aveva rifiutato il ruolo di Red Sonja per interpretare Gedren, la regina malvagia. Non che sia un grande ruolo ma almeno non è ridicola come la Nielsen, che vinse il Razzie Award (l'Oscar "al contrario") come peggiore nuova attrice protagonista.
La trama è semplice e lineare: un talismano dai grandi poteri, ma pericolosissimo, sta pre essere eliminato dalle sacerdotesse che lo custodiscono (solo le donne possono toccarlo senza morire). Interviene la perfida Gedren e se ne impadronisce per i suoi piani di dominio. Kalidor/Yado soccorre l'unica sacerdotessa rimasta in vita e riesce a farla incontrare con la sorella (Red Sonja, appunto) prima che muoia. Red Sonja, che ha subito la sua buona dose di torti dalla regina, intraprende una spedizione vendicatrice: da lì prende il via una serie di scene di combattimento, d'avventura e di viaggio, per lo più senza né capo né coda. La presenza della musica di Morricone non salva le cose, anzi direi che l'accompagnamento in qualche caso è fastidioso.
Mentre in Conan il Barbaro di effetti speciali non c'era moltissimo, e questo aiutava perché quel poco è spesso di scarso livello, qui purtroppo si fa grande uso di scenari fatti male, trucchi di telecamera da far venire il latte alle ginocchia, mostri di plasticone che fanno pietà e grandi statue di polistirolo.
La cosa peggiore sono i dialoghi, che fanno davvero rabbrividire. E il tono generale del film, che vuol essere una buffonata ridicola e ci riesce benissimo. Anche il primo Conan aveva un paio di momenti di autoironia (merce da usare con cutela nel fantasy, perché il confine tra il solenne e la vaccata è sempre labile), qui ci si prende in giro praticamente dall'inizio alla fine, come se (nonostante la gran quantità di denaro speso) il cast e le maestranze non riuscissero mai a decidere di prendersi sul serio.
Così brutto non me lo immaginavo. Una schifezza inqualificabile.
La protagonista di questo brutto film girato tra Lazio e Abruzzo è la statuaria Brigitte Nielsen che sembra falsa in qualsiasi scena appaia; le cose verranno peggiorate notevolmente dal classico bambino insopportabile, nella parte di un principe il cui regno è stato devastato da Gedren la Regina Cattiva; peggio ancora, il principino viene accompagnato da una specie di servitore e guardia del corpo, che fa a sua volta da macchietta. Notoriamente, nel film partecipa Arnold Schwarzenegger ma non come Conan bensì nei panni di Lord Kalidor (Yado in Italia); parla poco, salva la situazione quando occorre, ammazza un po' di cattivi, compare misteriosamente quando c'è bisogno di lui e partecipa al gran finale. Il naufragio del film è così totale che la presenza di Schwarzy non cambia le cose. Curiosità: avrebbe dovuto tornare nei panni del Cimmero in una successiva pellicola, che però non si fece (pare che Schwarzenegger avesse terminato i suoi obblighi verso De Laurentiis).
Spezzerei una lancia per Sandahl Bergman, la ladra Valeria del primo Conan, che aveva rifiutato il ruolo di Red Sonja per interpretare Gedren, la regina malvagia. Non che sia un grande ruolo ma almeno non è ridicola come la Nielsen, che vinse il Razzie Award (l'Oscar "al contrario") come peggiore nuova attrice protagonista.
La trama è semplice e lineare: un talismano dai grandi poteri, ma pericolosissimo, sta pre essere eliminato dalle sacerdotesse che lo custodiscono (solo le donne possono toccarlo senza morire). Interviene la perfida Gedren e se ne impadronisce per i suoi piani di dominio. Kalidor/Yado soccorre l'unica sacerdotessa rimasta in vita e riesce a farla incontrare con la sorella (Red Sonja, appunto) prima che muoia. Red Sonja, che ha subito la sua buona dose di torti dalla regina, intraprende una spedizione vendicatrice: da lì prende il via una serie di scene di combattimento, d'avventura e di viaggio, per lo più senza né capo né coda. La presenza della musica di Morricone non salva le cose, anzi direi che l'accompagnamento in qualche caso è fastidioso.
Mentre in Conan il Barbaro di effetti speciali non c'era moltissimo, e questo aiutava perché quel poco è spesso di scarso livello, qui purtroppo si fa grande uso di scenari fatti male, trucchi di telecamera da far venire il latte alle ginocchia, mostri di plasticone che fanno pietà e grandi statue di polistirolo.
La cosa peggiore sono i dialoghi, che fanno davvero rabbrividire. E il tono generale del film, che vuol essere una buffonata ridicola e ci riesce benissimo. Anche il primo Conan aveva un paio di momenti di autoironia (merce da usare con cutela nel fantasy, perché il confine tra il solenne e la vaccata è sempre labile), qui ci si prende in giro praticamente dall'inizio alla fine, come se (nonostante la gran quantità di denaro speso) il cast e le maestranze non riuscissero mai a decidere di prendersi sul serio.
Così brutto non me lo immaginavo. Una schifezza inqualificabile.
sabato 6 agosto 2011
The Cell
Ok, lo ammetto, questo film mi è piaciuto la prima volta che l'ho visto, e dopo un altro paio di visioni mi piace ancora di più. Non sono amante dei film di serial killer, e non sono ammiratore di Jennifer Lopez (che comunque qui offre un'interpretazione decente), ma The Cell sprigiona un lato onirico e fantastico che tiene la scena e sfrutta al meglio le qualità di Tarsem Singh, regista di videoclip di nazionalità indiana.
(Da qui in poi, anticipazioni sulla trama). L'eroina del film è Catherine Deane (la Lopez), psicologa nonché pioniera in una tecnologia futuristica dove il terapeuta cerca di "entrare nel subconscio" del paziente in maniera molto letterale, con un collegamento tra le menti non privo di rischi (è un po' la stessa storia che si è vista anche in film come Matrix o recentemente in Inception: se muori o vai fuori di senno nel "mondo virtuale" sei nei guai anche in quello reale). All'inizio della storia la si vede, senza troppo successo, alle prese con un bambino autistico.
Vince Vaughn (che ha partecipato a un sacco di film che non ho visto) fa la parte di Novak, un intelligente poliziotto che si trova alle prese con un serial killer, e ha compreso che costui uccide le donne che rapisce con un rituale molto preciso, un certo numero di ore dopo il sequestro. L'assassino infatti usa un complicato meccanismo automatico per annegarle. Vaughn in questa trama dovrebbe fare il poliziotto triste e tormentato, nonché ossessionato dal dovercela fare a risolvere il caso prima che ci sia una nuova vittima: però la sua prestazione è modesta, del trio di protagonisti mi pare la parte debole e questo è abbastanza dannoso per il film. Quanto al killer, di nome Stargher, è ben interpretato da Vincent d'Onofrio, l'attore che anni fa (ingrassando apposta per la parte) fu il soldato "palla di lardo" in Full Metal Jacket. Lo si vede in azione fin dalle prime scene, chiaramente disturbato e dissociato in un suo mondo di fantasie perverse. Gli altri personaggi (medici, vittime del killer, poliziotti) non sono particolarmente importanti.
Non c'è una lunga caccia al cattivo in verità: Novak riesce a scoprire chi è l'omicida (che ha appena rapito un'altra vittima) e si reca alla casa di Stargher con gran spiegamento di uomini e mezzi: segue la solita irruzione da manuale ma la vittima non è lì. Il killer non fa alcuna resistenza ma non sarà disponibile a un interrogatorio, perché è già andato in coma per i fatti suoi a causa della degenerazione cerebrale cui lo espone la schizofrenia di cui soffre (si tratta di una "licenza medica" del film).
Poiché Stargher non potrà mai più riprendere conoscenza, la polizia si rivolge all'ospedale dove lavora Catherine: nonostante i rischi di un'operazione mai tentata, si decide che la psicologa dovrà creare un contatto con il killer e convincere la sua parte "buona" a rivelare il luogo in cui la ragazza rapita è nascosta: come da rituale, la vittima infatti è prigioniera di una cella sigillata, dove verrà pompata acqua a un'ora prestabilita.
Il viaggio nella mente del killer coinvolgerà a un certo punto anche Novak, che avrà l'intuzione decisiva e correrà verso la località dove la vittima è prigioniera.
Tra immagini tratte da una gran varietà di fonti (scenografie religiose e orientali, paesaggi onirici sconfinati, strani marchingegni, suggestioni feticiste) si vedono scene di Stargher bambino (maltrattato dal padre), della sua parte "buona" che parla tranquillamente con Catherine e di quella cattiva, demoniaca, che cerca di ucciderla. La corsa contro il tempo avrà (ovviamente) successo, e mentre Novak corre a salvare la ragazza rapita, Catherine offre (nella "realtà virtuale" ma anche nel mondo reale) un compassionevole "colpo di grazia" a Stargher.
Si potrebbe domandare: tutto qui? Sì, tutto qui, non voglio far sembrare The Cell più di quello che è. Tuttavia il film unisce la spettacolarità a qualche idea nuova che dà un guizzo di vita a un genere ritritissimo (poliziesco con serial killer), è insolito nella ricerca del bambino buono dentro la mente del serial killer, nella scena di un colloquio pacifico (per quanto "immaginario") di Catherine con Stargher adulto. Questo film non è un capolavoro ma ha un che di inconsueto, riesce a mettersi a cavallo fra diversi generi, pur non avendo una grandissima trama. E' un po' fantascienza, un po' horror poliziesco con il classico serial killer, ma anche thriller psicologico. Con attori di primo piano poteva essere un successo tremendo.
Ho letto in giro un po' di critiche (made in USA). Alcuni apprezzano i contenuti e lo stile, molti condannano
The Cell per motivi bacchettoni che non mi piacciono: non gradiscono ad esempio un battesimo che si trasforma in una scena sinistra (Stargher bambino che viene tenuto troppo tempo sott'acqua, e l'acqua è in effetti un fattore importante della sua malattia mentale), sempre lui bambino che viene picchiato dal padre, le varie scene di follia e pratiche sadomasochiste. Nella Wikipedia in inglese c'è una recensione che è uno spettacolo, di un giornalista che scrive: "Se vado a vedere un film con un serial killer, non voglio vedere che qualcuno lo compatisce e lo perdona. Voglio vedere che gli si spara, lo si pugnala, lo si sbudella e infine lo si getta urlante fra le fiamme."
Ora, io non sono uno di quelli sempre politicamente corretti secondo cui se uno fa del male bisogna perdonarlo perché è "colpa della società." Però è anche vero che chi fa del male di frequente è proprio colui che il male ha subito. La vittima per cui nessuno è intervenuto in tempo. La società non può far altro che difendersi, tuttavia mi è piaciuto lo sguardo obiettivo e compassionevole di questo film, per quanto sia molto più forte l'aspetto puramente estetico e grafico. The Cell va controcorrente su temi piuttosto scabrosi:
la produzione ha accettato l'inevitabile e magari anche giusta botta della censura (Rating R negli USA e un sacco di VM18 in giro per il mondo), e innervosito un certo tipo di benpensanti: questo non può che farmi piacere.
(Da qui in poi, anticipazioni sulla trama). L'eroina del film è Catherine Deane (la Lopez), psicologa nonché pioniera in una tecnologia futuristica dove il terapeuta cerca di "entrare nel subconscio" del paziente in maniera molto letterale, con un collegamento tra le menti non privo di rischi (è un po' la stessa storia che si è vista anche in film come Matrix o recentemente in Inception: se muori o vai fuori di senno nel "mondo virtuale" sei nei guai anche in quello reale). All'inizio della storia la si vede, senza troppo successo, alle prese con un bambino autistico.
Vince Vaughn (che ha partecipato a un sacco di film che non ho visto) fa la parte di Novak, un intelligente poliziotto che si trova alle prese con un serial killer, e ha compreso che costui uccide le donne che rapisce con un rituale molto preciso, un certo numero di ore dopo il sequestro. L'assassino infatti usa un complicato meccanismo automatico per annegarle. Vaughn in questa trama dovrebbe fare il poliziotto triste e tormentato, nonché ossessionato dal dovercela fare a risolvere il caso prima che ci sia una nuova vittima: però la sua prestazione è modesta, del trio di protagonisti mi pare la parte debole e questo è abbastanza dannoso per il film. Quanto al killer, di nome Stargher, è ben interpretato da Vincent d'Onofrio, l'attore che anni fa (ingrassando apposta per la parte) fu il soldato "palla di lardo" in Full Metal Jacket. Lo si vede in azione fin dalle prime scene, chiaramente disturbato e dissociato in un suo mondo di fantasie perverse. Gli altri personaggi (medici, vittime del killer, poliziotti) non sono particolarmente importanti.
Non c'è una lunga caccia al cattivo in verità: Novak riesce a scoprire chi è l'omicida (che ha appena rapito un'altra vittima) e si reca alla casa di Stargher con gran spiegamento di uomini e mezzi: segue la solita irruzione da manuale ma la vittima non è lì. Il killer non fa alcuna resistenza ma non sarà disponibile a un interrogatorio, perché è già andato in coma per i fatti suoi a causa della degenerazione cerebrale cui lo espone la schizofrenia di cui soffre (si tratta di una "licenza medica" del film).
Poiché Stargher non potrà mai più riprendere conoscenza, la polizia si rivolge all'ospedale dove lavora Catherine: nonostante i rischi di un'operazione mai tentata, si decide che la psicologa dovrà creare un contatto con il killer e convincere la sua parte "buona" a rivelare il luogo in cui la ragazza rapita è nascosta: come da rituale, la vittima infatti è prigioniera di una cella sigillata, dove verrà pompata acqua a un'ora prestabilita.
Il viaggio nella mente del killer coinvolgerà a un certo punto anche Novak, che avrà l'intuzione decisiva e correrà verso la località dove la vittima è prigioniera.
Tra immagini tratte da una gran varietà di fonti (scenografie religiose e orientali, paesaggi onirici sconfinati, strani marchingegni, suggestioni feticiste) si vedono scene di Stargher bambino (maltrattato dal padre), della sua parte "buona" che parla tranquillamente con Catherine e di quella cattiva, demoniaca, che cerca di ucciderla. La corsa contro il tempo avrà (ovviamente) successo, e mentre Novak corre a salvare la ragazza rapita, Catherine offre (nella "realtà virtuale" ma anche nel mondo reale) un compassionevole "colpo di grazia" a Stargher.
Si potrebbe domandare: tutto qui? Sì, tutto qui, non voglio far sembrare The Cell più di quello che è. Tuttavia il film unisce la spettacolarità a qualche idea nuova che dà un guizzo di vita a un genere ritritissimo (poliziesco con serial killer), è insolito nella ricerca del bambino buono dentro la mente del serial killer, nella scena di un colloquio pacifico (per quanto "immaginario") di Catherine con Stargher adulto. Questo film non è un capolavoro ma ha un che di inconsueto, riesce a mettersi a cavallo fra diversi generi, pur non avendo una grandissima trama. E' un po' fantascienza, un po' horror poliziesco con il classico serial killer, ma anche thriller psicologico. Con attori di primo piano poteva essere un successo tremendo.
Ho letto in giro un po' di critiche (made in USA). Alcuni apprezzano i contenuti e lo stile, molti condannano
The Cell per motivi bacchettoni che non mi piacciono: non gradiscono ad esempio un battesimo che si trasforma in una scena sinistra (Stargher bambino che viene tenuto troppo tempo sott'acqua, e l'acqua è in effetti un fattore importante della sua malattia mentale), sempre lui bambino che viene picchiato dal padre, le varie scene di follia e pratiche sadomasochiste. Nella Wikipedia in inglese c'è una recensione che è uno spettacolo, di un giornalista che scrive: "Se vado a vedere un film con un serial killer, non voglio vedere che qualcuno lo compatisce e lo perdona. Voglio vedere che gli si spara, lo si pugnala, lo si sbudella e infine lo si getta urlante fra le fiamme."
Ora, io non sono uno di quelli sempre politicamente corretti secondo cui se uno fa del male bisogna perdonarlo perché è "colpa della società." Però è anche vero che chi fa del male di frequente è proprio colui che il male ha subito. La vittima per cui nessuno è intervenuto in tempo. La società non può far altro che difendersi, tuttavia mi è piaciuto lo sguardo obiettivo e compassionevole di questo film, per quanto sia molto più forte l'aspetto puramente estetico e grafico. The Cell va controcorrente su temi piuttosto scabrosi:
la produzione ha accettato l'inevitabile e magari anche giusta botta della censura (Rating R negli USA e un sacco di VM18 in giro per il mondo), e innervosito un certo tipo di benpensanti: questo non può che farmi piacere.